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    Competenza comunicativa dell'animatore



    Tonino Lasconi

    (NPG 1994-03-36)


    Il cristiano che vuole essere capace di stanare un preadolescente, già «a posto» con la Cresima (e quindi al riparo da ogni possibile «ricattino» del tipo: «Se non vieni, niente Cresima!»), dalla convinzione che a 1213 anni il rapporto con la fede e la chiesa sono una questione sistemata, risolta, gettata alle spalle insieme a tutti i rimasugli dell'infanzia, deve avere una dote fondamentale. Quale sarà? La capacità di farsi a pezzi per i poveri e gli emarginati? La spiritualità e il senso liturgico a livelli monacali? La conoscenza quasi professorale della Bibbia? L'intensa partecipazione alla vita della parrocchia?
    Tutte queste virtù, che pure sono tantissime, non sarebbero sufficienti per «sedurre» il preadolescente e per farlo incamminare in maniera libera, cosciente e responsabile, alla sequela di Gesù.
    Il «carisma» di un animatore di preadolescenti è la capacità di captare, ascoltare, interpretare e soddisfare le loro esigenze e i loro bisogni in rapporto al Vangelo di Gesù. In altre parole, lo specifico di un animatore di adolescenti è la capacità di essere un comunicatore. Un comunicatore della fede.

    COMPETENTE NEL COMUNICARE

    Ma cosa significa comunicare?
    Senza entrare in un discorso generale sulla comunicazione, estraneo allo scopo di queste pagine, è necessario però fare chiarezza sulle parole per evitare confusioni, per non girare intorno all'argomento senza concludere niente, per capirsi.
    Comunicare non è sinonimo di parlare. Questa è la prima verità che dobbiamo ficcarci bene in testa, sgomberando il cervello da arcaiche convinzioni che il mondo ecclesiastico fatica enormemente a superare.
    Facciamo il caso (purtroppo niente affatto sporadico) di un prete che alla messa delle 9, delle 11 e delle 18 faccia la stessa predica, con le stesse parole e gli stessi gesti, anche se l'uditorio è completamente diverso. Questo prete comunica? Per niente: parla.
    Non comunica, perché non «mette in comune» niente con coloro che lo ascoltano, nemmeno il loro interesse. Fa tutto da solo, non si lascia nemmeno sfiorare dai loro problemi, dai loro bisogni, dalle loro esigenze. Gli preme dire certe cose, ritiene importanti certi argomenti e quindi lui li rovescia su coloro che stanno lì davanti, siano essi anziani, bambini o ragazzi, madri di famiglia o zitelle. Lui, dall'alto del suo pulpito (o dal fragore del suo microfono), precisa, puntualizza, chiarisce, polemizza, esorta, risponde a domande che nessuno gli ha fatto, condanna, benedice...
    Ma i suoi ascoltatori nemmeno li vede, tant'è vero che essi cambiano e lui continua con lo stesso disco.

    Qual è la competenza comunicativa?

    Ad uno così, gli puoi mettere in mano fotografie, canzoni, diapositive, video, cartelloni..., quello che ti pare. Lui continuerà a parlare, non a comunicare.
    La competenza comunicativa infatti non è data dagli strumenti, ma da una impostazione della persona; non nasce dall'avere, ma dall'essere.
    Se si riuscisse a convincersi di questo, si capirebbero un sacco di cose sulla incomunicabilità tra la chiesa e la gente di oggi.
    Togliamo per un attimo dal pulpito il nostro prete che ripete la stessa predica e sostituiamolo con le lettere encicliche, i documenti dei vescovi, i comunicati delle congregazioni e degli uffici (catechistici, liturgici, delle comunicazioni sociali, della pastorale giovanile...), i resoconti dei capitoli generali e delle milletrecento riunioni annuali degli istituti religiosi, i giornali cattolici: quotidiani, settimanali, mensili, semestrali, nazionali, diocesani, parrocchiali, religiosi, dei santuari... che ripetono le encicliche, i documenti dei vescovi, dei superiori e delle superiore generali, degli uffici nazionali..., dicendo sempre che sono molto belli e importanti.
    Ecco, questa è l'immagine della non comunicazione.

    Chi si preoccupa del «ricevente»?

    Tutti parlano senza preoccuparsi di chi sia in realtà il «ricevente» a cui il messaggio è destinato. Il risultato di questo modo di fare? Sta davanti agli occhi di tutti: una quantità impressionante di documenti «bellissimi e importantissimi», emanati a getto continuo, dopo una sontuosa presentazione alla presenza delle autorità civili, religiosi e militari, è consegnata alla storia e diventa l'orgoglio degli archivi e delle biblioteche dei monasteri e delle diocesi. Ma non lascia traccia nella mentalità della gente che organizza la sua vita sulla «buona novella», di basso cabotaggio ma comprensibile e vicina alle aspettative di ogni giorno, di brevissimi spot pubblicitari.
    Sulla base di queste brevi sottolineature, adesso domandiamoci: chi è l'animatore competente in comunicazione? Non è sicuramente uno dei tanti «parlatori» sulla fede e della fede, ma un comunicatore della fede.
    Compito dell'animatore infatti non è quello di rovesciare il messaggio su chi gli sta davanti, ma di metterlo in sintonia con le esigenze del ricevente. Mentre il parlatore ignora il ricevente, perché è prigioniero del «suo» programma, del «suo» libro di testo, del «suo» sacramento da distribuire, delle «sue» convinzioni da travasare, il comunicato- re si modella sul ricevente, diventando antenna sensibilissima e attentissima ad entrare in sintonia con le esigenze «altrui».
    I «parlatori» della fede, se non entrano in sintonia con la gente di oggi, tanto meno possono riuscire a farlo con i ragazzi, che sono le antenne più sensibili delle esigenze dell'oggi. Al contrario, chi impara a comunicare con i preadolescenti, ormai liberi dal «devi venire se vuoi la Cresima», sarà in grado di comunicare alla gente di oggi.
    In altre parole: una chiesa che impari a comunicare con i preadolescenti, si mette sulla strada buona per comunicare con il mondo di oggi.
    Ma veniamo adesso a ciò che ci interessa più da vicino: l'animatore. Ormai non dovremmo avere alcun dubbio: senza la competenza comunicativa, egli non supererebbe lo sbarramento dei preadolescenti.
    La sua carità potrebbe sembrare fanatismo e ricerca di gratificazioni personali; la sua spiritualità e il suo senso liturgico sarebbero scambiati per fissazioni ridicole; la sua conoscenza della Bibbia sarebbe interpretata come passione per l'archeologia; la sua partecipazione alla vita parrocchiale sarebbe letta come paura del mondo. Con la competenza comunicativa invece diventano testimonianza trascinante.

    LA FARFALLA E L'ELEFANTE

    Qual è allora l'identikit dell'animatore «comunicatore»? Se corriamo subito con il pensiero all'animatore equipaggiatissimo di diapositive, video, foto, cartelloni, musicassette, non abbiamo capito un granché.
    Parrocchie e ambienti affini sono pieni di «parlatori» superequipaggiati di strumenti tecnici (giornali, videocassette, diapositive, televisioni private, canzoni...), ma scarsi di capacità comunicativa.
    Tutto questo «bagaglio» tecnico riuscirebbe tutt'al più a rendere il «parlatore» fastidioso come quei venditori di accendini e fazzoletti di carta che per l'ennesima volta tornano alla carica per rifilarti cose che non ti servono. L'armamento tecnico può tutt'al più suscitare un po' di superficiale e passeggera meraviglia.
    Quante videocassette, diapositive, musicassette giacciono inutilizzate nei polverosi cassetti delle parrocchie e degli oratori?

    Saper ascoltare l'altro

    L'animatore comunicatore è prima di tutto uno che sa ascoltare i ragazzi.
    Cosa significa ascoltare i ragazzi? Non bisogna accontentarsi delle solite risposte pietistiche e retoriche: «Ascoltare i ragazzi significa amarli. Quando ai ragazzi gli vuoi bene...»; «Ascoltare i ragazzi significa pregare tanto per loro»...
    Ascoltare i ragazzi significa saper «leggere» le loro domande e saper rispondere in modo tale che essi sentano le risposte come un «bene per loro». Se un assetato è convinto che quello che gli dai non è acqua, ma salame al peperoncino, andrà a chiedere soccorso da un'altra parte.
    Nella gente di chiesa è fortissima la preoccupazione del «contenuto». Ed è giusto. Ma se il contenuto non viene comunicato in modo tale da essere accolto come un bene, il sentiero della comunicazione si interrompe. Il solito saggio cinese dice che «la parola sulla bocca di chi parla è una farfalla, e però può diventare un elefante nell'orecchio di chi ascolta».
    L'animatore comunicatore quindi deve essere sempre attento al contenuto (la farfalla), ma anche al fatto che la sua farfalla non diventi un elefante negli orecchi dei ragazzi.
    Egli deve saper fare con i ragazzi l'operazione che si fa quando si accende la radio: trovare la sintonia. Se non si entra sulla stessa lunghezza d'onda e sulla stessa frequenza, la sua comunicazione si trasformerà necessariamente in qualcosa di diverso.
    Questa operazione non è affatto facile. Vi è mai capitato di trovarvi in qualche paesello sperduto tra i monti? Prima di riuscire a captare il giornale radio, bisogna pazientemente rintracciare la frequenza tra una miriade di voci iugoslave, tedesche e interminabili amenità delle radio locali?
    Trovare la frequenza giusta per comunicare con i ragazzi è molto più difficile che pescare il giornale radio in una gola alpina. Che poi, quando la sintonia l'hai trovata, dopo un po' essa scompare di nuovo e tu devi ricominciare la ricerca.
    Mettersi in sintonia con i ragazzi significa trovare i segni e i simboli per far scattare la scintilla della comunicazione. Senza i segni e i simboli giusti infatti, la «voce» in arrivo si riduce ad un più o meno fastidioso gracchiare che riduce tantissimo, fino ad azzerare l'attenzione, l'interesse, la comprensione, la risonanza, la risposta in chi ascolta.

    LE STRADE DELLA COMUNICAZIONE

    Cultura della comunicazione quindi, prima dell'armamentario tecnico. Ma la cultura della comunicazione, se non vuole rimanere «sotto il moggio» o essere nascosta sotto terra come il talento della parabola, dove trovare le strade per raggiungere i destinatari. Cioè i ragazzi nel nostro caso.
    Quali sono le strade della comunicazione con i ragazzi? Senza presumere di essere esaurienti, possiamo suggerire questo elenco:
    - la festa;
    - il gioco;
    - l'intervento in prima persona;
    - la gratificazione della riuscita.

    La festa firmata

    La festa è la convinzione che la vita è dono e che quindi trova la sua massima espressione nei momenti della gratuità. I ragazzi, ancora non sottoposti alla legge del bisogno, del dover marcare il cartellino, sentono moltissimo la festa e attraverso di essa assorbono i valori. L'animatore deve essere quindi un grande organizzatore di feste.
    Ma organizzare una festa non è facile come sembra.
    «E cosa ci vuole? Un po' di musica, un po' di scherzi, un po' di barzellette, qualche urlo, qualcosa da mettere sotto ai denti...».
    Niente di più illusorio. Festa significa un avvenimento che dà allegria, gioia, sollievo a tutti coloro che vi partecipano. Organizzare una festa con i ragazzi senza la necessaria attenzione significa andare incontro al baccano selvaggio, con la stanchezza, noia e delusione da parte dei più timidi e soli, di quelli cioè che sono venuti alla festa con più speranze di gioia.
    La festa richiede poi la partecipazione totale della persona. Essa quindi significa grande ricorso al linguaggio del corpo (balletto, coreografie, canti...) e al linguaggio simbolico: la festa dei ragazzi deve essere «firmata» da segni di appartenenza e popolata da personaggi della fantasia e dell'avventura.
    L'animatore-comunicatore deve inserire la «festa» in tutto quello che propone ai ragazzi.

    Il gioco

    Il gioco è figlio della festa. Il gioco, non lo sport tipo campionato di calcio o di basket. Se la vita è gratuità, le azioni che la riempiono devono essere gratuite, belle, liberanti. E il gioco è un'attività gratuita. È un vissuto che rende il ragazzo come «libro aperto», disposto ad entrare nel circolo della comunicazione.
    L'animatore deve essere un grande organizzatore di giochi. Di giochi per tutti, non soltanto quelli che possono fare tre ore al giorno di allenamenti nelle palestre o nei pala77etti dello sport. Di giochi fatti di fantasia, che con un fazzoletto, quattro bastoni, sei cappelli, una palla mezza sgonfia, un pezzo di prato spelacchiato, tirano fuori dai ragazzi momenti bellissimi. Anche l'oganizzazione di giochi autentici non è facile e richiede studio e preparazione.

    L'intervento in prima persona

    I ragazzi sentono fortissimo il bisogno di intervenire in prima persona, senza essere giudicati troppo piccoli e ancora incapaci di dire la loro.
    L'animatore deve essere attentissimo a organizzare le cose in modo tale che tutti i ragazzi si sentano coinvolti e protagonisti. Se una attività proprio non si presta a questo protagonismo dei ragazzi (per esempio la lezione accademica), l'animatore ci rinunci. Per il resto, dalla preghiera alla riunione, dal cartellone al gioco, dall'incontro di catechesi al recital, tutto deve essere pensato e organizzato in modo tale che i ragazzi si sentano coinvolti in prima persona.
    Questa «abilità» richiede grande fantasia e, di nuovo, preparazione. Di primo acchito è sempre la cosa già conosciuta, più facile, più usuale a venire in mente. Questa però raramente è quella capace di coinvolgere la volontà di intervenire in prima persona dei ragazzi.
    L' animatore-comunicatore deve inserire l'attenzione a far intervenire i ragazzi in prima persona in tutto quello che fa.

    La gratificazione della riuscita

    La buona riuscita è la molla della vita, non solo per i ragazzi. Gli adulti però, proprio perché adulti, hanno la capacità di risalire dagli insuccessi. I raga77i ancora no.
    L'animatore avrà cura quindi di organizzare tutto in modo tale che le cose vadano a buon fine, che abbiano una buona riuscita.
    Riuscita, successo non inteso in senso carrieristico o divistico, ma nella accezione più semplicemente di cosa andata a buon fine, non rimasta a metà, non deviata dal suo scopo iniziale, come il fare un gioco per divertirsi e che invece finisce con il piangere; si fa un recital e non c'è nessuno a vederlo; si organizza un mercatino e tutto rimane invenduto.
    L'educatore-comunicatore deve inserire «la gratificazione del successo» in tutto quello che fa.

    GLI STRUMENTI DELLA COMUNICAZIONE

    A questo punto arriviamo finalmente agli strumenti «tecnici» della comunicazione (cartelloni, canti, diapositive, video, animazioni...) per dire una cosa semplicissima: come fa un animatore a comunicare con i ragazzi, inserendo in tutto quello che fa insieme a loro la festa, il gioco, l'intervento in prima persona, la gratificazione del successo, senza ricorrere agli strumenti «tecnici» della comunicazione?
    Ecco quindi che l'armamentario tecnico, poco produttivo e concludente quando mancano la cultura e l'attenzione a seguire le strade della comunicazione, diventa indispensabile in presenza di queste.
    L'animatore-comunicatore vive di feste, di giochi, di animazioni, di cartelloni, di canti, di diapositive, di fotolinguaggi, di recital, perché questi sono i mezzi per camminare insieme ai ragazzi sulle strade della comunicazione.
    Senza questi strumenti c'è soltanto la parola, nella quale l'animatore può essere esperto e maestro, ma nella quale i ragazzi annaspano, si annoiano, annegano.
    Gli strumenti, più sono meglio è. Purché non si pretenda che essi possano sostituire la cultura della comunicazione. Tutti noi conosciamo giovanotti, suore, religiosi che animano gruppi, oratori, campi scuola in maniera eccezionalmente ricca di comunicazione, con un vecchio proiettore, quattro pennarelli, un pallone di plastica, un cortile sgangherato, uno stanzone polveroso.
    Tutti noi conosciamo altri giovanotti, suore, religiosi... che, con attrezzature fantascientifiche, non riescono a comunicare assolutamente niente. Parlano e basta.

    La competenza comunicativa

    Cosa è allora in poche parole la competenza comunicativa in un animatore di preadolescenti?
    È l'essere una persona che comunica perché:
    - sintonizzata sulla frequenza dei ragazzi;
    - in cammino nelle strade della comunicazione;
    - capace di adoperare gli strumenti che rendono la comunicazione più partecipata, penetrante ed efficace.
    Come si raggiunge questa competenza educativa? Essere persone capaci di sintonizzarsi sugli altri dipende molto dal temperamento, dal carattere, dal clima respirato in famiglia. Ci sono persone che sono praticamente prigioniere del proprio io. Queste non potranno mai essere animatori dei ragazzi: (purtroppo!) nella chiesa troveranno altre mansioni da svolgere, anche di alta responsabilità.
    Anche per questa disponibilità comunicativa di fondo servono molto, come sempre, la convinzione, l'esercizio e la preparazione. Molto utile è la partecipazione ad un gruppo di animatori che aiuti a sviluppare l'attenzione agli altri.
    Per quanto invece riguarda la capacità di percorrere le strade della comunicazione e di adoperarne gli strumenti, quasi tutto dipende dalla volontà di apprendere, dallo studio, dall'esercizio, dalla pratica. Anche a questo proposito è molto importante trovarsi a lavorare in gruppo.
    Se la cosa non risultasse quasi blasfema, farei un esempio: una agenzia pubblicitaria raggiunge il massimo di risultati quando è composta da persone tagliate per comunicare, con le competenze giuste e con il duro ed entusiasmante tirocinio della pratica. Un pubblicitario dispiega al massimo le sue potenzialità e le sue competenze quando è inserito in una agenzia che lo sostiene e lo valorizza. La stessa cosa vale per un gruppo di animatori e per il singolo animatore.
    L'esempio può apparire blasfemo, ma fa riflettere. Avendo rinunciato a faticare per metterci in grado di annunciare la grande, unica «buona novella», abbiamo lasciato il campo libero a chi, con molta fatica, mestiere, investimenti di denaro, annuncia «piccole buone novelle», delle quali, in mancanza d'altro, la gente e i ragazzi si accontentano.


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