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    Un nuovo modo di presentare Maria



    Herlinde Pissarek-Hudelist

    (NPG 1993-04-13)


    Ogni devozione mariana pone una domanda critica alla teologia: riguardo a Dio, essa ha parlato e pensato in modo da aiutare gli uomini a vivere e morire con lui? Riflettendo sulla verità della fede, ha tenuto uniti mente, cuore e spiritualità? Si è rivolta solo alle menti degli uomini o a tutte le loro facoltà? Non ha troppo spesso delineato l'immagine di un Dio che domina, punisce, giudica? Non ha trasformato anche Gesù Cristo in un giudice severo e distante, accentuando il suo essere divino e non prendendo abbastanza sul serio il suo aspetto umano? Non ha dimenticato lo Spirito Santo?
    È presuntuoso giudicare altezzosamente la devozione mariana di secoli nei quali Dio e Gesù Cristo erano infinitamente distanti e che per di più si sono succeduti in una società patriarcale suddivisa secondo rigorose gerarchie. I semplici, coloro che soffrivano in silenzio, le donne «inginocchiate» soprattutto, si sono rivolti a Maria. La Madre con il Bambino: questo era per loro comprensibile e familiare. C'è evidentemente nelle religioni una ineliminabile nostalgia verso il femminile e il materno.
    E quanto calore, vita, chiarezza e sensibilità mancherebbe alle nostre chiese, se non ci fosse la rappresentazione della Madre con il Bambino! Spesso Maria per le donne è stata l'unica speranza, per lo meno lei le comprendeva nel loro stato di necessità, spesso inespresso, che esisteva nella sfera della loro fisicità e sessualità.
    Screditate nelle loro funzioni «carnali» pur date loro dal Creatore, allontanate dalla zona dell'altare perfino come suore e religiose, e anche dal sacramento della comunione, quando avevano le mestruazioni, erano incinte o in periodo di parto.
    Fino ad ora nell'intera letteratura omiletica nel corso dei secoli non ho trovato molti esempi di compassione per le donne, solo il richiamo al dovere coniugale. Anche Lutero diceva: «una figura femminile non è creata per essere vergine, ma per avere bambini... Se poi ciò causa loro stanchezza o morte, questo non è male, lasciate che muoiano, sono qui per questo scopo».

    BREVE PANORAMA SULLO SVILUPPO DELLA MARIOLOGIA

    «La figura della Madre di Gesù in quanto Cristo entra nel naturale campo di interessi della teologia.
    Nel corso della sua stessa storia essa ne è diventata a tal punto consapevole da arrivare a dar luogo a una disciplina a sé stante» (Beinert).
    Il noto mariologo Wolfgang Beinert, a cui si devono le riflessioni che seguono, distingue in questo processo due periodi principali.
    Nel primo millennio la teologia inseriva la questione di Maria all'interno delle riflessioni su Cristo e la Chiesa. Tra il periodo del Nuovo Testamento e il Concilio di Efeso nel 431 viene riconosciuta l'importanza di Maria come Madre di Gesù (intesa nel senso più stretto: come colei che partorisce un Dio!). «Nel momento in cui si voleva elaborare il tema della vera umanità di Gesù, e nello stesso tempo anche la fede nel suo essere divino, era necessario osservare che egli è il figlio di Maria».
    Dal terzo Concilio Ecumenico fino all'inizio del nuovo millennio in Oriente e fino al periodo di Bernardo di Chiaravalle in Occidente è posta in primo piano la funzione ecclesiologica di Maria: Maria è il «typos» della Chiesa, modello, personificazione, quasi breve compendio di tutto ciò che si doveva poi sviluppare all'interno della Chiesa, della sua essenza e destino».
    Il secondo periodo comincia con la Scolastica e prende in considerazione soprattutto la figura individuale della Madre di Gesù, e così la predilezione medievale per l'ordine sistematico promuoveva vigorosamente il trattato su Maria. Si giunse così ai Sermones, alle Quaestiones e alle Summae mariologiche. Si deve a Giovanni il Geometra (+ 990) il primo tentativo di una sintesi. Il concetto di mariologia compare per la prima volta, secondo quanto risulta dalle analisi odierne, nell'opera «Summa Mariologiae» di Placidus Nigidius (1602). La Riforma e la Controriforma portarono nuovi impulsi. L'immagine di Maria in Lutero e in altri riformatori va vista in modo molto più positivo e differenziato rispetto a come viene spesso considerata. Durante il Concilio di Trento (1545-1563) il tema di Maria rimase in sostanza aperto: «Di lei si parla brevemente in connessione col tema della venerazione delle immagini e poi in un inciso nel decreto sulla giustificazione (Ella non ha mai commesso peccati anche veniali). Il passo più ampio è un passo del decreto sul peccato originale, con cui il Sinodo fa presente di non voler includere Maria nella dottrina relativa ad esso... Conseguenza: la dottrina mariana e ancora di più il culto di Maria diventa dottrina distintiva di prim'ordine, cosa che non corrispondeva proprio alle intenzioni della Riforma. Tale rimane fino al tempo presente».

    Il tempo moderno

    Da Pietro Canisio e Suarez anche l'ordine gesuita si è guadagnato più di una volta merito in materia di mariologia. Accanto a teologi «esuberanti», santi (Luigi Grignion di Montfort, + 1716) o perfino innalzati al rango di Maestri della Chiesa (Lorenzo da Brindisi, t 1619), nel 19° secolo si sono distinti con contributi di qualità soprattutto il cardinale Newman e il teologo dogmatico Matthias Scheeben.
    I dogmi dell'Immacolata Concezione (1854) e dell'Assunzione in anima e corpo di Maria in cielo (1950) si richiamano già a elaborazioni teoriche precedenti la Riforma, e con ciò veniva dato particolare risalto e valore da Roma alle riflessioni teologiche fino intorno al 1830. Ma appena Pio IX, che attribuì all'aiuto di Maria il successo della sua fuga da Roma a Gaeta prima della rivoluzione, attuò con fermezza la decisione di innalzare a dogma la dottrina dell'Immacolata Concezione e la portò a compimento nel 1854. Riguardo alla dichiarazione di dogma dell'Assunzione, richiesta nel Concilio Vaticano I da 187 vescovi, egli si mostrò contrario. Nel 1880 il Sant'Ufficio bloccò ogni iniziativa in questo senso. Seguirono richieste pressanti più quantitative che qualitative, che durante il pontificato di Pio XII si moltiplicarono: egli definì l'Assunzione come dogma di fede il 1° novembre 1950.
    Beinert fa notare che entrambi questi dogmi mariani, contrariamente a tutte le precedenti definizioni di fede, non sono reazioni a prese di posizione eretiche, né vengono proclamati attraverso un concilio universale, bensì sotto la personale responsabilità del papa, non si basano su chiari riferimenti biblici, non si fondano su una tradizione univoca e ininterrotta, e infine non sono più patrimonio comune con altre chiese cristiane.
    Come effettivo fondamento vale il «factum Ecclesiae», cioè la tesi «che la fede della Chiesa di oggi nella sua totalità è l'effettivo fondamento dogmatico; in effetti lo Spirito Santo non può far cadere in un grave errore l'intera Chiesa... Il senso di fede dei credenti, finora riconosciuto solo come attestazione testimoniante di un dogma, diventa ora fondamento dogmatico». Nello stesso tempo la mariologia è l'unica branca teologica in cui si lavora liberamente a livello speculativo e vengono compiuti effettivi progressi. Fino al Concilio Vaticano II valeva quindi per la mariologia il motto: de Maria numquam satis (di Maria non si parla mai esaurientemente).
    Ci sono state numerose pubblicazioni e non pochi congressi teologici di mariologia, che dal canto loro hanno nuovamente prodotto intere serie di atti congressuali. I mariologi erano stimati membri di congreghe di dogmatici e si rallegravano dell'appoggio dei papi, soprattutto di Pio XII. Si discusse fervidamente in merito ai concetti teologici di Maria Mediatrice e Correndentrice. Per alcuni mariologi era assolutamente «definibile», cioè sulla base del suo ancora- mento con la tradizione era adatta ad essere definita come dogma.

    Dopo il Vaticano II

    Tra i testi del Concilio Vaticano II non c'è alcun vero e proprio documento su Maria, però c'è il capitolo VIII in 18 articoli su Maria all'interno della Costituzione Dogmatica sulla Chiesa «Lumen Gentium». Sul perché le cose stessero così, ci dà brevi notizie Karl Rahner nel «Piccolo Compendio del Concilio», notizie completate da Otto Semmelroth nel commento ai decreti del Concilio contenuto nel «Lexicon per la teologia e la Chiesa».
    Citiamo il breve riassunto di Rahner:
    «Questo capitolo è stato oggetto di accese discussioni conciliari; una votazione a fine ottobre 1963 stabilì, con una maggioranza di misura, di inserire nella Costituzione della Chiesa il capitolo nella forma originariamente prevista, senza farne un documento a sé stante. Determinanti a ciò furono il pericolo dell'isolamento di Maria dall'opera di salvezza e un riguardo ecumenico... Per una adeguata valutazione del capitolo non va solo considerata la cosa in sé, ma anche la diffusione, talvolta spropositata, della mariologia (per tacere dell'estensione e del modo della devozione mariana in alcuni paesi) al tempo di Pio XII. D'altra parte il capitolo nonostante la sua sproporzionata lunghezza rappresenta un notevole passo avanti».
    Il rivolgersi verso gioie e speranze, tristezze e angosce degli uomini in questo concilio portò con sé il fatto che tutti i grandi temi della teologia - come l'interrogativo su Dio, Cristo, la Chiesa, i sacramenti - dovettero essere nuovamente ripensati, al che la mariologia in un primo tempo «ammutolì perplessa» (J.A. Jungmann).
    Paolo VI diede un nuovo avvio nel 1974 con la «Marialis cultus». Nello stesso periodo, cioè alla fine degli anni Settanta e agli inizi degli anni Ottanta, il teologo dogmatico di Regensburg Wolfgang Beinert e il professore svizzero di teologia sistematica e pratica Alois Miiller tentarono di portare a compimento in maniera onesta e sobria, anche per quanto riguarda la dottrina di Maria, quel percorso che la teologia aveva tracciato dal Concilio Vaticano II.
    Nel frattempo la devozione popolare, che in alcune regioni non si era mai spenta, tornò a nuova vita. Giunsero stimoli da due nuove correnti teologiche: dalla teologia della liberazione e dalla teologia femminista.
    La teologia della liberazione vede in Maria «la donna povera profetica del popolo», cantata dal Magnificat. La teologia femminista, riferendosi a Maria, rifiuta la limitazione imposta alla donna, riscopre la forza simbolica della Vergine e madre, e vede Maria come «sorella nella fede». Per inciso, anche Karl Rahner nei suoi ultimi anni di vita ebbe il desiderio, che lo occupò costantemente, di collegare le proposizioni della ma riologia con le esigenze della teologia femminista, così come la concepiva lui.
    Papa Giovanni Paolo II infine con la sua personale devozione mariana agì da catalizzatore; l'ultimo frutto di questa evoluzione è la «Redemptoris Mater», fortemente orientata in direzione del capitolo mariano della Costituzione dogmatica sulla Chiesa. L'occasione è il bimillenario della nascita di Cristo, che «orienta al tempo stesso il nostro sguardo verso sua madre». È un fatto che «Maria è apparsa prima di Cristo all'orizzonte della storia della salvezza».

    FONTI PER UN NUOVO MODO DI PRESENTARE MARIA

    Il nuovo modo di presentare Maria rispecchia quello che si attua nella Chiesa e nella teologia. Esso si alimenta alle seguenti fonti:
    - la teologia della liberazione;
    - la teologia femminista;
    - l'Ecumene;
    - il rinnovato incontro con la tradizione della Chiesa ortodossa;
    - il rinnovarsi della devozione popolare, entrambi promossi e mediati da Papa Giovanni Paolo II.

    La teologia della liberazione

    Per la teologia della liberazione Maria è la donna profetica del popolo, che sta dalla parte dei poveri come la Vergine di Guadalupe, che com'è noto apparve nel 16° secolo a un indiano. È la donna che ha pronunciato il Magnificat: sul Dio dei poveri, che rovescia i potenti dal trono e innalza gli umili.
    L'assemblea plenaria latinoamericana dei vescovi di Puebla nel 1979 ha detto: «Maria deve essere più che mai il modello pedagogico per annunciare oggi il Vangelo agli uomini». E. Gross richiama l'attenzione sul progetto colombiano: «Gioventù, Chiesa e cambio: pro posta pastorale per la costruzione della civilizzazione dell'amore». La Chiesa è un segno di speranza del «mondo nuovo», proprio perché è una chiesa mariana. Questa chiesa conosce Maria come «Madre della civilizzazione dell'amore», e poiché essa è tale, «può anche stare dalla parte dei giovani... in tutte le loro `morti' e `resurrezioni' su questo difficile cammino» nel labirinto di potenze manipolatrici, brutali e nemiche della speranza. Maria dà forza alla gioventù come «modello di personale realizzazione di umiltà» e di fiducia nella parola di Dio. Per i giovani, che devono crescere in un ambiente sociale di rassegnazione e aggressione, la figura di Maria è un modello che rende possibile e stimola «con gioia e passione a percorrere la strada verso la costruzione di una nuova civilizzazione». La speranza è fondata sul «presente dell'umanità integrale - corpo e anima - di Maria in cielo».
    Dobbiamo però avere la consapevolezza che queste riflessioni non sono immediatamente trasferibili nel nostro lavoro pastorale con i giovani.
    Le due teologhe latinoamericane della liberazione, Ivone Gebara e Maria C. Lucchetti Bingemer, offrono sia della Bibbia che dei dogmi mariani una lettura nuova, partendo dai poveri e dallo spirito del nostro tempo. Esse riassumono la loro visione di Maria e insieme di Dio nelle seguenti espressioni: «Maria è un essere umano che è penetrato in tutte le dimensioni di Dio. La sua aperta umanità, la sua piena partecipazione al progetto divino di salvezza ci aiutano a comprendere chi è il Dio del Regno: Egli è il Creatore, che non desiste dal compiere miracoli a vantaggio dei poveri, dall'abbattere i potenti e dal saziare gli affamati; Egli è la Parola, che risuona con forza invincibile e che rende fecondo il corpo della donna, che è pronta ad accoglierlo; Egli è lo spirito libero e liberatore, che aleggia dove vuole e che lavora incessantemente per il processo lento e doloroso, ma stupendo, del sorgere di una nuova creazione, in cui regni la giustizia e vengano privilegiati i poveri. Nella luce di questo Dio risplende una nuova speranza per tutti coloro che sono schiacciati dalla miseria e dall'oppressione nel continente latinoamericano. Questa speranza porta il volto di Maria, dell'ancella su cui l'Altissimo ha posato lo sguardo».
    Similmente dal canto suo Dorothee Stille ricorda ai diversi movimenti di liberazione contemporanei la forza di Maria e del suo Magnificat: lei è un modello di resistenza e un simbolo che non può essere soppresso. Le donne che hanno amato Maria non sono state cieche e non si sono illuse. In tal modo, come osserva Anne E. Carr, «la figura di Maria viene recuperata attraverso una nuova interpretazione del suo tradizionale titolo di regina della pace, specchio della giustizia e consolatrice degli oppressi».
    Maria dunque esercita ancora una grande influenza sulla forza immaginativa cristiana, particolarmente nelle donne, ma anche negli uomini, soprattutto in America Latina, Africa e Asia, dove è vista come la donna povera attraverso cui Dio ha compiuto grandi cose; e viene identificata con i poveri di Israele e con le Eve di questo mondo, come anche con i nuovi compiti salvifici della
    Chiesa nel mondo intero. Maria come Vergine e Madre non ha bisogno di essere compresa come una doppia impossibile esigenza, come un ideale inimitabile, bensì come un simbolo cristiano centrale, che significa autonomia e capacità di rapporti, forza e delicatezza, lotta e vittoria, potenza divina e azione umana, e non attraverso rivalità, ma tramite cooperazione. La collocazione peculiare di Maria nel pensiero cristiano ci permette di immaginare un mondo sanato, riconciliato e infine trasformato. Mentre è Dio che realizza la salvezza dell'uomo attraverso Cristo e lo Spirito Santo che ispira la risposta attiva della Chiesa, è Maria il simbolo per la trasformazione definitiva del mondo.
    Assolutamente degno di nota è un passo della seconda parte dell'enciclica «Redemptoris Mater» (la Madre di Dio al centro della Chiesa in cammino, II.3.37): «Attingendo dal cuore di Maria, dalla profondità della sua fede, espressa nelle parole del Magnificat, la Chiesa rinnova sempre meglio in sé la consapevolezza che non si può separare la verità su Dio che salva, su Dio che è fonte di ogni elargizione, dalla manifestazione del suo amore di preferenza per i poveri e gli umili, il quale, cantato nel Magnificat, si trova poi espresso nelle parole e nelle opere di Gesù. La Chiesa pertanto è consapevole - e nella nostra epoca tale consapevolezza si rafforza in modo particolare - non solo che non si possono separare questi due elementi del messaggio contenuto nel Magnificat, ma che si deve, altresì, salvaguardare accuratamente l'importanza che `i poveri' e `l'opzione in favore dei poveri' hanno nella parola del Dio vivo. Si tratta di temi e problemi organicamente connessi col senso cristiano della libertà e della liberazione».

    Le fonti di ispirazione
    Le grandi fonti di ispirazione della teologia della liberazione provengono in misura sempre maggiore dalla Bibbia. Maria. attraverso un metodo di analogia. viene direttamente messa in relazione con la vita cristiana.
    Marins afferma: «Le comunità di base cristiane vedono in Maria la più compiuta discepola di Cristo, che con il suo esempio li aiuta a trovare gli essenziali punti di riferimento per poter vivere oggi in America Latina secondo il Vangelo».
    La gioia per la fede però deve anche essere festeggiata! Le forme che sono ereditate diventano una chance per l'antica fede nuovamente riscoperta.
    Un altro punto di riferimento afferma la fede nell'opera dello Spirito su Maria e sul popolo. L'effetto dello Spirito su Maria e sul popolo viene equiparato: «Ciò che allora accadde alla Vergine Maria, avviene oggi al popolo verginale, cioè umile, povero, sincero e pieno di speranza». «Il popolo `semplice e povero' dice sempre: `Chi siamo noi? Come possiamo essere la Chiesa di Cristo, se non disponiamo di alcun mezzo, non abbiamo idea di niente e siamo deboli?' Attraverso la predicazione del Vangelo Dio però risponde: `Lo Spirito giungerà su di te!' Il popolo ha creduto a questo annuncio, ha concepito dallo Spirito Santo, e con ciò la Chiesa è nata. Nella vita e con la testimonianza di questa Chiesa la parola di Dio si fa carne e ci rivela il messaggio che contiene. Nel grembo di Maria è cresciuto Gesù, forza e speranza liberatrice... Oggi nel grembo del popolo crescerà la Chiesa. Là essa si sviluppa come forza e speranza liberatrice. Ciò che allora accadde a Maria, avviene ancora anche oggi. Lo Spirito Santo compenetra il mondo. Come allora Egli fece nascere Gesù dalla Vergine Maria, così fa nascere oggi la Chiesa dal popolo povero, per così dire da una vergine».
    Uno dei teologi della liberazione, Leonardo Boff, sostiene perfino l'ipotesi teologica, che egli espressamente definisce tale, secondo cui tra la divina persona dello Spirito Santo e Maria c'è un rapporto ontologico, cioè che Maria diventa realmente (cioè non metaforicamente e senza esagerazione) tempio dello Spirito. «Per poter dare alla luce il Figlio di Dio, ella venne resa come divina». Al congresso mariano di Stuttgart nel 1988 dal titolo «Maria: per tutte le donne o al di sopra di tutte le donne?», al quale presero parte anche molte sorelle e fratelli della chiesa evangelica, non si poté notare come tale affermazione abbia irritato queste persone.
    Mi siano concesse in conclusione alcune osservazioni da una prospettiva europea sul punto di vista della teologia della liberazione: ciò che qui ho riassunto in poche frasi, deriva in gran parte dall'incontro con i testi della teologia della liberazione. In effetti ho anche conosciuto di persona alcuni studenti latinoamericani e ho così imparato a comprendere meglio la mentalità che sta dietro a tali asserzioni.

    Quale giudizio?
    Ogni teologia di contesto, quindi anche la teologia della liberazione, ha il suo prezzo, il che vuol dire che al di fuori della propria area spesso è difficilmente comprensibile e perciò solo limitatamente mediabile.
    La mia esperienza in colloqui con i nostri studenti mi fa pensare che il modo latinoamericano di presentare Maria non è affatto praticabile in pieno solo là dove viene vissuta una reale ed effettiva situazione di oppressione (cosa che non viene sperimentata da noi).
    Il modo ai presentare Maria diventa infatti subito comprensibile quando Maria viene sperimentata, in un senso o in altro, effettivamente come liberatrice: come liberazione da un modello troppo individualistico, bigotto invece che pio, limitante per le donne circa determinati comportamenti, per giungere a un'immagine «forte» di Maria, che attraverso Cristo racchiude nel suo sguardo la reale situazione di inumana oppressione degli uomini e guida verso un agire comunitario.
    Gli studenti latinoamericani nel nostro seminario erano in grado di illustrare con poche frasi come Maria nella loro patria non è al di sopra, ma con e al di sotto di loro; perfino la sua immagine non si trova in posizione sopraelevata, ma sullo stesso piano.
    D'altra parte nel nostro ambiente essi sperimentano che una posizione pluralistica nei confronti di Maria non è assolutamente sinonimo di un rifiuto di Maria, e che un incontro e uno scambio senza timori può arricchire tutte le parti: esseri umani, uomini e donne, che sono alla ricerca di Maria, che hanno difficoltà con il modo in cui Maria è stata collocata nella loro personale educazione, persone che hanno sperimentato un eccesso o una totale mancanza di devozione mariana, che difendono vivacemente il loro personale modo di approccio, che introducono una nuova consapevolezza femminile, oppure che provengono dall'ambiente protestante.
    Un tale scambio reciproco di posizioni anche opposte rende allora accettabile una frase che altrimenti per noi qui risulta ben poco comprensibile. Uno dei miei studenti ha detto: «Non posso immaginarmi una crescita nella mia vita cristiana senza Maria».
    Ora, ci sono punti in comune e differenze tra la teologia della liberazione e la teologia femminista, che ho mostrato in altro luogo. Per il nostro tema il grande punto in comune è l'alto apprezzamento, da parte di entrambi, del Magnificat.
    Resta comunque il fatto importante, come afferma Catharina Halkes in confronto ad alcuni teologi della liberazione, che questo Magnificat è stato pronunciato da una donna!

    La teologia femminista

    La teologia femminista è ambigua nel suo atteggiamento verso Maria.
    Sulla base dell'esperienza soprattutto di donne cattoliche, essa prima di tutto rifiuta criticamente un'immagine di Maria che limiti le donne e le tenga al loro posto, che tra i poli di Maria ed Eva si dimentichi delle donne concrete o presenti loro un modello irraggiungibilmente distante di una Vergine e Madre, a cui esse non potranno mai conformarsi. Esse diventano allora facilmente non solo ancelle di Dio, ma serve anche dei mariti e degli uomini di Chiesa.
    Teologhe femministe molto radicali hanno però d'altra parte messo in guardia dal mettere da parte Maria troppo in fretta. Talvolta le stesse autrici, che si esprimono in maniera molto critica, parallelamente esprimono una rivalutazione del mariano (Arnold, Sölle).
    Anche Mary Daly ad esempio, in precedenza cattolica, che oggi insegna ancora presso l'università gesuita di Boston negli Usa, nei suoi primi scritti mette in guardia dalla fretta nel constatare gli «eccessi» mariani e dalla timidezza nel dialogo ecumenico.
    Essa pone vivamente l'attenzione sul cosiddetto doppio messaggio e sui contenuti profetici dei dogmi mariani: il simbolo della Vergine come messaggio di indipendenza e di autonomia femminile (così del resto afferma anche Rosemary Radford Ruether), l'Immacolata Concezione «come una negazione del mito del male femminile e come preannuncio di un mondo al di là delle idee patriarcali di bene e male, in cui le donne non portano più il fardello del ruolo di capro espiatorio».
    Finalmente l'Assunzione come la donna che ascende.
    Qui essa si richiama a C.G. Jung, che come è noto vide la dogmatizzazione dell'assunzione di Maria al cielo come un segno portatore di speranza per lo sforzo della psiche collettiva di superare la superficiale contrapposizione di bene e male, e di dire no all'equiparazione della donna alla materia, alla sessualità e al male.
    La critica formulata da Jung in questo contesto al Protestantesimo come religione dalla simbolica esclusivamente maschile viene portata avanti anche da Mary Daly, Rosemarie Ruether e Ursula Berger. Ma anche la maternità viene vista in maniera nuova e più allargata, con attenzione ai mutamenti storici dell'immagine della Madre e in analogia a uno sviluppo all'interno del movimento autonomo delle donne: «Come apertura e disponibilità verso il futuro, come cura perché ogni essere umano possa vivere in un ambiente umano e degno, come attenzione e opera affinché la comunità nasca e cresca. In questo modo l'ambito della mariologia anche all'interno della teologia femminista viene ulteriormente allargato».
    La teologia femminista include in questa analisi anche la storia della religione. L'esponente principale di questa visione nel contesto di lingua tedesca è la teologa evangelica Christa Mulack. Io ho avuto con lei un colloquio in televisione sulla sua affermazione che Maria è l'erede dell'antica dea Madre. Preparandomi a questo incontro ho trovato una citazione di Karl Rahner, che illustra fino a che punto egli abbia spinto il suo pensiero.
    Eccola: «Se qualcuno volesse dire (come è stato effettivamente detto spesso) che nella venerazione di Maria è perdurato il culto della divinità madre delle religioni precristiane, ciò non andrebbe in nessun modo letto, se esaminato attentamente, come un rimprovero verso la venerazione a Maria. Una tal cosa testimonia al massimo grado il fatto di per sé stupendo che il Cristianesimo nella sua religiosità non ha accantonato alcuna dimensione ed esperienza umana, che non ha timore di avere punti di contatto; e non si preoccupa che la sublimità della sua condizione divina dovuta alla grazia venga danneggiata se la conduzione dell'esistenza cristiana diventa terrena, legata ai sensi, sanguigna, e se in essa si esprime anche tutto ciò che fa parte dell'uomo. Se rispetto a pri ma la venerazione a Maria oggi sembra essere diventata astratta ed esangue, l'osservazione delle concomitanti cause umane nell'antica lode a Maria è piuttosto una interrogazione e un rimprovero diretti a noi oggi. L'attuale lacuna nella devozione mariana è in fondo la conseguenza di una lacuna umana in noi».

    L'Ecumene

    Con ciò ci troviamo praticamente già nell'Ecumene. L'incontro con i nostri fratelli e sorelle protestanti ci introduce in un nuovo modo di accostarci alla Bibbia. In questa nuova mentalità ci accorgiamo di quanto poco si può leggere nella Bibbia riguardo a Maria, quanto sono dure alcune parole di rifiuto nei suoi confronti, quante altre donne, ad esempio Maria Maddalena e il gruppo delle discepole (Lc 8,1), vengono considerate chiaramente più importanti da Gesù stesso; ella manca anche negli avvenimenti della resurrezione. D'altra parte si mostra a noi come sorella nell'oscurità della fede che con audacia inaudita ha percorso una strada molto solitaria, come mostra Luca, con questo figlio fuori del comune che la abbandona, e questo in un ambiente che tiene in così alta considerazione la stirpe.
    Questa visione biblica, per la quale in buona parte ringraziamo i nostri fratelli e sorelle protestanti, ci mostra in senso positivo quanto Maria ci sia vicina nell'oscurità della nostra propria fede. Anche lei conosce il dolore dell'apprendimento, l'incontro con il totalmente Altro, come c'è da aspettarsi e come la pia tradizione propria del popolo ebraico insegna.
    Questa nuova visione strettamente legata alla Bibbia ci fa inoltre attenti alla ricchezza delle figure bibliche femminili, come la già nominata Maria Maddalena o Marta con la sua confessione messianica.
    Ma ci dobbiamo anche ricordare attraverso l'Ecumene del fatto che Maria è stata usata come arma della Controriforma e anche come arma di conquista dell'America Latina. Proprio per questi motivi dobbiamo preoccuparci di valutare con una certa attenzione la militanza verbale di una certa devozione mariana.
    È una cosa che balza subito all'occhio: esiste una armata azzurra, una crociata di espiazione del rosario, la milizia mariana fondata da Padre Kolbe, la Legio Mariae.
    Vorrei notare tra parentesi che alcune delle lettere più aggressive che ho ricevuto in quanto teologa provengono da dichiarati devoti e devote di Maria.

    Rinnovato incontro con la tradizione della Chiesa ortodossa

    Grazie a Papa Giovanni Paolo II è stato conseguito un nuovo incontro con il pensiero di fondo della tradizione della Chiesa ortodossa.
    La significatività della tradizione della Chiesa ortodossa per noi sta nel fatto di riconoscere di nuovo in maniera più evidente il filone di tradizione comune e soprattutto persino il significato dei simboli che trovano espressione in Maria.
    Quando il Papa nell'enciclica mariana «Redemptoris Mater» si richiama a numerosi pensieri e simboli altamente stimati nella tradizione della Chiesa ortodossa, allora ciò per me è una sorta di relazione di fiducia con la tradizione. E d'altra parte c'è poi il fecondo rapporto con il linguaggio dei Padri della Chiesa, il senso vivo per la pienezza di pensiero e la forza simbolica della tradizione orientale ed ortodossa. E in tutto ciò va anche colto il cuore del Papa, nel ricordo dei famosi luoghi di pellegrinaggio della sua patria. Da un punto di vista di teologia positiva si può aggiungere che anche l'essere madre di Maria viene vi sto come una circostanza personale.
    D'altra parte anche in questo rinnovato incontro con la tradizione della Chiesa ortodossa, come ci è stato mediato da certa teologia, vanno notate con uno sguardo critico alcune cose che non si possono nascondere.
    Ad esempio il modo di considerare la Bibbia. Ho l'impressione che qualche volta i testi vengono citati con poco riguardo per il loro genere letterario, come se la Bibbia fosse una entità omogenea e non contenesse una gran ricchezza di generi letterari distinti.
    E se talora sono abbondanti di accenni alla tradizione ortodossa, sono però insufficienti i legami con la tradizione in ambito protestante, nonostante questa oggi abbia una grande diffusione.
    Tornando all'enciclica «Redemptoris Mater», in essa in effetti è presente la Parola che viene dalla penombra della fede e dal suo dolore. Ma la lunga permanenza nella tradizione cristiana, che la Bibbia ha dispiegato, talvolta sorvola sulla durezza della vita di questa giovane donna ebrea, elimina le circostanze, minacciose per lei, del concepimento di questo bambino e l'oscurità della sua fede e del suo essere madre di questo figlio fuori del comune.
    D'altra parte, detto in senso positivo, tutta la lettera enciclica è in sé coerente, percorsa da idee omogenee di base, composta con mano sicura fin nel dettaglio, piena di calore proveniente dal cuore e da profonda devozione; ma da un punto di vista linguistico e di pensiero dà talvolta l'idea di essere quasi un sistema chiuso e quindi precluso a molti uomini di oggi.
    E questo anche là dove vorrebbe instaurare un rapporto diretto con il tempo presente. Nell'accenno ai poveri e agli umili non potrebbe infatti essere ricordata la distinzione secondo cui povertà e umiltà possono mostrare un volto differente per uomini e donne?
    L'essere madre e l'istinto materno di Maria vengono sottolineati con molta forza; questo però mostra il suo prezzo là dove viene instaurato il rapporto con le donne concrete. Le donne corrono il rischio di essere viste solo sotto l'aspetto della maternità. Si fa distinzione in effetti tra la maternità fisica e spirituale, ma le donne come donne entrano in scena? Interi gruppi di donne rimangono comunque tagliate fuori: non sposate, impegnate professionalmente, senza bambini. L'ambito sociale concreto in cui le donne vivono rimane escluso; come anche la paternità.
    In questa enciclica c'è un punto chiave che ricorda ancora alcune asserzioni della tradizione della Chiesa ortodossa in cui l'essenza della donna e di Maria vengono riunite insieme. Si trova al paragrafo 46: «Alla luce di Maria, la Chiesa legge sul volto della donna i riflessi di una bellezza che è specchio dei più alti sentimenti, di cui è capace il cuore umano: la totalità oblativa dell'amore; la forza che sa resistere ai più grandi dolori; la fedeltà illimitata e l'operosità infaticabile; la capacità di coniugare l'intuizione penetrante con la parola di sostegno e di incoraggiamento». Tali frasi però celano in sé il pericolo che quanto più le donne vengono lodate fino ad altezze dove la vita non arriva più, tanto meno vengono realizzate esigenze concrete. Il papa ha posto una donna - Maria - al centro della sua enciclica, e tuttavia continuano ad esserci come prima discussione su un tema come quello delle chierichette!
    Questa espressione che ho citato, «oblativa, i più grandi dolori, fedeltà illimitata, operosità infaticabile», contengono una grande esigenza. In me si fa sentire il cosiddetto effetto del giorno della mamma. Con ciò intendo dire che in tale esaltazione non riconosco la mia concreta dimensione di madre. Una collega arriva qui a parlare di una elevata prestazione sportiva spirituale. Io temo però seriamente che con tali formulazioni l'esigenza delle donne di una diversa autocomprensione venga limitata fin dall'inizio Inoltre, e questo mi sembra però grave, vi risuona un sanziona- mento indiretto. Chi non si piega a questo modello, manca di vivere degnamente la vocazione di donna e cristiana e fallisce rispetto all'ideale dell'essere propriamente donna.
    D'altra parte vedo anche il fatto positivo che in questa enciclica si esprime una nostalgia originaria verso il materno. Forse proprio figli della Chiesa come il Papa, che hanno perso precocemente la loro madre terrena e vivono da celibi, si sono rivolti volentieri a Maria e alla mariologia proprio in virtù di questa esperienza. Ho anche spesso osservato che l'immagine stessa di Maria impressiona un prete in maniera molto forte, spesso perfino definitiva, poiché questi non ne sperimenta un adattamento nella figura di una moglie o di una figlia. Soprattutto in seguito ai colloqui con i miei studenti latinoamericani mi chiedo spesso se il modello umano dell'intercessione di Maria presso Dio non derivi dalla famiglia patriarcale, dove la madre spesso fa realmente da tramite tra padre e figli.
    Se l'edizione tedesca dell'enciclica mariana trova come indicazione del tema proprio la bella espressione «Maria - il sì di Dio all'uomo», la devozione mariana ortodossa nella sua riflessione di fondo dà espressione alla gioia nell'essere umano chiamato Maria. La fastosa celebrazione liturgica glorifica in sempre nuove immagini e paragoni il miracolo che lo Spirito divino ha operato in Maria.

    Il rinnovamento e la «riabilitazione» della devozione popolare

    Solo alcune osservazioni in proposito. A tale rinnovamento hanno chiaramente contribuito numerosi elementi. La devozione mariana del Papa ha agito da catalizzatore, come è già stato brevemente ricordato in precedenza. Ma anche la teologia della liberazione vi ha giocato un ruolo determinante. Virgil Elizondo sostiene la tesi secondo cui «l'apparizione di Nostra Signora di Guadalupe nel 1531 insieme con la devozione che ne seguì da parte del popolo costituisce una fondamentale chiave interpretativa della crescita e sviluppo della comprensione cristiana di Dio». Con ciò diventa allo stesso tempo chiaro che la teologia della liberazione con la sua rivalutazione della devozione popolare si pone come importante stimolo per lo sviluppo dell'intero Cristianesimo.
    Mi sembra sia molto importante essere aperti alle tracce di una devozione sincera, soprattutto ora che, nell'articolo che segue, ci occuperemo delle prospettive e delle difficoltà di un tale modo nuovo di presentare Maria.


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