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    L'educatore e il problema della comunicazione



    Mario Delpiano

    (NPG 1993-03-21)


    Il tema della relazione adulto-preadolescente, ed in particolare il tipo di relazione con quell'adulto speciale che si pone nei confronti del preadolescente con intenzionalità educativa e da lui è riconosciuto nel ruolo e nella funzione di «educatore», appare come uno dei «nodi centrali» dell'intervento pedagogico in preadolescenza.
    Si tratta di una tematica che verte intorno al problema di una potenziale alleanza, il «patto educativo», tutta da reinstaurare tra adulti e mondo dei preadolescenti. E questo per portare una soluzione a quello che possiamo identificare come «il problema della comunica- zione e della sua qualità»: esso si pone anzitutto come problema del «come» comunicare tra diversi, più che del «che cosa» comunicare.
    È questo, a mio parere, il vero e prioritario problema educativo da affrontare con i preadolescenti oggi.
    In tale prospettiva ci proponiamo di comprendere e riesprimere l'evento educativo come evento comunicativo. L'educazione è un fatto, meglio ancora un «evento», di comunicazione tra soggetti differenti. Un evento che non annulla la differenza, anzi la esalta e la recupera come ricchezza che ricade sui soggetti coinvolti nell'evento stesso.

    PREADOLESCENZA E DISAGIO DELLA DIFFERENZA

    Partiamo da un «dato», un dato evolutivo importante: il preadolescente vive anzitutto sulla propria pelle il problema e il disagio della differenza, perché egli sente e continuamente è rispecchiato come «diverso», come «altro» da quello che è stato riconosciuto finora.
    Il preadolescente infatti si vive «diverso e differente» davanti a se stesso proprio e anzitutto rispetto a come si è rappresentato fino al tempo del cambio; ma egli si sente anche «diverso», altro, rispetto a tutte le rappresentazioni che di lui si sono costruiti gli adulti lungo il tempo quieto della latenza.
    È questa un'esperienza soggettiva che viene esaltata ed amplificata proprio attraverso il rapporto con la differenza dell'adulto.
    Il gioco conflittuale delle differenze che si svolge sulla scena del mondo interiore del preadolescente, un gioco che favorisce l'avvio della rielaborazione dell'identità personale, si incrocia tuttavia con il dato innegabile della differenza vissuta nel rapporto con l'adulto educatore.
    In un tempo, il tempo della vita che costituisce la preadolescenza, in cui già il soggetto sperimenta il disagio della elaborazione della differenza «dentro di sé», egli si trova a dover fare i conti e ad elaborare positivamente il disagio che produce l'incontro con l'adulto, portatore pressante e frettoloso delle esigenze della realtà, delle regole del gioco sociale e della necessità del limite al desiderio di vita.

    Le difficoltà di rapporto con l'adulto come «altro»

    La differenza dell'adulto, anzitutto quella segnata dall'età, perciò caratterizzata da un potenziale di esperienza culturalmente elaborata davvero schiacciante, in secondo luogo la differenza dell'adulto segnata dall'identità e dal ruolo psicosessuale, infine e soprattutto quella esaltata e rivendicata per ruolo e dalla posizione socio-istituzionale: queste figure appunto della differenza dell'adulto possono divenire un serio ostacolo ad una comunicazione educativa, perciò liberante il nuovo e la differenza dell'altro. E la difficoltà cresce e diventa insormontabile quando è pensata e gestita in conformità a modelli che hanno la pretesa di cancellare e far scomparire le differenze.
    Ma anche all'opposto: la stessa differenza generazionale e di ruolo diviene ostacolo alla comunicazione fino a divenire negazione di ogni comunicazione educativa, allorché essa viene accentuata ed esasperata fino al punto in cui i differenti soggetti non ritrovano più un terreno comune di incontro e condivisione esperienziale e linguistica: il terre- no di incontro sul quale soltanto può sbocciare e costituirsi il patto comunicativo della convivialità delle differenze.
    Per questo l'ipotesi che avanzo è quella che i problemi educativi con i preadolescenti siano oggi per lo più quelli legati alla gestione della differenza nel rapporto educativo.
    In particolare, per quanto riguarda il rapporto tra adulti e preadolescenti, il problema di gestione della differenza all'interno della comunicazione nasce proprio intorno a quello che viene denominato l'aspetto «relazionale» della comunicazione, cioè il tipo di relazione che viene ad instaurarsi tra i comunicanti, indipendentemente e prima ancora che venga intenzionalmente definito quello che essi vogliono che sia il contenuto della comunicazione, cioè quello che essi sono intenzionati a dirsi e a scambiarsi intorno alla vita e alla sua interpretazione.
    Analizzato questo primo nodo, in un secondo momento diviene allora possibile anche affrontare l'analisi dello stato della comunicazione per quanto riguarda «i contenuti» fatti passare, di fatto realmente scambiati nel circolo della reciprocità.

    LA CRISI DI RELAZIONE CON L'ADULTO VISTA DALLA PARTE DEL PREADOLESCENTE

    Qualsiasi cambiamento produce spaesamento e crisi, soprattutto se il cambiamento ci tocca da vicino, come per esempio il nostro corpo, che ha a che fare con il nostro confine con gli altri. E il preadolescente vive in profondità questo cambiamento radicale dei confini, non solo fisici, con gli altri.
    La crisi ha due esiti possibili: può rivelarsi crisi di crescita o anche di involuzione-regressione; il suo esito dipenderà molto dal modo con cui essa verra rappresentata e affrontata all'interno dei sistemi relazionali entro cui le persone sono collocate.
    Superare il disagio provocato da questa crisi significa aprire la possibilità all'instaurarsi di una relazione comunicativa, nel nostro caso tra l'educatore (trainante per l'iniziativa e l'intenzionalità educativa che lo muove) e il preadolescente; ma in modo tale che l'evento della comunicazione appaia al preadolescente anzitutto come il riconoscimento della novità del cambiamento da lui stesso sperimentato in sé e attorno a sé (l'urgenza di una «conferma» importante da ricevere nella comunicazione!), che faccia spazio alla sua soggettività, e sgomberi il campo da vissuti relazionali nei confronti degli educatori segnati da modelli ormai inadeguati.

    Un disagio quasi «fisiologico» che si fa relazionale

    Richiamo qui soltanto alcuni elementi che, dal punto di vista dell'analisi psicologica e psicosociale della preadolescenza attuale, si rivelano dati essenziali per la comprensione della natura della difficoltà relazionale con l'adulto in genere e con quello «in autorità» in particolare.
    Anzitutto occorre tenere presente quel processo di presa di distanza e di disinvestimento affettivo verso le figure genitoriali, comprese quelle in autorità ad esse assimilate, che avvia la nuova fase di separazione/individuazione dagli «adulti vicini», e che registra un suo culmine in preadolescenza.
    Questo processo di separazione/individuazione nel preadolescente appare segnato da atteggiamenti ambivalenti di conflittualità inibita o gestita; di riavvicinamento forzato e di seduzione; di emancipazione nell'esperienza e di ricerca di autonomia, accompagnati però spesso da ricorrenti nostalgie di protezione, di dipendenza e persino di fusione.
    Nella preadolescenza comunque tale «presa di distanza» nei confronti di un po' tutte le figure in autorità è in piena fase di attuazione ed appare di una evidenza quasi spettacolare, pur con tutte le contraddizioni e le regressioni connesse, spesso alquanto manifeste. Viene da pensare, in concomitanza con il predominio dell'«agito» sul «detto» e sull'interpretato, ad una vera e propria messa in scena di indubbia efficacia, anche se spesso difficile da sostenere e decodificare da parte dell'adulto.

    La differenziazione-separazione dall'adulto

    Le riflessioni recenti sulla preadolescenza, sviluppatesi intorno e a seguito della ricerca Cospes, richiamano pertanto l'attenzione sul fatto che questo processo di differenziazione dall'adulto assume modalità proprie di espressione, differenti da quelle dell'infanzia ma altrettanto diverse da quelle dell'adolescenza successiva (intesa invece come momento in cui affiorano la gestione esplicita dei conflitti, la librazione di atteggiamenti critici, oppositivi e anche contestativi e dissacratori, la ricerca diretta di confronto, opposizione e competizione con l'adulto).
    Per questo nella ricerca Cospes si è avanzata l'ipotesi di un modello di comprensione della presa di distanza dal mondo degli adulti definito come «controdipendenza spazio-motoria e affettivo-relazionale» (cf L'età negata). Nell'agire il corpo attraverso il movimento e il dominio dello spazio fisico- territoriale più vasto, nell'intessere, proprio e anzitutto con la globalità della persona e con il corpo «in prima linea», il rapporto con figure di «altri nuovi e vicini» verso i quali investire il potenziale nuovo di pulsionalità, si esprime appunto questo processo di separazione e individuazione di nuovo livello. Ebbene, tutta la conflittualità, agita più che altro inconsapevolmente, che investe il rapporto con le figure genitoriali, si ripercuote nella relazione con le figure di adulti educatori.
    Un po' meno problematico invece appare oggi il nodo della relazione con i giovani-animatori, i leaders più grandi del gruppo, figure tipiche dei tempi deboli dell'educativo: essi appaiono più vicine e più alla pari, magari al punto da non assurgere mai al ruolo e alla funzione di educatori nella rappresentazione che di essi si fanno gli stessi preadolescenti.
    Questa conflittualità e il conseguente disagio derivante dal non riuscire a gestirla serenamente, si concentra con maggior intensità attorno alla componente paterna della figura dell'educatore. La «simbolica paterna» è ciò che maggiormente viene messo in crisi e travolto nel cambio preadolescenziale. Ogni educatore infatti coltiva in sé, insieme a quella materna, la funzione e la figura del «padre»: l'adulto rivelatore del limite; colui che porta l'esigenza del confronto necessario con la realtà che è «l'altro con le sue esigenze» il propositore della norma necessaria anche se non più intangibile; il Super-Io esterno, alleato a quello internalizzato dal ragazzo, ma che non è ancora stato ricuperato a componente autonoma dell'Io. E proprio questa componente simbolica della figura dell'educatore che risulta gravida di conflittualità; da essa il preadolescente tenta di distanziarsi, anzi di liberarsi.
    A questa presa di distanza, incerta ma già attivata in preadolescenza, dobbiamo riconoscere che si accompagna al contempo, nei preadolescenti di oggi soprattutto, il bisogno e la ricerca, a volte anche disperata, di riferimenti autorevoli e significativi: il bisogno di «nuovi padri e maestri», ma soprattutto di «nuovi grembi materni», che si rivelino fonte di rassicurazione di fronte all'incertezza del cambiamento; che appaiano come misure efficaci di difesa dall'angoscia minacciata dal collasso del Super-Io, e più ancora siano sorgente di conferma di valorizzazione positiva, punti fermi di sicurezza e di sostegno dell'Io.
    Sono tutti bisogni questi che non possono essere saturati nel corso della preadolescenza attraverso la sola ricerca e compagnia dei pari, o la sicurezza e il potere strutturante del gruppo e delle amicizie personali.

    L'EDUCATORE E LA CRISI DI RELAZIONE

    Anche gli educatori da parte loro vivono e soffrono sulla loro pelle il disagio relazionale e la sofferenza di dover reinventare entro nuovi modelli la comunicazione con i preadolescenti.
    Gli atteggiamenti sviluppati dagli educatori di fronte alla crisi di relazione con il preadolescente appaiono alquanto diversi e possono essere anzitutto correlati al significato che l'educatore attribuisce ai segnali anche contraddittori lanciati dal preadolescente nella comunicazione. Nella misura in cui l'educatore riconosce tali comportamenti, li sa riferire ad un modello adeguato di preadolescenza, li interpreta come segnali caratteristici di un disagio relazionale che quella fase evolutiva induce, allora li assume e li interpreta come messaggi di richiesta di un cambiamento urgente verso un nuovo assetto del sistema relazionale. In tal caso li coglie come una richiesta rivolta a se stesso da parte del preadolescente, di impegno e collaborazione a ristrutturare la relazione. Si sente così chiamato in causa in quanto adulto, interpellato nella responsabilità di decodificare il messaggio e di ricontrattare il rapporto.
    Quando invece i segnali non sono percepiti come carichi di valenze maturative, né capaci di veicolare alcun messaggio «altro», allora assistiamo alla riproposizione testarda e ossessiva dell'assetto relazionale precedente.

    La reazione dell'educatore

    Le reazioni degli adulti a questo disagio e alla crisi della comunicazione con i preadolescenti possono venire descritte e raccolte entro questo ventaglio di atteggiamenti quotidianamente osservabili con molta facilità. Li richiamo brevemente:
    - l'adulto rinunciatario. Una prima reazione è quella di rinuncia alla comunicazione educativa da parte dell'educatore; essa viene realizzata da quell'educatore che abdica alla funzione educativa e a qualsiasi tentativo atto ad instaurare una qualche relazione con il preadolescente. In questo caso assistiamo all'abbandono educativo del minore e al sottrarsi dell'adulto alla propria funzione di comunicante e attivatore di tutto il processo;
    - l'adulto complice. Un altro tipo di reazione è quella del cedimento alla seduzione di complicità: essa instaura una relazione che conduce alla scomparsa dell'adulto in quanto adulto, alla perdita della sua differenza, in nome di un rapporto in tutto «alla pari» che è piuttosto una paritarietà forzata, una negazione della realtà, mistificandola. In questo caso ci troviamo di fronte ad una forma di regressione da parte dell'adulto. Egli, nel tentativo di ricuperare una qualche comunicazione con il preadolescente, ritorna a farsi egli stesso preadolescente, senza più ricordare e proclamare, a se stesso e all'altro, che egli preadolescente non è più, che egli è depositario di un'esperienza accumulata che non può nascondere a nessuno, nemmeno a se stesso, e di cui invece deve poter far dono all'altro;
    - l'adulto ossessivo. Un terzo tipo di reazione invece, quella più comune, è l'atteggiamento ossessivo-nevrotico di riproposizione testarda di stili e modelli di relazione del passato infantile, e che al presente non possono che apparire al preadolescente anzitutto autoritari. Si tratta di un tentativo di riproporre tout court al preadolescente, che si divincola dai legami troppo stretti e soffocanti instaurati dall'adulto in autorità, un rapporto vero e proprio di dipendenza e di subordinazione, magari asetticamente camuffato e giustificato da esigenze di ruolo, di competenza professionale più che altro tecnica, quando non tecnocratica (il nuovo autoritarismo dei tecnici!);
    - l'adulto creativo. Ultimo tipo di reazione è quello di tipo creativo: è l'atteggiamento dell'animatore che cerca una relazione capace di «salvare la differenza» e riconoscerla come ricchezza e possibilità di incontro, proprio perché assunta non per ruolo o per attribuzione, bensì conquistata attraverso il riconoscimento del «valore della differenza personale» e del «valore della relazione nella differenza». Ma questa è la proposta che svilupperemo successivamente nel dossier.

    IL NODO: LA CRISI DELLA RELAZIONE COME CRISI DELLA «RELAZIONE ASIMMETRICA»

    È questo il momento di affrontare in termini espliciti il «nodo della crisi» di relazione con l'educatore in preadolescenza, per giungere ad una chiarificazione e identificare il cuore del problema.
    È infatti dal modo di impostarne la lettura e l'interpretazione che emergono le ipotesi di soluzione e le direttrici di scommessa per un rinnovamento dell'assetto comunicativo-relazione.
    Nell'osservare i tentativi di soluzione operati dal preadolescente per uscire dalla crisi della relazione in cui è immerso, registriamo due tipi di comportamenti dei preadolescenti:
    - anzitutto osserviamo il prevalere di una tendenza: la ricerca e il coinvolgimento in relazioni di tipo paritario con i coetanei e l'accresciuta importanza attribuita alla relazione con i pari.
    La relazione alla pari con i coetanei assume una notevole valenza strutturante per il soggetto. C'è infatti chi parla di un cambio del modello di socializzazione: da quella verticale, segnata dalla induzione della dipendenza, a quella orizzontale, invece più paritaria;
    - allo stesso tempo osserviamo nei preadolescenti anche tentativi, spesso larvati, di modificare la relazione con l'educatore, al fine di instaurare anche con lui quella relazione di tipo paritario che è caratteristica di quella con i coetanei; e ciò più ancora quando l'adulto si pone come persona disponibile a riconoscere al preadolescente il diritto di pronunciarsi sul «come» e sullo stile di comunicare e a riconoscergli uno spazio di contrattazione.
    Questi tentativi di modificazione dell'assetto comunicativo da parte del preadolescente, in gran parte inconsapevoli e spesso anche inadeguati, suonano per tanti educatori come un campanello d'allarme: una minaccia a ciò che sembrerebbe costituire l'assetto educativo della comunicazione.

    Ricerca di relazione paritaria e valorizzazione della differenza

    Qual è allora il problema educativo sottostante che si pone all'educatore e che spesso mobilita ansie e difese in nome del ruolo e dei saperi intoccabili?
    Non si tratta di un problema solo immaginario; si tratta di un problema reale: cioè della possibilità o no dell'accadimento dell'evento della relazione educativa.
    Possiamo dire che proprio con la preadolescenza si pone, forse per la prima volta all'educatore, il problema serio della minaccia di destabilizzazione alla comunicazione educativa.
    Il problema reale per l'educatore, che non intende vanificare la propria funzione e svuotare di contenuto educativo la comunicazione, è quello della accettazione di una relazione paritaria con il preadolescente, senza tuttavia negare la asimmetria comunicativa, dunque senza vanificare o nascondere la differenza.
    La sfida che il preadolescente lancia è quella di inventare una comunicazione tra generazioni che, al livello della relazione, «salvi e valorizzi la differenza», senza tuttavia che essa si traduca in potere prevaricatore dell'uno (in genere dell'adulto, ma a volte accade anche il contrario) sull'altro.
    Questo tipo di comunicazione educativa può essere ricostruita solo attraverso un patteggiamento che non può essere dato per scontato e pacifico nella preadolescenza, perché «il gioco magico» del patto comunicativo fondato sulle identificazioni infantili ora comincia a non funzionare più.

    TENTATIVI INADEGUATI DI SOLUZIONE DA PARTE DELL'ADULTO

    Mentre rimandiamo ad un capitolo successivo una proposta per reinventare un modello comunicativo-relazionale adeguato, cioè capace di tener conto delle nuove esigenze, riprendo qui l'analisi di alcuni tentativi di soluzione inadeguata da parte dell'adulto educatore.

    Incapacità di ripensare la differenza: la relazione educativa come relazione simmetrica

    Un primo modo di tentare di modificare l'assetto comunicativo (sempre al fine di tener conto della ricerca di «relazione alla pari» da parte del preadolescente) è quello dell'educatore che interpreta la relazione paritaria come relazione «simmetrica», per dirla con il modello della prammatica.
    Nella relazione simmetrica tra adulto e preadolescente si sviluppa una interazione di tipo speculare, nel senso che ciascuno ripropone all'altro, rispecchiandolo, il suo stesso modo di porsi e perciò di definirsi in relazione; è come una relazione di assoluta uguaglianza e identità speculare, spinta all'infinito. Tra i due viene a crearsi un gioco perverso di concorrenza e di opposizione che esaspera la differenza generazionale e culturale tra preadolescente e adulto e che sembra esigere l'eliminazione di uno dei due concorrenti, o produrre un contesto comunicativo, intollerabile per entrambi, di «conflittualità permanente». È un modo di pensare a gestire la differenza entro una cultura della concorrenza, perciò dell'aggressione e del dominio, in cui un conflitto tra identità non è pensabile se non come negazione dell'alterità ed assimilazione dell'una all'altra.
    In genere, entro questo tentativo inadeguato di soluzione della crisi, alla fine l'adulto appare come il vincente e il preadolescente si adegua, rinuncia alla propria differenza, magari rimuginando dentro di sé il desiderio di proclamare a tutti che, «tanto gli adulti pretendono sempre di aver ragione!». Una relazione simmetrica con l'adulto il preadolescente non la può infatti reggere a lungo, se non viene presto sostituita da un altro tipo di relazione. In questo caso il vero perdente sul terreno educativo rimane anzitutto l'adulto. Infatti le sue possibilità di comunicazione si riducono e vengono pregiudicate. A questo punto la comunicazione non può più dirsi educativa, dal momento che le differenze non sono messe a frutto come ricchezza, ma appaiono per di più ostacoli ad un vero e proprio incontro vitale.

    Incapacità dell'adulto di ripensare la differenza: la relazione complementare unidirezionale

    Il rifiuto da parte dell'adulto di instaurare una relazione paritaria per salvare la differenza si può tradurre anche nella riproposizione di una relazione asimmetrica nella forma della relazione complementare rigida, perciò unidirezionale, per continuare a ricorrere al modello della prammatica.
    Si tratta di un tipo di relazione sempre e solo sbilanciata dalla parte dell'adulto, perché ne sancisce la sua predominanza di ruolo. Essa ripropone e prolunga la dipendenza del preadolescente, dal momento che l'adulto monopolizza per sé la posizione «one up» (superiore e primaria) nella relazione, e di conseguenza richiede al preadolescente la continuazione nella posizione di «one down» (inferiore e secondaria) nella relazione. In essa l'educatore rimane sempre il «conduttore» del gioco interattivo, che però non si rivela gioco creativo per entrambi, ma situazione necessitante e obbligante per il preadolescente, e ripetitività ossessiva per l'adulto.
    Ci sembra che, proprio nei confronti dei preadolescenti, gli adulti educatori tendano oggi a far prevalere questi due modelli relazionali. Essi appaiono proprio inadeguati ed insufficienti perché assunti rigidamente, privati di flessibilità e di circolarità.

    LA COMUNICAZIONE EDUCATORE-PREADOLESCENTE COME COMUNICAZIONE CULTURALE

    Se il problema della comunicazione tra preadolescente ed educatore si focalizza anzitutto sul livello relazionale, sul «come ci si pone nei confronti l'un l'altro», esso può anche essere affrontato al livello dei «contenuti», del «che cosa» della comunicazione.
    Anche a questo livello il problema è serio, perché riguarda la comunicazione dei e sui valori della cultura adulta, la memoria storica e la sua trasmissione, e anche il modo di trasmetterli. E qui veniamo nuovamente ad incrociare il tema del «come», toccato precedentemente nel livello relazionale.

    Crisi di autorevolezza e di legittimazione

    Partendo da una analisi della realtà attuale dobbiamo anzitutto registrare un ulteriore dato: la perdita di autorevolezza degli adulti dinanzi alle nuove generazioni; l'offuscamento, quando non lo svuotamento, di ciò che essi hanno la pretesa di offrire come valore, senso condiviso, «ragione vitale» su cui fondare il futuro delle nuove generazioni. Per quanto riguarda il preadolescente, occorre sottolineare anzitutto che la diminuzione del prestigio dell'adulto è connessa alla caduta quasi fisiologica del potere identificatorio e strutturante delle figure in autorità, quelle genitoriali prima e quelle sostitutive poi.
    Gli educatori dei preadolescenti appaiono oggi scarsamente abilitati a comprendere e rappresentarsi le esigenze autentiche che caratterizzano il cambio preadolescenziale. La scarsa capacità dell'adulto di saper interpretare il nuovo, che si assomma al concomitante fascino delle proposte della cultura del mercato, dei media e del consumo adolescenziale, corrode poco a poco quell'autorevolezza che faceva da alone alle figure importanti.
    E, più ancora, l'autorevolezza delle cose che l'adulto intende proporre oggi con i preadolescenti deve essere nuovamente da lui conquistata. Non la possiede più per prestigio o per sola investitura istituzionale; nemmeno dinanzi ai preadolescenti.
    Con l'eclissi delle «figure importanti», cioè autorevoli, nei preadolescenti viene inoltre a scomporsi e dissolversi anche quel «mondo simbolico» di riferimenti vitali, soggettivamente e oggettivamente anche normativi, che li accompagnava e circondava, quasi come effetto alone: il mondo di valori proclamati, e magari dimessamente e contraddittoriamente vissuti nelle relazioni quotidiane tra generazioni. A ciò si aggiunge anche nel preadolescente l'insofferenza per l'eteronomia e quel fisiologico fascino della trasgressione delle norme un tempo pacificamente accettate.
    Più in profondità, la crisi è dovuta al fatto che quelle cose che l'adulto continua a proclamare, le norme che richiama, i valori che nomina o quelli che di fatto vive, la storia che racconta e la memoria culturale che offre: in sintesi, quel «mondo» all'interno del quale egli intende ospitare il preadolescente, non possiede più, dinanzi agli occhi del preadolescente, quella forza di attrazione e di convinzione, quel fascino tale da apparire «un mondo di cose importanti e significative» per l'esperienza di vita che è chiamato ad inventare in prima persona. E tutto ciò produce nel preadolescente una grande insicurezza, un vuoto che deve essere con urgenza, almeno provvisoriamente, colmato.
    Altrimenti l'anomia sopraggiunge e lascia campo libero alla minaccia disorganizzatrice delle pulsioni e del desiderio, alimentando l'angoscia. Perciò alla disaffezione verso i valori e le regole poste dagli adulti, si accompagna contemporaneamente nei preadolescenti l'esigenza di sperimentare nuove valorizzazioni, di ridefinire nuove regole, di delimitare nuovi confini, di ricercare affannosamente nuovi modelli da sostituire a quelli screditati.

    Atteggiamenti dell'educatore

    L'educatore da parte sua può vivere questa crisi di autorevolezza come sentimento dell'abbandono e della perdita, difficile da elaborare senza che sia accompagnato da un senso di fallimento e di inutilità. Oppure può vivere tutto ciò come il tracollo della propria immagine autorevole, un ulteriore attacco ai suoi sogni sopiti di onnipotenza infantile; il tramonto di sé in quanto modello affascinante e, dunque, il disincanto dello smascheramento.
    O ancora, la crisi può venire interpretata come atto ragionevole di messa in discussione e di rifiuto del ruolo e della funzione dell'educatore da parte del preadolescente, quando non anche come rifiuto della sua persona.
    Il tentativo di superamento da parte dell'educatore della crisi si esprime anche qui attraverso modalità di atteggiamento alquanto diverse:
    - la difesa a oltranza del proprio ruolo e della propria funzione sociale di ripropositore di contenuti, valori e norme, antiche quanto si vuole, ma intoccabili e assolute. Egli in tal modo crede di poter ricuperare il peso delle cose che dice attraverso il ruolo: «in nome dell'istituzione» e della posizione che in essa occupa;
    - un altro atteggiamento è quello di proporre se stesso in quanto fonte e ragione delle norme, dei contenuti, dei valori culturali. Qui l'adulto pone «al centro» se stesso e la propria esperienza. Egli è consapevole di essere capace di comunicare nella misura in cui convince facendo sperimentare i valori e i contenuti che intende comunicare. Ma il limite non elaborato che attraversa ogni sua offerta lo espone immancabilmente al fallimento e alla delusione agli occhi del preadolescente;
    - un altro modo ancora di reagire, da parte dell'educatore, consiste in un'autolimitazione del proprio potere assoluto, senza tuttavia ad esso rinunciare. La soluzione è quella di circoscriverlo, attraverso l'alone autorevole della scienza come sapere intoccabile, all'interno della cosiddetta «competenza professionale» intesa in senso riduttivo;
    - molti educatori vivono la crisi invece come richiesta di rinuncia (un farsi da parte che è interpretato come un dover scomparire) a qualsiasi funzione propositiva di critica, di confronto su contenuti, valori, norme, e abbandonano il preadolescente a se stesso di fronte all'inarrestabile marea di messaggi e di proposte della cultura del consumo e dell'effimero, consegnandolo in tal modo a «padri e maestri» ben più scaltri;
    - come ultima risposta da parte dell'adulto vi è la ricerca di nuova legittimazione e di autorevolezza dal basso, attraverso un processo di contrattazione su posizione di reciprocità, sapendo conservare la differenza del potenziale culturale tra adulto e preadolescente e sapendola fecondare nell'incontro.

    LA CRISI DELLA COMUNICAZIONE CULTURALE

    La crisi della trasmissione culturale dal mondo degli educatori verso il mondo dei preadolescenti oggi non è però solo un problema di comunicazione difficile e disturbata, o di perdita di autorevolezza dell'adulto. È crisi invece sia dei meccanismi di trasmissione che, più ancora, crisi di cultura degli adulti.
    La caduta dei pensieri forti e delle grandi narrazioni, la frammentazione e il pluralismo culturale, la espansione del privato e il predominio della pseudocultura del consumo, i processi di soggettivizzazione, il relativismo o il politeismo valoriale, sono tutti elementi che hanno segnato profondamente la trasmissione culturale tra generazioni nell'oggi.
    Ciò che si intende sottolineare è il denominatore comune di una crisi globale di comunicazione culturale, che il disagio dei preadolescenti palesa in maniera molto lampante nei suoi effetti e nelle sue conseguenze.
    La sfida da cogliere la riassumo in alcuni fenomeni di disturbo nella comunicazione culturale, che sembrano compromettere tutto il processo, e vanno superati. Richiamo anzitutto l'esistenza di una «comunicazione riduttiva» e impoverita, de-vitalizzata, dal momento che sembra «mettere la vita tra parentesi».
    Una comunicazione culturale tutta e solo preoccupata di far passare dei contenuti puramente informativi, come delle cose da sapere e da ricordare, da insegnare e da apprendere. Si tratta di una comunicazione culturale che diviene prevalentemente istruzione, addestramento, che è giocata tutta intenzionalmente sui contenuti cognitivi linguisticamente elaborati, che non si interessa del dover offrire «senso, gusto e ragioni per vivere e per sperare» nonostante tutto. È per questo che essa sottovaluta e si disinteressa del livello relazionale della comunicazione.
    Un altro fenomeno è quello di una «comunicazione muta», racchiusa magari nel gesto ma privata della parola che la fa uscire dall'ambiguità. In questo caso essa è invece giocata prevalentemente sulla relazione, e non sembra invece interessata ad elaborare linguisticamente in «contenuto» il vissuto relazionale. Perciò essa non sfocia in una vera e propria elaborazione culturale dei messaggi, dei significati, dei valori di fatto giocati e messi in circuito nel livello relazionale della comunicazione.
    Si tratta di un tipo di comunicazione che ha perso il rapporto con il linguaggio e perciò con la coscienza; una comunicazione che ha «smarrito le parole» e non riesce più a trovarle: le parole degli adulti, ma anche quelle dei ragazzi e delle ragazze preadolescenti.
    Infine esiste una «comunicazione incongruente», distorta, dissociata, come quando si osserva la realtà con la lente sbagliata. Si tratta di un tipo di comunicazione che alla fin fine risulta, per la sua frattura interna, vanificata di contenuto e priva di messaggio. Essa si verifica quando i valori, le ragioni vitali che si pronunciano al livello della elaborazione linguistica discorsiva, vengono il più delle volte negati e smentiti nella esperienza di incontro e di relazione di fatto instaurata con i preadolescenti; in tal modo i soggetti destinatari dell'esperienza valoriale vengono immessi in una situazione ambigua e conflittuale di vera e propria incongruenza: l'educatore «non fa sperimentare in piccolo», ma nel concreto della relazione, quello che proclama e professa a parole e con tanta solennità «in grande». E siccome ciò che si trasmette a livello vitale, cioè quello che viene acquisito come «ragione vitale», come filtro significativo di valori da inserire nelle strutture dell'io, passa nella comunicazione culturale anzitutto e prevalentemente a livello della relazione, ed a condizione che il livello del contenuto linguistico non risulti in netta contraddizione con quanto fornito al livello della relazione, allora, il più delle volte, tra educatori adulti e preadolescenti non avviene alcuna comunicazione vitale significativa. In tal caso il divario tra contenuti proclamati e contenuti gestiti a livello di esperienza rende quasi nullo il messaggio. Cosicché tanti motivi di disagio, di insicurezza, di abbandono affettivo, di deriva valoriale, vanno oggi ritrovati anche a questo livello.
    Su questo fronte oggi il preadolescente ha bisogno di incontrare gli adulti in una comunicazione che sia appunto «vitale», tutta collocata sul piano della realtà e della concretezza sperimentata.


    T e r z a
    p a g i n A


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