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    Educazione alla legalità in vita quotidiana



    Mario Delpiano

    (NPG 1993-01-83)


    La riflessione che segue vuole rispondere a questo interrogativo: quali spazi e risorse in concreto per educare il giovane alla libertà in situazione, cioè facendo i conti con tutte le determinazioni storiche ed istituzionali contingenti e con le esigenze di libertà degli altri? Cosa implica in concreto educare a cogliere il valore positivo, la funzione e le esigenze delle norme che regolano i rapporti sociali? Come e con quali risorse garantire l'amore interpersonale che si esprime nel rispetto delle norme e che tuttavia le trascende, quale qualità profonda dei rapporti che vengono intessuti e si consolidano nel gruppo, nella scuola, nella vita di tutti i giorni?

    IL TESSUTO DEI RAPPORTI CHE FA LA VITA QUOTIDIANA

    L'educazione alla responsabilità personale come responsabilità sociale, cioè il tener conto nelle proprie azioni quotidiane delle esigenze di vita, dunque dei bisogni e dei diritti degli altri, siano essi persone singole o realtà collettive, non si svolge in astratto, in isole felici lontane dalla complessità; né essa è frutto solo di insegnamenti specifici come l'ormai sconosciuta educazione civica.
    Al contrario, il cambio degli atteggiamenti viene perseguito, sperimentato e verificato negli spazi concreti di vita quotidiana dei giovani.
    Ne abbiamo qui immaginati tre: il gruppo, i rapporti di vita quotidiana, cioè quelle piccole «cose sociali» che fanno concretamente l'esperienza istituzionale dei giovani, ed infine, ma in un contributo a parte, la scuola.
    In riferimento a questi ambiti l'itinerario sopra ricordato si concretizza e si verifica.

    Nella riformulazione degli obiettivi educativi: ripensare l'identità

    Un primo suggerimento riguarda l'importanza di ripensare gli obiettivi stessi della prassi educativa. È in essi che va esplicitata e tematizzata la responsabilità sociale in quanto responsabilità verso l'altro e verso l'altro meno garantito nell'accesso ai beni e alle risorse di vita.
    E così da ripensare l'educazione alla libertà, riscattata da connotazioni individualistiche e narcisistiche, ed invece affermata come «ristabilimento dei confini» in quanto condizioni positive che promuovono la libertà dell'altro, cioè il riconoscimento dei suoi bisogni e dei percorsi di elaborazione.
    Queste considerazioni richiamano l'esigenza di ripensare in profondità quel modello dominante di identità personale entro cui solitamente esprimiamo l'obiettivo globale dell'educazione delle persone coinvolte nell'avventura educativa: una identità da perseguire che si riveli capace di rimettere in discussione il concetto di «autonomia» e di articolare al suo interno invece la categoria della «interdipendenza».
    Un modello di identità che sappia coniugare positivamente l'esperienza intersoggettiva del «legame» (da cui «legge») con gli altri e l'altro in genere, in quanto principio di una identità solidale, e dunque non come vincolo e condizionamento, bensì come possibilità e condizione vitale.
    L'«io» dunque che l'educazione viene a costruire è profondamente intessuto con un «noi» allargato e articolato responsabilmente con dei «tu»: l'altro e gli altri.
    In tale direzione immaginiamo obiettivi specifici di identità in termini di atteggiamento (e dunque anche moda- lità di stabilire la relazione dell'educatore con i giovani) che coniughino l'identità come «un sentirsi un tutto e parte di un tutto al contempo».
    In un tempo poi in cui il narcisismo diventa una qualità diffusa della cultura e una connotazione dell'identità debole dei giovani, appare urgente ed opportuno in educazione controbilanciare l'evoluzione dell'identità con interventi che mirino ad un forte ricupero della «solidarietà»: un «io» che emerge e si differenzia proprio da un «noi»; e un «noi dilatato a livello planetario» che si apre e si connette all'alterità proprio nel momento in cui si riconquista come unità plurale.
    E questo ci pare vada massimamente assicurato in adolescenza, in un momento evolutivo in cui riemerge prepotente il narcisismo, ma anche la sua vulnerabilità e il suo definitivo tramonto.

    IL GRUPPO PER INTERIORIZZARE IL NOI E L'ALTRO

    La crisi del rapporto con gli adulti, la distanza dei giovani dalle istituzioni, la scarsità dei processi di identificazione sociale insieme allo scomporsi dei mondi vitali, ci portano anche a registrare una incompleta, quando non inattuata, interiorizzazione da parte degli adolescenti dell'altro da sé (gli altri, il gruppo, la comunità).
    La stessa interiorizzazione del noi familiare, quando ciò avviene e risulta ancora possibile, è sempre meno interiorizzazione del mondo sociale in micro; lo è spesso solo di alcuni frammenti.
    Da qui una ragione in più per lavorare attorno al fare gruppo e all'esperienza di vita in gruppo, come uno dei luoghi privilegiati per riappropriarsi in piccolo della ricchezza e della problematicità della vita sociale.
    Il gruppo diventa quel «noi» che si può costruire insieme e proprio per questo può essere più facilmente interiorizzato in quanto «mondo sociale», contesto della propria identità.
    Mentre l'istituzione sta di fronte al giovane come qualcosa che appare «già fatto e stabilizzato», con le proprie funzioni, esigenze e norme, anche con le sicurezze che promette, il gruppo che diventa mondo vitale appare come qualcosa di più vicino, dentro cui il giovane può collocarsi e venire riconosciuto. Il gruppo appare come una realtà mobile, quasi lo stato nascente dell'istituzione.
    In esso il giovane può davvero fare esperienza del processo entro cui si consolida qualsiasi realtà istituzionale, il divenire della struttura stessa, il formalizzarsi dei rapporti e, quel che interessa in particolare al momento, il divenire delle norme, le quali, bene o male, consapevoli o no, volenti o nolenti, vengono progressivamente elaborate, perché esigite, in qualsiasi esperienza sociale.

    Nel gruppo: l'esperienza delle norme allo stato nascente

    Nell'esperienza privilegiata del gruppo i giovani possono più facilmente scoprire l'esigenza della «legge del gruppo»; se ne sperimenta la necessità, a volte anche l'urgenza della sua formalizzazione, funzione, senso; si viene coinvolti nella sua elaborazione, nella contrattazione, nella verifica e nel processo dinamico di conformizzazione, persuasione e sanzionamento delle trasgressioni.
    Ogni gruppo ha un proprio sistema di regole, lo elabora al suo interno come strumento che può garantire l'esistenza di percorsi privilegiati di relazioni con gli altri membri e con l'esterno; come una risorsa, che individua e delinea i modelli più facili e più condivisi di elaborazione collettiva dei bisogni dei singoli e realizzazione delle finalità.

    Dalle norme non dette a quelle contrattate

    La «legge di gruppo» il giovane può sperimentarla come qualcosa che esiste prima in forma implicita, non detta, magari come incrocio non concordato di aspettativi diversificate di ruolo, oppure come norma tacitamente simbolizzata da qualche figura leader, più facilmente dall'animatore stesso considerato spesso inconsapevolmente il legislatore assoluto.
    Ma l'esperienza della legge di gruppo come «regole del gioco comune» che in esso si attiva non può rimanere sempre nell'implicito e nel non-detto: in tale situazione la legge verrebbe vissuta ancora nella dipendenza passiva e nella prospettiva del totale conformismo per nulla liberanti.
    Dall'implicito ogni buon gruppo che cresce verso l'autogestione democratica può passare alla fase della esplicitazione delle norme; essa comprende la loro definizione, chiarificazione, contrattazione e messa in discussione; alla fine la loro promulgazione ufficiale quale codice normativo del gruppo. L'esperienza scautistica della legge ne è una grande ed esemplare metafora pedagogica.
    In tal senso il gruppo, sia esso la classe scolastica o quella di catechismo, la compagnia del tempo libero e la squadra del cuore, il branco o il nucleo di una qualsiasi esperienza associativa, diviene il laboratorio privilegiato per il filtraggio, la definizione e la codificazione della legge del gruppo, ma anche della riorganizzazione del gruppo (dunque delle interazioni) intorno alla sua legge; tutto ciò a partire però da «qualcosa che sta oltre» le norme, che si pone come «un prima» e anteriormente ad esse; ma anche come il punto di tensionalità della vita cui l'esperienza di gruppo rimanda: questo qualcosa è la responsabilità (il valore assoluto) dei singoli verso il gruppo da un lato; dall'altro i valori (le qualità che devono caratterizzare la circolazione della vita al suo interno) attorno a cui il gruppo scrive la propria scommessa sulla vita.

    Norme, valori, responsabilità

    È davvero importante (e il gruppo educativo ci pare offra questa possibilità) che nell'educazione alla scoperta e accettazione di una legge i membri ritrovino e sperimentino la sorgente e il significato delle norme dentro il vissuto di valori (quelli che definiscono le qualità della vita per tutti, cioè il bene comune). I valori, progressivamente anche nominati e consapevolmente rielaborati, rappresentano la grande meta verso cui, insieme, si sceglie e ci si orienta, e intorno ai quali si decide di misurare e regolare la vita in gruppo. È essenziale infatti che prima di giungere alle norme si riscoprano i valori e le ragioni vitali dello stare insieme.
    In tal senso si afferma e riscopre anzitutto esperienzialmente la «relatività» di ogni norma e regola sociale rispetto al sistema dei valori del gruppo da un lato e alla responsabilità soggettiva dall'altro.

    La trasgressione: una risorsa educativa?

    Accade spesso che la norma venga trasgredita. Il gruppo diviene un luogo quotidiano in cui si fa anche esperienza della difficoltà di accettare le norme, di regolarsi secondo esse, definite insieme ragionevoli e sperimentate come relative. La vita quotidiana è segnata dalla fragilità del soggetto che infrange la norma o dalla irresponsabilità che trasgredisce.
    Mentre nell'anonimo labirinto della società complessa la trasgressione delle regole sociali spesso non evidenzia le sue conseguenze né gli effetti sugli altri, data l'impossibilità di agire o la latitanza dei soggetti adibiti ai ruoli di controllo sociale, o data anche l'indifferenza delle persone che considerano spesso lo spazio sociale come terra di nessuno, il gruppo invece costituisce quel tessuto sociale e quella rete di presenze che reagisce ai comportamenti antisociali.
    In gruppo è visibilizzata, in forma anche personale, la efficacia distruttiva e la reazione sociale alla devianza rispetto alle norme. Il piccolo gruppo inoltre offre la possibilità di rassicurare il soggetto e il gruppo che la trasgressione non provoca immediatamente il «crollo del mondo» e che è possibile e si è sostenuti nel porre dei rimedi agli effetti della trasgressione.
    Trasgressione, sanzione e ristabilimento dell'armonia sociale in gruppo risultano più praticabili, sopportabili e anche ragionevoli. Infatti nel gruppo il li vello di identificazione è più elevato, e la negazione e la trasgressione di una norma può venire interpretata anzitutto come segnale ed espressione della fragilità e non compiuta maturità di tutto il gruppo, e non solo problema dei singoli: in questo senso la trasgressione è anzitutto un fenomeno del gruppo, più che del singolo, e rispetto ad essa il gruppo chiama in causa la responsabilità di tutti, più che scaricare il problema sull'irresponsabilità di qualcuno soltanto. La trasgressione delle norme diventa così un fatto sociale da gestire con l'apporto e la responsabilizzazione di tutti i membri; e ciò scatena solidarietà.
    Inoltre la devianza rispetto alle regole comuni viene sperimentata in piccolo nelle sue conseguenze immediate: su di sé e sugli altri, per il disagio e il negativo che si ripercuote immediatamente in gruppo.
    Nel piccolo gruppo il pur lieve danno provocato da una qualsiasi trasgressione si raffigura immediatamente nel «volto» di qualcuno e di tutti: di coloro che vengono conculcati nei loro diritti, di chi ne soffre lo svantaggio, di chi ne paga le conseguenze.
    Il volto, come espressione del faccia a faccia dei rapporti nel gruppo primario, rivela immediatamente i segni della trasgressione e dell'offesa, ed implora il ristabilimento della giustizia e la situazione di armonia con la legge che difende i valori.
    Non solo, ma all'interno del gruppo i giochi di identificazione e di reciprocità facilitano in ciascun membro la percezione che la trasgressione delle regole è una esperienza di autolesione e di aggressione a se stessi in quanto parte di un tutto.

    L'esperienza del gioco e delle «regole morbide»

    Una delle attività privilegiate dal gruppo primario, soprattutto quello di animazione, è il gioco: i momenti liberi o strutturati di vita di tipo ludico.
    Anche in un gruppo di adolescenti o di giovani, come a volte anche nel gruppo di adulti (non solo perciò tra fanciulli e ragazzi), si gioca. Il gioco nel gruppo diviene un momento privilegiato per l'educazione alla scoperta, al confronto, alla relatività e alla creatività rispetto alle norme; e ciò in particolare per quanto riguarda quelle «regole flessibili e leggere» come sono quelle del gioco.
    Il gioco è spesso lo spazio dove si offre con più evidenza la possibilità di vivere creativamente le regole del gioco, le norme che regolano i rapporti tra i membri concentrati attorno ad una particolare attività.
    Nel gioco si possono scoprire e ritagliare gli spazi vuoti che nell'attività ordinaria non appaiono, entro i quali ci si gioca in libertà e creatività.
    Nel gioco le stesse regole diventano più flessibili, fino al punto da poter anche essere modificate, messe in discussione e ricontrattate. Nel gruppo in genere, e nelle attività di gioco in particolare, è maggiormente visibile e percepibile quell'aggiustamento continuo delle regole che nella vita istituzionale appare inesistente e impossibile, ed invece è anche lì presente ma in forma larvata e più lenta.

    Gruppo e responsabilità

    Il gruppo inoltre appare anche luogo privilegiato per avviare il processo di responsabilizzazione del giovane verso se stesso, gli altri, la comunità.
    L'esperienza di dover rendere una risposta convincente del proprio agire e delle proprie scelte dinanzi ad altri conosciuti e ben identificati, dinanzi al gruppo stesso, in relazione a norme e valori progressivamente condivisi e nominati, è una condizione preziosa per l'educazione alla legalità.
    Nel gruppo infatti la responsabilità non assume la figura di un generico «dover rispondere a chissà chi», o un troppo comodo saper rispondere solo a se stessi, pronti a facili autogiustificazioni e all'autossoluzione.
    Nel gruppo anche la responsabilità trova e incontra l'altro, i volti in carne ed ossa di altri vicini: si è misurati da un piccolo mondo sociale che rende visibile il mondo sociale in grande, quello universale.

    LE «COSE SOCIALI» DELLA VITA QUOTIDIANA

    Ma l'educazione alla responsabilità verso l'altro e gli altri, che si esprime nel rispetto delle regole del vivere comune, pur trovando nei mondi vitali (soprattutto in quelli dove il tema delle norme non rimane eternamente implicito o eterodefinito in maniera autoritaria) il laboratorio quotidiano di sperimentazione e di induzione, contempla anche una valenza «macro», perciò istituzionale, che non è assolutamente di secondaria importanza.
    E questo se non si vuole ridurre il tema delle norme e del corretto rapporto con esse all'esperienza del clan e di una solidarietà ristretta, chiusa e a corto respiro: ad una esperienza, direbbe l'animazione, di «sistema chiuso», magari anche di clan mafioso.
    La responsabilità sociale deve riuscire a tematizzarsi anche come responsabilità verso l'altro generalizzato, ed acquistare quella dimensione di universalità e di mondialità (responsabilità planetaria per un uomo planetario) in grado di essere trasferita verso qualsiasi realtà sociale ed istituzionale, verso qualsiasi altro, compreso l'altro sconosciuto o che tale è destinato a rimanere, perché irraggiungibile e lontano, ma verso il quale le conseguenze delle azioni irresponsabili e trasgressive si traducono immediatamente in privazione e riduzione delle sue possibilità di vita.
    Il bene comune allora, da questione e finalità valoriale di gruppo o di solidarietà ristretta, diviene «bene di tutti» al di là di ogni frontiera.
    Basta pensare alle conseguenze imprevedibili e mortifere di un qualsiasi comportamento sconsiderato quale l'eccesso di velocità nella guida, il buttare un mozzicone acceso mentre si costeggia una pineta, l'uso incosciente di sostanze non biodegradabili e inquinanti, il mancato acquisto del biglietto dell'autobus (divenuto oggi comportamento collettivo generalizzato tra le giovani generazioni ...) per accorgersi come il tessuto della vita sociale del giovane nel quotidiano è intrecciato e costituito da una serie infinita di comportamenti, spesso abitudinari e poco riflessi, chiamati a misurarsi e regolarsi su norme sociali che intendono garantire la realizzazione del bene comune, cioè del bene di tutti a partire da coloro che sono i meno garantiti e i meno fortunati.
    Tutto questo tessuto di legalità e di responsabilità in vita quotidiana può, anzi deve essere ricuperato dal punto di vista educativo, come una dilatazione della coscienza, una crescita in responsabilità di ciascun giovane in quanto cittadino e abitante nel pianeta terra.
    Tutta questa «esperienza delle piccole cose sociali» può essere allora tematizzata, recuperata alla consapevolezza e alla razionalità sociale, riscattata dal mero abitudinario, ad essere ricompresa come il coniugarsi quotidiano dell'impegno verso il bene comune.
    Oltre a ciò, tutta una serie di esperienze educative privilegiate, ordinarie e straordinarie, pongono il giovane nella condizione di fare esperienza e toccar con mano le conseguenze della irresponsabilità e illegalità sociale e del conseguente degrado del tessuto umano. Penso alle iniziative di risanamento dell'ambiente naturale e del territorio urbano (certe campagne di pulizia e riordino di certi angoli abbandonati della città), al servizio di volontariato sul territorio verso le situazioni più socialmente degradate, alle esperienze di volontariato internazionale verso i popoli del sud del mondo, vittime di un sistema di legalità-illegalità che garantisce solo i supergarantiti... Sono esperienze che sollecitano un recupero della responsabilità personale e collettiva verso gli altri, i meno garantiti, e verso un futuro dell'umanità assai diverso dal presente.

    LEGALITÀ TRA GRUPPO E ISTITUZIONE

    Questa dimensione «in grande» della responsabilità sociale verso l'ordinamento planetario, che sola garantisce i diritti di tutti e per questo dilata la coscienza dei doveri verso tutti, trova poi una occasione privilegiata di esperienza e di elaborazione nella vita istituzionale in cui ogni giovane è immerso.
    La stessa esperienza di gruppo è sempre collocata, per la maggior parte, là dove non è soltanto di tipo informale, dentro una esperienza istituzionale, anch'essa regolata e favorita da una normativa più o meno esplicita e ricontrattabile.
    Anche il gruppo ecclesiale è gruppo appartenente ad una istituzione: l'oratorio, il centro giovanile, l'associazione o la parrocchia stessa, istituzioni tutte che richiedono un supplemento di partecipazione, di disponibilità e di responsabilità verso gli altri e l'istituzione stessa, cui ogni giovane non può sottrarsi. Sono occasioni preziose offerte all'educatore per favorire nel giovane la presa di coscienza dell'appartenenza istituzionale, della pur importante e necessaria, anche se tutt'oggi parziale e selettiva, identificazione che comporta.
    Esse inducono la scoperta della funzione positiva e strutturante che la stessa istituzione svolge verso la persona, i gruppi sociali e la collettività, in termini di valori vitali da difendere, ruoli nuovi da ricoprire, responsabilità e competenze ulteriori da richiedere, partecipazione da favorire e ulteriore potere di influenza che distribuisce.
    Sul versante opposto, l'esperienza di appartenenza istituzionale favorisce e richiede al giovane la tematizzazione e la rielaborazione dei valori di fondo soggiacenti, insieme alla consapevolezza delle norme necessarie a regolare i rapporti tra le persone all'interno dell'istituzione stessa, la distribuzione dei compiti, la diffusione e il controllo della gestione del potere.
    Proprio per questo l'esperienza che ogni giovane fa, in gruppo o meno, di appartenenza istituzionale può essere recuperata come occasione di tematizzazione del problema della responsabilità verso essa, che si esprime anche attra verso la scoperta e funzione delle «regole del gioco e dei rapporti» in qualsiasi ambito della vita sociale istituzionale.
    La normativa istituzionale, lungi dal venire imposta e accollata agli individui, può essere vissuta come una possibilità di chiarificare, razionalizzare e ottimizzare i rapporti tra le persone e le funzioni sociali. Per questo può divenire essa stessa oggetto di discussione e confronto, di ricontrattazione e ridefinizione, con quel gioco continuo di ermeneutica culturale della istituzione e della sua normativa che alla fine risulta un prezioso contributo in termini di esperienza per la maturazione di una identità, quella del giovane, anche nella sua componente di appartenenza alle istituzioni.
    Solo il porsi dell'istituzione in modo rigido e assoluto, senza la disponibilità al suo interno a ricercare spazi di contrattazione e di rivisitazione, diviene ostacolo ad una matura esperienza di appartenenza e di identificazione in grado di rendere accettabili e riconoscibili anche le norme, strumento imprescindibile per la difesa dei valori e della vita al suo interno.


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