R. Tonelli - L. A. Gallo - M. Pollo
(NPG 1992-03-37)
Non abbiamo nessuna intenzione di dare, in conclusione, una definizione di narrazione a regola d'arte. Non lo possiamo fare per timore di racchiudere in un gioco di formule quel vissuto che lega persona a persona nello scambio di ragioni per vivere e per sperare.
Facciamo un'operazione più coerente con lo stile della narrazione: suggeriamo, tra il descrittivo e l'evocativo, qualche punto di riferimento, una specie di "decalogo" della nuova narrazione.
1. Una persona, un gruppo di credenti, una comunità si è trovata immersa in una storia che ha dato vita e speranza. Sente il bisogno e la gioia di continuare a raccontare questa storia di vita.
Racconta "storie vissute": l'avventura di salvezza narrata nella Bibbia, la storia di Gesù, la storia della Chiesa, la storia di chi narra e di coloro a cui si narra, come unica grande storia di vita e di speranza. Non inventa favole ad esito felice. Ma mostra l'esito imprevedibilmente felice di queste storie della vita quotidiana, per la potenza misteriosa del Dio della vita.
2. La storia narrata è una esperienza di vita, capace di diventare esperienza di salvezza e messaggio di speranza. Chi narra queste storie rende trasparente il dono di salvezza contenuto nell'evento raccontato, attraverso la forza evocativa del racconto.
Tra gli eventi di salvezza e il racconto di questi eventi c'è quel rapporto sacramentale che caratterizza il dialogo d'amore tra Dio e l'uomo. Il racconto non salva né fa aumentare la fede. Solo l'evento salva. Il racconto lo rende un po' più trasparente, rivelando la sua capacità di provocazione e sostenendo la capacità di decisione.
Il narratore riconosce la grande responsabilità che gli è affidata. Egli può aumentare o deprimere la forza evocativa del racconto e, di conseguenza, la sua funzione salvifica.
3. Il narratore riconosce che i fatti narrati sono molto più grandi di quello che riesce a fare e a dire nella sua vita. In qualche modo, riconosce che essi non gli appartengono mai totalmente, anche se sono sempre un frammento importante della sua esistenza quotidiana.
Racconta perciò di cose più impegnative e più grandi di quelle che riesce a realizzare, con il coraggio e la forza che proviene dalla certezza di sentirsi all'interno di una lunga catena di narratori che riporta al grande narratore che è Gesù e a coloro che hanno riempito la storia della novità sperimentata in lui.
4. Narriamo quello che abbiamo sperimentato, perché altri possano fare la stessa esperienza gioiosa. La vita che diventa nuova e vince sulla morte: questa è la grande esperienza che la narrazione vuole suscitare.
Non raccontiamo storie orientate a dare nuove informazioni e neppure raccontiamo per suscitare interesse e meraviglia. Raccontiamo per generare alla vita. Raccontiamo per costruire vita dove c'è morte, per dare senso alla vita nonostante la morte, per sollecitare ciascuno a dare la propria vita perché tutti ne abbiano in abbondanza.
5. Impegnata per la vita, la narrazione è costituita di fatti e parole: fatti interpretati dalle parole e parole che spingono verso i fatti. Il narratore dà vita nel presente, ricordando la vittoria della vita sulla morte, attraverso le parole che sono memoria dei grandi eventi di salvezza che Dio ha disseminato nel passato; e anticipando, con gesti concreti nel piccolo e nel quotidiano, la speranza che viene dal futuro.
6. La narrazione è il dono della comunità ecclesiale a tutti gli uomini che amano la vita e ne cercano consistenza e senso. Per questo nasce dalla comunità ecclesiale ma si apre verso la storia, le attese e i progetti degli uomini tutti. Nell'unica storia raccontata si intrecciano così tre differenti storie: i grandi eventi di salvezza che la comunità ecclesiale continua a proclamare per la vita e la speranza del mondo; l'esperienza trepida e fiduciosa di chi racconta; le attese, le speranze, le gioie e i dolori di coloro a cui si rivolge il racconto, che la comunità ecclesiale sente così intensamente come proprie da trasformarle in parole per dire la sua fede.
Narrando questa storia, la comunità ecclesiale cresce come comunità per il Regno di Dio.
7. Attraverso la narrazione il credente e la comunità ecclesiale esercita il suo fondamentale compito di "educare". Ha un progetto da comunicare. Lo propone con forza perché ne riconosce la capacità liberante. Lo indica in tutta la sua organicità e sistematicità, per riportare ogni persona in un orizzonte impegnativo, capace di valutare ed elaborare la propria soggettività. Propone contenuti e cerca relazioni positive.
Fa tutto questo però non in modo impositivo. Lo fa "raccontando storie": per scatenare la libertà e la responsabilità dell'interlocutore attraverso la scelta di modelli evocativi.
8. La narrazione provoca verso decisioni libere e responsabili non perché lo sviluppo del racconto è intercalato dall'invito a decidersi, ma perché è facile sperimentare quanto la storia narrata sia un pezzo della propria storia personale.
Essa sollecita chi narra e colui a cui si narra ad esprimersi in quello spazio di silenzio e di solitudine dove prendiamo, nella sofferenza e nella libertà, le decisioni più importanti dell'esistenza.
Per favorire decisioni liberi e responsabili, dal silenzio dell'interiorità, il racconto si sviluppa in uno stile fatto di sobrietà narrativa, di trasparenza, di capacità di autocoinvolgimento per la testimonianza del narratore, di spontanea e continua interpretazione del messaggio contenuto, di affidamento a quegli eventi grandi e misteriosi che sono la forza della narrazione.
9. L'attenzione all'educativo spinge chi vuole evangelizzare narrando a programmare con una esplicita e costante attenzione al livello di maturità, umana e cristiana, degli interlocutori.
Una buona narrazione diventa, nello stesso tempo, anche invito a maturare, perché vuole suscitare domande inedite e sostenere risposte coraggiose.
10. La narrazione non è l'unico modo di fare evangelizzazione. Il buon evangelizzatore sa trovare nel tesoro della sua esperienza e della sua passione "cose nuove e cose antiche".
La narrazione rappresenta però il clima ideale per restituire alla Parola la sua forza accogliente e provocante. Per questo è prima di tutto un modo globale di entrare in rapporto con gli altri per testimoniare, annunciare e celebrare il Signore della vita.