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    Ricerca di senso nel mondo contemporaneo



    Carlo Molari

    (NPG 1992-07-28)


    Il problema del senso della vita si presenta oggi in modo diverso che in altri tempi. La ragione di questo cambiamento è di natura culturale e storica.
    Noi facciamo esperienze che in altri secoli non erano consentite e abbiamo un orizzonte interpretativo inedito.
    I segni di questa diversità nell'affrontare il problema del senso della vita stanno nella moltiplicazione dei suicidi, nella diffusione della droga, nella sempre più profonda ed estesa passività vitale, nella denatalità e difficoltà di generare tipici della nostra generazione nel mondo occidentale. Le riflessioni che propongo hanno quindi coordinate storiche e geografiche precise: riguarda il mondo occidentale, oggi. La ragione di questa limitazione sta nel fatto che alcune cause di questi fenomeni sono tipici del nostro ambiente: in particolare mi riferisco alla quantità dei beni a disposizione e alla accelerazione storica.
    La proposta che faccio può essere così formulata:
    1. Non sempre gli eventi della creazione e della storia hanno un senso. Ci sono infatti alcune situazioni insensate ed assurde. Una certa teologia della provvidenza interpretava lo sviluppo della creazione e della storia come se tutto dovesse avere sempre un senso perché corrispondente ad un superiore progetto divino. Richiamandosi ai misteriosi disegni di Dio, questa teologia suggeriva di vivere ogni situazione come espressione della volontà divina. Questo modo di interpretare la vita e di vivere la storia non sembra perfetto.
    2. Le ragioni delle situazioni insensate della creazione e della storia possono essere numerose. Ne indico due: la condizione transitoria delle creature e il peccato degli uomini.
    3. L'uomo d'altra parte non può fare a meno di vivere sensatamente, di avere sempre cioè una ragione per agire. Non potendo però sempre trovare un senso nelle cose che accadono, è necessario che egli impari a dare un senso alle situazioni che vive, per non cadere nell'assurdo. Le situazioni quindi insensate non possono essere vissute dall'uomo che alla condizione che egli riesca ad introdurre senso dove non esiste senso.
    Per chiarire le diverse parti di questo assunto, vorrei precisare perché esistono situazioni insensate, vorrei poi individuare alcune ragioni per cui oggi questa situazione è diventata esplosiva, e interrogarmi infine da dove venga il senso alla vita per vedere come sia possibile all'uomo introdurre senso nelle situazioni che ne fanno difetto.

    IL PROBLEMA TEOLOGICO: ESISTONO SITUAZIONI ASSURDE

    La domanda che l'uomo credente si pone ogni volta che sperimenta il nonsenso è: come sono possibili incongruenze ed assurdità se la creazione è opera di Dio e se la storia è condotta dalla sua azione?
    La teologia del passato non poteva rispondere a questa domanda se non ricorrendo da una parte a supposti progetti della misteriosa provvidenza divina e dall'altra al peccato originale. Essa, a causa dell'orizzonte culturale in cui si sviluppava, aveva una visione statica della realtà creata e storica. Il mondo era già tutto fatto e le sue incongruenze dovevano necessariamente essere attribuite al creatore o agli errori degli uomini Nella visione dinamica ed evolutiva del mondo tipica della cultura attuale, la teologia affronta e risolve in modo diverso il problema perché introduce un'altra componente: lo stato imperfetto della creazione, che è in processo verso un compimento a noi ignoto; essa può accogliere la perfezione, che nel progetto divino le compete, solo in modo parziale e progressivo. Sopravviene poi il peccato dell'uomo ad aggiungere insensatezza a molte situazioni della storia umana.

    Il senso come interrogativo relativo al fine

    Quando ci interroghiamo su. ragioni di un evento della creazione o della storia, che ci appare insensato, di fatto ci poniamo due domande iali sono le cause che hanno pro. .-ato questo fenomeno e quale finalità può avere?
    La risposta alla prima domanda viene dalla scienza che considera le cause efficienti.
    Per la seconda domanda (per quale finalità succedono alcuni eventi) la scienza per lungo tempo ha evitato appositamente il problema come insensato (e chi lo affrontava veniva considerato ideologo[1]), ma quando ha cominciato a prenderlo in esame si è trovata in gravi difficoltà per la complessità del problema ed è caduta in quello che alcuni considerano la tentazione mistica della scienza attuale.
    Quando ci si interroga sul senso della vita abitualmente ci si riferisce a questo secondo aspetto del problema: per quale fine accade un evento, o a quale traguardo è diretta un'esperienza, quale scopo può avere una situazione? Ora non è sempre possibile dare una risposta a questo secondo quesito prima dell'intervento umano. E non solo perché l'uomo non conosce il traguardo finale della evoluzione della creazione e della storia, ma anche e soprattutto perché non sempre un evento ha una finalità adeguata. In termini teologici possiamo dire: esistono situazioni che si oppongono al volere di Dio, che sono divergenti dal suo piano salvifico e quindi non rispondono ad una adeguata finalità. L'uomo poi introduce sue finalità, improprie e insufficienti.
    Questa affermazione suppone una particolare concezione della onnipotenza divina e della sua azione creatrice: Dio non è onnipotente nel senso che possa fare tutto ciò che desidera nella creazione e nella storia umana, perché la creazione e l'umanità non possono accogliere l'azione divina in tutta la sua portata, ma solo a frammenti e parzialmente.

    L'azione divina nel mondo

    Per capire queste ultime affermazioni occorre ricordare che spesso per parlare dell'azione di Dio vengono utilizzati modelli inadeguati.
    Ne ricordo alcuni.
    Esistono diverse modalità di concepire l'azione di Dio nella creazione e nella storia umana. Con molta approssimazione possiamo individuare quattro modelli nel corso del cammino religioso e culturale degli uomini• modello panteista, modello magico, modello miracolistico e modello creazionistico o trascendente.
    Il modello panteista concepisce tutta la realtà del cosmo penetrata da energie celesti e permeata dalla potenza divina.
    Il modello magico attribuisce alla potenza divina una presenza particolare in alcuni oggetti, luoghi o persone che acquistano perciò valore sacro e poteri straordinari.
    Il modello miracolistico concepisce Dio come un essere capace di modificare le situazioni umane, con interventi che aggiungono energia vitale, perfezionano l'azione degli uomini e suppliscono alle loro carenze.
    Il modello creazionistico o trascendente, infine, concepisce l'azione di Dio come fondante costantemente la realtà creata senza però mai sostituirsi ad essa.
    La teologia attuale sta facendo proprio questo ultimo modello interpretativo.
    Teilhard de Chardin (1881-1955), chiarendo il concetto di creazione, scriveva: «La creazione... non è una intrusione periodica della Causa prima: è un atto coestensivo a tutta la durata dell'universo».[2] Perciò: «Là dove Dio opera, a noi è sempre possibile (restando ad un certo livello) di non cogliere se non l'opera della natura. La causa prima non si mescola agli effetti: egli opera sulle nature individuali e sul movimento d'insieme. Dio propriamente parlando non fa le cose, ma fa che le cose si facciano».[3]
    K. Rahner, in un medesimo contesto culturale, afferma: «Sembra che dovunque si riscontra nel mondo un effetto, se ne debba postulare la causa nel mondo stesso e la si possa e debba cercare, appunto perché Dio, rettamente concepito, opera tutto mediante le cause seconde... (altrimenti)... l'agire divino viene a collocarsi nel mondo accanto a quello delle creature, invece di essere il fondamento trascendente di tutto l'agire delle creature».[4] Dio perciò «non opera qualcosa non operata dalla creatura, né si affianca all'agire della creatura; rende solo possibile alla creatura superare e trascendere il proprio agire». Più recentemente scriveva: «Le vicende e gli eventi di un ente finito stanno continuamente sotto la pressione (se così possiamo dire) dell'essere divino. Tale pressione non rientra nei costitutivi essenziali di un esistente finito, però può farne sempre qualcosa di più di quanto essa sia in sé e farlo propriamente diventare quello che è».[5]
    La storia, in questa prospettiva appare come il luogo dell'offerta continua di cui l'uomo ha bisogno per diventare se stesso. Il dono della vita è troppo grande per essere accolto in un solo istante. L'uomo può farlo solo progressivamente, a frammenti, attraverso eventi storici successivi.
    Ciò non significa che l'uomo sviluppatosi nella storia possa pervenire automaticamente alla sua pienezza. Nessun passato, infatti, contiene i princìpi sufficienti per il futuro. Ogni giorno l'offerta creatrice di Dio è necessaria ed essa può essere accolta in modo sempre più perfetto. Anche la stessa capacità di accoglienza è dono, frutto cioè dell'azione creatrice e gratuita di Dio, che sollecita libertà.
    In tale prospettiva l'azione dell'uomo non è solamente una risposta alle richieste della storia, ma anche epifania della perfezione di Dio, emergenza della azione creante del suo amore.

    IL SENSO NON È NEL PRESENTE MA È DATO DAL FUTURO

    Impostato così il problema, è chiaro che il senso della creazione come della vita umana non deriva dalle cose che esse contengono o dalle realtà da cui sono costituite, ma dal loro futuro, cioè dal traguardo cui tendono. Non è perciò il presente a rendere ragione del futuro, ma è il futuro che dà senso al presente. Questo spiega perché ciò che l'uomo è non basti a dare senso alla sua esistenza, perché l'uomo tenda sempre oltre se stesso verso traguardi nuovi, e perché la ragione adeguata di tutto ciò che egli fa non stia nel suo presente. Il che significa che il senso adeguato della vita, l'uomo non lo può trovare nelle sue capacità o nelle sue azioni, e neppure nei beni che possiede, ma solo nel futuro.
    Questo spiega perché oggi l'uomo sperimenta quotidianamente il nonsenso della vita.
    La nostra società, infatti, ha impostato l'esistenza umana sul possesso dei beni e sulla ricerca del\presente. Gli eroi del nostro tempo sono i cosiddetti rampanti. Gli investimenti redditizi, il lavoro ben remunerato, il posto preminente, il successo mondano, le conquiste amorose, il piacere, vengono considerati traguardi da raggiungere a tutti i costi, situazioni ideali della vita. La salvezza dell'uomo è annunciata e perseguita sulle vie del potere economico e politico, del piacere sessuale a buon mercato, delle soddisfazioni derivanti dal possesso sempre più esteso.
    Sono gli ideali, riconducibili ai tre «p» delle idolatrie consumiste: possesso, piacere, potere che la società consumista deve diffondere per mantenersi in vita. Si crede che la salvezza venga dalla produzione di beni sempre più numerosi, dalla acquisizione di potere sempre maggiore, dalle soddisfazioni degli istinti sempre assecondati.
    Questa situazione induce meccanismi sociali molto diffusi e conduce ad esperienze vitali per molti sconvolgenti.
    I meccanismi indotti sono quelli tipici della società dei consumi. L'Enciclica Sollicitudo rei socialis li ha descritti con molta chiarezza. A proposito del supersviluppo «consistente nell'eccessiva disponibilità di ogni tipo di beni materiali in favore di alcune fasce sociali», l'enciclica scrive che esso «rende facilmente gli uomini schiavi del possesso e del godimento immediato, senza altro orizzonte che la moltiplicazione o la continua sostituzione delle cose, che già si posseggono, con altre ancora più perfette» (n. 28).
    Le esperienze che tali atteggiamenti provocano sono legate alla scoperta della radicale insufficienza delle cose. «Effettivamente oggi si comprende meglio che la pura accumulazione dei beni e dei servizi, anche a favore della maggioranza, non basta a realizzare la felicità umana. Né di conseguenza la disponibilità dei molteplici benefici reali, apportati negli ultimi tempi dalla scienza e dalla tecnica, compresa l'informatica, comporta la liberazione da ogni forma di schiavitù...
    Tutti noi tocchiamo con mano i tristi effetti di questa cieca sottomissione al puro consumo: prima di tutto una forma di materialismo crasso, e al tempo stesso una radicale insoddisfazione, perché si comprende subito che... quando più si possiede tanto più si desidera, mentre le aspirazioni più profonde restano insoddisfatte e forse anche soffocate». Fenomeni sociali estesi, come la droga e i suicidi sempre più frequenti, sono collegabili chiaramente alla ricerca di un benessere assoluto e alla scoperta di una insufficienza radicale delle risposte storiche.
    C'è una ragione plausibile a questa impostazione della vita e c'è una spiegazione molto chiara all'esperienza che provoca. La ragione della ricerca affannosa dell'uomo sta nel fatto che l'uomo è realmente chiamato alla felicità, al benessere, alla signoria. Questa chiamata ha riflessi necessari nelle dinamiche istintive, che sono protese alla ricerca continua della massima gioia nella vita. La ragione della insoddisfazione sta in un errore di bersaglio e in una confusione di orizzonti. Le cose, le situazioni, le persone sono simboli di beni definitivi ed eterni e come tali suscitano dinamiche assolute. Queste, tuttavia, non terminano nelle cose, ma sono orientate altrove. Finché non si scopre il termine reale di ogni tensione vitale, non si è in grado di capire la condizione di creature e di godere pienamente la vita. La società dei consumi sviluppa con molta facilità dinamiche idolatriche appunto perché presenta beni, situazioni, persone come ragioni adeguate e sufficienti dei desideri vitali e degli istinti ad essi corrispondenti.
    Anche in altri secoli queste dinamiche idolatriche erano frequenti, ma non offrivano le medesime possibilità, né avevano verifiche così frequenti. Lo sviluppo attuale della scienza e della tecnica ha reso molto più facili ma anche molto più precari i loro soddisfacimenti. Li ha resi più facili perché, con lo sviluppo tecnico e la vertiginosa corsa alla produzione, ha reso possibile l'offerta di rinnovate e diverse proposte. Ma nello stesso tempo li ha resi molto più precari, perché con l'accelerazione veloce dei processi storici ha favorito l'esaurimento degli ideali e ha mostrato le loro insufficienze.

    I modi errati di attendere il futuro

    Ci sono tuttavia modi di attendere il futuro che non consentono di vivere adeguatamente il presente.
    Uno di questi è attendere il futuro come sviluppo armonico del presente. Se il futuro viene atteso come semplice sviluppo del presente, non introduce nessun elemento di novità. Se quindi l'uomo attende il futuro come semplice sviluppo del presente, allora egli mette in moto un meccanismo dell'assurdo e della insensatezza. La tensione infatti che vive è senza bersaglio e incongruente. Il senso della vita umana quindi sta nel futuro, ma non in quanto costituito possibile dal presente, bensì in quanto nuovo ed offerto. Il cerchio del non senso viene spezzato solo quando si scopre una ragione del futuro che non sta nel presente pur essendo un Presente. Deve essere un presente perché deve rendere ragione di una azione che ora si svolge, ma non può essere nel presente storico perché è la ragione futura dell'azione-che si compie. Solo chi crede in Dio, in una forza vitale che alimenta la storia, nello Spirito che sostiene la vita, nell'azione creatrice di Dio che rende possibile il futuro dell'uomo, è in grado di portare l'insensatezza e l'incongruenza del presente. Dio è infatti colto come un Presente che però non è identificato in ciò che il presente contiene, ma lo trascende.
    Un altro modo errato di attendere il futuro è quello di considerare una situazione parziale come senso compiuto e come soluzione definitiva dei problemi. L'esperienza ormai definitiva della umanità consente di poter dire che ogni soluzione storica è sempre provvisoria e parziale, e se viene attesa come soluzione definitiva, introduce dinamiche idolatriche. Chi crede in Dio, anche in questo caso ha la possibilità di rompere il cerchio della idolatria, perché sa che ogni accoglienza della sua azione è sempre provvisoria e parziale essendo Dio sempre più storica.

    DARE SENSO ALLA VITA

    Se le cose stanno così, il problema del senso della vita non è come trovarlo nelle cose o negli eventi, ma come introdurlo dove non esiste.
    Di fronte a fatti incomprensibili la domanda da formulare non è «perché questo è accaduto?», ma «quale atteggiamento assumere perché ciò che è accaduto acquisti senso?». La soluzione del problema quindi non sta nel trovare senso in tutto ciò che accade, ma nell'introdurre senso in tutto ciò che l'uomo vive.
    L'uomo ha questa capacità e in questo risiede la sua trascendenza: egli può modificare il valore delle situazioni storiche e può introdurre orientamenti nuovi negli stessi eventi della creazione. La ragione di questa possibilità sta nel fatto che il Bene, la Verità, la Bellezza, la Giustizia, la Vita esistono già e si offrono all'uomo in modo da assumere forme nuove nella storia. La condizione però perché la vita assuma forme nuove è che esistano persone aperte alla sua azione. Chi è consapevole di questa condizione sente l'urgenza di assumere atteggiamenti di fede per consentire a Dio di esprimersi in forme nuove nella storia umana.
    Gesù è stato esemplare in ordine a questa funzione creativa nella storia per l'atteggiamento di fede che egli ha vissuto in modo così perfetto da fare persino della sua morte, insensata ed assurda, un evento di salvezza universale. La volontà del Padre non era che Gesù morisse ingiustamente, ma che egli continuasse ad amare, a perdonare, a rivelarLo anche all'interno di situazioni ingiuste. La morte di Gesù l'hanno decisa gli uomini con atto in- giusto e peccaminoso e quindi contrario al volere di Dio. Gesù si è abbandonato con fiducia al Padre anche quando tutto si è fatto buio e non si intravvedevano gli esiti sperati dalle imprese programmate. Questo è appunto l'oggetto della sua obbedienza: rendere presente il regno, manifestare cioè concretamente Dio dove gli uomini avevano realizzato l'annebbiamento della sua gloria.
    Secondo la legge di incarnazione Dio è assente dove gli uomini odiano e uccidono. Gesù ha sperimentato questa lontananza e la croce è una vera esperienza di abbandono. Ma il suo amore ha reso presente nuovamente l'amore di Dio e la sua fede ha reso possibile la misericordia là dove regnava l'odio. Dio era realmente assente e fu solo l'amore incondizionato di Gesù a renderlo ancora presente nel luogo della desolazione e della morte. In questo modo egli ha introdotto senso dove non esisteva, ha messo in moto valore dove non c'era valore, ha reso presente Dio dove gli uomini l'avevano reso assente. Come nei campi di concentramento, come nei luoghi della abiezione e della violenza, anche sul Calvario fu formulata legittimamente la domanda: dov'è Dio? «Venga a liberarlo». E la risposta in quel caso era chiara: Dio pende dalla croce. Con il suo perdono e la sua misericordia, Gesù aveva consentito a Dio di essere presente dove gli uomini lo avevano allontanato.
    Il riferimento a Gesù offre il criterio per capire con maggiore esattezza la distinzione tra la nostra realtà di creature e l'azione di Dio che rende possibile il nostro futuro. Occorre ricordare che tra l'azione divina e la nostra realtà c'è una netta distinzione: noi non siamo divini, né la nostra attività è semplice espressione dell'azione divina: noi siamo creature e solo Dio è creatore.
    In questo punto la prospettiva ebraico-cristiana è nettamente diversa da quella di altre religioni. Affermare la condizione di creatura significa sostenere che l'azione umana è sempre inadeguata e insufficiente al termine cui tende; che la speranza alimentata dalle cose è sempre più grande delle risposte che esse possono dare; che le realizzazioni umane saranno sempre inferiori ai progetti vitali che le suscitano. La storia, secondo questa prospettiva, appare come il luogo della offerta continua di cui l'umanità ha bisogno per svilupparsi e di cui ogni persona ha urgenza per diventare se stessa.
    Il dono della vita è troppo ricco e grande per essere accolto in un solo istante: l'umanità può raggiungere nuovi traguardi e ogni persona può interiorizzarne le acquisizioni vitali solo progressivamente, a frammenti, attraverso eventi storici successivi. Ciò significa che l'uomo sviluppandosi nel tempo può pervenire alla sua pienezza solo a condizione che si apra quotidianamente ad un dono nuovo. Ogni giorno l'offerta creatrice di Dio, cioè le pressioni del Bene, del Vero, del Giusto sono necessarie all'uomo, ed esse potranno essere accolte in modo sempre più perfetto dall'umanità in cammino, a condizione che vi si sviluppi un adeguato atteggiamento di fede, cioè di accoglienza. Le novità della storia sono, in questa prospettiva, emergenza del Vero, del Bello, del Buono, del Giusto e del Vivente.
    Questo spiega perché siano oggi frequenti le proposte alternative alla società consumistica che si è venuta costruendo in questi ultimi decenni.
    Osservava recentemente J. Staudenmaier: «Il mito del progresso e della tecnologia come sua neutrale manifestazione, produce aggressività e passività... La sfida dei nostri giorni è imparare a rifiutare l'inevitabilità della tecnologia».[6] Da queste constatazioni, sempre più diffuse, nascono tentativi di vita comunitaria diversa. Le comunità ecclesiali dovrebbero favorire queste proposte e costituirne concrete verifiche. Spesso, invece, le considerano con una certa sufficienza e le trascurano quando non le ostacolano.
    Per indicare alcune piste di ricerca, ricordo le comunità di accoglienza, che costituiscono una delle maggiori ricchezze della chiesa italiana. Esse hanno forme e caratteristiche molto varie, ma tutte si qualificano per la condivisione di vita, per la solidarietà con handicappati, tossicodipendenti, emarginati di ogni genere e per una vita semplice. Alcune di esse hanno organizzato cooperative artigianali ed agricole e favoriscono scelte non violente ed ecologiche in contrapposizione esplicita agli ideali consumistici della nostra società. In seno a queste comunità stanno maturando ideali ed esperienze che possono già costituire, e domani ancora di più costituiranno, riferimenti essenziali per una riforma radicale delle nostre abitudini sociali. Significativo è il fatto che molte di queste comunità, pur essendo aperte ad ogni collaborazione, sviluppano il loro cammino in un orizzonte di fede cristiana e quindi inseriscono le loro offerte all'interno di una proposta salvifica che nasce dal Vangelo.
    All'interno di queste comunità potranno nascere quelle figure di uomini nuovi che prepareranno una società diversa, dove gli eroi non saranno gli uomini del successo, ma della autenticità, dove la ricchezza non sarà quella del denaro, ma della capacità di ascolto, del dialogo e dell'amore oblativo.


    NOTE

    [1] Gregory Bateson rievocando la sua formazione scientifica scrive: «Allora le regole erano chiarissime: nella spiegazione scientifica non si deve mai fare ricorso alla mente o alla divinità né si deve fare appello a cause finali. La causalità deve scorrere sempre nella direzione del tempo, quindi il futuro non può avere effetto sul presente o sul passato. Nell'universo che si deve spiegare non bisogna postulare alcuna divinità, alcuna teologia, alcuna mente... Nei primi quarant'anni di questo secolo parlare di «mente» o di «teologia» o di «ereditarietà dei caratteri acquisiti» era, nei circoli biologici, un'eresia. E sono contento di avere imparato bene la lezione» (Dove gli angeli esitano, Milano, Adelphi, 1990).
    [2] Teilhard de Chardin, La trasformation créatrice (inedito del 1917), in Comment je crois, Seuil, Paris, 1969, p. 31.
    [3] Id., Note sur les modes de l'action divine dans l'univers (inedito del 1920), in Comment je crois, cit., p. 38. Analoga affermazione apparirà l'anno successivo in un articolo di Études: «Quando la causa prima opera, essa non si inserisce nel mezzo degli elementi di questo mondo, ma agisce direttamente sulle natura in modo che, si potrebbe dire, Dio 'fa' meno le cose di quanto non operi in modo che esse si facciano»: Id., Comment se pose aujourd'hui la question du transformisme, in «Études», 5-12 juin 1921, ora in La vision du passé, Seuil, Paris, 1957, p. 39.
    [4] K. Rahner, Il problema dell'ominizzazione, Morcelliana, Brescia 1969, p. 96.
    [5] Id., Scienze naturali e fede razionale, in Scienza e fede cristiana, Paoline, Roma 1984, p. 58.
    [6] Staudenmaier J.M. gesuita, assistente di Storia della tecnologia presso l'Università di Detroit, intervista di F. Scaglione in Jesus, 10 (1988), n° 4, p. 24.

    (Itinerari, 4/1990)


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