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    Riparliamo di politica



    Documento redazionale

    (NPG 1991-34-11)


    All'inizio degli anni '70 abbiamo dedicato molta attenzione alle tematiche relative all'educazione alla politica. Lo sanno gli amici che hanno seguito il nostro lavoro fin dai suoi primi passi. Parlavamo allora soprattutto di "impegno politico", perché l'espressione suonava meno provocante rispetto alla sensibilità diffusa negli ambienti ecclesiali e ci poneva, nello stesso tempo, in maggior sintonia con le prospettive culturali più serie.
    Poi c'è stato il lungo silenzio di chi preferisce lasciare decantare i temi caldi, per favorirne la comprensione più pacata e l'interiorizzazione. Ora ne riparliamo, con vent'anni di più sulle spalle: perché?
    Dobbiamo giustificare la decisione e anticiparne l'orientamento. Lo facciamo documentando la riflessione che è progressivamente maturata nel gruppo di redazione.
    Ci siamo resi conto, nella nostra ricerca, di quanto la nostra storia sia legata ai fatti e ai modelli del più vasto contesto culturale, sociale ed ecclesiale. E siamo consapevoli di non poter raccontare la nostra storia come fosse un problema solo nostro: le scelte, in positivo e in negativo, esprimono l'onda di ritorno di eventi molto più impegnativi o la comprensione che di essi abbiamo avuto.

    I primi passi: il riscatto della "politica"

    Nel fervore degli anni a cavallo tra i Sessanta e i Settanta, in cui era rumorosa la passione politica e sembrava travolgere istituzioni e tradizioni consolidate, è maturata la nostra attenzione ai temi della politica per una precisa scelta educativa.
    Non potevamo certo restare alla finestra, nell'attesa di dire cose sicure e ponderate. La sensibilità giovanile correva rapida e molti educatori faticavano non poco per stare al passo.
    Due attenzioni ci sono subito parse urgenti.
    Era importante prima di tutto riscattare il concetto di politica: l'idea sottesa e lo stesso termine utilizzato. La strana pretesa di neutralità che dominava in ambito pastorale l'aveva relegato tra le cose di cui un operatore di pastorale poteva disinteressarsi e con cui i giovani credenti facevano bene a non contaminarsi. Politica suonava come sinonimo di partitismo; e l'attenzione alla politica, fuori dal sentiero tradizionale, sembrava, in fondo, contestazione alle logiche ufficiali e cedimento all'area marxisticheggiante.
    Riscatta la figura di politica, risultava più facile e conseguente il riferimento all'educazione politica. La sensibilità pastorale, attenta al politico, diventava subito progettazione educativa in chiave politica.
    Tutti ricordiamo le lunghe discussioni sul rapporto tra educazione e politica, nella consapevolezza, progressivamente maturata, di una convergenza che sembrava, a quei tempi, tanto totale da giustificare ogni conclusione. Se la politica è "tutto", ogni educazione è di fatto politicamente collocata. L'educazione politica non è un capitolo del complesso scenario educativo, ma la qualità intenzionale dell'intero processo.
    Su queste due risonanze vibrava spontaneamente la fede del credente e di conseguenza la specificità stessa dell'azione pastorale. Il tema del rapporto fede-politica ha occupato le ricerche di quei tempi, nella libertà e nell'entusiasmo che il Concilio aveva restituito ad ogni credente.
    Ci siamo gettati con coraggio su queste problematiche, cercando una sua collocazione precisa e coerente.
    Dalla parte della politica abbiamo ripensato molte delle tematiche tradizionali della riflessione e azione pastorale. Il tema della politica e la relativa attenzione educativa sono diventati così non solo oggetto di una riflessione specifica, ma anche una specie di "luogo ermeneutico" da cui dire la pastorale giovanile.
    Ci rendiamo conto, ora in termini riflessi, che, in qualche modo, anche noi avevamo assunto la dimensione totalizzante della politica.
    L'operazione non è stata indolore. Abbiamo sofferto molto: ci inquietavano temi e prospettive, nuove rispetto al ritmo tradizionale delle ricerche pastorali; e ci inquietavano le reazioni, dure e preoccupate, di chi veniva scomodato da questo modo di fare o era giustamente preoccupato del suo esito.
    Alcuni "fatti" (diversamente interpretati) sembravano davvero avallare le reazioni negative, quasi a mostrare come facilmente un certo modello può sfuggire presto di mano.

    I tempi del silenzio: la "crisi" della politica totalizzante

    Dopo qualche anno di polemiche e coraggiose prese di posizioni, abbiamo voltato bruscamente pagina. Chi sfoglia le annate successive a quelle dei primi anni settanta, trova sempre più raramente accenni alla politica. Anche il termine - fortunato - di "educazione all'impegno politico" sembra cancellato dal nostro dizionario. Se ne inventa un altro, meno "scomodo" e di maggior consenso: il prepolitico.
    Cosa stava capitando?
    Ce lo chiedevano i lettori più affezionati e ce lo ripetevamo anche noi, in movimentate riunioni redazionali.
    Ci siamo trovati, come moltissimi altri impegnati nel campo dell'educazione e della pastorale, al crocevia di situazioni complesse.
    Molti fatti si intrecciavano.
    Uno, innegabile, ci ha provocato violentemente: la costatazione della diffusa crisi in atto. L'entusiasmo politico aveva lasciato sul campo troppe vittime: giovani, sopraffatti da compiti che non riuscivano né a gestire né ad integrare nella loro struttura di personalità; non pochi educatori, travolti nella loro identità dai modelli nuovi.
    Gli esiti positivi non mancavano certamente. Nei ripetuti esami di coscienza non ce la sentivamo proprio di piangere il fallimento... Ma molte voci chiedevano una inversione di rotta.
    Il nostro silenzio dipendeva inoltre dal silenzio più generale: di politica e di impegno politico si parlava ormai poco negli ambienti ecclesiali. Altre preoccupazioni emergevano.

    I tempi del "consolidamento"

    In quegli anni inizia la nostra ricerca sulla spiritualità giovanile e sulle tematiche connesse. Fiorisce la lunga e preziosa fatica attorno all'animazione e alla relativa formazione dei giovani più sensibili e disponibili.
    Abbiamo scelto l'attenzione a temi più tradizionali per consolidare quello che avevamo intuito e per riformulare anche questi problemi a partire da quella novità di percezioni e di comprensioni che aveva entusiasmato i primi passi del nostro cammino. La "politica" ritornava così, intessuta con i discorsi tradizionali della pastorale giovanile, come sensibilità generale. Sul terreno dell'animazione i giovani più impegnati potevano rigiocare tutta la loro passione di trasformazione e di liberazione.
    Non volevamo ritornare alle posizioni di partenza, sconfessando una stagione culturale preziosissima, dei cui riflessi ci sentiamo ancora arricchiti. Ma volevamo consolidare tutto questo nella mentalità degli educatori che facevano strada con noi e dei giovani che stavano progressivamente ritrovando protagonismo anche nell'ambito ecclesiale.
    È innegabile però lo spostamento più esplicito sul terreno educativo e su quello dei rapporti interpersonali. La politica non risultava più "tutto", anche per noi.

    Un nuovo discorso politico

    Oggi torniamo a parlare di politica.
    Come sempre e come su tutti i problemi, vogliamo restare in una esplicita prospettiva pastorale. Ne parliamo perché stimiamo il tema irrinunciabile nell'ambito dell'educazione alla fede; affrontiamo l'argomento "solo" da questo preciso punto di vista.
    Tre fatti hanno sollecitato la ripresa. Ci danno un po' la pretesa di ritornare su temi di un tempo, in una logica relativamente nuova.
    Prima di tutto, con la rinnovata attenzione alla politica, vogliamo denunciare lo scotto troppo alto che tanti giovani hanno pagato al primo fervore politico. Purtroppo si sono scontrati con un tessuto istituzionale duro e implacabile. Esso ha schiacciato la loro voglia di rinnovamento e ha spento il grido verso la partecipazione. Ci troviamo ormai soffocati in una trama, intricata e triste, di connessioni, di rilanci e di resistenze, tale da giustificare la diffusa sfiducia verso le istituzioni e la drammatica crisi di valori sul bene comune.
    All'inizio degli anni settanta, lo sguardo verso il futuro ha peccato di mancanza di realismo e di quella fretta che nasceva dalla speranza. Gli esiti non sono stati certamente felici; ma non possono proprio consolarsi coloro che hanno visto tornare tutte le cose al loro posto, dopo il vento della contestazione.
    Riparliamo di politica per restituirci progettualità e speranza, maturati sull'esperienza vissuta e sofferta.
    La seconda ragione mette, ancora di più in primo piano, la prospettiva educativa, che anima tutto il nostro lavoro.
    Negli ultimi anni si è da più parti ipotizzata una sorta di disaffezione dei giovani dalla politica, rilevandone un atteggiamento di rifiuto radicale a ogni forma di appartenenza e di impegno. In realtà questo distacco riguarda solamente le forme totalizzanti e dogmatiche del "far politica", quelle modalità del fare politica che le affidano la pretesa di avere una risposta ai problemi di tutti, di saper interpretare la realtà in tutte le sue sfumature e risolverne la complessità.
    Questa visione della politica è entrata in crisi: e per fortuna. Ci sono però segnali nuovi e molto interessanti: riportano in primo piano un modo nuovo di comprendere la politica.
    Viene riproposta la centralità della politica nella vita di ciascuno e della società, attraverso le nuove forme di impegno e di itinerari formativi (vedi il diffondersi delle scuole di formazione socio-politica), come risposta alla degenerazione a pura ricerca e gestione del potere.
    Si manifestano inoltre un'attenzione e una partecipazione diffusa nei riguardi dei problemi della quotidianità, del proprio vissuto di relazioni interpersonali e con l'ambiente, delle interazioni a livello sociale. Si fa strada la disponibilità ad assumere a vari livelli progetti caratterizzati da concretezza e aderenza al reale in quanto "possibile". Grossi avvenimenti dello scacchiere mondiale sembrano restituire fiducia al "fare politica" come modo incidente e maturo di affrontare anche i problemi più complessi.
    Abbiamo l'impressione che siano progressivamente consolidandosi i frammenti di un modo rinnovato di intendere la politica: possiamo davvero parlare di politica, riprendendo le esperienze più belle vissute precedentemente e aprendoci verso modelli nuovi.
    Il terzo dato chiama in causa più esplicitamente il rapporto della politica con l'esperienza di fede.
    La rifondazione della politica deve poggiare su nuove basi etiche, impone la risignificazione del quadro di valori in base al quale costruire la vita sociale. Per questo richiama indirettamente l'esperienza di fede del credente. Lo ricorda molto bene la recente "nota pastorale della Commissione episcopale della CEI per i problemi sociali e il lavoro": Fondato saldamente sulla concezione cristiana della persona umana, dei suoi diritti e dei suoi doveri, ogni impegno temporale è ricondotto all'unico fine di promuovere l'uomo, di servire la sua dignità, nella certezza che la piena verità dell'uomo ci è data in Cristo. In un'epoca come la nostra, in cui, pur tra molte contraddizioni, sembrano finalmente farsi strada nella coscienza dell'umanità alcune imprescindibili esigenze comuni, è importantissimo formare e confermare la coscienza cristiana sulla verità rivelata da Dio per l'uomo e la società che il magistero della chiesa insegna" (n. 16).
    Si fa urgente, di conseguenza, la riprogettazione degli itinerari di educazione all'impegno socio-politico per i giovani d'oggi, proprio nel centro della pastorale giovanile.
    Provocati da questi fatti, abbiamo deciso di riprendere la riflessione sulla politica. Lo facciamo nell'orizzonte delle scelte che caratterizzano la sua proposta. E lo fa, anche alla scuola del cammino percorso, con quel tono interlocutorio e quotidiano a cui crediamo e con cui ci piace affrontare anche i problemi più gravi.


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