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    Progetti giovanili e orientamento vocazionale



    Giovanni Battista Bosco

    (NPG 1991-02-4)


    Vocazione! Un tema che suscita apprensione o appare in lontananza nell'azione tra i giovani. Eppure mai come oggi sono esigite serenità di proposte, come pure coraggio intraprendente che accorci le distanze ai giovani nell'orientamento alla vita.
    Le nostalgie sono del tutto fuori posto, e perlomeno visibili risultano essere le ingenuità spiritualiste.
    È indispensabile affrontare la questione con il massimo di impegno educativo e pastorale, e altrettanto ineludibile è affidarsi con tutta la nostra forza alla misteriosa pedagogia di Dio che suscita dalle pietre figli di Abramo.
    In questo spirito l'autore dell'articolo ha inteso guardare dentro a questa sollecitudine ecclesiale. Lo ha fatto soffermandosi sull'aspetto culturale ed educativo del tema. Non dimentico del primato dell'iniziativa di Dio che chiama, si fa carico della responsabilità degli educatori alla fede per tentare di illuminare il loro cammino e far intravedere la rilevanza educativa della loro azione.
    Il compito di preparare il terreno è lasciato a ciascuno di noi, pur consapevoli che il seme della vocazione è di Dio. La sua crescita è opera della fecondità dello Spirito, e tuttavia alla ricerca, alla nostra competenza educativa e sollecitudine pastorale, alla personale carica spirituale viene consegnato il compito di orientare, proporre e accompagnare i giovani.
    Risulta facilmente comprensibile allora l'iter percorso nella stesura delle riflessioni che seguono. Il contesto culturale merita tutta l'attenzione della ricerca. Da situazioni di analisi si fanno emergere tre progetti giovanili che paiono prevalenti al giorno d'oggi. Non sono certo gli unici, tutt'altro. Risultano però indicativi ed espressivi di una cultura in cui siamo immersi. Vengono tratteggiati nelle loro linee problematiche e critiche, non per concedersi al negativismo, bensí per cogliere con nitidezza le non semplici difficoltà in cui versano i giovani d'oggi nell'orientarsi alla vita e nel fare scelte coerenti.
    La lettura successiva delle dinamiche culturali e degli atteggiamenti fondamentali che ne derivano, si propone lo scopo di addentrarsi un po' più in profondità di quanto appare agli occhi di molti.
    Si tratta di darsi conto dei dinamismi che si agitano nel cuore e nella mente del giovane d'oggi. In lui occorre riconoscere con precisione il tessuto vitale del suo quotidiano.
    Della riflessione lo snodo «risolutore» viene riscontrato nell'imperativo: per orientare alla vita c'è bisogno di educare e allo stesso tempo per educare con autenticità non si possono dribblare le scelte di vita.
    Non vengono formulate ricette pronte per l'uso, che peraltro servirebbero a ben poco in un mondo complesso come il nostro; si consegnano al contrario alcuni criteri che possono guidare la nostra azione pastorale. Non sono nulla di speciale che attirino la nostra curiosità, anzi si presentano come indicazioni conosciute e consuete, ma non per questo meno valide. Ciò che serve oggi del resto non è il nuovo per il nuovo o l'originale per il gusto del diverso, quanto piuttosto riconoscere e valorizzare le istanze educative che rispondano adeguatamente alle domande esistenziali dei giovani e alle attese esigenziali di un mondo che cresce e ricerca valori autentici.
    Nel contesto sociale e culturale come l'odierno, che ci appare, spesso drammaticamente, così complesso e differenziato da mettere in crisi ogni pur seria generalizzazione di una qualche conoscenza, parlare di giovani come «categoria» o «condizione» può essere davvero assai rischioso.
    E d'altro canto tra i giovani esistono sensibilità emergenti, tratti comuni di una certa cultura o culture giovanili, che si impongono all'evidenza.
    Noi educatori ci interroghiamo, spesso sommessamente: basterà leggere la realtà giovanile con quell'attenzione educativa che ci rende sensibili alla singola persona e nel contempo al suo ambiente di vita, per riconoscerne la situazione e il cammino reali?
    Siamo troppo coscienti che la condizione culturale in cui cresciamo determina assai spesso atteggiamenti e scelte, o perlomeno crea sensibilità e pressioni. Appunto perché sovente mascherata da persuasori occulti, la cultura d'oggi, nelle sue molteplici provocazioni, incide con efficacia sui modelli e progetti di vita, specie dei giovani. Merita allora tutto il nostro interesse conoscere in maniera approfondita e dal punto di vista educativo il contesto. Del resto è esigenza ormai condivisa dagli educatori di essere abilitati ad affrontare la realtà con criteri di lettura che ne facilitino la presa di coscienza, più che a possedere un cumulo di informazioni, magari di dati statistici, o carrellate di sequenze descrittive.
    Iniziamo la nostra scorsa sul tema con qualche battuta «ideale» o «esigenziale» sulla giovinezza.

    «LA GIOVINEZZA È UNA RICCHEZZA SINGOLARE»

    Addentrandomi nella ricerca di progetti giovanili emergenti dalla cultura odierna, reputo indispensabile fare per chiarezza una dichiarazione di fondo: qual è la nostra visione del giovane.
    Uno schema di interpretazione del reale non può essere evitato. Ognuno legge ed interpreta quanto avviene, rifacendosi spontaneamente a un sistema di riferimento carico di valori o disvalori. È la precomprensione di un fenomeno, di un evento, di una certa realtà. Ci domandiamo allora, per chiarire a noi stessi, come consideriamo questo periodo di crescita che denominiamo «giovinezza».
    La risposta non è scontata, né lo può essere. Tra le differenti e molteplici concezioni su questa fase di sviluppo dell'uomo, optiamo per una: la giovinezza è una ricchezza singolare, «dono» da accogliere e «impegno» da far fruttificare. È un patrimonio di potenzialità e di valori per la persona, per la società, per la Chiesa: non solo una «proprietà» dei giovani, ma anche «un bene speciale» di tutti, dell'umanità.
    Il Concilio Vaticano II ne ha colto la straordinaria importanza: chiama i giovani «speranza della Chiesa». Gli fa eco il Sinodo straordinario (1985) che, rivolgendosi loro con speciale amore e grande fiducia, dichiara di attendere grandi cose dalla loro generosa dedizione, e li esorta a raccogliere e continuare con generosa operosità l'eredità del Concilio.
    Davvero la giovinezza è un tesoro in se stessa per ciò che è e per ciò che dà: è voglia di scoperta, potenza di prospettiva, forza di scelta, si appassiona alla vita, ha voglia di felicità, rincorre la novità.
    Certo, questo non è un semplice prodotto della sua biologia: sarebbe ingenuo anche solo il pensarlo. Nel «cuore» si trova la vera sede e misura: è nel profondo di sé che il giovane detiene il suo più autentico sentire. Non per nulla esclama il Papa attuale: «Giovani, non abbiate paura della vostra giovinezza. Non abbiate paura dei profondi desideri che provate di felicità, di verità, di bellezza, e di durevole amore! Si dice qualche volta che la società ha paura di questi potenti desideri dei giovani e che voi stessi avete paura... Sappiate: il futuro sta nelle vostre mani, sta nei vostri cuori».
    Tale è la nostra «professione di fiducia» nella giovinezza.
    Ne è la prospettiva ideale, certamente. Non può tuttavia venire mortificata o peggio misconosciuta. I giovani reali nella società concreta possono anche troppo spesso non apparire così. Anzi di frequente ne seguiamo le disavventure, soffriamo dei loro drammi. Perplessità e dubbi sono più che giustificati. Grida di allarme o dichiarazioni drammatiche interpretano sicuramente una certa situazione più che una condizione. Non si può educare senza guardare in faccia la realtà; anche la più cruda e perversa. Eppure ognuno avverte che non è giusto chiudere i battenti al vissuto «esigenziale» dell'animo giovanile. Occorre piuttosto accogliere la provocazione e accettare la sfida.
    Si apre così un grande orizzonte d'impegno: la vasta area dell'educazione che deve coinvolgere l'intera comunità sociale. Barriere e inghippi sociali e culturali tarpano oggi la libera espressione delle idealità giovanili, pur percepite come peculiari. Proposte sociali contraddittorie e l'ambiguità del quotidiano rendono loro difficile, oggi più di ieri, il cammino di crescita. E la giovinezza, invece di essere un seme da crescere, diviene un oggetto da consumare, un'energia da sacrificare agli idoli del momento; anziché svilupparsi come un progetto affascinante, rimane appiattita sulla filastrocca del presente.
    L'Evangelo è in particolare sintonia con questo tempo di crescita dell'uomo: Gesù vi è presentato come la suprema novità e la permanente giovinezza di tutta la storia. Nulla mai sarà più nuovo e più giovane di Cristo risorto e vivo.
    Per questo il messaggio evangelico manifesta una singolare sintonia con le aspirazioni più profonde della gioventù. Non a caso il manifesto delle beatitudini trova aperta accoglienza tra i giovani. Senza dubbio è un programma impegnativo, un ideale elevato ed esigente. Ma proprio per questo — asserisce il Papa — risulta un programma di vita fatto su misura dei giovani: «Io, pellegrino dell'evangelizzazione, sento il dovere di proclamare davanti a voi che solo in Cristo si trova la risposta ai desideri più profondi del vostro cuore, alla pienezza di tutte le vostre aspirazioni; solo nel Vangelo delle beatitudini troverete il senso della vita e la luce piena sulla dignità e il mistero dell'uomo».
    Per questo, l'orizzonte delle considerazioni educative che seguono su «progetti giovanili e orientamento vocazionale» sta nella «cultura dell'uomo totale», che trova il suo compimento nel mistero di Cristo, l'uomo perfetto.

    PROGETTI GIOVANILI NELLA CULTURA ODIERNA

    In uno sguardo d'insieme, appare subito evidente, nella cultura odierna, la molteplicità e varietà dei progetti giovanili. Per l'uomo comune è scontata oggi la pluralità dei modelli di vi ta, anche spesso percepiti in uno stato «confusionale». Lunga ne sarebbe l'elencazione e difficoltosa la chiara configurazione.
    Dell'uomo si possono ideare e vivere differenti concezioni: l'uomo come creatore di senso o espressione dell'effimero, l'uomo senza qualità e della mediocrità, l'uomo della serena inesistenza o della anormatività emotiva, l'uomo regolato da meccanismi inconsci o programmato dalla biogenetica, l'uomo integrale e solidale, l'uomo della diversità e della comunicazione.
    Come si nota, in queste visioni d'uomo le accentuazioni differiscono sostanzialmente, talvolta sono invece solo apparenti sfumature. Di frequente il loro vissuto è frutto di una mescolanza, se non di compromissione. A tutte sottostà comunque una preferenza di fondo o una scelta esistenziale.
    Sono espressioni di modelli di vita, rilevanti ed incisivi nella sensibilità giovanile.
    Ora considerare a caso l'uno o l'altro progetto giovanile risulterebbe di certo riduttivo, e d'altro canto sarebbe inefficace attardarsi su una rapida carrellata dei più. Si rende necessaria una opzione. E per quanto opinabile, la scelta dei modelli da presentare si rifà tuttavia a motivazioni e giustificazioni plausibili. I progetti di cui non è sempre facile una chiara presa di coscienza, sono quelli che rimangono nell'ombra; di fatto sono però l'ispirazione d'esistenza.
    Questi meritano una premura puntuale: li consideriamo progetti «emergenti» per la novità di impostazione non sempre percepita con chiarezza, e «prevalenti» perché la loro incidenza culturale è quanto mai vigorosa.
    Necessariamente nel delineare i progetti si seguono dei criteri descrittivi che non riescono a rendere ragione della ricchezza di tutta la realtà, anzi spesso la mortificano. E tuttavia uno schema concettuale serve per afferrare il meccanismo e la dinamica essenziali di quanto viviamo. I riduzionismi e i paradossi, le inevitabili forzature linguistiche e le necessarie generalizzazioni semplificatrici non devono pregiudicare la validità delle descrizioni e diminuire la verità delle intuizioni. I modelli sono schemi mentali che fungono da strumenti interpretativi del reale, non sono certo mai la realtà. Cionondimeno ci aiutano a cogliere con chiarezza le percezioni avvertite e a leggere in profondità e con rigore i fenomeni sociali e culturali.
    Ma veniamo alla delineazione dei progetti giovanili, che intenzionalmente vengono fatti emergere nella loro problematicità e criticità.

    Il progetto «narcisista»

    Il progetto narcisista non ha carattere di una proposta sociale teoricamente elaborata ed esposta riflessamente. Il narcisismo si manifesta più in comportamenti per loro natura sfuggenti ed imprecisi, in modi vari e spontanei di vivere e valutare le vicende umane. Per questo le sue manifestazioni sono più immediate che coscienti e riflesse.
    Lo spontaneismo ne è l'emblema: traccia il cammino persistente verso i lidi del «desiderio incompiuto». Ma a che cosa conduce tutto questo? Quali ne sono i contrassegni?

    Il primato del desiderio
    Il motore «uomo» viene azionato da due spinte fondamentali: il bisogno e il desiderio. Il terreno comune ne è l'insoddisfazione e l'inappagamento, che dicono limitatezza dell'uomo e insieme ricerca di superamento: è l'invocazione umana a ricercare oltre.
    Il bisogno corrisponde a una effettiva e reale esigenza che rimanda ad una lacuna concreta da colmare. Il desiderio invece scaturisce soprattutto da un difficile traguardo da raggiungere, che non scompare con il suo ottenimento, anzi ne rimane spesso rafforzato. Il bisogno si colloca nel realistico, il desiderio invece sfugge nel fantastico. Nella prassi viviamo spesso gratificazioni e frustrazioni, che rappresentano il risultato delle spinte motrici.
    Se un qualsiasi bisogno si ritrova in un suo corrispondente desiderio attuabile, si realizza la soddisfazione gratificante e anche regolatrice dell'esistenza. La persona si pone in un cammino di crescita armonica.
    Ma non capita sempre così.
    Nel contesto culturale odierno avviene un qualcosa di difforme: spesso si desidera ciò di cui non si ha bisogno e si avverte il bisogno di ciò che non si desidera (con la ricerca di gratificazioni sostitutive). In tale situazione si colloca la personalità narcisistica che esalta il desiderio e trascura il bisogno, specie intellettuale e morale: il suo ideale è rincorrere l'appagamento reiterato del desiderio che non si compie mai. La vita si trasforma in un inseguire desideri come i propri assoluti, e il progettare la realizzazione di sé in una umanità compiuta secondo un sistema di valori cade fuori da ogni prospettiva.
    Il desiderio assurge qui a criterio di giudizio morale, per cui una realtà è bene perché desiderata. L'appagamento immediato ne è la indiscussa legge. Non c'è più posto dunque per una qualche gerarchia o coordinazione di gesti e atti secondo un progetto razionale ed etico. Tra l'ideale desiderato e il reale effettivo viene negata ogni distanza: così risulta indebitamente mortificata qualsiasi progettualità umana sensata. La vita come processo di crescita e perfezionamento, guidata dalla capacità di autocontrollo e assunzione di responsabilità, non trova più il suo spazio vitale. La dimensione «espressivo-emotiva», regolata dal desiderio, ha la meglio sulla dimensione «etico- razionale», orientata dal bisogno. Ogni cosa è sottoposta alla contingenza del momento, per cui si fa precaria la capacità critica che tende a sganciarsi da un sistema normativo.

    Una serie di contraddizioni palesi
    L'emancipazione assoluta dell'individuo, frutto del fantastico, è richiesta in questa visione narcisistica come condizione indispensabile per l'affermarsi di personalità spontanee e originali. Ma oggi sembra che si approdi tanto spesso alla realizzazione di personalità amorfe senza identità. Condizione di sviluppo e di liberazione di sé è la soddisfazione dei desideri, specie se repressi. E tuttavia il supposto affrancamento da sentimenti di colpa non viene verificato, anzi evitato. L'emancipazione dai tabù fa le sue vittime: vuoti interiori, insoddisfazione esistenziale, tensioni esasperate e ricorrenti.
    Un'ulteriore contraddizione consiste nella cesura tra valori professati e comportamenti tenuti. Il narcisista si presenta illuminato nelle opinioni e filantropo nelle intenzioni; ma l'impegno professato si consuma di solito in parole senza fine e coscienza di futilità. Si professa un entusiasta seguace di umanesimo progressista, eppure soffre di un forte senso di irrilevanza di fronte al corso della storia e di sfiducia nelle capacità dell'uomo di guidare il proprio destino. Fautore di libertà sessuale, ne è afflitto poi per noia. Affamato a provare sentimenti intensi, si sazia di emozioni epidermiche. Maldestro nel saper differire l'appagamento del proprio desiderio, fa fatica ad attribuire peso alle esigenze reali altrui.
    Queste contraddizioni non sono in definitiva che segni di una coscienza precaria e indebolita: una coscienza che non sa autoprogettarsi in avanti.

    La ricerca di «nuovi» valori
    Come risulta evidente, il progetto narcisista sollecita un ribaltamento del sistema di valori e significati: sono messi in crisi i valori «tradizionali» e ne emergono di «nuovi».
    Ma se da un lato ha un esito positivo il superare i criteri di giudizio fondati sull'estrinseco e che mortificano il desiderio, è pur sempre veritiero che l'esaltazione del desiderio conduce addirittura a negare ogni orizzonte di senso compiuto. L'esasperazione inconsulta del desiderio produce un sistema di significati non regolato da valori riconosciuti nella coscienza: così il desiderio assurge a criterio che orienta e guida la vita umana.
    Ne deriva un quadro valoriale semplicemente sostitutivo: il progresso cede il posto alla tradizione, la novità prevarica sulla memoria, la creatività individuale ha la meglio sull'esperienza comune. Si configura un «nuovo» sistema di valori, che appaiono però faticosamente identificabili, perché spesso mascherati.
    Espressioni manifeste si rivelano l'ansia egualitaria, l'ipersensibilità verso i condizionamenti, il sospetto circa le istituzioni, la brama delle relazioni spontanee, l'apprensione della partecipazione. L'intento è senza dubbio quello di costruire personalità originali e creative. L'esito pare però essere tutt'altro, poiché il primato del desiderio conduce sia alla spontaneità delle espressioni personali, ma pure all'inabilità di impegno costante e quotidiano da investire in un piano, alla ricorrente mutevolezza delle relazioni che non conoscono fedeltà, alle aspirazioni evasive e inconcludenti che mancano di convinzione profonda.
    Una simile proposta di valori alternativi, sostenuta dal progetto narcisista, non può attuare, come intenderebbe, una svolta radicale umanistica al servizio dell'uomo. In realtà si assiste ad un fallimento, quello della coscienza morale: l'autonomia personale degenera in relativismo di valori; la tolleranza si trasforma in legittimazione, etica e sociale; il codice morale, assumendo come assoluto il desiderio, è sottoposto all'arbitrio dell'irrazionale e del soggettivo. Si realizza così il decadimento dell'uomo.

    Il progetto «frammentato»

    A ragione la nostra è definita una società «tecnotronica»: è il grande mutamento che stiamo vivendo. La vertiginosa dilatazione delle conoscenze scientifiche e tecniche, le immense potenzialità di intervento quale l'ingegneria genetica, la vasta disponibilità di strumenti sempre più raffinati, conducono all'esplosione di un fenomeno cui assistiamo impauriti: l'uomo si scopre non più semplice fruitore del suo mondo, ma potenziale creatore di esso.
    In più si aggiunge un'ulteriore realtà: attraverso i sistemi di comunicazione di cui oggi godiamo, siamo in grado di provocare una consapevolezza comune. Con l'aumento delle informazioni in estensione e velocità, in accessibilità e utilizzo si estende facilmente alle masse una visione del mondo legata al progresso tecnico-scientifico.
    A prima vista tutto ciò potrebbe far pensare ad uno sviluppo disinteressato degli eventi, per cui l'uomo trasforma la sua vita da «regno della necessità» in «regno di libertà».
    Ma la realtà non sta appunto in questi termini. Il progresso tecnotronico, e lo constatiamo ognor di più, è un'arma a doppio taglio: la minaccia o il rischio per l'uomo stanno sempre in agguato.
    È legittimo dunque interrogarsi su quale modello di uomo sarà favorito da questa civiltà che avanza.

    Eclissi dell'idea di uomo come «un tutto coerente»
    Viviamo in una società complessa. Nel convegno ecclesiale di Loreto la Chiesa italiana ne acquisisce particolare consapevolezza e, con un gesto di realismo, sollecita i cristiani a prendere atto senza inutili nostalgie. Vivere nella complessità significa che le istituzioni sono molteplici, che le realtà sociali possono operare in divergenza, che plurimi e differenti sono i messaggi e le proposte. La ricerca operata ai livelli diversi e sotto le varie angolature affronta il reale con differenti approcci e si conclude spesso con esiti diversificati, se non contraddittori.
    In particolare le informazioni messe a disposizione risultano perlopiù eterogenee o sovrapposte, divergenti o incoerenti: insomma non facilmente riducibili o riconducibili ad una visione organica dell'esistenza. E chi pensa di poter affidare il compito unificante all'opinione statistica dei più o all'elaboratore elettronico per superare tale complessità, rimane presto disincantato. La verità pare essere una: assistiamo all'eclissi della concezione di uomo come entità organica. Nella prassi si sfilaccia l'idea di soggetto come un'unità che supera giustapposizioni, esclude semplici accostamenti per sentirsi sorgente libera di costruirsi come progetto significativo.
    La coerenza di azione, frutto di vera autonomia, abbisogna di recupero, affinché le differenti dimensioni dell'uomo non vengano mortificate né esaltate, ma trovino la loro giusta sintonia. L'uomo d'oggi soffre di una frustrazione radicale: «non è più capace di esprimere la propria religiosità» (Victor Frankl), la profondità del proprio essere come centro unificatore dell'esistenza. Non per nulla il Papa proclama l'uomo «la prima strada, la prima e fondamentale via della Chiesa» (RH, 14).

    Vanificazione di una visione globale della realtà
    La società complessa rischia di sottrarre all'uomo la base quotidiana per l'elaborazione di senso. Nella società industriale l'estraneazione dell'uomo dal prodotto del suo lavoro provoca l'insignificanza della sua attività, che diviene una semplice fonte di guadagno. Nella società informatica il pericolo è di staccare l'uomo dai processi cognitivi e creativi per impegnarlo in operazioni ripetitive e meccaniche. Nella società dell'informazione si rischia di invadere la sfera privata dei cittadini, di manipolare i desideri, di condizionare la vita mediante persuasori occulti, di mortificarne in definitiva il senso critico e il libero apporto.
    Soprattutto nel singolo individuo, vanno in crisi la percezione significativa della realtà e l'idea stessa di valore. Se infatti i vari aspetti dell'esistenza non trovano un centro che stabilisca tra loro differenza di rilievo e composizione gerarchica, l'uomo rimane in balia degli eventi del momento. La sua carica motivazionale viene dispersa in varie direzioni, e il tessuto organico della sua azione sfilacciato in numerosi gesti senza costrutto.
    Il segno più evidente di questo radicale scompiglio sta nella crisi dell'idea stessa di «identità». I ruoli stabiliti in famiglia, a scuola, sul lavoro, nel gruppo, sono intaccati e disturbati dalla complessità dei compiti e diversità delle attese. Alla medesima persona si richiedono atteggiamenti dissimili o discordanti. L'identità delle persone ne soffre di conseguenza e rischia di vivere nella dis-identità.

    Deperimento della centralità dell'uomo
    In simili condizioni di disarmonicità la persona tende non solo a escludere ogni forma di coordinazione intellettuale, volitiva o emozionale, ma ad accettare altresì la disarticolazione personale erigendola a stile di rapporto e giustificandola su piano operativo. Accettata questa situazione di fatto, il confronto tra modelli di vita è particolarmente difficile, poiché sfugge ad ogni argomentazione organica.
    Per rinuncia o con fastidio si evita l'impostazione razionale di qualunque discorso, per privilegiare l'esperienza individuale e giungere in tal modo a soluzioni sempre inedite delle sfide dell'ambiente. Il soggetto si adatta dunque con grande facilità alle diverse situazioni, assecondando aspettative o subendo condizionamenti. Muore così l'unità dell'uomo condannato alla mutevolezza e varietà degli eventi. La libertà si fa solo apparente, anzi illusoria; e la maturazione personale perde di senso, se la progettualità è frammentata.
    In concreto, la rilevanza di un progetto di esistenza continuato o definitivo viene sconfessata: ci si abbandona a scelte provvisorie giudicate pertinenti. E altrettanto è liquidata la potenzialità personale di scegliere per la vita in modo duraturo per tutelarsi di fronte alle opportunità durante il corso degli eventi.

    Il progetto «impoverito»

    Una curiosa coincidenza si nota oggi: il modello di uomo espresso da certi filoni di pensiero che ispirano la cultura del nostro tempo si rapporta in armonia con la immagine sociologica fornita dalle varie ricerche.
    L'uomo «debole» teorizzato si fa modello di comportamento; le idee propagate entrano nella vita, creano mentalità. Le ricerche sociologiche lo comprovano, quando rilevano le fragili aspettative dell'uomo odierno. Nella ricerca della propria realizzazione egli fatica a guardare dentro di sé, a scorgere l'ansia di significati veri, a cogliere il mistero: ha una percezione impoverita di sé, il suo orizzonte è nebuloso, non spazia «oltre».

    L'uomo isolato senza storia
    Mai come oggi si disquisisce di socializzazione a livello pedagogico, di socialità e solidarietà a livello politico; eppure mai come oggi l'uomo si sente solo. Coinquilino di molti, spettatore delle vicende del mondo, ormai «villaggio globale», egli si sente difficilmente «prossimo» degli altri.
    Con frequenza può sgravarsi la coscienza con esaltazioni emotive suscitate dai mezzi di comunicazione sociale, ma a livello quotidiano di fronte a concrete persone con cui vivere la solidarietà tira a zoppicare. Talora emerge l'esigenza di solidità, quale nostalgia o utopia; è però fragile perché fondata su una concezione di umanità «rarefatta». L'«altro» risulta essere più un concorrente, un soggetto di diritti inalienabili sinché non scomoda i nostri. Raramente si riconoscono gli altri come chiamati a condividere un destino comune nella storia. La logica dello scambio è la dominante interpersonale. «Gratuità» è una parola malata, che soffre di forte anemia. Serrati nell'egocentrismo si sfugge all'esperienza del gratuito. Spesso è smarrito il senso della vita come gratuità ricevuta, da donare gratuitamente.
    In solitudine, l'uomo mostra l'immagine di un volto rassegnato, che ha nulla da condividere, non possiede una storia da narrare. I frammenti di tempo e di spazio che vive gli rendono difficili i tempi lunghi e i valori spirituali che trascendono la storia. Il presente diventa presentiamo, senza passato e senza futuro. Di una vita in qualche modo tracciata si viene defraudati. La memoria è in balia delle sabbie mobili del presente, condannato al breve scorrere delle intuizioni che passano e allo sfuggire degli ideali che non prendono forma incarnata. Tutto cade in un inafferrabile passato o nella incertezza del futuro, bloccati di fronte all'«oltre» e alla profondità del mistero umano.

    L'uomo privo del suo mistero
    L'Assoluto è stato sempre nella storia umana il polo di riferimento che conferiva un significato originale alla vita dell'uomo. L'inquietudine del cuore trovava una risposta immediata in Dio. Il discorso su di Lui era previo alla comprensione dell'uomo, chiamato a trascendersi. L'uomo è nel mondo l'impronta di Dio.
    Da qualche tempo i convincimenti non sembrano essere più così: si ritiene plausibile che l'uomo si affermi nell'oblio o nell'irrilevanza di Dio. Il dissidio tra Vangelo e cultura è sotto gli occhi di tutti (EN 21).
    Ma si vive anche un dilemma sopito: le vie dell'uomo non sono le vie di Dio.
    L'uomo è l'artefice del suo divenire; eppure, senza Dio, pare rimanere pur sempre un enigma indecifrabile. La voglia di superamento di sé non trova radici sufficienti nel cuore umano. L'amore come espressione piena del suo essere non scopre in lui il fondamento ultimo. L'uomo orfano di Dio va verso lo smarrimento. E si smarrisce perché il particolare pretende il posto del tutto, il frammento si arroga l'insieme.
    L'uomo ad una dimensione è così opera compiuta.
    Assecondando l'istinto del possesso, le cose diventano l'idolo della sua realizzazione; l'enfasi va sulla dimensione economica. Predeterminando il rapporto con le persone come scevro da ogni limite, si rende impossibile qualsiasi comunicazione regolata: siamo alla professione del libero amore. O ancora, se si considera la libertà come la misura unica e assoluta di ogni scelta, non è praticabile qualsiasi tipo di convivenza: la sovranità dell'io domina l'esistenza.
    In questa visione l'uomo, e solo lui, è in definitiva creatore di valori: lui è criterio unico del bene e del male, uomo senza memoria e senza prospettiva (Nietzsche). Quanto nascosto nell'abisso dell'inconscio, fonte della sua essenza, è l'uomo autentico: la catarsi ne scatena la piena liberazione (Freud). All'uomo fuori dall'illusione razionalistica spetta il compito di progettare ogni giorno la propria vita, poiché la libertà è nelle sue mani: egli non ha libertà, è libertà che agisce per l'assurdo e diviene «passione inutile» (Sartre). Il senso dell'esistere è la rinuncia a ricercare un senso: l'uomo, vive in perpetua illusione di perseguire un suo progetto, ma in realtà è «una marionetta messa in scena dalla struttura» (Lèvi Strauss).
    Eppure l'interrogativo del mistero resta in tutta la sua forza nel cuore dell'uomo, che vaga cercando tra le cose umane, spesso con gli occhi troppo bassi, dimentico di alzarli verso il cielo.

    ALLA RICERCA DELLE RAGIONI PER PROGETTARE RISPOSTE

    Ci siamo interrogati su modelli culturali e progetti giovanili Certe provocazioni del contesto ci hanno guidati a far emergere soprattutto situazioni problematiche e proposte discutibili. La loro lettura si è soffermata con intenzione agli aspetti prevalentemente critici. I progetti tratteggiati non si configurano di certo in modo realistico, bensì sono accettabili solo se collocati in schemi teorizzanti che facilitano l'intelligenza di situazioni intricate e confuse.
    Ma ora si pone un'ulteriore questione: quali sono le ragioni determinanti di tali evidenze, quali i dinamismi dominanti e quali gli atteggiamenti di fondo emergenti? È indispensabile investigare su tutto ciò, se si intendono intravvedere direzioni d'azione educativa e orientativa pertinenti.
    La nostra è un'epoca di transizione. Simile costatazione non sarebbe degna di nota, se ci muovessimo in un campo di conservazione culturale. Ma dire «mondo giovanile» è affermare una ti- pica condizione di transizione. Senza dubbio il cambiamento in atto investe nel suo insieme la nostra società, tutta tesa a trasferirsi dal «ricevuto» e dalla memoria al progetto.
    Ora il giovane d'oggi è l'antenna più sensibile di queste trasformazioni e sensibilità culturali: intende esserne, anche se spesso inconsapevolmente, l'artefice e il protagonista.
    Ma quali sono i dinamismi e gli atteggiamenti dei progetti esaminati?

    I dinamismi culturali sottostanti

    I nodi centrali del progetto «uomo» nella cultura contemporanea non trovano facili convergenze o unificazioni scontate. Anzi manca in assoluto un modello condiviso e unitario.
    Come è già stato evidenziato a più riprese, nel nostro contesto proliferano proposte molteplici e differenziate. Il giovane si trova di fatto davanti a numerose possibilità di scelta, e avverte per istinto che non è più vincolato a seguire responsabilmente un unico modello di vita, bensì a scegliere tra i tanti progetti emergenti che ormai la società multiculturale e plurireligiosa esprime.
    Siamo di fronte alla sfida della scelta soggettiva.
    Sulla responsabilità personale pesa la ricerca delle motivazioni del proprio agire e progettare, il cui passaggio obbligato è il percorrere le strade della ragione e del cuore insieme. Confusioni, disorientamenti, illusioni si evitano con un sereno ma vigilante cammino educativo che ha bisogno di confronto sincero e di dialogo amichevole. Questo «incontro» richiede incisività senza durezze, verità senza chiusure, tenacia senza pesantezze, comprensione senza cedimenti; in una parola, abilità nel facilitare il discernimento puntando all'essenziale.
    Anche l'ambiguità funziona oggi come categoria esplicativa di certi dinamismi culturali. Pare essere il cavallo di battaglia, con cui intaccare ogni espressione umana, anche la più limpida.
    Il complesso intreccio delle situazioni rende sovente difficoltosa una distinzione netta tra il vero da riconoscere e il falso da respingere. Senza un preciso impegno a voler chiarire e penetrare il rifiuto o l'approvazione di quanto è negativo o positivo di una situazione, si cade fatalmente in una compromissione: il tutto è quel fatto e l'insieme è quel gesto. Così regna la confusione.
    I progetti presentati riscuotono favore acritico non solo per tale dinamismo di ambiguità, ma ancor di più per l'ambivalenza delle scelte che operano, poiché si rifanno ad autentici valori quali la tolleranza, il rispetto, l'autenticità, senza però sottoporle a un sistema valoriale coerente.
    Un ulteriore dinamismo chiarificatore da considerare è la omologazione che riduce la capacità critica e inibisce l'ispirazione creativa.
    Non si tratta qui di registrare un fatto, ma di svelarne la logica.
    In genere le istituzioni sociali faticano a tollerare spazi di novità e permettere tempi di creatività, che sono incompatibili con la propria sicurezza evolutiva. La tentazione della manipolazione e della omologazione è di casa. Ne completa il quadro la frenesia che tutto travolge, le urgenze che si moltiplicano, la restrizione dei tempi di riflessione, il prevalere dell'interesse economico: la vita scorre allora nella superficialità di scelte occasionali e immediate senza reali opportunità di partecipazione culturale. Il correttivo sociale può sembrare semplice, ma non ha alternative: occorre ampliare i tempi di riflessione, perseverare nell'impegno valutativo, insistere su proposte ragionate e motivate, attivare processi di coinvolgimento e condivisione. Allo scontato modo di pensare in termini di consumismo, di moda e di massa, si devono opporre le resistenze di proposte culturali rinnovate, di modelli di vita testimoniati, di interventi politici progettati.

    Gli atteggiamenti di fondo emergenti

    Oggi si preferisce abbordare i problemi della propria esistenza singolarmente, uno dopo l'altro, in modo analitico. I progetti globali e definitivi suscitano più inquietudine che ammirazione. Il dettaglio e la competenza specifica attirano l'interesse comune. La ricerca si orienta con preferenza sul particolare.
    Ma un dato merita soprattutto attenzione: il settoriale è di norma estraniato dal suo contesto, scorporato dalla globalità. Operare la sintesi pare addirittura impraticabile, per cui si mettono a fuoco problemi singoli e si affrontano questioni isolate al di fuori di una visione d'insieme. Ne deriva allora che ne è travisato il significato e trascurata la portata complessiva, poiché non si percepisce la limitatezza o la deformazione. Lo sforzo per una visione di sintesi invece faciliterebbe il superamento dell'effimero, favorirebbe l'armonizzazione dei valori e porterebbe al superamento di sé nel mistero.
    Un altro atteggiamento da rilevare consiste nell'indecisione che rende tutto problematico. Si sospende l'assenso e si rimanda la scelta in continuità. Dal sì e dal no scaturiscono tutti i mali, il forse invece lascia sopravvivere. Disturba poggiare su scelte compiute, riconoscere che la vita è conquista.
    L'atteggiamento esitante gioca a favore delle personalità del momento, i cui connotati sono l'inconcludenza e l'ambiguità. In verità una coscienza problematica di tale portata rende inattuabile distinguere tra fragilità e flessibilità, tra inconcludenza e ricerca, tra incertezza e rifiuto. Di fronte agli ostacoli, la reazione più agevole è la sospensione che sa più di fuga o di attesa che rifiuto di un valore.
    E infine l'orientamento scientista è un ulteriore tratto della mentalità odierna. La vera scienza evita ogni forma di assolutizzazione: è ricerca progressiva e sempre sottoposta a verifica. Ma i problemi di senso non possono conformarsi agli stessi criteri di metodo. Ne verrebbe tradita l'originalità dell'uomo, che merita una peculiarità di indagine e si fonda su una sapienza che proviene dalla vita vissuta.

    PER EDUCARE A UN PROGETTO DI VITA

    La ricerca compiuta non pretende di essere esaustiva, anzi al contrario. Ha tuttavia il merito di aver messo in rilievo il tessuto culturale problematico in cui vivono le nuove generazioni.
    Anche i giovani cristiani respirano inevitabilmente questo clima culturale che marca le loro sensibilità, mentalità e convinzioni. La sottolineata distanza dei progetti dall'ideale evangelico rende più facile ora sottolineare le attenzioni da privilegiare nell'educazione dei giovani d'oggi a discernere i loro progetti di vita. Si tratta di direttive educative di cui valersi per orientare alle scelte di vita ispirate all'evangelo.

    Riconoscere la complessità gestendone l'ambiguità

    La debolezza di senso delle proposte tradizionali non può essere semplicemente motivo di rammarico o di lamentela. Urge al contrario metterne a nudo le conseguenze quotidiane nell'oggi, sgombrando il campo da evidenti equivoci.
    Per educare sia umanamente che cristianamente si rende indispensabile anzitutto non negare la complessità odierna: ogni semplificazione secondo traiettorie unicamente spiritualistiche o di contro piattamente antropologiche, provoca cortocircuiti.
    L'educazione viene dalla vita e va alla vita, così com'è e come si presenta. Ma non solo: la complessità non va subìta, bensì accettata. Ciò richiede il necessario apporto delle diverse competenze, per affrontare i complessi problemi dell'esistenza. Non ci si può permettere, e oggi meno che mai, di distribuire soluzioni prefabbricate, senza aver scandagliato con serietà le situazioni dei singoli e dell'ambiente. Ci si potrebbe imbattere in spiacevoli sorprese. La complessità esige perciò «intelligenza delle situazioni», per orientare adeguatamente i giovani.
    Sottovalutando le implicazioni di tale fenomeno, si vive inconsapevolmente nell'ambiguità di fatto, per cui non si riesce a distinguere l'essenziale dall'accessorio, si collocano in esasperato rilievo gli aspetti marginali, non si discriminano i risvolti positivi dai negativi.
    La realtà è che viviamo in una situazione complessa, e non è per nulla saggio semplificarla forzatamente, come neppure complicarla indebitamente. La visione corretta è saper cogliere la complessità nella serenità. Il problematicismo è figlio dell'insicurezza e dell'inconcludenza, non della autentica conoscenza delle situazioni.

    Sollecitare la convergenza della sintesi come impegno di vita

    L'esigenza di armonizzare e convergere è assai sentita, ma non facilmente praticabile. La sensibilità tradizionale per i contenuti valoriali, del resto urgente e ineliminabile, non può né deve portare a sottovalutare la questione del metodo, pure indispensabile e impellente.
    La sintesi dell'insieme si ottiene sul terreno della convergenza organica. Per cui la conoscenza descrittiva della situazione non è da confondere con una sua interpretazione educativa, così come le proposte di intervento non devono essere scambiate con i contenuti da comunicare.
    Ogni elemento di un insieme ha una sua funzione e dei compiti precisi. La sintesi nasce dalla composizione organica delle parti, e ogni giustapposizione o accostamento non serve che alla confusione.
    Certo, coordinazione delle idee non dice necessariamente coerenza di comportamenti. Alla logica della teoria occorre una corrispettiva aderenza alla coerenza dei comportamenti. E la logica della prassi segue i suoi canoni che non sempre coincidono con i concetti, poiché nelle scelte di vita intervengono l'interesse personale, le esperienze gratificanti o frustranti, l'urgenza dei problemi, le pressioni di gruppo, il riferimento a modelli ideali.
    Da ciò si evince quanto le idee possano giocare ruoli culturalmente egemoni nella prassi, ma anche quanto modelli di comportamento creino efficacemente convincimenti. L'odierna scissione tra idee e gesti è uno dei drammi più cocenti della nostra epoca. Per orientare costruttivamente occorre quindi operare convergenza tra idee e condotte in un progetto unitario.

    Promuovere l'esigenza di una coerenza fondata

    La riaffermazione nell'azione educativa della coerenza fondata su ragioni è determinante. Pur avvertendone tutti l'esigenza, il richiamare alla coerenza evoca però non poche difficoltà e incertezze.
    Tre considerazioni si possono fare allo scopo.
    La prima consiste nell'apertura esistenziale. L'uomo è chiamato allo svelamento della sua verità. Non può rinunciare né trascurare o evitare di affidarsi alla verità di se stesso. Nell'autentica manifestazione di sé non ci rimette nulla, anzi progredisce.
    L'apertura porta allo stupore e al rispetto di quanto c'è di misterioso in lui, e il prenderne coscienza diviene saggezza. Una ragione che pretende o prevarica, rende inesprimibile il silenzio. Non rispettando i tempi di ascolto, si occupa l'intero teatro della storia con l'agire, il fare, l'operare. Così l'uomo si pensa solo come progetto da costruire: non deve riconoscere un dono, ma solamente inventare un compito; non evoca mai, bensì sempre produce. Il silenzio diventa muto, l'ascolto umiliazione, il mistero umano un assurdo.
    La seconda considerazione riguarda l'intersoggettività. È la questione di come mi pongo di fronte agli altri. Se l'altro è un nemico da vincere, un inferno da scongiurare o una libertà che rapina la mia, l'incontro tra persone è terreno di guerra, di distruzione.
    Ma l'altro può essere uno che dà senso al mio stesso vivere, fonte di autentica libertà liberante.
    Egli non confisca la mia libertà, anzi le dà spazio, respiro: accanto all'io c'è il tu, il noi, per cui le libertà di ognuno sono la libertà di tutti. Gli altri si configurano come compagni di viaggio con cui confrontarsi, coinvolgersi, condividere.
    La terza si riferisce alla comunicazione vitale di sé. Ciascuno di noi ha bisogno di manifestare quanto si porta dentro, di esprimersi. Trasmettere quanto ci sta a cuore attraverso le idee è una comunicazione che si attua nella precisione dei concetti, ma che schematizza la realtà e la riduce all'essenziale.
    Al contrario, quando si affida la trasmissione all'esperienza vitale, le espressioni si fanno più indeterminate o sfuggenti, ma non per questo meno comunicative; anzi spesso si rivelano più ricche di spessore e calore umano.
    Il momento intellettivo è indispensabile: non è possibile pensarsi nella dignità di uomini senza la mente. E tuttavia il vissuto esistenziale, il cuore, non lo sono di meno per costruire esistenza umana.
    La saggezza dell'esperienza deve essere salvaguardata nella sua ricchezza e complessità, nella sua irripetibilità e originalità.
    Essa è comunque eloquente: svela la persona per ciò che è, e non semplicemente per quanto dice. Cionondimeno ha bisogno di essere compresa e interpretata per divenire sostanza di vita; necessita sempre di una penetrazione profonda per esprimerne la pregnanza esistenziale.

    Guidare a saper gestire le ambivalenze della vita

    Di fronte ai fenomeni della vita manifestiamo di frequente valutazioni contrastanti, e ciascuno potrebbe avere le sue ragioni. L'ambivalenza di interpretazione è di casa oggi, è un tratto del nostro volto.
    Ora però ne vogliamo cogliere gli esiti tra la gioventù per apprendere a gestirli in modo costruttivo nell'orientamento educativo e vocazionale.

    Nessuno può rinunciare alla realizzazione di sé
    Essa è un'esigenza così radicata in noi che si fa spesso appello o sfida nelle esperienze quotidiane. Ognuno di noi è fatto 'per la vita, per la pienezza di vita. Tendiamo istintivamente verso qualcosa che ci attrae e ci affascina. Le denominazioni di questo qualcosa sono le più diverse, magari molteplici le sue sfaccettature, ma la verità rimane sempre la stessa.
    L'uomo è posto giustamente al centro della vicenda umana, e l'esito del suo destino non è marginale alla propria storia. E tuttavia la concentrazione ossessiva sulla sua centralità provoca esasperazioni ed esaltazioni fuorvianti. Da un lato incontriamo la sottolineatura della soggettività, e dell'altro non possono essere vanificate le esigenze fattuali di una realtà con cui fare i conti. Ne scaturiscono conflitti, in cui sembra avere la meglio oggi la soluzione soggettiva dell'esperienza.
    Lo stesso linguaggio rivela la propensione giovanile a non prestare tanta attenzione per la propria vita. Appena i giovani percepiscono che una proposta può acquisire senso ai loro occhi, eccoli del tutto aperti e disponibili, sintonizzano con facilità. Ma poi si trovano di fronte a un bivio: la vita va concepita come dono e impegno e quindi attuazione di un progetto, oppure è una sequenza di avvenimenti che rincorrono continue gratificazioni per una personalità, che è in particolare patrimonio della giovinezza.
    Certo, non ci è permesso di pensare in termini manichei, ancor meno oggi: non si edifica da una parte la autorealizzazione autentica e dall'altra quella illusoria; non esistono da un canto le esigenze dello spirito e di contro le necessità del sensibile, del presente.
    Indispensabile, senza alcun dubbio, è assumere in pieno e interpretare a fondo le istanze quotidiane quali la corporeità e il piacere, la libertà e il presente, la sconfitta e il successo, insomma tutte le espressioni umane della quotidianità nella prospettiva di un progetto di vita secondo l'evangelo. Non si può considerare con sospetto questo spessore di vita, anche se culturalmente enfatizzato, senza rischiare di ostacolare o precludere ogni sintonia o simpatia con il mondo giovanile.
    Le domande di autorealizzazione vanno accolte, educate ed evangelizzate. I giovani attendono.

    Gioventù del «disincanto», del «disimpegno», del «distacco»?
    Ogni asserzione che generalizza indebitamente, corre spesso il rischio di risultare perlomeno ambigua, se non errata. E tuttavia si rilevano in realtà modalità di reazione diverse da parte del mondo giovanile nei confronti di proposte di valore. L'accentuata sensibilità circa la propria soggettività suscita un loro stile peculiare di reagire. Là dove un presunto valore non interpreta il loro sentire, essi non reagiscono con il rifiuto radicale, bensì con la tolleranza, volgendo semplicemente lo sguardo altrove. I loro «no» sono quasi mai definitivi, anzi manifestano ricorrente sensibilità a valori parziali che corrispondono alle loro attese e aspirazioni.
    Senza dubbio faticano a sintonizzarsi sulla lunghezza d'onda di progetti stereotipati o sradicati dalla vita. Si impegnano a discernere: più che critica complessiva, la loro è voglia di distinguere e di differenziare.
    Nel dilemma tra il bisogno di forti ideali, sempre presenti anche se in maniera celata, e il rifiuto di valori impegnativi, permanentemente possibile, il giovane d'oggi sembra ricercare una interpretazione che dia senso al vivere quotidiano, testimoniata soprattutto con vigoria evangelica e viva trasparenza.
    Indubbio risulta comunque il prevalere dell'incertezza ed esitazione dei giovani di fronte a scelte di vita impegnative e durature. Tale questione è comprensibile, se si pensa al dissidio tra fragilità delle esperienze e difficoltà di proposte compiute. La fragilità, dovuta al desiderio di sperimentare continuamente cose nuove, crea il bisogno assillante di gratificazione e rassicurazione, di mondo vitale. La difficoltà a riguardo di modelli definiti, che proviene dalla paura di dover sottostare a formule che mortificano la spontaneità e la creatività, blocca la capacità di definirsi uno stile di vita che impegna nella radicalità del dono e nella consequenzialità delle scelte fondamentali.

    Il cammino orientativo da compiere si chiama superamento
    La definitività è una prospettiva smarrita o rifiutata?
    Specie la gioventù sembra temere oggi il «per sempre». La scelta definitiva risulta ai suoi occhi più un sogno proibito o un tabù illusorio, ormai intoccabili. Lo stesso linguaggio esprime la carica d'angoscia di fronte al regno del definitivo: ogni cosa deve essere collaudata, messa a prova. Sarebbe insipienza il contrario.
    E sin qui la posizione resta ragionevole. Non lo è più però quando lo scorrere della vita si converte in una filastrocca di prove e collaudi. La mutevolezza assurge allora a legge ferrea quanto la fissità. Il progetto di vita oscilla tra una vasta gamma di scelte provvisorie e non si cimenta per nulla sul difficile valore di un cammino tracciato che porta a pienezza e profondità l'esistenza. Eppure il definitivo non è una nota marginale di un qualsiasi progetto di vita, anzi lo caratterizza, lo qualifica, gli conferisce una fisionomia matura.
    Valori quali l'amore, l'amicizia, la solidarietà, la pace... possono essere compiutamente vissuti, solo se non si pone loro la parola fine; altrimenti non sono che meteore, anche affascinanti, ma che lasciano dietro di sé il solito buio.
    Sotto il profilo educativo urge pertanto orientare dalla dispersione alla canalizzazione delle energie per attuare il progetto di vita.

    Il mondo giovanile pare «rassegnato»
    Senza dubbio è facile oggi la tentazione della mediocrità. Si assiste a un abbassamento di ideali, la rassegnazione è diffusa. La sfiducia in un mondo rinnovato attanaglia le coscienze giovanili. Allora ci si adagia. Vivere alla giornata, senza problemi, può essere una reazione di comodo. Ma nella noia che talvolta ci assale, insorge un rigurgito di vita: si reagisce alla assuefazione accomodante. Ed è il riscatto. Però solo forti motivazioni risvegliano la coscienza e sostengono scelte di valore. Se mancano convinzioni radicate, non si può sperare in esiti duraturi. Si tratta di convinzioni essenziali, vigorose.
    I giovani oggi sentono l'esigenza di valori concreti, condivisi, personalizzati. Amano aprirsi a orizzonti nuovi, rinnovati. Hanno voglia di essere protagonisti della loro esistenza.
    Per orientarli occorre guidare i percorsi educativi lungo le strade della saggezza e della sapienza, come verso gli orizzonti che aprono alla novità e pienezza di vita.

    UN ORIENTAMENTO CHE SI FA «DIREZIONE SPIRITUALE»

    Da più parti si invoca oggi «direzione spirituale». È una domanda vera, anche se sovente confusa. Occorre comunque rispondere con disponibilità e competenza. È un segno rivelatore.
    La nostra prassi è indigente, ha sempre bisogno di essere rivisitata.
    I limiti di una esperienza di fede centrata sul gruppo li ravvisiamo bene, come riconosciamo insufficiente la comunicazione di fede dell'«a tu per tu». Si tratta di trovare per ogni intervento una sua collocazione.
    Il gruppo è un luogo educativo, indispensabile nella comunità giovanile: in esso si fa esperienza di fede e si costruisce stile di vita cristiana.
    L'incontro con il singolo, il dialogo amichevole permette di misurarsi sulle singole esigenze e accompagnare persone nella loro individualità.
    I due aspetti si richiamano a vicenda e si completano. La risorsa educativa della direzione spirituale non deve perciò essere sganciata dal suo contesto naturale, che rimane la comunità. Il suo rilancio consiste nel qualificare la nostra capacità di incontro e di dialogo con i giovani, e in particolare nell'inverare le intenzionalità educative nella guida spirituale. Guidare a decidere è far crescere la persona. Alla direzione spirituale sta infatti il compito di svelare i condizionamenti, spiegare i dinamismi culturali, evidenziare le esigenze umane odierne, se intende accompagnare alla consapevolezza e responsabilità delle scelte. Guidare spiritualmente è celebrare la maturazione di una decisione personale
    Altrettanto qualificante è contrassegnare la direzione spirituale come accompagnamento nel vivere la realtà di ogni giorno. L'esigenza di mistagogia si sintonizza e viene incontro al bisogno di scoprire il senso delle cose quotidiane, al desiderio di verificare i progetti proposti in comunità, alla necessità di valutare i modelli comunicati dalla società pluralistica. Guidare o dirigere spiritualmente è accompagnare nel cammino di maturazione.
    Le tappe di un prevedibile itinerario di accompagnamento fanno riferimento a quanto segue. Occorre:
    - costruire una coscienza personale dell'io che sappia orientarsi a scegliere. Attorno ad un centro significativo si organizza la vita: solo così si impara a discernere gli eventi, a riconoscere le cose per quello che sono, a collocarsi nel mondo con la propria originalità;
    - comprendere in profondità la realtà circostante che sveli anche il senso ultimo dell'esistere. La penetrazione dell'esperienza mette a nudo valori e ideali, la contemplazione degli eventi conduce oltre le apparenze e Io scorrere quotidiano del divenire; alla ribalta si presenta il fascino di una realtà sempre nuova e sempre antica; così la vita quotidiana, perché carica di senso, interpella, impone sfide;
    - abilitare a condividere e solidarizzare. Non c'è ragione di vivere, se manca il termine per cui vivere; l'attesa di qualcuno sta alla base dello stupore, del desiderio, della speranza; la condivisione e la solidarietà sono segni di comunione che rivelano l'Amore; è il camminare in compagnia che riempie la vita e narra in segreto la storia dell'uomo;
    - guidare a confessare il primato dell'iniziativa di Dio nella sequela della propria chiamata. Si tratta di riconoscere che Dio si rivela, che intrattiene un'alleanza, che opera per la realizzazione del suo Regno tra noi; così ci si fida di Lui e ci si affida alla sua volontà; la storia di ciascuno si trasforma in impegno e la storia dell'umanità in storia della salvezza, in cui il protagonista primo è Lui e noi ne siamo gli attivi cooperatori.

    A mo' di conclusione

    Si è percorso un cammino insieme. Alcuni progetti giovanili ci sono ora presenti e ne conosciamo un po' le dinamiche. La questione educativa sta a sottofondo di tutta la ricerca: ne è tracciato il cammino ed enucleate indicativamente le tappe.
    Lo sforzo maggiore compiuto consiste essenzialmente nell'essersi posti il tema del progetto di vita per il giovane d'oggi. Non è trascuratezza o dimenticanza il non aver esplicitato l'orizzonte globale di fede. Ci è stato sempre presente. Ed è appunto per questo che è ammissibile estrinsecarlo ora come un manifesto. Il progetto di uomo cui si guarda come a ispirazione e orizzonte, quale fonte e culmine, è Gesù Cristo, l'uomo nuovo, l'uomo perfetto, il Signore della vita.
    Crediamo che solo in Lui ci si può realizzare con autenticità. In Lui troviamo la «chiave, il centro e il fine dell'uomo, nonché di tutta la storia umana» (GS 10). Nelle mediazioni umane riscontriamo verace quanto dichiara la Gaudium et Spes: «Chiunque segue Cristo, l'uomo perfetto, si fa lui pure più uomo» (41).


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