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    Luoghi di educazione politica: lo scautismo e l'associazionismo giovanile


     

    Luciano Pirovano

     

    (NPG 1991-05-19)

    Nell'attuale panorama dell'associazionismo cattolico in Italia sembra che stia assumendo

    particolare rilievo un'attenzione verso l'educazione alla politica. Ciò sia per le sollecitazioni che provengono da alcuni settori della Chiesa, ma soprattutto per la presa di coscienza dell'urgenza di formare nuove generazioni capaci di guardare in modo maturo alla politica.

    Questa esigenza si è fatta via via più forte negli ultimi anni In passato si è ritenuto di dover delegare a chi mostrava spirito di servizio e particolari competenze il pesante compito di assumersi responsabilità amministrative o politiche. Questa delega è probabilmente stata efficace per molti anni: il delegante e il delegato avevano spesso le stesse origini culturali e di fede (Fuci, Azione Cattolica, movimenti laici ...) e chi riceveva la delega agiva con lo stesso «spirito di servizio» di chi dava fiducia. Ora questo tipo di rapporto fiduciario è andato affievolendosi. Chi amministra, chi fa politica, il più delle volte è privo di matrici culturali radicate nel mondo cattolico, ha perso di vi- sta il servizio e pensa ad altro. Quell'«altro» che è ben stato messo in evidenza dai padri gesuiti de La Civiltà cattolica (cf La Civiltà cattolica del 16 dicembre 1989) in un editoriale che ha avuto per bersaglio, tra gli altri, anche i tanti cattolici che si sono impadroniti del potere.

    Oggi tra chi fa educazione cristiana o volontariato sociale e chi fa politica non ci si intende più, perché è venuto meno quel «patto d'onore» che coinvolgeva entrambi, con competenze diverse, sullo stesso fronte. Ecco perché è giunto il momento in cui chi educa al volontariato si deve interrogare se insistere per spostare l'impegno dal prepolitico al politico: c'è bisogno di persone capaci di vedere-giudicare-agire nell'interesse della collettività, per guadagnare il «bene comune».

    In questo intervento faccio riferimento in particolare allo scautismo perché è la realtà che meglio conosco, ma, per quello che mi sembra di cogliere dalle altre associazioni, in particolare AC e ACLI, le sensibilità stanno viaggiando su binari paralleli.

    ESPERIENZA ASSOCIATIVA ED EDUCAZIONE POLITICA

     

    Lo scautismo può essere annoverato tra le agenzie educative che hanno intrinsecamente, in virtù del proprio metodo, una forte connotazione di educazione alla politica. D'altra parte l'Agesci - intesa qui come associazione – e i giovani e gli adulti che aderiscono allo scautismo, finora sono poco presenti (per non dire del tutto assenti) nei «luoghi» della politica.

    Credo che in questa evidente contraddizione - probabilmente pur presente in buona parte della complessa realtà associativa cattolica, ma con un divario tra le premesse e i risultati più marcato nell'Agesci proprio per la sua particolare connotazione di contenuti e metodologia - debba andare ad addentrarsi il nostro lavoro.

    I princìpi ispiratori dell'educazione politica nell'Agesci sono raccolti nel documento «Impegno politico e civile», approvato dal Consiglio Generale del 1988.

    Ma ancor prima di quel documento di sintesi, è opportuno ricordare che Baden-Powell proponeva che lo scopo ultimo del movimento da lui ideato fosse quello di «... modellare l'animo del ragazzo, incoraggiandolo a sviluppare la propria individualità, in modo che sappia educarsi da sé a divenire un galantuomo e un valido cittadino per la sua patria». Occorre naturalmente tener conto che la proposta veniva formulata in un contesto sociale dove la laicità della politica e il senso dello Stato erano (e sono) acquisizioni radicate da secoli.

     

    Il cittadino attivo

     

    Lo scautismo dell'Agesci assume come punto di riferimento un uomo che fa sua la scelta cristiana intesa nella sua radicalità, e che pertanto intende giocare tutto se stesso nella dimensione politica (compromettendosi cioè fino in fondo con il mondo e con la storia), traendo anche ispirazione dalle intuizioni di Baden-Powell sul «cittadino attivo» e sull'importanza del «senso civico».

    Ci si propone di formare un cittadino appassionato del bene comune; con una solida formazione cristiana e capace di agire laicamente; fedele ai suoi princìpi e nel contempo disposto al dia logo e al confronto; con spirito di servizio; con un robusto senso dello Stato, ma anche con il coraggio di essere critico verso le istituzioni.

    I cardini di questo sforzo educativo possono essere così sintetizzati:

    - educare alla ricerca della verità;

    - educare a pensare con la propria testa;

    - educare ai valori positivi (non ci si può fermare alla critica);

    - educare alla serenità e alla fiducia;

    - educare il carattere, il coraggio, la capacità di solitudine;

    - educare all'autonomia;

    - educare ad avere un cuore bambino (cioè ad essere capaci di stupirsi, ad amare l'avventura, e tentare l'inesplorato, a vincere l'impossibile).

    Mi sembra a questo punto utile, una volta enunciato il principio, passare in rapida rassegna le modalità educative dello scautismo, senza però entrare nei dettagli metodologici.

    Il metodo scout si propone di educare attraverso l'esperienza, che deve essere concreta, intensa, significativa. È importante la qualità delle esperienze che vengono proposte, e il capo responsabile ha il compito di proporre, guidare e far cogliere il senso profondo dell'esperienza proposta. In tal modo l'esperienza si oggettualizza in categoria per la vita, cioè dall'esperienza vengono astratti dei modelli che a loro volta servono al giovane per costruirsi delle regole. Va messo in luce il significato simbolico del metodo scout: l'esperienza è concretamente vissuta ed è educativa se ha significato in sé e riesce ad essere parabola.

    Nel metodo scout poi l'esperienza viene proposta secondo uno stile di avventura, essenzialità, competenza.

    L'avventura in particolare viene proposta come il momento di rottura dalla quotidianità, verso il non conosciuto; l'essenzialità come la capacità di vivere l'avventura con povertà di mezzi; la competenza come il bagaglio di conoscenze acquisite per poter far fronte all'imprevisto. Tutto ciò vale sia nell'itinerario di educazione alla fede, che per l'educazione alla responsabilità personale attraverso l'assunzione di impegni via via più importanti, correlati allo sviluppo della persona, che per l'attenzione ai bisogni degli ultimi e l'educazione al servizio.

    Questo - a grandi linee - è quello che l'associazione si propone, ed è il messaggio che si cerca di far giungere a tutti i capi affinché si impegnino in modo deciso alla formazione del buon cittadino e del buon cristiano.

    Appare evidente che non si parla in modo specifico di «metodi per l'educazione alla politica» (non esiste cioè, nel metodo scout, anche il corso di lezioni di politica), ma il tentativo è quello di «formare degli uomini» che «non si isolano, che non si sentono i migliori del mondo, che perseverano mantenendosi uniti al mondo, nella profondità della sua banalità quotidiana. Uniti al mondo significa essere solidali con esso; significa essere fedeli alla terra; significa cooperare con i figli del mondo, essere solidali con essi».

    L'esito problematico del processo formativo

     

    Va però dato conto che, pur con queste premesse e pur con il grande impegno ed entusiasmo profusi dai capi- educatori dell'associazione, i risultati sono poi inferiori a quanto ci si potrebbe aspettare.

    I dati dell'inchiesta su rovers, scolte e capi partecipanti alla Route Nazionale dell'86 e raccolti in un libro («Scouts oggi» - Borla) danno utili indicazioni.

    La grande maggioranza degli intervistati (un campione di circa 15.000 associati) esprime un interesse politico, ma nella linea del sociale, dei nuovi diritti, della difesa dell'ambiente, nell'impegno su temi civici concreti, nel volontariato sociale. Le risposte, nel loro complesso, mettono in evidenza vuoti di formazione politica, nel senso della difficoltà a compiere il passaggio dall'impegno civile e sociale solo locale e circoscritto all'aiuto della persona, alla comprensione e all'impegno per incidere sui fattori generali. Quei fattori che, andando a leggere bene la realtà, stanno dietro alle singole situazioni a rischio per la condizione e la dignità della persona umana.

    Le volte in cui ci si addentra ad affrontare questioni generali, lo si fa solo per ambiti molto parziali, con una visione manichea del problema, indice di un'educazione incapace di studio e di mediazione (vedi ad esempio le prese di posizione sull'ambiente, centrali nucleari...).

    La prova dei fatti mostra invece che si è ancora lontani dal formare persone capaci di agire politicamente.

    Quali sono i nodi da sciogliere?

     

    Alcuni nodi

     

    Le osservazioni che seguono non vogliono ovviamente esaurire il problema, ma mettere in evidenza alcuni aspetti che vanno affrontati per cercare di superare l'attuale situazione.

    Va detto, come premessa generale, che i capi educatori di oggi sono essi stessi figli di un'educazione che è stata inefficace rispetto al punto di vista che qui ci interessa affrontare, e che quindi è difficile chiedere ad essi di riuscire a trasmettere ciò che non fa parte della loro esperienza.

    Questi i problemi aperti:

    - il rischio dell'integrismo, che è l'incapacità di considerare autonomi, sebbene strettamente collegati, i piani della fede (soprannaturale, ultima e definitiva), della cultura e della politica (naturale, ultima e passeggera); non si è cioè capaci di trovare delle risposte politiche ai bisogni della gente, perché troppo abituati a cercare le risposte nella fede (problema degli immigrati, problema dell'ambiente);

    - la non conoscenza o il rifiuto delle categorie della politica; in particolare la considerazione moralistica del potere. Si fa politica per avere il potere, da usare per il raggiungimento del bene comune; occorre dare gli strumenti perché le categorie della politica vengano interpretate all'interno di una visione etica e di servizio all'uomo;

    - il distacco dallo Stato, vissuto il più delle volte come controparte piuttosto che come insieme di strutture e leggi nate dalla volontà popolare;

    - la difficoltà nell'Associazione (e forse anche in altre associazioni cattoliche) di vivere esperienze significative di democrazia;

    - una non completa accettazione del pluralismo di opzioni politiche concrete, che possono comunque nascere dall'adesione a valori etici comuni; ciò non è però una sorta di relativismo per cui una o l'altra scelta è indifferente (è il contrario dell'integrismo, ma non è

    certo agire laicamente);

    - la convinzione che il volontariato sia, oltreché pulito e sempre buono, anche sufficiente a cambiare a realtà. A volte questa convinzione finisce con fare diventare il volontariato «strutturale» con il potere: una specie di giardino fiorito che adorna il palazzo del potere, secondo un'efficace immagine di p. Pintacuda.

    Riuscire a trovare l'itinerario educativo perché, pur non facendo di ogni associazione cattolica una scuola di politica in senso stretto, si formino giovani che, con competenze e compiti diversi, si facciano carico della politica, è certamente un importante servizio per il Paese.


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