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    La riconsegna del Documento Base: una coscienza educativa di chiesa in crescita



    Dalmazio Maggi

    (NPG 1991-08-56)


    Quando da educatori riflettiamo e discutiamo sull'educazione e sulla educazione alla fede e ne costatiamo il fallimento, o almeno l'estrema difficoltà, pochi di noi, facendo autocritica, si domandano: «dove ho sbagliato?». Spesso, se non sempre, partiamo dall'affermazione che non c'è chiarezza di idee e che non c'è un progetto educativo-pastorale, per cui l'impegno di educazione e di evangelizzazione non raggiunge i suoi obiettivi.

    UN PUNTO DI PARTENZA REALISTICO: DAI PROGETTI AL PROGETTO

    Ce la prendiamo con la situazione che è cambiata, con le cose che sono diventate impossibili, con i ragazzi che non rispondono alle nostre proposte, sono distratti da mille cose e non si impenano, con gli adulti, genitori e insegnanti che non camminano al passo dei tempi e non si aggiornano.
    La responsabilità di quello che non va è «quasi sempre» di qualcuno che non è presente alla discussione; per cui si fanno lunghe liste di cose che dovrebbero fare gli altri (gli assenti) e di ostacoli che incontriamo noi e non ci permettono di operare serenamente.
    Alla fine si ritorna nel proprio ambiente di lavoro e ci si rassegna a continuare... con il «proprio» progetto.

    Ogni educatore: un progetto

    È qui, nel «proprio progetto», nel «mio progetto», che sta uno dei punti fondamentali da considerare come premessa indispensabile per procedere seriamente a un confronto, a una verifica e a un rilancio.
    Credo che sia importante e urgente che, negli incontri di educatori, di catechisti, di persone che intendono sentirsi corresponsabili e non stanno alla ricerca di capri espiatori, si parta con il piede giusto. Il problema di fondo non è che «non c'è un progetto educativo-pastorale», ma che «non c'è un unico progetto», anzi che ci sono tanti, troppi progetti.
    In modo determinante c'è «il mio progetto personale».
    Infatti ciascuno di noi, per il fatto che vive e che nella sua vita vuole raggiungere certi obiettivi, ha un proprio stile di vita, un proprio metodo, un proprio progetto.
    Anche quelli che dicono di vivere e agire senza un progetto, seguono in realtà un progetto che si riduce alle proprie esperienze e alle proprie idee.
    È il progetto più pericoloso e ambiguo, perché non ha mai la possibilità di confrontarsi, sia perché non è concordato con alcuno, sia perché non risulta mai scritto.
    È necessario quindi rilevare, con estremo realismo, l'esistenza di più progetti, che possono presentarsi spesso in parallelo, qualche volta divergenti o contrapposti.
    Questa è l'unica base realistica da cui partire per fare qualche passo in avanti e facilitare il cambio della situazione... verso un progetto uniario.

    Ogni ambiente: un progetto

    Mi sembra utile evidenziare cosa capita nelle diverse agenzie educative che operano sul ragazzo, soprattutto per quanto riguarda l'educazione religiosa. Prendiamo in considerazione la famiglia, la scuola, i mass media e la parrocchia.
    Sono rapidi flash che non hanno la pretesa di essere completi ed esaustivi, ma di suscitare la riflessione e la discussione.
    La famiglia resta luogo di affetto e di comprensione. Dal punto di vista educativo si presenta come desiderosa della «buona» educazione dei figli e anche della loro educazione religiosa-cristiana. Nella maggioranza dei casi la famiglia si riconosce non preparata nei riguardi sia dell'educazione umana che di quella cristiana, per cui la collaborazione alla realizzazione dell'una e dell'altra risulta scarsa ed episodica.
    L'impegno di far crescere e maturare una autentica religiosità viene delegato a chi ne sa di più.
    Comunque la famiglia resta ancora un punto positivo, anche soltanto per il rispetto generale delle tradizioni di tipo religioso e la fiducia nella comunità che aiuta ad educare bene i propri figli.
    La scuola si presenta come il luogo dell'istruzione, che contempla nel suo progetto la dimensione religiosa come componente fondamentale, ma poi, per motivi vari, rischia di relegarla a incontro esclusivamente confessionale per coloro che lo chiedono, a un elemento di tipo privato.
    Per il modo come viene portato avanti, anche se con impegno e fantasia, si può definire quindi un insegnamento dalle molte iniziative ed esperienze, che tendono a rispondere alle domande immediate dei ragazzi e a spiegare i fatti che li coinvolgono direttamente e gli avvenimenti che li colpiscono in maniera particolare.
    I mass media, soprattutto la TV con i suoi programmi serali di distensione (films o spettacoli di varietà), visti dai più grandicelli in quanto non costretti ad andare subito a letto, presentano situazioni e modelli di vita improntati all'individualismo e alla ricerca del successo facile; modelli di relazione familiari in cui prevalgono l'infedeltà, la superficialità dei rapporti, la facilità della rottura definitiva; e modelli relazionali in cui il sociale è vissuto come il luogo della competizione, dello scontro, dell'arrivismo e della conflittualità permanente.
    Bisognerebbe verificare quanto i ragazzi seguono i programmi per ragazzi offerti dalla TV.
    Le trasmissioni di carattere culturale, che possono aiutare a maturare nell'atteggiamento critico di fronte alla società, sono poco seguite anche perché poste in fasce di orario impossibili soprattutto per i ragazzi.

    La parrocchia: un progetto o più progetti?

    Un ambito privilegiato per l'educazione cristiana è la parrocchia, che risulta ancora frequentata dai preadolescenti; i più convergono ad essa in vista della preparazione al sacramento della cresima, alcuni invece per la possibilità di partecipare alla vita di gruppi, che rispondono ai loro interessi. Nella riflessione pastorale sono state ricondotte a tre le componenti fondamentali di una comunità credente: la parola, la preghiera e la diaconia. La parola del Signore viene annunciata prevalentemente negli incontri di catechesi; la preghiera si esprime per lo più nella liturgia eucaristica e nella celebrazione dei sacramenti; la diaconia si manifesta in esperienze di carità e di servizio.
    Nella misura in cui le tre componenti sono tra loro armonizzate si può parlare di un progetto unitario; altrimenti si deve purtroppo parlare di «più» progetti.
    Anche se si constata che ci sono casi positivi di progetti unitari, le parrocchie di fatto si presentano con più progetti di formazione cristiana, il più delle volte in parallelo, qualche volta in contrasto.
    In questi anni l'unica area pastorale che si è mossa incontro ai ragazzi è quella catechistica. Di qui il numero grande di giovani e adulti impegnati nella catechesi in funzione prevalentemente della celebrazione dei sacramenti dell'iniziazione cristiana. A loro sono dedicati incontri, convegni, ai vari livelli. Per loro c'è una attenzione e una formazione sistematica anche a livello locale. Sta emergendo una categoria di catechisti-insegnanti che per lo più curano il momento di catechismo, in cui l'obiettivo primo è di tipo conoscitivo. Alcuni curano l'integrazione tra fede e vita, partendo dalla vita dei ragazzi, facendoli incontrare con il Signore Gesù, nella sua vita e nei suoi testimoni, e ritornando alla vita di tutti i giorni, da vivere in maniera sempre nuova. Pochi possono inserirsi nella programmazione e nella animazione della liturgia e della carità.
    L'area liturgica, dopo i primi sprazzi di luce e l'entusiasmo nella ristrutturazione degli spazi e nella traduzione in lingua italiana dei testi, si è sbloccata.
    Anche se i ragazzi sono impegnati nelle celebrazioni eucaristiche in determinati momenti (il canto, il servizio all'altare, le letture, la preghiera dei fedeli) risultano ancora spettatori. Il loro è un servizio di tipo funzionale e si nota chiaramente che la celebrazione procede con criteri propri: gli interventi del sacerdote risultano generalmente al di fuori della vita dei ragazzi, il linguaggio (parole e gesti) è poco familiare e talvolta anche incomprensibile.
    Nel 1973 è uscito il «Direttorio della messa dei fanciulli», in cui si indicano due principi fondamentali per l'educazione alla preghiera e alla liturgia.
    Il primo afferma che bisogna realizzare l'educazione alla liturgia dentro il processo più generale di educazione umana e cristiana. Mai scissione e contrapposizione.
    Il secondo invita a far fare esperienza di valori umani aperti in modo specifico alla preghiera e alla liturgia: come il saluto, il silenzio, l'ascolto, il chiedere scusa e perdonare, il condividere un pasto, il fare una festa.
    È la scelta della continuità tra educazione ed educazione alla fede.
    La terza area, quella della diaconia o servizio, solo in questi ultimi anni comincia a svilupparsi soprattutto con la presenza attiva in ogni chiesa locale della Caritas e per l'impegno di molti giovani nel volontariato, che resta una delle esperienze più significative per incidere anche sul rinnovamento della società.
    Per la maggioranza dei ragazzi queste esperienze sono lontane (roba da adulti), sporadiche (giornate particolari per...), episodiche (una visita ai vecchietti...).

    UNA ESIGENZA: NUOVI EDUCATORI PER UNA SITUAZIONE DI PLURALISMO

    In una situazione di pluralismo pastorale in cui, come ci ricorda «Evangelizzazione e testimonianza della carità», convivono proposte e modelli differenti, alcuni più riusciti ed equilibrati, altri non privi di unilateralità e di carenze, c'è bisogno di nuovi educatori.
    Anzitutto di educatori con una capacità di accoglienza della «diversità» dei progetti.
    La varietà delle strutture, nelle quali in modi diversi la comunità credente è presente per educare i ragazzi all'incontro con Gesù Cristo, va vista come una ricchezza e un dono dello Spirito, che si manifesta ed educa in modo imprevedibile. Il pluralismo delle istituzioni educative, sotto questo profilo, va favorito.
    Abbiamo costatato che c'è anche un pluralismo progettuale all'interno della stessa istituzione educativa-pastorale. In questa situazione c'è bisogno di nuovi educatori:
    - coscienti di avere una propria identità progettuale e di essere «una» voce all'interno di un complesso educativo e pastorale;
    - capaci di cogliere con diligenza gli elementi positivi di ogni persona, di ogni proposta e di ogni ambiente;
    - capaci di accogliere con amore le intuizioni più significative degli altri, anche «diversi», senza pregiudizi e presunzioni;
    - disponibili a collaborare «perché il vero e il bello maturi ovunque e da chiunque proposto».

    Educatori con un progetto di base comune

    È stato riconsegnato autorevolmente il testo de «Il rinnovamento della catechesi» che si presenta come il Documento Base, dal quale far emergere le linee fondamentali del progetto educativo-pastorale della Chiesa italiana, maturato in questi anni del post-concilio.
    Un progetto, ed è bene richiamarlo e tenerlo sempre presente alla mente, non piovuto dall'alto o stilato da uno studioso lontano dalla realtà pastorale, ma maturato con l'apporto di tanti operatori pastorali che prima di noi e con noi hanno affrontato i problemi dell'evangelizzazione e della educazione alla fede dei giovani.
    È stato scritto che «la riconsegna... vuole essere innanzitutto una riaffermazione della sua validità e delle sue opzioni di fondo».
    Sono convinto che, essendo stato intitolato «Il rinnovamento dalle catechesi», ha portato a una interpretazione riduttiva. Infatti è ancora considerato uno strumento utile per i catechisti in senso stretto, non per gli altri operatori pastorali, tanto che la maggioranza non lo conosce, e chi lo conosce non lo considera «il documento base» del suo impegno educativo e pastorale.
    Sarebbe un punto di partenza formidabile se tutti gli operatori pastorali, in ogni ambito di azione e di vita della comunità credente, lo considerassero effettivamente il loro comune documento-base: un punto di riferimento insostituibile quindi non solo della catechesi, ma di tutta la pastorale.
    Infatti «là dove esso è divenuto oggetto di studio e di applicazione paziente, si è avviato un processo di rinnovamento capace di incidere, in modo positivo, non soltanto sulla catechesi, ma su tutta l'azione pastorale della comunità».

    Educatori con una nuova capacità di progetto unitario

    Siamo in presenza di un cambiamento complesso e di vaste proporzioni, che si ripercuote nelle esperienze di fede e nella situazione ecclesiale.
    La gravità e l'urgenza di tali problemi chiamano direttamente in causa la comunità ecclesiale nel suo specifico ruolo missionario.
    Si impone una nuova capacità di progetto che offra un efficace campo di accoglienza e di attuazione alle opzioni catechistiche e pastorali del Documento Base, che «guida la comunità a prendere coscienza che la catechesi, mentre mantiene un suo ambito specifico di azione, non deve essere isolata nel cammino pastorale, ma inserita in un piano organico». «Tale piano, che ogni comunità deve darsi, comprende in una visione globale lo sviluppo unitario della pastorale catechistica, liturgica e caritativa».
    Tutta la pastorale quindi deve assumere un taglio più marcatamente missionario, quello cioè di essere accanto alla gente, tenendo presenti le loro reali situazioni di vita e le loro esigenze di fede.
    «Di qui la necessità di avviare itinerari di fede sistematici e differenziati, non accontentandosi di incontri occasionali o di massa, ma puntando su progetti educativi e catechistici più personalizzati».
    L'esigenza è chiara e sentita da molti; la realizzazione è possibile se si fa propria la scelta di fondo del Documento Base.

    LINEE ED ELEMENTI PER IL PROGETTO PASTORALE

    Il Documento Base indica autorevolmente la strada su cui camminare e fa la scelta di una pastorale di incarnazione, sia nella sua fondazione cristologica che nelle conseguenze antropologiche e metodologiche. La scelta del principio dell'Incarnazione ha significato caratterizzante. Da questa grande scelta sono state qualificate e armonizzate tutte le altre.

    Il principio dell'Incarnazione

    Il principio dell'Incarnazione offre la piattaforma di riflessione, capace di unificare le tensioni che attraversano ogni progetto pastorale che voglia conservare contemporaneamente fedeltà a Dio e fedeltà all'uomo. «Fedeltà a Dio e fedeltà all'uomo: non si tratta di due preoccupazioni diverse, bensì di un unico atteggiamento spirituale, che porta la Chiesa a scegliere le vie più adatte, per esercitare la sua mediazione tra Dio e gli uomini. È l'atteggiamento della carità di Cristo, Verbo di Dio fatto carne» (RdC 160).
    Già Paolo VI, a chiusura del Concilio (7 dicembre 1965), aveva indicato questa strada, quasi come punto di arrivo di tutto il cammino del Concilio e anche punto di rilancio della Chiesa.
    «La Chiesa» - affermava - ha parlato all'uomo d'oggi, qual è» e tutta la ricchezza della sua esperienza «è rivolta in un'unica direzione, servire l'uomo, in ogni sua condizione... e in ogni necessità»: la Chiesa in un certo modo si è dichiarata ancella dell'umanità.
    A chi temeva che il Concilio avesse deviato la mente della Chiesa verso la direzione antropocentrica della cultura moderna, risponde: «Deviato no, rivolto sì».
    Dopo aver affermato che «per conoscere l'uomo, l'uomo vero, l'uomo integrale, bisogna conoscere Dio», così continua: «Che se... noi ricordiamo come nel volto d'ogni uomo, specialmente se reso trasparente dalle sue lacrime e dai suoi dolori, possiamo e dobbiamo ravvisare il volto di Cristo, il Figlio dell'uomo, e se nel volto di Cristo possiamo e dobbiamo ravvisare il volto del Padre celeste (Chi vede me, disse Gesù, vede anche il Padre), il nostro umanesimo si fa cristianesimo, e il nostro cristianesimo si fa teocentrico; tanto che possiamo altresì enunciare: per conoscere Dio bisogna conoscere l'uomo».
    E possiamo aggiungere: per servire Dio bisogna servire l'uomo; per amare Dio bisogna amare l'uomo.
    A riguardo di questo amore per l'uomo Paolo VI si fa una domanda: «Non sarebbe, in definitiva, un semplice, nuovo e solenne insegnamento ad amare l'uomo per amare Dio?».
    «Amare l'uomo - risponde - non come strumento, ma come primo fine attraverso il quale possiamo giungere al fine supremo, che trascende tutte le realtà umane» (cf RdC 161).
    In Gesù Cristo e nella sua Chiesa, che vive autenticamente l'incarnazione, l'uomo moderno può sentirsi solidale con tutta la storia, con tutti gli uomini, con tutto il mondo.

    Elementi caratteristici del progetto pastorale

    È bene indicare alcuni degli elementi caratteristici del progetto pastorale che emerge dal Documento Base.

    Il Dio di Gesù è «Padre»
    In Cristo, il Figlio incarnato di Dio, Dio è con noi, nella nostra vita, come nostro Salvatore.
    Dio come Creatore e Padre è presente nella trama del quotidiano come la risposta divina alle situazioni impegnative e problematiche per l'uomo (RdC 52, 60, 61, 192).

    Il centro vivo è Gesù Cristo
    Il Documento Base ha il merito di ricondurre il contenuto della pastorale alla sua espressione più originale, concentrata nell'annuncio di Gesù Cristo.
    Significativi tre numeri del cap. 4.
    Il primo (Rdc 56) ricorda che per raggiungere una matura mentalità di fede è indispensabile ordinare il messaggio «attorno a un centro vivo, ben assimilato e operante».
    Il secondo (RdC 57) proclama che il centro vivo e organico della fede è Gesù Cristo. «Cristiano è chi ha scelto Cristo e lo segue».
    Il terzo (RdC 58) mette in risalto la portata pastorale di questa scelta. «Scegliendo Gesù Cristo come cen tro vivo, la catechesi (e possiamo dire la pastorale) non intende proporre semplicemente un nucleo essenziale di verità da credere; ma intende soprattutto far accogliere la sua persona vivente, nella pienezza della sua umanità e divinità».
    Non quindi un insieme di verità da conoscere, ma una persona vivente per cui impegnarsi.
    Per cui «evangelizzare Gesù significa anzitutto presentarlo nella sua esistenza concreta e nel suo messaggio, quale fu trasmesso dagli Apostoli e dalle prime comunità.
    Egli appare come l'Uomo perfetto, che «ha lavorato con mani d'uomo, ha pensato con mente d'uomo, ha agito con volontà l'uomo, ha amato con cuore d'uomo» (RdC 59).
    E sono indicati gli elementi di fondo di un cammino per incontrare personalmente Gesù Cristo.
    «La catechesi deve introdurre i credenti nella pienezza dell'umanità di Cristo per farli entrare nella pienezza della sua divinità.
    Lo può fare in molti modi, muovendo da premesse e da esperienze diverse, seguendo metodi diversi, secondo l'età, le attitudini, la cultura, la problematica, le angoscie e le speranze di chi ascolta.
    La catechesi mette particolarmente in luce i lineamenti della personalità di Gesù Cristo che meglio lo rivelano all'uomo del nostro tempo» (RdC 60).
    La conseguenza che ne scaturisce dal punto di vista contenutistico e metodologico è che bisogna sempre «muovere dai problemi umani».
    «Chiunque voglia fare all'uomo d'oggi un discorso efficace su Dio, deve muovere dai problemi umani e tenerli sempre presenti nell'esporre il messaggio.
    È questa, del resto, esigenza intrinseca per ogni discorso cristiano su Dio.
    Il Dio della Rivelazione, infatti, è il Dio con noi, il Dio che chiama, che salva e dà senso alla nostra vita» (RdC 77).
    Già Paolo VI nella «Ecclesiam suam» aveva scritto: «Non si salva il mondo dal di fuori; occorre, come il Verbo di Dio che si è fatto uomo, immedesimarsi, in certa misura, nelle forme di vita di coloro a cui si vuole portare il messaggio di Cristo, occorre condividere, senza porre distanza di privilegi o diaframma di linguaggio incomprensibile, il costume comune, purché umano ed onesto, quello dei più piccoli specialmente, se si vuole essere ascoltati e compresi.
    Bisogna, ancora prima di parlare, ascoltare la voce, anzi il cuore dell'uomo; comprenderlo, e per quanto possibile rispettarlo e dove lo merita assecondarlo.
    Bisogna farsi fratelli degli uomini nell'atto stesso che vogliamo essere loro pastori e padri e maestri. Il clima del dialogo è l'amicizia. Anzi il servizio» (n. 90).
    Con questa affermazione il principio teologico dell'Incarnazione giunge alle conseguenze pastorali più concrete: la scelta antropologica.

    L'uomo della pastorale è l'uomo in situazione «normale»
    Il Documento Base prende posizione precisa: l'uomo della pastorale è l'uomo concreto, storico; l'uomo quotidiano, feriale, comune, segnato dalle situazioni «normali» di vita, di lavoro, di rapporti, con le sue aspirazioni, interessi, preoccupazioni, speranze e angosce (RdC 128-130).
    Nell'azione pastorale ci «si rivolve all'intera personalità di ciascuno, a tutto quanto ciascuno è per natura e per grazia» (RdC 131).

    La vita quotidiana è luogo d'incontro con il Signore della vita
    Alla luce di queste riflessioni si comprende la conclusione del Documento Base.
    Essa, nella sua sinteticità, riassume e rilancia le opzioni caratterizzanti una teologia pastorale che si rifà al principio dell'Incarnazione.
    «Per chi è figlio di Dio non dovrebbe trascorrere giorno senza che in qualche modo sia stato annunciato il suo amore per tutti gli uomini in Gesù Cristo.
    È una trama che va tessuta quotidianamente.
    È la fitta e misteriosa trama entro cui si incontrano Dio, che si rivela, e l'uomo, che lo va cercando per varie strade» (RdC 198).
    Dio è alla ricerca dell'uomo.
    La sua proposta e risposta alle attese profonde di ogni uomo: «Con la grazia dello Spirito Santo, cresce la virtù della fede se il messaggio cristiano è appreso e assimilato come buona novella nel significato salvifico che ha per la vita quotidiana dell'uomo.
    La parola di Dio (cioè Gesù Cristo come persona) deve apparire ad ognuno come una apertura ai propri problemi, una risposta alle proprie domande, un allargamento ai propri valori ed insieme una soddisfazione alle proprie aspirazioni.
    Diventerà agevolmente motivo e criterio per tutte le valutazioni e le scelte della vita» (RdC 52).
    La teologia dell'Incarnazione quindi ispira un'antropologia, un nuovo umanesimo, che rifiuta ogni concezione pessimistica sull'uomo, crede nelle risorse naturali e soprannaturali dell'uomo, pur non ignorandone la debolezza.
    Il terreno esistenziale dell'incontro (e quindi la piattaforma di azione della pastorale) è la vita quotidiana, sono le concrete situazioni storiche, «la fitta e misteriosa trama» che il tempo tesse quotidianamente. In esse, per divina condiscendenza, Dio assume volto umano, mentre l'uomo fa affiorare il suo profondo volto divino, la sua trepida attesa di senso alla vita, di salvezza, di Dio.
    Sul piano della vita concreta è possibile l'incontro, il dialogo, l'alleanza tra Dio e l'uomo: lì la strada dell'uomo e la strada del Signore tendono ad incrociarsi e a diventare un'unica strada.

    UN CAMMINO UNITARIO DI EDUCAZIONE ALLA FEDE

    Nel documento «Evangelizzazione e testimonianza della carità» si afferma che «il metodo da seguire è quello dell'evangelizzazione di tutta l'esperienza giovanile» (n. 45).
    È utile che queste linee di progetto emerse dal Documento Base siano articolate in un cammino unitario di educazione alla fede, che investe tutta la vita.
    Un cammino però che prima di essere proposto e mentre si propone agli altri è un impegno dell'educatore, per la sua crescita umana e cristiana.
    Nell'orientare verso la fede ci si muove secondo alcuni criteri.

    Criteri

    Il processo educativo, in cui ci si impegna per la promozione totale della persona, è lo spazio privilegiato dove la fede viene proposta ai ragazzi.
    Questo orientamento è decisivo per definire le caratteristiche e i contenuti del cammino.
    In esso si valorizzano non solo i momenti «religiosi», ma anche quanto si riferisce alla crescita della persona fino alla sua maturità.
    Il cammino deve essere tracciato dunque tenendo presenti due riferimenti: le tappe che i ragazzi devono percorrere nel formare la loro personalità, da una parte; e dall'altra il richiamo di Cristo, che li sollecita a costruirla secondo la rivelazione che si è manifestata in Lui.
    Bisogna essere fedeli ai ragazzi per essere fedeli al Signore (cf RdC 160).
    Occorre tener presente, infine, che si tratta di un cammino educativo, che prende i ragazzi nella situazione in cui si trovano e si impegna a sostenerli e orientarli a compiere i passi verso la pienezza di umanità e di fede a loro possibile (cf RdC 130).

    La meta: un ragazzo orientato positivamente a Cristo

    Ogni tracciato di cammino è sempre definito da dove si vuol giungere, dalla meta.
    Dobbiamo aver chiarito quale sia il tipo di uomo e di credente che deve essere promosso nelle concrete circostanze della nostra vita e della nostra società.
    La meta che il cammino propone al ragazzo è quella di costruire la propria personalità, avendo Cristo come riferimento sul piano della mentalità e della vita. «Cristiano è chi ha scelto Cristo e lo segue» (RdC 57). È un riferimento che, facendosi progressivamente esplicito e interiorizzato, lo aiuterà «a vedere la storia come Cristo, a giudicare la vita come Lui, a scegliere e ad amare come Lui, a sperare come insegna Lui, a vivere in Lui la comunione con il Padre e lo Spirito Santo» (RdC 38).
    La vita di Gesù diventa «agevolmente motivo e criterio per tutte le valutazioni e le scelte della vita» (RdC 52).
    Per conseguenza maturano e diventano connaturali quegli atteggiamenti umani che portano ad aprirsi sinceramente alla verità, a rispettare ed amare le persone, ad esprimere la propria libertà nella donazione e nel servizio. È l'esercizio della fede, della speranza e della carità come stile di vita (cf RdC 53).

    Le aree di crescita: tutto il giovane

    Il cammino è pensato come progressiva crescita verso questa meta. Ci impegniamo perciò su quattro grandi aspetti della maturazione umana e cristiana, che chiamiamo aree. Le possiamo schematicamente indicare come:
    - verso la maturità umana, senza fratture tra creazione e redenzione;
    - verso l'incontro autentico con Gesù Cristo, uomo perfetto, che porterà a scoprire in Lui il senso dell'esistenza umana individuale e sociale: il «salvatore dell'uomo», il Signore della vita;
    - verso una intensa appartenenza ecclesiale e l'inserimento progressivo nella comunità dei credenti, colta come «segno e strumento» della salvezza dell'umanità, in cui si matura attraverso la condivisione piena nel popolo di Dio;
    - verso un impegno per il Regno, da scoprire e assumere con gioia e decisione: l'impegno e la vocazione nella linea della trasformazione del mondo.
    Le aree vogliono assumere quello che l'uomo stima come vero valore e deporvi il seme della fede come compimento e senso ultimo.
    Le aree non sono e non devono essere pensate, nella persona o nell'azione educativa, come settori separati. Sono compresenti, si richiamano continuamente a vicenda e si sviluppano contemporaneamente.
    Non è accettabile che si consideri prima solo il versante della crescita umana e poi quello della fede. Bisogna riconoscere alla fede una sua peculiare energia in tutta la crescita umana della persona.
    Il riferimento a Gesù Cristo e alla Chiesa è costante e attraversa tutte le aree, pur sapendo che si esplicita e si concentra in determinati momenti. Le ripercorriamo brevemente.

    Verso la maturità umana
    I ragazzi ai quali pensiamo per primi sono «poveri». La loro povertà si presenta sotto molte forme: povertà di condizioni di vita, di senso, di prospettive, di possibilità, di consapevolezza, di risorse. È la vita stessa che si trova depauperata delle sue risorse principali.
    Non affiora alcuna esperienza religiosa finché non si scopre la vita nel suo vero senso. E, viceversa, ogni esperienza di vera vita libera una tensione religiosa.
    In forza della grazia non c'è frattura tra creazione e redenzione.
    In continuità con l'impegno di maturazione dei valori più specificamente umani si sviluppa, nell'azione educativa e pastorale, la direzione propriamente religiosa e cristiana (cf RdC 77).

    Verso l'incontro autentico con Gesù Cristo
    Il nostro servizio di educatori alla fede non può certo arrestarsi al livello della crescita umana, anche se cristianamente ispirata.
    L'educazione alla fede chiede di proseguire verso il confronto e l'accettazione di un evento rivelato: la vita dell'uomo raggiunge la sua pienezza solo in Gesù Cristo.
    «Sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza»: sta qui la definitiva risposta al grido che sale dalla esistenza dei ragazzi in forma di invocazione.
    Quest'area è fortemente centrata sulla scoperta di ciò che ha fatto e detto Gesù di Nazaret e sulla testimonianza dei cristiani, che narrano con la loro vita quotidiana l'incontro personale con Gesù Cristo.
    A sollecitare e a sostenere l'incontro di fede con Gesù Cristo si esige la vita vissuta di una comunità credente e la sua interpretazione mediante la parola della fede (cf RdC 59-61).

    Verso una intensa appartenenza ecclesiale
    L'incontro con Gesù Cristo nella fede ha nella Chiesa il suo luogo privilegiato.
    Mosso dalla testimonianza viva della comunità cristiana o di qualche credente, il giovane matura attraverso una condivisione piena nel «popolo di Dio».
    «Insieme» nell'ascolto del Signore e dei fratelli, nel celebrare la vita propria e degli altri nel Signore della vita, nel far crescere la comunità del Signore (cf RdC 62-68).

    Verso un impegno per il Regno
    Nella pedagogia della fede la scelta vocazionale è l'esito maturo e indispensabile di ogni crescita umana e cristiana. Educhiamo i ragazzi a sviluppare la loro vocazione umana e battesimale con una vita quotidiana progres sivamente ispirata e unificata dal Vangelo.
    L'obiettivo di quest'area è aiutare i ragazzi a scoprire il proprio posto nella costruzione del Regno ed assumerlo nel loro piccolo con gioia e decisione (cf RdC 47).

    TRE PASSI DA FARE

    Ho cercato di indicare come le persone e gli ambienti che influiscono sull'educazione alla fede dei ragazzi, sono vari e con progetti, qualche volta, diversi.
    Ho riaffermato con decisione la scelta di fondo del Documento Base e le linee e gli elementi caratteristici del progetto pastorale della Chiesa italiana.
    Ho prospettato un cammino di educazione alla fede che intende far crescere un ragazzo, che abbia una sua identità chiara ed equilibrata, si confronti quotidianamente con Cristo e le sue scelte di vita, sappia aprirsi agli altri con serenità e fiducia, e collabori alla crescita di una umanità nuova con responsabilità e impegno.
    Ora è necessario indicare alcuni passi da fare perché ciò che è stato detto non resti nel mondo degli ideali e dei desideri, ma diventi progetto reale e vita vissuta (cf RdC 158-159).

    Coinvolgere tutti gli educatori

    Il pluralismo delle istituzioni educative e pastorali è provvidenziale. I singoli interventi, privilegiando un ambito e un punto di partenza che è l'interesse del giovane, e mirando a una meta particolare, sono parziali e quindi non possono essere considerati autosufficienti e completi.
    Ogni proposta educativa ha bisogno di inserirsi e vivere in un ambiente edu cativo in relazione viva con la comunità più ampia, in cui vivono, operano e si intersecano proposte varie, che si arricchiscono l'una dell'apporto specifico delle altre, in cui si realizzano momenti di incontro, di scambio, di fraternità e di celebrazione della fede comune, vissuti con la partecipazione attiva, consapevole e corresponsabile di tutti.
    Questo aprirsi all'ambiente e ricevere dall'ambiente garantisce una formazione equilibrata e completa del giovane, che impara a vivere in comunione e in collaborazione, facendone esperienza quotidiana.
    Per facilitare il senso di appartenenza a un progetto più ampio e completo è necessario impegnarsi su due fronti.
    Gli animatori, prendendo coscienza che con la loro proposta educativa non esauriscono l'ampia gamma di domanda formativa dei ragazzi, devono desiderare di incontrarsi personalmente, di conoscersi nella propria identità, di riconoscersi nella propria originalità di servizio e di completarsi e di maturare in un fecondo scambio di esperienze (cf RdC 159).
    I ragazzi, che partecipano alla vita di un gruppo con un particolare interesse aggregante, devono essere aiutati a sentirsi membri anche di un ambiente e di una comunità più ampia e più ricca di interessi e di esperienze.
    Devono essere educati a fare strada in compagnia non solo degli amici del proprio gruppo, ma anche con gli amici degli altri gruppi (cf RdC 153, 171).

    Valorizzare tutte le risorse

    Nell'ambito del progetto pastorale è necessario pertanto valorizzare tutte le risorse ed energie educative che lavorano, in comunione ecclesiale, per la maturazione umana e cristiana dei giovani: genitori, sacerdoti, catechisti, insegnanti, educatori, responsabili di gruppi, di movimenti e di associazioni, religiosi e religiose, giovani animatori che lavorano fra altri giovani, animatori dello sport e del tempo libero.
    «Accogliendo tutte le esigenze e le aspirazioni dei giovani, ciascun educatore si preoccupa di promuovere le esperienze giuste al momento giusto, di far superare le esperienze sbagliate, di estendere la propria influenza educativa mediante il dialogo e la collaborazione con gli altri educatori» (RdC 159).
    È decisivo saper conoscere personalmente l'identità di ciascun educatore (la sua personalità, le sue convinzioni, le sue esperienze), e riconoscerne l'originalità di servizio, che diventa un apprezzarne esplicitamente gli apporti, di cui ci si arricchisce veramente.

    Vivere la coesione e la corresponsabilità

    Il progetto poggia tutto su una comunità di persone che hanno come elemento di coesione l'amore ai giovani e la missione educativa-pastorale, e che hanno funzioni complementari con compiti tutti importanti, come organi viventi di un solo corpo.
    Questa immagine rende assai bene da una parte l'idea che il progetto per essere realizzato suppone delle funzioni differenziate tra loro e, d'altra parte, che ogni funzione non si può comprendere se viene isolata dalle altre funzioni e dalla totalità dell'organismo.
    Secondo la legge della diversità arricchente e della complementarietà vicendevole, troviamo nella comunità educativa-pastorale dei membri con compiti diversi, con svariate capacità, differenti doti e qualificazioni.
    Tutti hanno bisogno gli uni degli altri, poiché gli apporti di tutti sono importanti, anche se di varia natura e rilievo.
    Ciascuno deve sentirsi in definitiva correlativo agli altri membri della comunità.
    «Occorre preoccuparsi di un sapiente coordinamento educativo per evitare dispersioni e disarmonie e per consentire a tutti una esperienza spirituale unitaria e feconda» (RdC 158).
    «Sul piano psicopedagogico, principio fondamentale che ispira il coordinamento degli interventi educativi è l'unità interiore della persona. Il coordinamento non può ridursi dunque ad una distribuzione quantitativa di compiti o della materia da insegnare, né a espedienti metodologici esteriori» (RdC 159).
    Ma per raggiungere gli obiettivi pastorali non è sufficiente un'articolazione strutturale di compiti e di ruoli. Assai più importante è che i membri prendano coscienza della loro situazione di interdipendenza e ne accettino le leggi e le relative conseguenze.
    E quindi si parla non solo di coesione ma anche di corresponsabilità. La parola «coesione» esprime particolarmente la situazione oggettiva di unità operativa e il senso di vicendevole appartenenza. Gli animatori con i loro gruppi e le loro attività tentano di formare un tutto armonico, occupando ognuno il proprio posto, conosciuto e riconosciuto.
    «Corresponsabilità» invece esprime propriamente l'atteggiamento soggettivo della coscienza dei diversi animatori e responsabili, ciascuno dei quali crea spazio per la responsabilità degli altri ed è pronto a rispondere del proprio compito, che viene assolto con la preoccupazione di fare unità e di operare concordemente.
    La «coesione» e la «corresponsabilità», vissute con serenità e simpatia, permettono di raggiungere gli obiettivi del progetto educativo-pastorale.

    CONCLUSIONE

    In questo momento storico la Chiesa italiana in «Orientamenti e itinerari di formazione dei catechisti» invita ogni operatore pastorale ad essere «discepolo, testimone e missionario». Aggiunge due atteggiamenti di attualità: farsi «compagno di strada» ed essere «l'uomo delle armonie».
    Siamo sollecitati ad essere «compagni di strada» sull'esempio del Signore Gesù (cf Lc 24,13-36).
    Seguendo il metodo della sua carità di buon pastore sulla strada di Emmaus, ci mettiamo in cammino con i ragazzi.
    Ripetiamo i suoi atteggiamenti: prendiamo l'iniziativa dell'incontro e ci mettiamo accanto ai ragazzi: con loro percorriamo la strada ascoltando, condividendo le loro ansie ed aspirazioni; a loro spieghiamo con pazienza il messaggio esigente del Vangelo; e con loro ci fermiamo, per ripetere il gesto di spezzare il pane e suscitare in essi la voglia di vivere e la gioia di condivi‑
    Siamo chiamati inoltre ad essere anche «uomini delle armonie», cioè educatori che aiutano a fare sintesi armonica nella vita di ogni giorno, non solo tra un «già» vissuto e un «non ancora» da vivere in pienezza, ma anche tra vissuto pienamente umano ed esperienza pienamente cristiana, perché non si vive a settori, perché chi vive è una persona con un ricco patrimonio di valori umani, religiosi e cristiani.
    Il servizio di educazione e di educazione alla fede è un servizio totale e creativo, che investe tutte le esigenze del ragazzo «nel suo corpo, nel suo spirito, nel suo cuore» (cf RdC 131).
    Va realizzato con un particolare stile: quello di non deludere le aspirazioni profonde di ogni ragazzo (voglia di vivere, di amare, di crescere) e insieme di portarlo gradualmente e realisticamente a sperimentare che nell'amicizia con Cristo si attuano in pieno gli ideali più autentici.


    T e r z a
    p a g i n A


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