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    Giovani e domanda di educazione



    Intervista a Franco Garelli

    a cura di Giancarlo De Nicolò

    (NPG 1991-01-32)


    Domanda. Continuano a essere pubblicate ricerche sulla condizione giovanile. A parte il giudizio su di esse, non si assiste in ogni caso a una inflazione di analisi di fronte a una carenza (o paura) di proposte educative?

    Risposta. Sono anch'io fermamente convinto - in accordo con molti pedagogisti - che, sia in campo scientifico che tra gli operatori sociali, si abbia a registrare un eccesso di «analisi» sociale a fronte di una drammatica carenza propositiva; e ciò in molteplici campi della società.
    L'inflazione delle analisi può rappresentare un alibi a fronte delle difficoltà di individuare itinerari di azione, progetti di intervento, nei vari settori sociali. Con ciò non intendo negare l'importanza delle analisi, ma soltanto affermare che è ormai tempo di superare la fase della ricognizione; che (allo stato attuale e per la situazione che stiamo vivendo) abbiamo sufficienti elementi di analisi per misurarci con una nuova fase; che la particolarità del tempo presente chiede a chiunque rivesta lin ruolo di responsabilità sociale uno sforzo di propositività e di intendimenti.
    Il problema piuttosto è quello di saper ricavare dalle analisi i messaggi più importanti che esse contengono, gli aspetti di conoscenza della realtà indispensabili per ancorare ad essa una ri flessione che non si fermi al dato di fatto, al livello della fattualità. Con la consapevolezza ovviamente che la storia non si arresta, che il processo di mutamento continua, e che le analisi devono alla fine riprendere cammino o mai essere interrotte. Ma, anche, che ad ogni fase di accumulazione di conoscenze occorre saper ridisegnare e riproporre le condizioni attraverso cui sia possibile per i soggetti realizzare maggiori capacità di autogoverno e di autocoscienza nell'ambiente e nei rapporti sociali in cui sono inseriti.
    Questa lettura degli avvenimenti, che oserei definire «sapienziale», di forte «intenzionalità», capace di ricavare gli aspetti meno convenzionali delle analisi sociali, appare carente anche in molti pedagogisti che pur consultano sistematicamente la letteratura sociologica sui vari temi oggetto del loro studio; alla stessa stregua con cui molte analisi sociologiche appaiono eccessivamente «aperte» nella loro ricognizione sociale, non sembrano informate da sufficienti idee-guida o interrogativi forti (o da capacità di approfondimento) in grado di far emergere la direzione del mutamento. In altri termini: il tempo presente sembra ancora eccessivamente caratterizzato da una celebrazione dei bisogni, da una moltiplicazione delle osservazioni fine a se stesse, che assumono il carattere di esercitazioni anacronistiche rispetto alle attuali urgenze e sollecitazioni.

    SOCIOLOGIA E PEDAGOGIA

    Domanda. Quale tipo di collegamento potrebbe essere effettuato tra l'analisi sociologica della condizione giovanile e la prospettiva più propositiva dell'educazione?

    Risposta. Con riferimento al tema dell'educazione dei giovani, la sociologia può offrire alcune coordinate di lettura del mondo giovanile, dei processi di ridefinizione dell'identità dei giovani nella società contemporanea, delle modalità di presenza sociale delle giovani generazioni, del differente modo di socializzazione che caratterizza le nuove generazioni rispetto alle precedenti, ecc.
    In rapporto a queste coordinate è possibile ricavare alcuni «criteri di attenzione», alcuni segni di specificità dell'attuale momento sociale e culturale, alcune istanze e tensioni tipiche del tempo presente, che non possono essere disconosciute da quanti affrontano le stesse tematiche da un punto di vista propositivo, da quanti cioè - a partire da particolari presupposti valoriali e culturali - riflettono sulle possibilità e modalità di sviluppo «della dimensione etico-socio-civico-politica» dei giovani.
    Certo il sociologo non ha il monopolio dell'analisi, così come il pedagogista non ha quello della propositività. Ma si può largamente convenire che il primo sia in possesso di strumenti più adeguati per l'analisi e il secondo sia maggiormente competente per una proposta che superi il dato di fatto. Ovviamente fatta salva la condizione che vi sia tra i due ambiti una certa qual affinità di orientamento e di presupposti, cosa non semplice o non scontata in un contesto culturalmente pluralistico come l'attuale.
    Da questo punto di vista è assai difficile trovare analisi sociologiche informate da una analoga attenzione alle problematiche educative, orientate cioè a offrire precisi spunti «sociologici» alla riflessione dei pedagogisti.
    Detto ciò occorre però osservare che anche sulla tematica in questione la rivisitazione delle analisi sociologiche da parte dei pedagogisti - pur molto articolata e documentata - sembra per certi versi inscritta ancora in una logica di convenzionalità. L'impressione è che vengano colti molti aspetti della cultura contemporanea, che vengano messi in evidenza molti tratti di fondo dello stile di vita e dei modelli di comportamento delle giovani generazioni; ma che questa considerazione non abbia perlopiù a superare una prospettiva eccessivamente immediata o in superficie o semplificata di analisi dei problemi e dei fenomeni sociali. L'ipotesi, in altri termini, è che vi sia difficoltà a cogliere gli aspetti di novità o di particolarità dell'attuale situazione sociale (il «nocciolo duro» di che cosa essi stanno a significare nel processo di mutamento delle condizioni di vita e dei riferimenti culturali), e soprattutto che vi sia difficoltà a individuare il carattere dirompente di questi processi per una prospettiva pedagogica o per la riproposizione nel tempo presente di un'idea educativa.
    Due le constatazioni alla base di questa mia reazione: da un lato non emerge - nella ricognizione della letteratura sociologica da parte di molti pedagogisti - la «drammaticità» o la particolarità della situazione in rapporto alla prospettiva educativa; dall'altro lato l'analisi della condizione di vita dei giovani non sembra produrre nella riflessione pedagogica quella novità di riflessione e di proposta che sarebbe lecito attendersi a fronte della situazione che si è andata determinando.

    UN MUTAMENTO CULTURALE

    Domanda. Quali sono gli elementi assodati nella condizione giovanile, il «nocciolo duro» del processo di mutamento culturale delle giovani generazioni, a cui l'educatore non può non fare riferimento?

    Risposta. Ormai una grande quantità di lavori sui giovani ha confermato l'immagine delineata nelle ricerche svolte agli inizi degli anni '80 e il taglio interpretativo in essa contenuto.
    Già da queste ricerche infatti emerge una gioventù che, in luogo di apparire conflittuale e antagonista o partecipativa, evidenzia una presenza sociale all'insegna dell'«adattamento», che non matura la propria identità a partire dalle contraddizioni sociali, eccessivamente flessibile ed elastica nel ricercare un modello di realizzazione personalizzato, che ricerca un proprio equilibrio non tanto a partire dalla collocazione o dimensione politica, quanto dalla fitta e per certi versi «banale» rete delle dinamiche interpersonali che attraversano la vita quotidiana.
    In particolare l'immagine prevalente dei giovani è quella di soggetti che:
    - riflettono nella propria condizione i caratteri di estrema differenziazione del sistema sociale, evidenziando una pluralità di appartenenze, di condizioni di vita e di riferimenti culturali;
    - si caratterizzano per una compre- senza di atteggiamenti e di comportamenti assai variegati e per certi versi opposti, non riconducibile a prospettive di analisi univoche;
    - ricercano in strategie adattive (tese alla risoluzione immediata dei problemi, secondo logiche individuali o di piccolo gruppo, nella ricerca non tanto del massimo raggiungibile quanto del realizzabile) la possibilità di trovare un equilibrio in una società complessa e differenziata come l'attuale;
    - assumono un'identità di basso profilo, di debole intensità, di corto respiro, come condizione per passare senza traumi tra le molteplici appartenenze, condizioni e riferimenti culturali che li caratterizzano;
    - esprimono nei confronti delle istituzioni (famiglia, lavoro, scuola, chiesa) un atteggiamento tollerante e selettivo, tipico di soggetti che, avendo molteplici realtà di riferimento, non fanno dipendere il loro modello di realizzazione dall'identificazione con un singolo ambiente;
    - possono maturare una centralità soggettiva (nei rapporti interpersonali, nelle possibilità di autodeterminazione della vita quotidiana, in quella che è stata definita l'eccedenza delle opportunità «dimezzate») pur a fronte di condizioni oggettive di marginalità sociale;
    - sostituiscono la partecipazione sociale con la tendenza a personalizzare le condizioni di vita, a maturare atteggiamenti affettivamente gratificanti nelle reti di relazioni, a ridurre il mondo sociale al proprio mondo «familiare»;
    - evidenziano il superamento di uno stato di attesa; non vivono più la condizione giovanile come momento propedeutico all'ingresso nei ruoli adulti; vivono cioè come se già fossero adulti o autonomi a tutti gli effetti.
    È in questo quadro di tendenze e di istanze che è possibile cogliere il «nocciolo duro» della particolarità delle condizioni di vita e dei tratti culturali dei giovani degli anni 80.
    Se non si tiene presente questo quadro problematico complessivo, se si enfatizza in questo insieme di atteggiamenti e di comportamenti qualche elemento isolato, si rischia di non cogliere la novità o la specificità delle condizioni di vita delle giovani generazioni; il carattere cioè che li differenzia dalle generazioni giovanili precedenti.

    SCUOLA E EDUCAZIONE

    Domanda. Uno dei luoghi tipici dell'educazione è sempre stato l'ambiente scolastico. La riscoperta da parte dei giovani di un certo impegno scolastico e da parte della scuola di una più precisa identità, non offre un'occasione favorevole all'educazione dei giovani?

    Risposta. Intanto vorrei prendere posizione contro quella tendenza presente oggi in molti studiosi che «identifica» la sociologia dell'educazione con la sociologia dei processi formativi in ambito scolastico, che danno per scontato che la scuola sia un ambiente decisivo o prevalente nel processo di formazione della personalità dei giovani d'oggi.
    Con ciò non intendo mettere in dubbio l'importanza dell'esperienza scolastica nella vita dei giovani, ma soltanto ricordare che in una società altamente differenziata i giovani sono inseriti in un intreccio di appartenenze e di riferimenti, che relega l'ambiente scolastico ad uno dei molteplici contesti, ad una delle varie agenzie «formative» all'interno delle quali si articola la loro vita quotidiana.
    Vorrei intanto osservare che i giovani tendono a rivalutare la scuola come ambiente di socializzazione, come un luogo in cui maturare rapporti interpersonali soddisfacenti, come un ambito che aumenta le opportunità relazionali oltre a quelle già riscontrabili in altri ambienti. La scuola, dunque, più come un luogo di esperienza interpersonale (nel rapporto con gli adulti, nel rapporto con i coetanei) che luogo specificamente formativo.
    Inoltre l'atteggiamento più indulgente e possibilista (meno conflittuale e oppositivo) che caratterizza i giovani nei confronti della scuola sembra una conseguenza diretta del fatto che le giovani generazioni tendono a non identificarsi con una sola appartenenza e si caratterizzano per un modello di realizzazione e di riferimento assai variegato e ampio.
    Ne deriva quindi un atteggiamento che - rispetto al passato - si presenta come più tollerante e possibilista nei confronti della scuola, ma anche meno orientato da precise richieste o meno informato da rilevanti istanze e attese.
    È pur vero che i giovani, mediamente, desiderano una scuola che funzioni, in grado di inserirli nella società (queste sono le dichiarazioni esplicite, quelle meno mascherate e più evidenti).
    L'impressione però è che anche questa domanda sia attraversata da una sorta di disincanto nei confronti delle possibilità del sistema sociale, e comunque non sia sostenuta da atteggiamenti conseguenti a perseguire quei risultati (per quanto attiene alle possibilità dei giovani stessi).

    Ricupero della scuola a una prospettiva educativa

    Quanto detto lascia intravvedere numerosi problemi educativi per chi opera in ambito scolastico, per recuperare l'ambiente della scuola ad una seria prospettiva formativa e educativa.
    Credo allora non sia sufficiente - di fronte al quadro descritto - ipotizzare una rivitalizzazione della scuola sulla base di un accordo con le «domande» positive che i giovani esprimono nei confronti di questa istituzione. I problemi sembrano più strutturali e rilevanti. Come recuperare la dimensione educativa di una scuola che opera in un contesto di differenziazione sociale (pluralismo dei riferimenti degli insegnanti e dei genitori, varietà delle idee formative sottese ai programmi scolastici, orientamento dei giovani a vivere in modo frammentario e differenziato)?
    Come essere propositivi in ambito scolastico con soggetti refrattari a identificarsi con l'ambiente, portati dall'esperienza della differenziazione sociale a essere tolleranti e selettivi o a dichiarare un impegno che non esce dai limiti della genericità?
    In che modo la scuola può essere educativamente propositiva nel ruolo di uno tra i tanti ambienti «formativi» all'interno dei quali il giovane scandisce la propria esistenza?
    Come può questa istituzione riproporre la specificità di una formazione culturale dei giovani a fronte di attese prevalenti di socializzazione o di molteplici agenzie che agiscono a livello culturale nella nostra società?
    Ancora, come far fronte all'atteggiamento adattivo, tendente al grigio, che i giovani evidenziano nei confronti dell'ambiente scolastico?

    I «NUOVI» VALORI

    Domanda. Non possono esserci notevoli risvolti educativi nella nuova cultura giovanile, quegli elementi almeno che si rifanno ai valori «post- materialistici» dell'ecologia, della pace, della tolleranza? E quali problemi emergono?

    Risposta. Vi è certo una moda ricorrente e convenzionale che attribuisce alle giovani generazioni atteggiamenti di novità culturale la cui natura è ancora tutta da verificare.
    Mi riferisco alla marcata enfatizzazione dell'attenzione dei giovani alle dimensioni della pace, della solidarietà, dell'equilibrio dell'ambiente naturale, ecc.
    Con ciò non intendo negare che una quota, anche rilevante, di soggetti giovanili possa essere informata da tali attese, né che la sensibilità delle giovani generazioni sia incline a quell'espressione culturale definita in genere come affermazione dei valori post-materialistici. È questo però un riconoscimento che non deve dar adito a facili generalizzazioni e che - soprattutto - non deve essere esentato da quell'atteggiamento di verifica critica che rappresenta una chiara precondizione per un'analisi scientifica della realtà.
    In linea teorica i giovani d'oggi possono essere culturalmente più affini ai valori post-materialistici delle generazioni che li hanno preceduti. Ciò da un lato come esito di una situazione sociale e di una condizione economica che mediamente solleva i soggetti dalla preoccupazione del raggiungimento del livello della sussistenza, che permette una maggior attenzione agli aspetti soggettivi del vivere; e dall'altro lato in rapporto ad un clima culturale particolarmente sensibile ai fattori che possono condizionare o favorire la qualità della vita a livello collettivo.
    In tutti i casi questa maggior possibilità non deve essere considerata come un dato acquisito.
    Essa in particolare può essere attraversata da quella dimensione di ambivalenza che molti osservatori considerano un tratto culturale tipico del tempo presente. In questo caso l'ambivalenza può manifestarsi nel fatto di essere di fronte ad un'uniformità più di apparenza che di sostanza.
    Più che oggetto di interiorizzazione e di maturazione, i valori della pace, della solidarietà, dell'ecologia, possono essere assunti dai giovani in termini di facile uniformità a valori ideali largamente enfatizzati dai mass media, ad aspetti che appaiono irrinunciabili per le attuali condizioni di vita.
    La plausibilità di questa ipotesi si fonda sulla difficoltà di individuare nelle condizioni di vita di larghe quote di popolazione giovanile specifici indicatori dell'orientamento culturale qui analizzato; o - per essere più precisi - sul fatto che questo presunto allargato orientamento culturale non sembra misurarsi con quello che potremmo definire il problema della «compatibilità» di detti valori con le attuali condizioni di vita. In altri termini, l'esistenza di ampie quote di popolazione giovanile appare ancor troppo informata da quelle prospettive individualistiche di realizzazione, da quella polarizzazione su un modello consumistico, da quella ricerca di benessere-stabilità-sicurezza, che si presentano come indicatori antitetici rispetto all'interiorizzazione - da parte degli stessi soggetti - di orientamenti pacifisti, ecologici, solidali, ecc.
    Il rischio, pertanto, è che anche questi «valori» siano oggetto più di consumo che di interiorizzazione, siano fatti propri più in termini ideali che reali, non inneschino nei soggetti particolari «mobilitazioni»; che i soggetti non siano in grado (per quanto è nella sfera delle proprie possibilità) di affrontare la decisiva questione della compatibilità di detti valori con le scelte pratiche o i condizionamenti della propria esistenza.
    Il problema educativo sotteso alla questione qui sollevata è evidente.
    Qual è il livello di interiorizzazione di molti valori che vengono nel tempo presente attribuiti alle giovani generazioni o che i giovani stessi dichiarano come proprio patrimonio culturale?
    Come rapportarsi a soggetti orientati (magari inconsapevolmente) a far fronte ai problemi del significato con una doppia strategia: da un lato ad ancorarsi a valori fondanti, originari, come rispecchiamento di una certa idea di sé da salvaguardare a livello ideale; dall'altro lato ad affidare la propria vita quotidiana a orientamenti e «valori» molto meno «progressisti» e assai più contraddittori di quelli affermati a livello ideale? E ciò, in molti casi, senza avvertire l'incongruenza di tale condizione o la necessità di comporre le contraddizioni.
    Sono problemi aperti, che in ogni caso costringono la pedogogia e ogni buon educatore a fare con essi i conti.


    T e r z a
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