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    Fare politica da cristiani. Introduzione



    (NPG 1991-3/4-35)


    L'azione politica e la sua rifondazione su basi etiche interpella con forza la fede dei cristiani.
    Nel corso di questo ventennio tante cose sono lentamente maturate, mentre l'autocomprensione della comunità cristiana verso i compiti storici della liberazione nella sua dimensione collettiva e strutturale è cresciuta grandemente, insieme alla preoccupazione per la formazione dei laici all'impegno politico ispirato e misurato dalla fede.
    Tanti dati che sembravano pacificamente conquistati sembrano ora ritornare al centro di vivaci polemiche, rilanciati dalla novità della situazione degli anni '90 e dalla crisi profonda della politica.
    Affiorano anche sensibilità e consapevolezze nuove, come giusta reazione nei confronti di soluzioni troppo sbrigative.
    Questa parte del dossier si propone di approfondire con la necessaria distensione i problemi teologici ed antropologici che sottendono le molteplici soluzioni pastorali e la stessa pluralità di modelli e di comprensioni.
    Non per farne una passerella, ma per rilanciare con la decisione necessaria una precisa collocazione anche teologica all'interno del pluralismo che attraversa la stessa comunità ecclesiale, e per individuare anche i punti comuni di condivisione che sono ormai maturati nelle comunità ecclesiali nel lungo post-concilio.

    - Il primo contributo, di padre Bartolomeo Sorge, tratto dalla voce «Politica» del Dizionario di Pastorale Giovanile (LDC 1989) per gentile concessione degli autori, ci offre un contributo prezioso, in chiave diacronica, intorno ai nodi principali del rapporto fede cristiana e politica, maturato dal post-concilio ad oggi all'interno della comunità ecclesiale, con particolare riferimento al contesto nazionale.
    P. Sorge sviluppa il nesso fede/cultura/politica riaffermando anzitutto la ulteriorità della fede rispetto ad ogni cultura, ma richiamando al contempo la necessaria inculturazione della fede cristiana secondo la prospettiva incarnazionistica.
    Al cuore dunque del nesso inscindibile e sempre di difficile equilibrio tra fede/cultura, per superarne la frattura e per evitare pericolosi riduzionismi.
    Entro questo quadro si pone il problema della politica, cioè della politica in quanto mediazione tra cultura sociale ed istituzioni e struttura.
    Da questa prospettiva egli sottolinea l'aspirazione che deve avere ogni prassi politica orientata da una cultura fecondata dalla fede cristiana; riafferma il necessario pluralismo della cultura e delle culture politiche cristianamente ispirate, e perciò una corretta laicità della politica; interpreta la crisi della politica utilizzando quella che ormai è divenuta una distinzione da noi stessi assunta: la frattura tra la politica con la «P» maiuscola e quella con la «p» minuscola, cioè la separazione tra la «cultura» politica del retroterra sociale e popolare, e la prassi politica, degenerata in partitocrazia.
    La seconda parte del contributo sviluppa il senso di una ispirazione cristiana della politica, e indica la doppia funzione che la fede viene a giocare nella vita e nell'impegno politico del cristiano autonomo e responsabile, cioè adulto nella fede, anche in politica.
    In ultimo l'autore ribadisce un dato maturato soprattutto di recente nell'autocomprensione ecclesiale.
    Il rapporto fede-politica interpella non solo il singolo credente, ma la comunità ecclesiale nella sua collettività.
    Da qui il modo tipico della comunità di esprimere la propria responsabilità nel campo politico, che viene definito di natura «pastorale».
    Perciò il ricupero genuino di ciò che è stata chiamata la «scelta religiosa» quale «presenza» tipica capace di superare ogni collateralismo.
    Infine un modo nuovo di ripensare i rapporti tra Chiesa, società e Stato.

    - Nel contributo successivo, di stampo prettamente teologico, Carlo Molari indica le ragioni teologiche che stanno a monte dell'impegno politico del cristiano.
    Nel riferimento indispensabile a Gesù e al suo modo di vivere la fede in Dio, ogni credente può ritrovare il criterio e gli atteggiamenti teologici che assicurano l'ispirazione cristiana di ogni scelta di vita, impegno politico compreso.
    Quale dunque il riferimento a Gesù per il cristiano?
    La causa del Regno, quale grande causa di Dio per la vita di tutti i poveri del mondo, è stata il riferimento costante e la preoccupazione fondamentale di Gesù.
    In essa egli ha vissuto la fedeltà radicale allo Spirito nelle più diverse circostanze della vita.
    La rilettura della «questione del tributo» può essere, tra i molti riferimenti, un modello paradigmatico.
    In esso l'autore ritrova un criterio per il cristiano: il cristiano, come Gesù, pur trovandosi a vivere il conflitto insopprimibile tra ideale assoluto (la causa della vita a partire dai poveri) e concretezza storica perfettibile (fatta spesso anche di impotenza di fronte all'ingiustizia) riconosce la possibilità di poter vivere in ogni situazione la fedeltà a Dio e alla sua causa.
    Nella seconda parte dell'articolo vengono indicate le tre componenti da analizzare per capire le dinamiche della fede nelle diverse scelte della vita politica.
    Queste tre componenti sono così identificate: le diverse modalità di concepire l'azione di Dio nella storia umana, il modo di interpretate la grande legge salvifica dell'Incarnazione (cioè la solidarietà salvifica di Dio con la storia dell'uomo) ed il modo di pensare il rapporto tra storia e Regno di Dio.
    Dall'intreccio di queste tre componenti, interpretate in modi molto diversi, ha ragione il pluralismo teologico e la pluralità delle interpretazioni.
    La terza parte rileva la novità storica dell'atteggiamento della Chiesa nei confronti dei problemi del mondo e della politica in particolare: nel significato nuovo dell'uso di «dottrina sociale della chiesa» e nell'autocomprensione della propria funzione specifica di fronte al mondo.
    Vengono inoltre offerti in conclusione alcuni dati che sembrano oggi acquisiti e le questioni aperte da approfondire.
    Per non ricadere nella fuga dal presente o nel terrorismo della virtù o ancora nella rincorsa idolatrica del potere effimero, il credente riscopre la rilevanza, per il suo destino futuro, dell'accoglienza del dono di Dio anche secondo le dinamiche comunitarie, sociali e politiche, e insieme sa contenere la tensione tra ideale e contingente, ma per introdurre in ogni situazione storica delle dinamiche continue di rinnovamento, di liberazione.

    - Il contributo di Giannino Piana fa luce sulla crisi etica della politica e sul rapporto, per nulla oggi riaffermato dalla cultura politica nonostante i tanti proclami, tra etica e politica, tra recupero del fondamento, etica e politica.
    All'estensione progressiva del campo della politica, non più circoscrivibile entro l'area delle istituzioni tradizionali, concorre di certo anche la complessità sociale e il conseguente conflitto stato/società.
    Contemporaneamente assistiamo però anche all'indebolimento della politica per il processo di secolarizzazione che l'ha raggiunta.
    La caduta delle ideologie rappresenta anche la fine dei «riferimenti forti» della politica.
    Le ragioni della separazione, anzi della dicotomia, tra etica e politica affondano le loro radici all'origine della modernità.
    L'apparente ritorno dell'etica entro un orizzonte di politeismo di valori e di intensa soggettivizzazione segna perciò anche la «fine dell'etica»; e l'esito appare sempre più quello del decisionismo, cioè di una politica ricondotta a puro esercizio di volontà di potenza.
    Un nuovo rapporto tra etica e politica non può essere ricercato se non attraverso la «ricerca del fondamento».
    Per l'autore la possibilità di pervenire alla produzione di un'etica normativa per la politica è legata all'esistenza, sul terreno della coscienza soggettiva, di una forte istanza di emancipazione, ad un principio di «redenzione del mondo» che il soggetto non pone, ma trova nel mondo come luce per la conoscenza umana.
    La teologia postconciliare si è soprattutto impegnata nella riaffermazione della pericolosa e inquietante «memoria della passione» per assicurare uno spessore oggettivo e teologico a questa istanza fondamentale.
    Qui sta il punto d'incontro tra etica e fede cristiana, e la riscoperta di una istanza morale assoluta nel ricupero di un'attenzione privilegiata alla persona, al suo spessore ontologico, ai suoi diritti. Qui l'iniezione di nuova fantasia morale nella politica.
    Infine la questione dei criteri in base ai quali formulare le diverse opzioni politiche: anzitutto l'efficacia storica di ogni istanza emancipatrice, per superare la distinzione weberiana tra etica della convinzione e etica della responsabilità; poi il ripensamento necessario del problema del potere e di quello dell'ideologia in funzione emancipatrice; infine il grosso nodo connesso all'esercizio effettivo della democrazia per un ampliamento della partecipazione e un giusto equilibrio tra rappresentanza e decisione nel rispetto della diversità.


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