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    Enti locali, associazioni giovanili e progetti giovani



    Roberto Maurizio

    (NPG 1991-09-52)

    30 marzo 1991. A questa data conclude i suoi lavori la prima Commissione parlamentare d'inchiesta sulla condizione giovanile, istituita il primo giugno 1988. In attesa di poter analizzare il rapporto finale della commissione ci dobbiamo accontentare di leggere e valutare lo schema di proposta di legge elaborato dalla Commissione inerente le politiche giovanili in Italia.
    Con tale proposta la commissione rilancia fortemente le idee e gli orientamenti già espressi nel 1985 dall'Anno Internazionale della Gioventù: sono occorsi ben sei anni alle istituzioni centrali dello stato per accogliere suggerimenti ed inviti (pochi se si pensa a quanti sono trascorsi senza riforma del settore assistenziale o in attesa della riforma della secondaria superiore ...) e per dare corso ad uno specifico iter legislativo in materia di politiche giovanili (che non sappiamo, del resto, come si concluderà).
    Il contenuto della proposta di legge si collega a quanto già espresso nei precedenti articoli (NPG n° 7, 10-1988) in riferimento ai progetti giovani a livello locale: riconoscimento della necessità di un chiaro e preciso riferimento istituzionale a livello nazionale e locale e riconoscimento del diritto dei giovani ad autorappresentarsi.
    In specifico - per quanto riguarda questo secondo aspetto - l'art. 2 della proposta recita: «Le associazioni giovanili attive nel territorio comunale (...) concorrono alla formazione di organismi rappresentativi a carattere permanente, anche a dimensione sovracomunale o provinciale, che esprimono pareri e formulano proposte alle amministrazioni comunali nelle materie definite dai regolamenti». La proposta prevede a tal fine la costituzione di un Consiglio della gioventù nazionale e di uno per ciascuna regione; auspica la costituzione di Consigli (Forum o Consulte) a livello locale e prevede l'istituzione di un albo nazionale e di albi regionali delle associazioni giovanili.
    Sembra quindi che si avvii a conclusione un lungo, e non lineare, percorso di avvicinamento tra istituzioni ed enti locali ed associazionismo giovanile.

    ASSOCIAZIONI E PROGETTI GIOVANI

    Questo esito coerentemente si inserisce in un momento di particolare attenzione intorno ed all'interno dell'associazionismo (qui inteso come categoria non solo giovanile). Mi riferisco in particolare ai tre rapporti di ricerca dell'IREF sull'associazionismo in Ita lia (1984, 1986, 1990); alla Convenzione dell'associazionismo - che vede unite le più importanti associazioni italiane - nella ricerca di una posizione di maggior tutela (con la proposta di una legge-quadro sull'associazionismo); al seminario (1985) ed alla ricerca successiva, elaborata dall'Ateneo Salesiano di Roma; iniziative promosse dal Coordinamento nazionale delle associazioni giovanili per la prevenzione del disagio; al convegno promosso dalla Comunità di Capodarco (1989) su associazionismo ed emarginazione; alle molte ricerche, ai molti articoli e studi che si trovano su riviste specializzate con sempre più frequenza.

    La moda «associazionismo»

    Un panorama quindi particolarmente vivace che ha rilanciato fortemente il dibattito ed il confronto nell'associazionismo e sull'associazionismo, all'interno dei quali - come normalmente succede - sono emerse posizioni diversificate nei contenuti, nei progetti, nello stile, nelle premesse culturali. Un panorama quindi che ha permesso di cogliere comé anche l'associazionismo viva profondamente immerso nella società e ne assuma i caratteri principali. La complessità sociale - che tutti richiamano - è una delle questioni che attraversa anche il fenomeno «associazionismo» e configura la moltiplicazione dei sottosistemi, dei linguaggi, dei modi di vivere, dei significati come ricordava già G. Bianchi (NPG n° 6-1990): «Sarebbe scorretto rappresentare le associazioni come un corpo unico, coeso, quando invece - anche al loro interno - notevoli sono le differenze e le specificità». Se in tutto questo lavoro e dispendio di energie e risorse per studi e ricerche, largo spazio hanno avuto le questioni del rapporto tra associazioni e giovani e del rapporto tra enti locali e mondo giovanile (che non credo opportuno qui riprendere), minore attenzione sembra essere dedicata al rapporto tra associazioni giovanili ed istituzioni. Con quest'articolo cercheremo di esplorare maggiormente quest'area di rapporti, utilizzando dati e risultati di diverse ricerche condotte negli ultimi anni, per riflettere sulla natura e sulle configurazioni di questi rapporti e per delineare alcuni nodi e prospettive.

    Un po' di storia

    In un recente saggio di C. Ranci si afferma che i fenomeni associativi tra i giovani sono in espansione ed assumono una pluralità di forme e contenuti sinora mai osservata. Ma non è sempre stato così.
    La fine degli anni '70, infatti, presentava una situazione giovanile di forte crisi: la progressiva marginalità dell'associazionismo studentesco, la dissoluzione di molti progetti politici ed il ribaltamento della conflittualità tutta interiore di cambiamento individuale evidenziano una maggiore centralità dell'aggregazione tra pari, attraverso forme e canali informali e la contrazione dei canali di mediazione tra le forme della soggettività e quella pubblica delle relazioni sociali.
    In questa situazione alcune città più di altre (Bologna, Torino, Milano, Roma e Padova) hanno vissuto momenti di profonda crisi: rottura delle relazioni tra giovani ed istituzioni, necessità di far fronte agli atteggiamenti di dura opposizione di frange del movimento giovanile (il «famoso» '77), l'eplodere della questione tossicodipendenze...
    I Progetti giovani nascono, a Bologna e Torino in particolare, anche come risposta a questo quadro d'insieme: in un momento di forte crisi dell'associazionismo tradizionale, in un momento di forte trasformazione sociale e giovanile in particolare, alcuni Comuni hanno giocato la carta del loro totale coinvolgimento nelle vicende giovanili per attenuare le tensioni sociali e per recuperare maggiore credibilità agli occhi degli stessi giovani, per costruire un rapporto positivo con il mondo del volontariato giovanile attento alle questioni dell'emarginazione e del disagio.
    Gli anni '80 per entrambi i soggetti (istituzioni ed associazioni giovanili) costituiscono un decennio di forte sviluppo.
    Ai Progetti di Bologna e Torino se ne aggiungono molti altri, che con alterne vicende testimoniano un rinnovato interesse (concreto e visibile) delle istituzioni pubbliche verso i giovani. Si arriva a più riprese, come già ricordato, a configurare l'istituzione di un Ministero per la gioventù o di un dipartimento per le politiche giovanili; viene istituita una specifica commissione d'inchiesta parlamentare; si moltiplicano progetti nazionali (Informagiovani, Cilog ...).
    «Il versante associativo storico compie in quegli anni - secondo Ranci - un significativo percorso di rinnovamento e di de-ideologizzazione, presentandosi pronto, al momento della crisi del movimento giovanile, a recepire parte delle nuove istanze». Minore controllo ideologico e normativo, riconoscimento dell'importanza delle valenze comunicative ed affettive dello stare insieme, rottura delle rigide segmentazioni interne che dividevano le associazioni maschili e femminili, maggiore disponibilità a concedere spazi associativi autogestiti, rinunce ai richiami di ordine universalistico, riconoscimento di nuove istanze e bisogni dei giovani.
    Sono questi i cambiamenti maggiori avvenuti sul piano organizzativo nell'associazionismo storico. Ranci sottolinea che la riorganizzazione interna aumenta, soprattutto in quello religioso, e fa emergere una diversificazione ed una pluralità di posizioni e di forme pressoché sconosciute prima.
    All'abbandono dell'impegno politico (e crisi delle associazioni politiche), ed alla fase di transizione di quelle religiose si accompagna il fenomeno della crescita di iniziative nel campo ricreativo, culturale e sportivo. «L'associazionismo diventa prevalentemente un modo ed una proposta per occupare intelligentemente e socialmente il proprio tempo libero».
    Sempre Ranci sottolinea come si sviluppi così un'area associativa, la cui presenza era precedentemente ristretta ai giovani più avvantaggiati socialmente, che presenta alcune caratteristiche nuove rispetto al passato:
    - mancanza di legami tra i diversi ambiti aggregativi;
    - mancanza di centrali organizzative o ideologiche cui fare riferimento;
    - nascita e sviluppo delle associazioni di tipo autonomo e strettamente legate al contesto territoriale;
    - forte specificità di obiettivi, attività, interessi messi in gioco, posizioni personali rispetto al gruppo;
    - risultati veloci, visibili e verificabili nel breve periodo;
    - scarso livello di identificazione nel gruppo e basso profilo degli obiettivi e delle prospettive;
    - flessibilità dell'organizzazione e capacità di diversificazione e cambiamento.
    Negli anni '80, se è vero quindi che l'iniziativa politica degli Enti locali (il porsi come osservatore attento dei mutamenti sociali, il voler essere ascoltatore dei bisogni emergenti ed interlocutore autorevole sia nei confronti dei giovani sia nei confronti delle varie agenzie presenti sul territorio) si è sviluppata anche in assenza di una «forte» presenza associativa, va rilevato come i mutamenti nell'associazionismo hanno determinato nuove domande alle istituzioni:
    - bisogno di legittimazione dei percorsi di rinnovamento e del nuovo modo di essere e fare associazionismo;
    - bisogno di riconoscimento e supporto;
    - bisogno di servizi qualificati e di orientamento;
    - bisogno di confronto su «cose» (progetti operativi, azioni concrete...) e non solo su ideologie, valori...
    Gli anni '80 vengono a costituirsi pertanto come periodo di forte interazione tra associazionismo giovanile ed istituzioni pubbliche (non solo quelle locali).
    I primi effetti sono già visibili a metà degli anni Ottanta.
    La ricerca dell'ANCI sulle attività dei Comuni per i giovani (1985) rileva come il 60% dei Comuni intervistati afferma di prestare attenzione all'associazionismo; e come nel 69% siano in atto iniziative di promozione dell'associazionismo collocandosi nei suoi confronti sia in una funzione di servizio, sia di intervento. Tra le iniziative prevalgono le concessioni di sedi locali. Meno consistente risulta essere una modalità progettuale e di collaborazione (da ricordare anche il comparire di «azioni» innovative quali: l'affitto e concessione di centri stampa, l'uso di laboratori, l'esenzione da alcuni pagamenti).
    Lo sforzo che è stato fatto, fotografato dalla ricerca, è interessante: si percepisce una realtà in movimento, ma si avvertono anche le tendenze a privilegiare iniziative «deboli», scarsamente «impegnative» e la difficoltà a superare confini e preconcetti preesistenti.
    La direzione intrapresa sembra però essere abbastanza chiara se si considera un secondo insieme di dati ottenuti dalla ricerca. Nel 14% dei Comuni intervistati è stato istituito il Forum dei giovani e nel 67% vi sono rapporti diretti, ma informali, con le diverse realtà giovanili
    Uno sguardo diretto alle realtà giovanili con le quali i Comuni interagiscono ci aiuta ancor di più: nel 72% sono associazioni, nel 49% gruppi di base, nel 48% movimenti religiosi, nel 41% movimenti politici. Ed ancora nel 38% dei Comuni esiste la possibilità di riconoscimento dei gruppi che non hanno personalità giuridica.
    Nello sviluppo dei Progetti giovani negli anni successivi si accentua ancor di più questo rapporto con l'associazionismo giovanile (quello tradizionale e storico e quello nuovo) e quest'ultimo incide in misura sempre crescente, tant'è che diversi Progetti si sviluppano solo grazie al coinvolgimento, al ruolo ed alle capacità dell'associazionismo.
    Uno sguardo complessivo alla realtà dei Progetti giovani permette di delineare alcune caratteristiche del rapporto tra Progetti giovani ed associazionismo.
    In prima analisi va riconosciuto come in diversi casi l'associazionismo giovanile sia una delle origini causali del Progetto: da un'associazione, o più facilmente dall'azione di diverse associazioni, vengono esercitate pressioni sull'amministrazione comunale per la creazione di attività specifiche per i giovani. Uno dei casi più recenti di questo tipo è il Forum dell'Associazionismo giovanile costituitosi in Val d'Aosta nel 1990, che ha iniziato ad esercitare pressioni, ad elaborare proposte di legge regionale, attivare proprie iniziative affinché la Regione Val d'Aosta ed i diversi Comuni si impegnino per offrire ai giovani strumenti ed opportunità.
    In seconda analisi va evidenziato come tale rapporto dia luogo a differenti livelli di coinvolgimento ed a differenti configurazioni di ruolo dell'associazionismo, che in sintesi possono così definire l'associazionismo:
    - come soggetto politico;
    - come testimone privilegiato;
    - come risorsa operativa;
    - come «punto rete» nella prevenzione del disagio.

    Lo stile delle Amministrazioni comunali

    Prima ancora di prendere in considerazione ciascuna di queste configurazioni, possono essere qui riprese alcune considerazioni tratte dalla ricerca condotta da Gioventù Aclista nel 1985, dove veniva rilevato come a seconda del modo in cui nasce un Progetto si riscontra una corrispondente caratterizzazione dello stile d'azione dell'Amministrazione, in relazione al mondo giovanile stesso ed alle associazioni che in esso vi operano con orientamenti volontaristici.
    Gioventù Aclista delineava tre possibili tipologie o stili di relazione:
    1. Il modello istituzionale totalizzante, cioè quello dove il fulcro delle iniziative ha sede nella struttura politica del Comune; nel quale si crea un sistema amministrativo proprio, dotato di ramificazioni più o meno capillari sul territorio, mediante i quali si «coinvolge» il mondo giovanile, lo si «aggrega», lo si mobilita. Tale modello si caratterizza per un movimento unidirezionale giovani-Amministrazione; per una certa «sfiducia» nei confronti delle realtà associative, e per l'intento di riportare tutto ciò che si muove nell'area di intervento ad un «livello superiore di chiarezza» di cui l'Amministrazione sarebbe portatrice.
    2. Il modello di stimolazione sociale si muove invece nel senso opposto: utilizzare gli strumenti e gli incentivi di cui è in possesso l'Aministrazione per stimolare l'impegno di gruppi ed associazioni impegnati sui temi giovanili, per allargare l'ambito di intervento e creare un effetto-catena a contenuto volontario e spontaneo, anche se indirizzato dagli interventi amministrativi. In tal caso non avremmo iniziative che spiccano per chiarezza e organicità, ma direzioni molteplici di un movimento dai caratteri vitali e quasi-spontanei.
    3. Il modello educativo è inteso come un livello evoluto del modello di stimolazione: in questo caso il Comune è in grado di orientare i vari interventi non tanto nella creazione di iniziative, ma specialmente nel far maturare una sensibilità nuova, una consapevolezza culturale ed etica comune tra i vari soggetti che intervengono nel campo giovanile.
    L'intervento educativo è quindi connesso ad un'opera di raccordo tra le varie istituzioni e le varie agenzie che si muovono nel campo considerato, e si pone come tentativo di dare un orizzonte omogeneo ed unitario a tali soggetti. In tal caso, l'unità non risiederebbe su una visione politico-ideologica (modello totalizzante), ma sull'orientamento educativo ed etico teso alla realizzazione di una mentalità nuova tra amministratori ed educatori.

    L'ASSOCIAZIONISMO COME...

    ... soggetto politico

    È curioso notare come proprio nel momento in cui l'associazionismo giovanile acquisisce caratteristiche meno ideologiche e totalizzanti del passato (e nel momento in cui forte è la crisi dei movimenti giovanili politici e studenteschi) esso viene sempre più visto come soggetto politico dotato di capacità di rappresentanza delle istanze giovanili e come soggetto capace di un forte protagonismo.
    Gli esempi già descritti (l'ipotesi di un Consiglio nazionale e regionale della gioventù, il Forum delle associazioni della Val d'Aosta) ed altri ancora che si potrebbero aggiungere, sono una testimonianza che il percorso compiuto dall'associazionismo - richiamato in precedenza - permette oggi un reale incontro con le istituzioni pubbliche.
    «Le forme associative nello scenario più attuale - sottolinea Ranci - appaiono sensibilmente più aperte di quelle degli anni Sessanta. In queste l'esterno era eluso ed ignorato o veniva vissuto in termini conflittuali. La specificità dei modelli più recenti permette invece l'utilizzo continuo di risorse attinte dall'esterno, rende possibile l'instaurarsi di collegamenti o di collaborazioni con altri gruppi o istituzioni, anche se prevale spesso l'orientamento a limitare lo scambio a specifiche iniziative, tenendo il gruppo a mantenere una completa autonomia».
    Tutto ciò permette all'associazionismo educativo, culturale, sportivo - e di riflesso anche a quello politico - di proporsi alla società ed alle istituzioni con una maggiore capacità di mediazione politica e culturale tra i bisogni e le istanze giovanili ed i bisogni della società adulta. Tutto ciò permette altresì al mondo adulto ed alle istituzioni di individuare nelle associazioni un partner indispensabile per garantire l'efficacia operativa di un Progetto, ma soprattutto la sua accettazione all'interno del mondo giovanile.
    In questo quadro di attese si collocano le principali esperienze di protagonismo politico delle associazioni: le Consulte (o Forum) ed i coordinamenti nazionali.
    Concretamente come stanno andando queste esperienze?
    Sui ventisei Progetti giovani censiti dal Gruppo Abele in sette era presente una Consulta giovanile (Torino, Forli, Lucca, Livorno, Vicenza, Modena, Bolzano) e altri undici Comuni prevedevano la sua istituzione a breve.
    In una ricerca condotta dall'ANCI tra il 1988 ed il 1989 su 110 Comuni censiti il 25% ha istituito la Consulta ed il 64% dichiara di volerla istituire entro due anni al massimo. Fra chi l'ha istituita si va da un minimo di nove associazioni aderenti ad un massimo di 83, con una media di circa 30 associazioni ogni Consulta. Circa il giudizio sul funzionamento, infine, il 60% ritiene che sia buono ed il 40% che sia mediocre o negativo.
    Sono proprio i dati di quest'ultima ricerca che confermano tutte le valutazioni sinora effettuate intorno alla «forma» Consulta: alto livello di attese ed alto livello di complessità organizzativa che non sempre trovano riscontro nelle strutture organizzative e nelle realizzazioni concrete; estrema eterogeneità delle esperienze tali da non riuscire a ricostruire una formula valida esportabile; rilevante incidenza degli stili personali di presenza e partecipazione e nel contempo estrema facilità che si scada in sterili ripetizioni dei consigli comunali o - peggio ancora - delle difficili relazioni tra le organizzazioni adulte.
    L'esperienza Consulta rappresenta tuttora - nonostante vi sia una chiara linea di tendenza al progressivo aumento numerico - un nodo irrisolto nell'ambito delle politiche giovanili. I casi più felici sembrano essere quelli coincidenti con una forte autonomia della Consulta dal Comune stesso: laddove la Consulta esce dallo schema tradizionale del gioco a tutto campo (su tutti i fronti della condizione giovanile) per accettare di giocare su campi più specifici e ristretti e gestire anche proprie iniziative, e laddove cioè la Consulta nasce per interesse delle Associazioni più che del Comune, sembrano esistere le condizioni di buon funzionamento.
    Migliore sorte hanno avuto alcuni tentativi di collegamenti stabili a livello nazionale (il coordinamento nazionale delle associazioni giovanili per la prevenzione del disagio, la Consulta nazionale giovanile per l'occupazione giovanile e - per certi versi - il coordinamento nazionale degli Enti di promozione sportiva) soprattutto nella capacità di agire su specifici contenuti, di decidere di intrattenere con le istituzioni politiche ed amministrative nazionali rapporti di estrema chiarezza; anche se non sempre ottenendo grandi risultati.
    Il triplo versante (locale, regionale, nazionale), di interazione strutturata con le istituzioni porrà all'associazionismo non pochi interrogativi sulle sue capacità organizzative e sulla capacità di mantenere qualitativamente elevato, ma soprattutto coerente, l'apporto delle singole associazioni ai tre livelli. Ora che l'obiettivo del riconoscimento dell'associazionismo come soggetto politico sembra quasi raggiunto, crescono inevitabilmente le responsabilità, gli oneri e le difficoltà nelle associazioni. Non ultima la necessità di avere quadri dirigenti preparati ad interagire con altre agenzie e con le istituzioni: in altre parole la capacità di saper lavorare con le differenze dei punti di vista, delle storie, degli approcci.

    ... testimone privilegiato

    Chi sono i giovani, come si comportano, cosa vogliono, a quali modelli si ispirano, quali prospettive hanno, quali problemi vivono? Sono queste alcune delle domande oggetto delle numerose ricerche sui giovani e sulla condizione giovanile.
    I giovani sono sempre più oggetto di analisi, di tentativi di interpretazione, anche transazionale, lungo direttrici comparate, alla ricerca della possibile individuazione di un minimo comune denominatore rispetto ai loro modelli culturali ed al loro modo di vivere ed interagire, in generale e all'interno delle singole società.
    Questa valutazione è formulata da R. Rauty nella premessa ad una rassegna sugli studi e le ricerche sulla questione giovanile nel periodo 1970-1987, ed è seguita da un'approfondita analisi dello sviluppo che la ricerca sociale ha avuto in questi ultimi venti anni proprio in relazione al tema «giovani».
    Ad un'attenta lettura non sfuggono alcune questioni che rivestono, sul piano operativo, notevole rilevanza. In particolare Rauty ne sottolinea alcune: quali referenti, percorsi e problemi sociali vengono presi in considerazione nelle ricerche sui giovani? Quali categorie interpretative vengono utilizzate?
    Rispetto a questi due nodi il percorso compiuto dalle ricerche - come evidenzia l'autore - mostra caratteri di forte riduzione della complessità, per i luoghi di ricerca presi in esame (in particolare il binomio scuola e lavoro e la politica) ed in quanto incardinato principalmente sulle condizioni strutturali dell'esistenza giovanile. Scarsa l'attenzione alla sfera della soggettività dei giovani; al senso e significato rappresentato dalle diverse esperienze di tempo libero, dalle diverse esperienze di socializzazione; alle condizioni di disagio e marginalità.
    Si avverte sempre più centrale nella spiegazione dei processi sociali e culturali la necessità di predisporre strumenti di rilevazione e metodologie di ricerca sempre più adeguati per il miglioramento qualitativo della ricerca. Per contro vi è l'altro aspetto del problema: l'associazionismo, che si presenta nebuloso, oscuro, difficile da os servare proprio per la complessità che lo caratterizza, per l'ambivalenza dei processi che favorisce. Sono questi i motivi che spingono P. Montesperelli a sottolineare la difficoltà delle analisi su giovani ed associazionismo, che costringono i ricercatori ad atteggiamenti di estrema cautela al fine di evitare violenze alla realtà ed interpretazioni riduttive, anche se è «normale» cercare di semplificare per capire.
    Un aspetto nuovo - intervenuto nel corso di questi venti anni di ricerca - che ha reso ancor più complesso e difficile il ruolo dei ricercatori e della ricerca, è il determinarsi di una nuova committenza, quella degli Enti locali, che ha favorito una stretta connessione tra le indagini e le realtà territoriali, anche se esso non è riuscito quasi mai a riunificare acquisizioni conoscitive e prospettive di intervento istituzionale.
    Utilizzando questi spunti di analisi incrociati con l'oggetto di questo articolo, non possiamo non rilevare come siamo ancora lontani da un soddisfacente livello qualitativo di rapporto tra le associazioni ed i Progetti giovani: le associazioni in quanto tali sono scarsamente oggetto d'indagine o perlomeno non vengono prese in considerazione in modo attento: la dimensione di senso, espressione e partecipazione; l'essere fonte di domanda e offerta di servizi. Solitamente le indagini sull'associazionismo mirano a cogliere i dati strutturali, le dimensioni quantitative, a ricostruire le tipologie di attività, a delineare tipologie di appartenenza ed adesione.
    Da questo punto di vista la ricerca sociale deve ancora delineare strategie capaci di cogliere e valorizzare l'esperienza associativa giovanile. Qualcosa in questa direzione inizia a vedersi, dal 1985 in poi, con le diverse riceche promosse dal Ministero dell'Interno sull'aggregazione e l'associazionismo adolescenziale. Ma a parte le ricerche della GiOC, in collaborazione con F. Garelli (1984 e 1990), la ricerca dell'Agesci, in collaborazione con A. Ardigò (1988), le ricerche di Gioventù Aclista, sui giovani (1985, 1987), non esistono ancora ricerche significative con un coinvolgimento diretto di altre associazioni quali l'Azione Cattolica, l'ARCI, Gioventù Aclista, GiOC ed associazioni sportive su se stesse; né tantomeno - a parte le ricerche curate in particolare da I. Diamanti in Veneto, sulle quali ci soffermeremo in seguito - vi sono consistenti tentativi di analisi delle relazioni tra associazioni giovanili e contesti territoriali specifici.
    Tutto ciò appare in contraddizione con i numerosi appelli rivolti all'associazionismo, in quanto testimone privilegiato ed «opinion leader», di farsi portavoce ed interprete dei bisogni e delle domande giovanili, della cultura e dei modelli di riferimento e farsi interprete delle ambivalenze e delle potenzialità della partecipazione associativa.
    Si rischia così di vivere una forte incongruenza ed inadeguatezza tra attese e spazi/strumenti per dare concretizzazione alle attese. Ammesso che le associazioni riescano a svolgere questo ruolo di testimoni (osservatori), in quali momenti e luoghi e con quali strumenti possono poi esprimere le osservazioni e le richieste che il mondo giovanile rivolge al mondo degli adulti?
    Poiché ancora non può considerarsi matura l'esperienza delle Consulte e del Forum, che vengono sovente investite anche di questo ruolo/compito, l'ambito della ricerca sociale appare uno dei possibili canali di comunicazione. Certo è che se le ricerche sui giovani non iniziano a considerare l'associazionismo in quanto tale, difficilmente questa interazione potrà avvenire ed i contenuti che ogni associazione rileva e legge nei giovani, resteranno un patrimonio dell'associazione non condiviso né confrontato con altre associazioni, con ricercatori e studiosi, con amministratori ed operatori ai quali poi vengono richiesti i progetti.
    In questa direzione però occorre che le associazioni giovanili escano da uno stato di profondo torpore - che le mantiene in una situazione di attesa di iniziative altrui (istituzioni, università, centri di ricerca) - assumendo loro l'iniziativa, autogestendosi le ricerche, aumentando il livello quantitativo e qualitativo di studi, pubblicazioni, occasioni di incontro e confronto pubblici.
    L'esperienza dei Progetti giovani indica che questa strada è percorribile e che gli Enti locali sono disponibili a delineare spazi d'intese dirette con le associazioni.

    ... risorsa operativa

    Già in un articolo precedente (n° 10-1988) sottolineavamo come le associazioni giovanili fossero molto presenti nella gestione dei Progetti giovani: esse sono coinvolte, in modo esclusivo o compartecipato con operatori pubblici ed altre agenzie, nella quasi totalità di iniziative previste nei Progetti. Riprenderemo ora l'analisi articolandola su alcune questioni:
    - la prima è relativa ai criteri del rapporto ed alla natura dello stesso, tra Ente locale ed associazioni;
    - la seconda alle differenze tra le varie associazioni in merito alle collaborazioni con i Comuni.
    Per quanto attiene la prima questione, a fronte di un coinvolgimento consolidato sia sul piano quantitativo che culturale delle cooperative, dell'associazionismo e del volontariato (il cosiddetto privato sociale) sembrano ancora assenti sia strumenti e modalità codificate di stipula formale del rapporto sia di cultura e metodolologia della verifica e del controllo dello stesso.
    Da questo punto di vista sono rari i casi di convenzione tra Comune ed associazioni, modalità decisamente più presenti nel rapporto con le cooperative. Per ragionare sui motivi e sulle condizioni che favoriscono questi esiti, un contributo significativo lo si ritrova in una ricerca su associazionismo ed istituzioni nell'area padovana curata da I. Diamanti.
    L'associazionismo si presenta sotto questa dimensione più debole in quanto - come rileva Diamanti - da un lato offre minori garanzie di continuità e professionalità, e dall'altro in quanto il rapporto con l'Ente locale è concentrato ancora tutto sulla ricerca di risorse fondamentali per garantirsi spazi e sopravvivenza: maggiori finanziamenti, spazi ed attrezzature, partecipazione ed attività di programmazione delle attività del Comune.
    La ricerca evidenzia come appaiono ancora da esplorare le relazioni quando queste riguardano ambiti di comune interesse e di particolare importanza e significato sul piano sociale. Occorre pensare a forme di interazione collaborativa, tra soggetti che operano, si confrontano, concordano specifici momenti di incontro ed iniziativa, mantenendo, peraltro, il proprio specifico cammino, la propria autonomia, il proprio campo d'azione.
    L'associazionismo giovanile, proprio per le caratteristiche che oggi lo contraddistinguono rispetto al passato, si trova a percorrere il difficile confine che separa l'autonomia e la dipendenza dal contesto esterno, in primo luogo degli Enti locali. Le associazioni operano sul mercato, producendo beni e servizi all'interno di segmenti particolari, in quanto protetti ed assistiti, e ricercano contemporaneamente autonomia, supporti e sostegno per consolidare la propria azione e la propria struttura.
    In questo modo si spiega la diffusione, ma allo stesso tempo l'intermittenza e la scarsa organicità dei rapporti fra associazioni ed istituzioni locali: «Le motivazioni e le componenti sociali da cui prende avvio la relazione - sottolinea Diamanti - lo rendono in tal senso ostile o quanto meno prudente. Indisponibile e reticente a farsi coinvolgere dalle istituzioni, per timore di venire integrato o istituzionalizzato. La tendenza che prevale è quindi quella di limitare il rapporto allo stretto necessario, cioè all'acquisizione di risorse e strutture».
    Ma questa ricerca di relazione senza implicazioni rischia di produrre effetti contraddittori rispetto alle attese: aumentano i margini di informalità, la discrezionalità delle scelte ed il rischio di far prevalere l'affinità culturale-politica.
    Gioca da contraltare un atteggiamento delle istituzioni che sovente è di delega all'associazionismo della gestione di alcuni ambiti di intervento, attraverso sostegni ed agevolazioni non sempre commisurate alla coerenza con gli indirizzi di politica sociale né sempre sottoposti a verifiche sulla congruenza e sull'efficacia. Si registra così una logica di investimento pubblico non selettivo nell'associazionismo che sottende rischi di processi di istituzionalizzazione, di separazione dal tessuto sociale che alimenta culturalmente le associazioni, senza nel contempo determinare crescita della qualificazione organizzativa ed operativa.
    Una seconda questione riguarda i differenti approcci riscontrabili nell'universo associativo in merito ai rapporti con i Comuni. I ragionamenti sinora espressi considerano - per ovvi motivi - l'associazionismo come realtà omogenea. In realtà non è così e lo si è già espresso più volte.
    È utile interrogarsi su quali siano le associazioni giovanili più coinvolte. Una lettura attenta delle schede sui singoli Progetti evidenzia una situazione diffusa di rapporti difficili con l'associazionismo tradizionale (storico) e più facile con associazioni giovanili di più recente costituzione e di minor complessità interna.
    Al di là della partecipazione alle Consulte (laddove esistono) le associazioni storiche - Arci, Agesci, Azione cattolica, Cngei, Acli, ecc... sembrano maggiormente refrattarie, mantengono infatti maggiormente le distanze, ricercano rapporti non coinvolgenti, intendono mantenere intatte le loro identità. Questo esito può aversi per due ordini di cause
    - essere per lo più associazioni orientate fortemente in senso formati vo verso l'interno e l'avere abitualmente verso l'esterno rapporti mai coinvolgenti in modo totale;
    - individuare nell'Ente locale in generale e nel Progetto giovani in particolare un terribile «concorrente», che rompe un regime di monopolio dell'associazione nel settore del tempo libero, con offerte a basso costo ed alto livello qualitativo (perlomeno a livello di strumentazione); provocando così uno squilibrio nel mercato delle offerte culturali e di tempo libero.
    Si ripropone a questo proposito quanto emerso nella ricerca, già citata, su Padova. Diamanti rileva infatti come sugli esiti dello sviluppo dell'associazionismo possono influire in misura determinante le molteplici tensioni che ne attraversano in più punti l'azione oltreché l'organizzazione e le relazioni con l'esterno.
    Tra queste tensioni, oltreché quella già ricordata relativa alla necessità di autonomia e nel contempo di integrazione con l'ambiente e le istituzioni, nella ricerca si evidenziano:
    - la tensione fra partecipazione e servizio, cioè l'essere soggetto promotore di domande ed orientamenti e dall'altro la necessità di rispondervi producendo beni e servizi;
    - la tensione fra luogo di espressione e comunicazione e luogo di produzione e consumo, in altri termini tra solidarietà ed utilità; far condividere ed interpretare valori ed erogazione di beni e servizi;
    - tra flessibilità e consolidamento organizzativo, tra crescita della professionalità e mantenimento di un modello aperto e dinamico di gestione.
    Queste sono le tensioni presenti in tutte le associazioni con pesi differenti da caso a caso ma ugualmente incidenti sul piano delle rappresentazioni «noi/loro» ed in quanto elementi costitutivi dell'esperienza associativa e del tipo di scambi e significati interni che la contraddistinguono.
    La centratura verso l'uno o l'altra delle due polarità costringerebbe l'associazionismo ad una perdita della propria identità o nel senso del ridursi ad un gruppo informale e nel perdere le funzioni di rappresentanza culturale e politica.
    La difficoltà delle associazioni è mantenere una posizione di equilibrio tale da garantire la propria identità e nello stesso tempo un ruolo significativo nel contesto.
    Le associazioni storiche da questo punto di vista hanno lo svantaggio di una storia all'interno della quale scarso spazio hanno avuto queste dinamiche, se non in quanto generate e sviluppate a partire dal rapporto con i soci/ utenti più che dal rapporto con istituzioni.
    Per contro le associazioni più recenti, in genere circoscritte sia per tema/ interessi sia per area territoriale circoscritta, vivono con minori difficoltà questa ricerca di equilibrio in quanto è un problema con il quale si sono confrontate sin dall'inizio della loro storia.
    Sono questi i nodi che ci fanno considerare come complesso e ancora incerto come esito il percorso di reciproco riconoscimento, sia tra associazioni differenti (storiche e non, grandi e piccole ...) e tra esse e le istituzioni pubbliche. Nelle prospettive future dei Progetti questo appare essere uno dei nodi chiave: non sono infatti rari già oggi casi di associazioni che pur coinvolgendosi nello sviluppo di un Progetto ritengono poi di doversene distanziare in quanto non ne condividono più l'impostazione culturale. Posizioni e scelte certamente scomode, ma possibili anche - e qui vi è un'altra differenza tra associazioni e cooperative - in quanto l'associazionismo non ha posti di lavoro da difendere ma progetti, idee ed analisi.

    ... «punto rete»

    È molto di moda, in questo periodo, parlare o riferirsi alla «rete». In realtà, come sovente succede quando un termine acquista credito ed importanza in contesti molto differenti, questo termine diventa una parola coperta, che nasconde significati e riferimenti culturali e concettuali anche in contraddizione l'uno con l'altro. È quello che sta avvenendo a proposito del lavoro (o intervento di rete).
    Non è questa la sede per entrare nel dibattito teorico sul lavoro di rete, ma non può non essere considerata con attenzione una delle frontiere più recenti dell'associazionismo: il divenire agente di prevenzione.
    I Progetti giovani e gli Enti locali hanno certamente incentivato lo sviluppo di questo aspetto nella vita delle associazioni e si può certamente affermare che le associazioni giovanili oggi hanno assunto in modo molto responsabile questo invito.
    Vediamo come.
    Certamente questo è avvenuto a livello locale, di singoli Progetti, all'interno dei quali gli Enti locali hanno chiamato a raccolta ed invitato le associazioni giovanili a collaborare con propri progetti alle iniziative di prevenzione o a prevedere possibilità di inserimenti mirati al loro interno.
    Nel primo caso questo ha dato luogo ad un fiorire di iniziative promosse e realizzate da associazioni giovanili che richiamare qui è molto difficile: dalle feste alle iniziative sportive, da iniziative culturali a mostre, da ricerche ad iniziative nel campo della comunicazione; dal rilancio della proposta educativa/associativa come intrinsecamente preventiva alla predisposizione di iniziative denominate «lavoro educativo di strada» ....
    Nel secondo caso - ecco comparire il concetto di rete - l'associazionismo (sportivo, educativo, culturale, ecc....) viene spesso chiamato in causa da operatori sociali per inserire una persona, spesso un adolescente, in una rete sociale più affidabile e controllabile in presenza di una rete sociale ritenuta povera, inadeguata o patologica.
    C'è un terzo modo di pensare all'associazionismo ed è quello che ne sottolinea l'essere uno dei punti rete natura le - ecco un altro significato di «rete» - con i quali entrano in contatto molti giovani. L'importanza dell'associazionismo nelle strategie preventive deriva proprio da questo ruolo e dalla possibilità d'incidere nell'area della normalità, delle relazioni, con soggetti che vivono condizioni di disagio per evitare che queste si possano evolvere in sintomatologia (tossicodipendenza, alcolismo, suicidio ...).
    Laddove gli Enti locali hanno cercato di coinvolgere l'associazionismo nell'ambito di progetti di prevenzione, hanno ottenuto risposte globalmente positive sia dall'associazionismo storico sia da quello più recente.
    È ovvio pensare però che alla disponibilità a giocarsi su questo terreno siano seguite prima una sensazione d'inadeguatezza (saremo capaci, avremo le competenze per...) e poi la richiesta di specifici corsi di formazione. Corsi che ormai è facile trovare in molte città e che in alcuni progetti - Torino, Bologna, Forlì, Vicenza, Verona ed altre - hanno costituito un progetto nel progetto, a loro volta organizzati con il coinvolgimento di realtà associative e di volontariato nel campo specifico del disagio.
    Progetti formativi, tra l'altro, che hanno incentivato l'integrazione tra diverse associazioni, favorendo anche quella strategia delle connessioni auspicata come condizione politico-culturale per promuovere un diverso protagonismo giovanile.
    Se questo è quanto avvenuto localmente - autosensibilizzazione interna alle associazioni, coinvolgimento in progetti, inserimenti mirati, attivazione di percorsi formativi specifici - un percorso analogo è avvenuto a livello nazionale con la costituzione nel 1985 del Coordinamento nazionale delle associazioni giovanili e dei movimenti per la prevenzione del disagio.
    Al di là dei tradizionali impegni di incontri e convegni (pochi per la verità) il Coordinamento ha svolto un notevole e significativo ruolo di luogo e punto di incontro per un confronto, sul tema della prevenzione tra associazioni tradizionali da un lato e gruppi e comunità di servizio dall'altro.
    È un coordinamento che - seppur tra non poche difficoltà - ha individuato un suo spazio di azione ed ha ri confermato, puntando ad un lavoro di sensibilizzazione dei vertici dell'associazionismo, come l'associazionismo costituisca una delle risorse principali che un contesto territoriale ha per attivare strategie preventive.

    ALCUNI NODI DA SCIOGLIERE

    Nelle precedenti parti dell'articolo già sono emersi nodi e questioni che si propongono oggi ed in prospettiva sia all'associazionismo sia alle amministrazioni pubbliche.
    In chiusura di articolo vorrei, brevemente, riconsiderare alcuni nodi che appaiono essere centrali per le prospettive delle politiche giovanili e degli interventi con i giovani nel nostro Paese.
    Il primo nodo riguarda il rapporto tra le associazioni. A fronte di continui appelli all'integrazione progettuale ed operativa, i segnali che giungono dalle realtà di base sottolineano come questi orientamenti stentino a trasformarsi in concrete opzioni e modalità di lavoro. A questo proposito vengono chiamate in causa le modalità gestionali interne alle associazioni - in particolare per quelle che hanno una struttura nazionale - che a volte non favoriscono la congruenza tra orientamenti politici e culturali assunti in modo formale dai vertici, le azioni e le scelte operative delle realtà territoriali.
    Occorre capire se e come la cultura dell'integrazione riuscirà, dopo il riconoscimento e la legittimazione dei vertici, a diventare cultura di base e superare le logiche - purtroppo ancora presenti - di «cura del proprio orticello».
    Tutto ciò implica, e questo è il compito operativo che può essere prefigurato, l'acquisizione delle capacità e delle competenze per interagire con altre realtà associative e costruire insieme progetti/iniziative rivolte ai giovani. Gli esempi positivi non mancano, ma in futuro si spera possano non essere più esempi, ma divenire il normale nodo di essere e vivere delle associazioni.
    Questo primo modo ne richiama un secondo, che ha a che fare con quale cultura esprimano le associazioni in riferimento al mondo giovanile.
    Lasciando da parte la questione dei valori e delle scelte ideologiche, che costituisce comunque terreno di possibile differenziazione tra le associazioni, resta da vedere se e come le associazioni sono in grado di assumere come paradigma di intervento nel sociale la complessità, se e come, ad esempio, sono in grado di lavorare e non rifiutare le differenze e gli squilibri sia al loro interno che nelle relazioni con i diversi soggetti nel contesto in cui operano.
    Porsi queste domande porta ad interrogarsi su quale rinnovamento culturale e metodologico (quale cambiamento) le associazioni possono vivere in prima persona e produrre nel contesto.
    A questo proposito vengono chiamate in causa:
    - il rapporto tra struttura organizzativa ed obiettivi delle associazioni: quanto vi è di interazione e di disponibilità al cambiamento e quanto vi è, invece, di resistenze della struttura organizzativa?
    - il rapporto tra struttura organizzativa e processi formativi interni alle associazioni: quanto e come sono congruenti e si muovono verso un orizzonte che assume la complessità come elemento importante?
    Il lavorare per progetti, l'integrazione tra associazioni, le relazioni con le istituzioni pubbliche (Comuni, Province ...) da questo punto di vista costituiscono situazioni che interrogano profondamente il mondo delle associazioni giovanili nel suo complesso ed ogni associazione, sia essa grande o piccola, storica o no, fortemente strutturata o meno. Tutte queste sono variabili che, seppur molto importanti, non evitano ad ogni associazione il dover rileggere la propria storia, cultura, organizzazione... per prefigurare scenari nuovi per il futuro prossimo in ordine ai bisogni di rappresentanza giovanile ed ai problemi dei giovani.


    BIBLIOGRAFIA

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    * M. Croce-R. Merlo, La rete sociale, «Animazione sociale», nr. 16, 1989.


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