(NPG 1991-3/4-73)
Intorno al nodo sofferto del rapporto tra fede e politica, tra formazione cristiana ed educazione all'impegno politico, abbiamo scelto di percorrere anche una seconda strada. Meno sistematica, meno strutturata, ma più immediatamente carica del sapore della vita dei credenti, della loro prassi politica, della loro esperienza vissuta e messa in circuito. È la via della raccolta di frammenti di vita vissuta, di pezzi di storia personale, intrecciata con la storia dei credenti e di quella di tutti.
Per questo NPG si è rivolta a numerosi cristiani impegnati anche a tempo pieno in politica, per una intervista autobiografica.
Alcuni soltanto ci hanno risposto.
Il venire meno di alcuni contributi fa sì che sia rappresentata solo in parte la pluralità della collocazione e dei percorsi dei cristiani in politica. Ce ne scusiamo coi lettori.
Ogni storia rappresenta qualcosa di unico e di irrepetibile.
Offriamo i frammenti preziosi di vita che ci sono pervenuti come il dono di una testimonianza, di un vissuto che non ci è estraneo, perché intessuto da quelle trame che fanno la vita di tutti, e segnato da quei nodi che sono quelli di ogni credente, raggiunto, come essi lo sono stati, dallo spessore della politica.
La pista dell'intervista si articolava in tre direzioni di rilevamento del vissuto.
La prima si riferiva alla storia della propria formazione ed educazione politica in genere. In essa si voleva mettere in evidenza le tappe significative dell'approdo alla politica, le esperienze generatrici ad essa, le appartenenze e militanze culturali, l'incontro con figure significative.
La seconda traccia intendeva mettere in luce il modo di vivere e di risolvere felicemente, cioè creativamente, il rapporto tra esperienza credente di liberazione cristiana ed impegno nella liberazione politica, tra esigenze radicali della fede e «possibilità relative» della politica.
La terza direzione infine riguardava l'emergere, nella storia di chi in prima fila, da credente, è impegnato in politica, di una coscienza nuova intorno ad essa, dunque di nuove direzioni di elaborazione e ripensamento della cultura politica come via di soluzione della sua crisi estesa e profonda.
Sono numerose e diverse le convergenze, ma anche le pennellate originali.
Solo un richiamo ad alcuni aspetti quanto mai interessanti ed attuali.
Le storie dei cristiani in politica sono più spesso storie di chi alla politica ci arriva spesso senza volerlo, quasi che sia essa ad irrompere sulla scena, con tutto il suo spessore e le esigenze, al termine di percorsi all'interno dell'impegno nella società civile, nella solidarietà e nel volontariato, o nella ricerca appassionata della comprensione e della conoscenza della storia di tutti e degli avvenimenti piccoli e grandi che la segnano.
È come l'esito di una attenta lettura dei segni dei tempi, dove l'impegno per la salvezza da fare in situazione diviene, per il credente, anticipazione di essa in gesti e prassi politica, oltre che nello smascheramento di certe politiche di basso profilo. Dove le sfide alla vita e a quella dei più poveri divengono motivi ulteriori per «sporcarsi le mani» e far diventare prassi e gesto storico le utopie e gli ideali.
Un dato rilevante per l'educazione della coscienza credente è la capacità di mettersi alla scuola dei poveri e di quelli del Sud del mondo, oppure di ogni altra istanza emancipatrice dal punto di vista antropologico, pronta sempre a tradursi anche sul piano politico.
Richiamiamo poi la rilevanza, nei percorsi formativi, della testimonianza vitale di alcune grandi figure di profeti e di uomini politici, capaci di vivere in profondità i grandi eventi planetari, l'incontro coi quali diventa momento forte, catalizzatore, dell'esperienza di politica nella vita quotidiana.
Viene riscontrata l'acquisizione matura della laicità della politica e il conseguente pluralismo di collocazione, sempre però «animato» dai valori della solidarietà, della giustizia, della pace, dell'apertura all'altro, della mondialità.
In un certo senso il credente in politica, dalle nostre storie, appare sempre un po' un «diverso», anzitutto perché professante una universalità (la sua cattolicità) che lo rende estraneo a logiche «di parte» (partitiche?), di appartenenza e di corrente, uno che rifugge la «nostrificazione» dei problemi.
In questo senso egli si rivela nelle storie come colui che, mentre costruisce una compagnia solidale di donne e uomini di qualsiasi fede, accetta di vivere nella solitudine della coscienza matura, accompagnata spesso dal disagio dell'impotenza e della debolezza.