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    Parrocchia, ragazzi e giovani: quale pastorale?


     

    Giovanni Villata

    (NPG 1990-09-29)


    Come le comunità ecclesiali torinesi si orientano nel tentativo di attualizzare la salvezza cristiana con e per ragazzi e i giovani della città?
    Per poter rispondere a questo interrogativo fondamentale della nostra ricerca, mi sembra utile soffermarmi subito a presentare i motivi che spingono i giovani a venire in parrocchia.

    CHE COSA CHIEDONO I GIOVANI ALLA PARROCCHIA

    Il questionario non conteneva interrogativi da rivolgere direttamente ai ragazzi e ai giovani per cercare di capire che cosa essi si aspettano dalla parrocchia.
    Si è cercato invece di snodare la «conoscenza» che i sacerdoti intervistati, perlopiù parroci, hanno delle richieste che i giovani fanno alle loro comunità.
    Sapere il contenuto di queste richieste è importante per avviare cammini di evangelizzazione fedeli a Dio e all'uomo.
    Secondo gli intervistati, i giovani chiedono alle parrocchie di poter trovare in esse, prima di tutto e soprattutto, occasioni per stare insieme, fare gruppo, trovare nuovi amici, potersi esprimere nei linguaggi che li contraddistinguono; non si propongono immediatamente particolari obiettivi culturali, espressivi, sociali, politici, religiosi.
    Con intensità quantitativa decrescente desiderano poi opportunità di conoscere la Parola di Dio, di pregare, di aiutare gli altri, di discutere dei problemi della loro età e di approfondire i temi sociali.
    I giovani convergono nella ricerca di rapporti interpersonali. La soddisfazione di questo «desiderio primario» favorisce in loro un legame affettivo con la comunità, e la maturazione di atteggiamenti e di comportamenti religiosi e cristiani maturati proprio stando insieme in gruppo.
    Rimane il problema dello scarso o nullo interesse per la chiesa come istituzione.
    Non è questo un modo di pensare e di agire esclusivo dei giovani, ma può essere un altro segno di due tendenze tipiche del nostro tempo: la privatizzazione della religione e/o la riduzione dell'appartenenza ecclesiale al piccolo gruppo, luogo in cui è possibile soddisfare il bisogno di rapporti primari.
    Sostanzialmente i sacerdoti hanno messo in evidenza che la pastorale con e per i ragazzi e i giovani non può non tener conto del loro problema «primario», quello di riuscire a stabilire rapporti interpersonali soddisfacenti, e che il modo con cui si affronta tale problema incide anche sulla maturazione di una sensibilità diversa nei confronti della chiesa-istituzione.

    CHE COSA OFFRONO LE PARROCCHIE AI GIOVANI

    Mi pare emergano sostanzialmente due grandi indicazioni. La prima riguarda il «dovere essere» o l'ideale della pastorale con e per i giovani e i ragazzi, la seconda rivela l'«essere» ossia la prassi concreta.

    L'ideale

    Tutti gli intervistati sono pressoché molto o abbastanza convinti nell'affermare che la pastorale giovanile e, in qualche misura anche la pastorale con e per i ragazzi, deve perseguire i seguenti obiettivi:
    - non limitarsi all'annuncio esplicito della fede ma preoccuparsi, insieme all'annuncio, di offrire ai giovani che frequentano la comunità parrocchiale anche risposte alle loro diverse domande;
    - promuovere l'inserimento in gruppi in cui i giovani vengano aiutati a comprendere se stessi, i propri problemi e i loro bisogni, a vivere insieme ciò in cui credono, perché solo in questo modo è possibile far loro una proposta di fede non staccata dalla vita;
    - non ridursi a proposte «a senso unico» e non integrate con gli altri momenti della pastorale o con altre agenzie educative o con gli interessi dei giovani: ad esempio, alla catechesi o alla liturgia o ad attività di promozione della diaconia della carità, dimenticando la famiglia, la scuola, lo sport...;
    - formare animatori (laici adulti e giovani, sacerdoti, religiose, religiosi...) che sappiano stare con i giovani come compagni di cammino autorevoli e propositivi più che come educatori autoritari o permissivi, e che agiscano insieme pur nella diversità delle visioni pastorali e dei compiti;
    - richiedere un impegno non saltuario ma continuo anche se faticoso. Questo impegno è estremamente utile per capire i giovani, mettersi in sintonia con loro e fare proposte che li facciano crescere e maturare.
    Questo ideale di pastorale non muta sostanzialmente anche se lo si legge attraverso il filtro dei modelli di chiesa.
    Si tratta dunque di un modo di pensare la pastorale con i ragazzi e i giovani in cui sono accolti e valorizzati gli orientamenti più qualificati maturati nel dopoconcilio sia nelle indicazioni (ancora troppo scarse e frammentarie) dei documenti magistrali sia nella letteratura specializzata sia nella prassi.
    Tra essi vanno segnalati, a titolo d'esempio, l'educazione integrale della persona del ragazzo e del giovane, la legge della doppia fedeltà, l'integrazione degli ambiti e delle attività di educazione alla fede, la dimensione di appartenenza attiva e responsabile alla chiesa attraverso l'opportunità di luoghi di identificazione e l'assunzione di un preciso stile educativo...
    Questa visione piuttosto convergente può essere un «punto forza» per una pastorale «specializzata» meno situata e quindi indeterminata, incerta e casuale.

    La prassi concreta

    Come vanno le «cose» in realtà?
    Raccolgo le informazioni attorno a tre elementi che sono sempre presenti nell'azione pastorale: le proposte, le persone e gli ambienti.
    Per «proposte» intendo tutte le attività realizzate dalle comunità ecclesiali con e per i ragazzi e i giovani: dai servizi fondamentali quali la catechesi, la liturgia... ad iniziative per il gioco, lo sport, la valorizzazione dei linguaggi attraverso cui i ragazzi e i giovani si esprimono.
    Parlando di «persone», mi riferisco ai ragazzi e ai giovani coinvolti nelle proposte della comunità parrocchiale, ma anche ai loro educatori sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo.
    Per «ambienti» intendo le strutture, ossia le aule, i cortili, i saloni... esistenti in parrocchia e/o utilizzati dalla parrocchia.

    Le proposte

    Mi pare emergano con chiarezza due richieste che ripropongono due fatti importanti.
    Il primo sollecita l'elaborazione di orientamenti pastorali ideali e pratici autorevoli e validi per tutta la chiesa locale: la pastorale parrocchiale con e per i ragazzi e i giovani, salvo poche eccezioni, è spesso portata avanti facendo riferimento a persone o a gruppi con particolari doti e qualità o ad esperienze che, in un certo ambiente, paiono vincenti.
    È una pastorale piuttosto «situata» e quindi destinata strutturalmente alla «non continuità» o all'esaurirsi quando quelle persone o quei gruppi, per diversi motivi, vengano meno.
    Il secondo richiama le difficoltà ad integrare tra loro non solo i tre servizi o momenti fondamentali della pastorale (catechesi, liturgia, diaconia della carità), ma anche questi momenti «con» le altre attività (gioco, sport, impegno sociale...) e «tra» le diverse attività che vengono proposte.
    Si prende coscienza della «frammentazione» esistente nelle comunità parrocchiali e del rischio di fare una pastorale a «compartimenti stagno» e «monodirezionali» quando non «casuale».
    Di conseguenza la pastorale' con e per i ragazzi si identifica quasi del tutto con la catechesi in preparazione ai sacramenti dell'iniziazione cristiana.
    Le altre attività (gioco, gite, feste, uscite, ritiri...) sono piuttosto funzionali o legate al momento catechistico o non vengono prese in considerazione.
    Man mano che i ragazzi crescono (dalle elementari verso le medie inferiori) aumenta anche l'offerta da parte della comunità di attività che integrano o affiancano la catechesi (esperienze di gruppo, contatti con adolescenti, uscite...).
    Con gli adolescenti e i giovani si verifica lo stesso fenomeno: la pastorale è contraddistinta, perlopiù, dal privilegiare il momento liturgico e iniziative di spiritualità insieme a proposte di volontariato socio-assistenziale.
    La catechesi giovanile intesa nel senso che ad esso dà il Documento sul Rinnovamento della Catechesi (RdC 30) ha scarso rilievo tra le attività che contraddistinguono la pastorale.
    Risultano decisamente poco presenti attività che lasciano trasparire la presa di coscienza della dimensione missionaria della comunità (sia come impegno fuori dalla comunità sia come «missio ad gentes») e l'attenzione alle espressioni culturali: si ha l'impressione che la cultura venga intesa come un «vuoto fabulare» e, per questo motivo, non goda di accoglienza favorevole.
    È anche scarso lo spazio dato a proposte che valorizzino i diversi linguaggi giovanili quali la musica e la gestualità.
    Per quanto riguarda le proposte pastorali, ci troviamo globalmente davanti a una realtà in cui:
    - ci si preoccupa molto di offrire «occasioni» sicuramente ecclesiali, e meno di cercare e sperimentare strade per una «nuova evangelizzazione» che accolga le sfide provenienti dal mondo dei ragazzi e dei giovani senza rinunciare per nulla ad annunciare la verità evangelica. Si tratta di una pastorale che va poco oltre la «sopravvivenza»;
    - l'attenzione a creare momenti e luoghi per incontrare i molti adolescenti e giovani che non hanno più contatti con la parrocchia è ancora debole ed episodica: la pastorale risulta così piuttosto «selettiva» ed élitarista e poco «missionaria»;
    - salvo eccezioni limitate, si nota «un certo disagio» nel rapporto degli adulti (sacerdoti, religiose e religiosi, soprattutto) con il mondo giovanile, specie con i giovani-adulti.

    Le persone

    Le parrocchie torinesi, come quasi tutte le parrocchie italiane, non possono non registrare la progressiva diminuzione di presenze man mano che i ragazzi crescono in età.
    La maggior parte si stacca dalla parrocchia dopo aver ricevuto il sacramento della Cresima.
    Tra le cause, oltre a quelle attribuibili alla cultura della modernità, è necessario indagare per verificare se non ci sia anche un modo di fare la catechesi ancora troppo slegato dalla vita dei ragazzi, scarsamente attento a favorire in loro legami «affettivi» con la parrocchia e la non continuità tra la catechesi dell'iniziazione e la pastorale con e per gli adolescenti e i giovani.
    Tuttavia i ragazzi e giovani che frequentano le comunità parrocchiali torinesi prima e dopo la Cresima non sono, tutto sommato, quantitativamente di meno della media dei ragazzi e dei giovani che partecipano con un certo impegno alla vita delle comunità parrocchiali del nostro paese (cf l'intervento di Garelli).
    Nelle parrocchie torinesi - esclusi i ragazzi e i giovani che appartengono ad associazioni e movimenti - ci sono giovani impegnati sotto e sopra i 18 anni.
    Per lo più appartengono a gruppi in cui si fanno cammini di educazione e di educazione alla fede e si propongono impegni sia all'interno della comunità (soprattutto nell'animazione ma anche nella catechesi e in altre attività quali l'oratorio, lo sport, l'estate-ragazzi...) sia sul territorio (collaborazione con altre agenzie educative e/o iniziative varie).
    Si può dire che la pastorale con e per gli adolescenti e i giovani è affidata quasi totalmente ai giovani (anche sotto i 18 anni) i quali svolgono il ruolo di animatori e si avvalgono dei gruppi come luoghi educativi privilegiati. Ad essi si affiancano qualche coppia di giovani sposi, perlopiù, e alcuni adulti: almeno dal punto di vista quantitativo c'è una scarsa interazione fra le generazioni.
    La presenza delle religiose è significativa sia per quanto riguarda il numero sia per quanto attiene al ruolo loro riconosciuto: il dato è «piuttosto nuovo» e confortante per la pastorale, poiché rivela una loro presenza ed azione nell'animazione che nella catechesi.
    Nella pastorale con e per i ragazzi lavorano soprattutto adulti: mamme, maestre, insegnanti... impegnate nella catechesi.
    Nell'ultimo anno di preparazione alla cresima e/o subito dopo, ad essi si affiancano giovani catechisti o animatori sia per «imparare» sia per integrare il momento catechistico con altre attività definibili globalmente come attività di animazione.
    Scarsa è la presenza dei diaconi: essi risultano impegnati quasi esclusivamente nella catechesi.
    I sacerdoti e i religiosi - accomunati nella ricerca - sono attivi sia nella catechesi sia nell'animazione in tutte le parrocchie.
    Il quadro appena presentato indica la compresenza di persone diverse non solo per età ma anche per esperienza e formazione; operano in ambiti e con compiti ben precisi e senza avere, perlopiù, momenti programmati in cui pianificare ed armonizzare orientamenti e prassi.
    Questo è un altro dato certamente interessante, perché offre ai ragazzi e ai giovani l'opportunità di essere a contatto con le diverse «vocazioni» e i diversi «ministeri» presenti nella chiesa.
    Non sfugge però che la presenza di persone diverse sia per formazione sia per esperienza, ma soprattutto la «scarsa comunicazione» tra di loro, pone il problema della necessità di un programma in cui siano ben articolati e armonizzati non solo i contenuti ma anche gli orientamenti educativi.
    Un'ulteriore riflessione riguarda i giovani che operano come animatori sia con i ragazzi che con gli adolescenti.
    Per lo più studenti in possesso di un diploma di scuola superiore e ragazze, normalmente sono avviati all'animazione attraverso corsi «rapidi» e «ricorrenti» realizzati nelle parrocchie e nelle zone.
    La loro formazione di base risulta, tuttavia, ancora scarsamente integrata, molto legata alla loro sensibilità o a quella degli adulti (sacerdoti, religiose/ i) che li coordinano e alle necessità dei diversi ambiti e settori pastorali in cui sono chiamati ad adoperare.
    La formazione permanente avviene, nella maggior parte dei casi, attraverso il «gruppo o la comunità degli animatori».
    Anche nella conduzione di tale gruppo o comunità si riproducono sostanzialmente le caratteristiche della formazione di base descritte sopra.
    Si propone la necessità di orientamenti in modo che tale gruppo o comunità assolva alla funzione di «riferimento» stabile (non troppo episodico) e qualificato (organico e integrato) soprattutto per quanto concerne l'apprendimento e la realizzazione di un metodo.

    Gli ambienti

    Circa la metà delle parrocchie torinesi mancano di strutture che si possono ritenere come minime ed indispensabili per accogliere i ragazzi e i giovani e fare con loro qualche attività educativa e/o pastorale.
    Dove esistono le strutture (aule, sale gioco o per incontri, teatri, palestre, campi da gioco, case estive, cortili, bar...), esse sono tutte utilizzate.
    L'insufficienza o la mancanza di strutture sono un grave handicap per la pastorale: ai giovani che chiedono principalmente alle parrocchie opportunità di incontro, non si può rispondere compiutamente se non si hanno luoghi, attrezzature - anche minime, povere ma decorose - che li possano accogliere e in cui essi si sentano come «a casa loro».

    Rilievi di sintesi

    Senza dimenticare quanto è stato messo in evidenza nell'articolo precedente, mi sembra si possa rispondere alla domanda posta all'inizio con le seguenti considerazioni di sintesi che riguardano sia l'intenzionalità o l'idealità della pastorale con e per i ragazzi e i giovani sia la prassi concreta.
    Per quanto riguarda l'idealità:
    - si riscontrano orientamenti precisi e aperti ad un pastorale a servizio della crescita integrale dei ragazzi e dei giovani;
    - si intravedono con lucidità le domande dei ragazzi ma soprattutto dei giovani e la necessità - insieme alle difficoltà concrete - di superare schemi o modelli ormai desueti;
    - si sottolinea sia la necessità di possedere punti di riferimento e di orientamento comuni sia la difficoltà a superare una mentalità che fa fatica a «programmare» e si dimostra ancora piuttosto clericale.
    Nella pratica pastorale ci si trova concretamente a dover fare i conti con:
    - la scarsità di sacerdoti giovani cui normalmente veniva affidata la pastorale con e per i ragazzi e i giovani;
    - la difficoltà ad orientarsi all'interno del pianeta giovani e, in qualche modo, ad avvicinare i giovani stessi;
    - l'assorbimento in attività di routine, ossia in tutte quelle attività che quotidianamente occupano in parrocchia (ufficio, amministrazione, funzioni liturgiche, catechesi dell'iniziazione...) e che sono necessarie alla «sopravvivenza» della comunità;
    - la difficoltà ad interagire fra sacerdoti, religiose, religiosi e laici;
    - la scarsità di consenso sociale all'azione della parrocchia come comunità religiosa e la diffusa indifferenza nei confronti delle proposte di impegno all'interno della comunità;
    - la mancanza di un progetto diocesano valido come riferimento per le diverse esperienze in atto e da realizzare in sintesi.
    Emerge una pastorale con e per i ragazzi e i giovani:
    - più preoccupata, come orientamento globale, di «conservare» che di «inventare» strade diverse e nuove;
    - che si esprime quasi del tutto a senso unico (catechesi per i ragazzi e attività liturgiche di preghiere e socio-assistenziali) per i giovani e scarsamente attenta ad integrare le tre funzioni fondamentali della pastorale;
    - carente di «aperture» alla cultura e alla missionarietà;
    - in cui emergono realizzazioni interessanti e un impegno intenso di molte persone, e soprattutto «figure» di educatori con particolari sensibilità e caratteristiche;
    - contraddistinta dalla compresenza di diversi e contrastanti stili educativi (ad esempio il modo di fare la catechesi e quello di animare i gruppi) e da una pluriformità di esperienze.
    In una parola: ci si trova, salvo poche eccezioni, davanti ad una pastorale dei ragazzi e dei giovani vivace, ricca di iniziative e di impegno di persone e di mezzi, ma scarsamente creativa, senza un metodo appropriato e ancora poco attenta a quei ragazzi e quei giovani - e sono la maggioranza - che non frequentano la parrocchia o sono in qualche difficoltà anche se non nella fascia a rischio.

    L'ORATORIO

    Il questionario è stato applicato nei mesi di marzo-maggio del 1988, quindi qualche mese prima del secondo convegno diocesano sull'oratorio (ottobre 1988), convegno il cui obiettivo è stato quello di offrire elementi per «rivitalizzare» una realtà educativa che rappresenta - come ebbe a dire il card. Ballestrero nella prolusione - una preziosissima tradizione pastorale della nostra Chiesa. [1]
    La circostanza non è marginale: i parroci, infatti, sono stati interpellati sul tema proprio in un momento di «ripresa di considerazione» di una realtà abbandonata da molti in favore di una pastorale centrata sui gruppi, sulle piccole comunità, piuttosto élitarie e/o ritenuta da altri non più adatta ai tempi.
    In Torino gli oratori parrocchiali funzionanti non sono tutt'ora molti: là dove l'oratorio ha continuato ad esistere, si sente ora la necessità di potenziarne le strutture e qualificarne le proposte. Là dove lo si è abbandonato, si tenta di ripartire riproponendolo come un ambiente educativo della comunità parrocchiale aperto a tutti, non solo ai ragazzi e ai giovani, e disponibile ad accogliere e a condurre a maturazione le domande di coloro che vi partecipano attraverso esperienze (gioco e divertimento, catechesi, attività di istruzione e di promozione umana) e percorsi differenziati.
    È opinione largamente diffusa tra coloro che hanno risposto al questionario che una comunità parrocchiale attenta ai ragazzi e ai giovani e che voglia fare una pastorale «non qualunquista» ha necessità di avere un minimo di strutture, ossia di ambienti (sale, saloni, campi in parrocchia o reperiti al di fuori), di organizzazione (programmi, gruppi, animatori) e di iniziative (diverse ma non contrapposte almeno nelle finalità che si perseguono).
    Le difficoltà per realizzare questa struttura di aggregazione e di educazione umana e cristiana non vengono dal nome «oratorio» (almeno per la maggior parte dei parroci), quanto piuttosto dal non saper ancora bene come configurare le proposte educative in modo da renderle interessanti per i ragazzi e i giovani, e soprattutto dalla mancanza di educatori che siano presenti in oratorio e svolgano un'azione responsabile, qualificata, senza contrapporre, sopravvalutare o sottovalutare il divertimento (gioco, sport, feste...) nei confronti dei momenti di formazione e viceversa.
    Quest'ultimo sembra essere il problema ricorrente e irrisolto.

    QUALI SFIDE?

    Concludendo l'esame da una prospettiva pastorale dei risultati del questionario, mi sembra importante mettere in evidenza alcune sfide, ossia alcune provocazioni che emergono dalla situazione esaminata e che si propongono come urgenze per una pastorale con e per i giovani e i ragazzi che voglia essere fedele ai principi indicati nell'articolo precedente.
    La prima sfida riguarda la necessità di superare l'episodicità, la frammentarietà e la soggettivizzazione pastorale (di persone e di gruppi) attraverso l'elaborazione di un progetto diocesano di pastorale con e per i ragazzi e i giovani inserito nel più ampio e articolato progetto pastorale della chiesa locale.
    Questo non è un problema solo della diocesi di Torino, ma di tutta la pastorale dei ragazzi e dei giovani della chiesa italiana, sia a livello di riflessione teologica, sia a livello di prassi: «in effetti, osserva G. Ambrosio, la prassi complessiva della comunità cristiana non ha elaborato, in linea generale, un progetto adeguato e organico di pastorale giovanile». [2]
    L'elaborazione di un progetto favorirebbe anche la realizzazione di un piano organico di formazione degli educatori in collaborazione con gli uffici diocesani, le zone, le parrocchie e le altre espressioni dell'associazionismo giovanile ecclesiale, e il superamento della non omogeneità degli stili educativi sia per gli ambiti sia per i livelli di età.
    La seconda investe il complesso problema della comunicazione. Tra giovani e comunità ecclesiali sembra si parlino «lingue diverse».
    Da un lato i giovani con i loro linguaggi spesso frammentati, intrisi di bisogno di toccare con mano, che non si fidano granché delle istituzioni, delle ideologie, scarsamente disponibili, almeno nella maggioranza dei casi, a prendere decisioni stabili e definitive; dall'altro i sacerdoti, i catechisti, gli animatori, l'istituzione chiesa che parlano il linguaggio della fede, linguaggio che richiede il superamento della soggettività e della frammentarietà, l'accoglienza di valori anche non immediatamente sperimentabili, decisioni che impegnano in modo stabile e definitivo la propria esistenza.
    Il grande problema è: dire loro la «parola di salvezza» in modo da accogliere quanto di positivo c'è nel loro modo di concepire la vita, e di stimolarli a superare i rischi che ne derivano, senza ridurre o sminuire la «profezia» di cui questa parola è portatrice?
    Un'ulteriore sfida mi pare possa essere quella dell'appartenenza ecclesiale.
    Dalla ricerca risulta che anche tra i giovani che frequentano la parrocchia c'è scarso interesse a sapere quanto dice la chiesa.
    Altre ricerche confermano questo dato specialmente per quanto concerne il campo della morale e, in particolare, della morale sessuale.
    Queste ultime rilevano che anche essi manifestano qualche difficoltà ad accogliere l'identità originale della chiesa, anche se sono disponibili a non negarle il proprio consenso all'intensa ed appassionata opera di impegno sociale a vantaggio della liberazione dell'uomo e del mondo che essa mette in atto. [3]
    Da ultimo mi sembra che la pastorale con e per i ragazzi e i giovani non possa sottrarsi a quella che mi pare essere la sfida più grande che essi lanciano alle comunità, quella etica.
    I giovani sentono il problema della coerenza di vita e dichiarano la necessità di rendere testimonianza ai valori: non accettano un modo di vivere istintuale e non rinunciano ad organizzare la loro esistenza, almeno come tensione, come desiderio, attorno a dei valori.
    Mettono tuttavia in discussione la necessità di norme morali come riferimento universalmente valido e con i quali venire a confronto per orientare l' esistenza.
    Anche fra i giovani che vivono parte della loro socializzazione religiosa nelle parrocchie e nei gruppi giovanili ecclesiali, si allarga lo scollamento tra riferimenti di fede e scelte pratiche.
    Gli educatori sanno che queste sfide si raccolgono cercando, pazientemente, di discernere e di operare nell'ottica dell'invito che Giovanni Paolo II rivolge a tutta la Chiesa, affinché sia data «un'attenzione privilegiata alla gioventù mediante appropriati metodi e con inventiva d'iniziative» (Juvenum patris 20).

     

    NOTE

    [1] Uffici diocesani catechistico e pastorale dei giovani e dei ragazzi, Atti dei Convegni. Interventi del Padre Arcivescovo, Fascicolo 1, Torino, 1989, 1-9.

    [2] G. Ambrosio, «La prassi di pastorale giovanile e il dibattito degli ultimi vent'anni», in Educare i giovani alla fede, Milano, Ancora 1990, pp. 93-94. Naturalmente non tutti sono concordi con tale giudizio. Basterebbe analizzare infatti tutto il lavoro che da anni svolge la rivista NPG e il suo direttore Riccardo Tonelli, di cui ricordiamo soprattutto il libro Pastorale giovanile (LAS 1982) e il Dizionario di pastorale giovanile (LDC 1989).

    [3] Si veda ad esempio: F. Garelli, La generazione della vita quotidiana. I giovani in una società differenziata, Bologna, Il Mulino 1984; F. Alberoni - F. Ferrarotti - C. Calvaruso, I giovani verso il duemila, Torino, Gruppo Abele 1986; F. Ferrarotti - G. Bianchi - A. Melucci - C. Calvaruso - C. Buzzi - F. Garelli - M. Pollo - G. Milanesi, Ipotesi sui giovani, Roma, Boria 1986; A. Cavalli - A. De Lillo, I giovani degli anni '80. Secondo rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia, Bologna, il Mulino 1988; G. Milanesi, I giovani nella società complessa. Una lettura educativa della condizione giovanile, Torino, LDC 1989.

     


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