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    Il gruppo dei preadolescenti come ponte tra interessi e domande di vita



    Domenico Sigalini

    (NPG 1990-09-77)


    La riduzione della pastorale dei preadolescenti a incontri più o meno fiscali di catechismo è tra le consuetudini inveterate, che occorre rimuovere il più presto possibile se ci si vuole applicare seriamente a una loro corretta educazione alla fede. Comincia con la trasposizione in parrocchia degli elenchi delle classi di una qualsiasi scuola media per la formazione di classi di catechismo; continua con lo stile quasi esclusivamente nozionistico delle lezioni; culmina con la celebrazione del sacramento della Confermazione e si sviluppa in una fuga precipitosa da ogni aggregazione che osi riproporre nell'età seguente itinerari anche più mirati e orientati all'educativo. La preadolescenza era un'isola nell'insieme della pastorale giovanile e un'isola rimane.
    Nel nostro studio del preadolescente siamo intervenuti più volte a riproporre l'esperienza di gruppo come luogo serio di traduzione della passione educativa di una comunità che vuol aiutare a compiere cammini originali e coinvolgenti di crescita nella fede.

    QUALE GRUPPO?

    Il gruppo resta la scelta di fondo, anche perché solo attraverso di esso è possibile attuare una corretta educazione delle domande di vita dei preadolescenti. È un gruppo che diventa «luogo vitale», nel quale le operazioni educative prendono corpo, la relazione si stabilisce e la comunicazione si scatena sollecitando i soggetti al cambiamento.
    È il luogo in cui i bisogni vitali del preadolescente vengono elaborati insieme, dove ciascuno è sollecitato e sostenuto nel consentire obiettivi mini- mali o articolati, dove prende corpo il fare esperienza e l'elaborazione di essa dentro un contesto di scambi ricco, servito da strumenti appositamente pensati, scandito da tempi, spazi e modalità definite.

    I gruppi di interesse: un presupposto da guadagnare a fatica

    Il presupposto da cui partiamo per aiutare a elaborare le domande di vita è un minimo di progettazione, che prevede la distribuzione dei preadolescenti in gruppi scelti o fatti nascere in base agli interessi e alle domande attorno a cui praticamente essi si possono coagulare.
    Sono interessi capaci di aggregare: lo sport, esperienze misurate di servizio, sensibilità ad alcuni problemi come l'ecologia e la pace, l'amicizia, il raccogliersi attorno a qualche testimone della vita quotidiana; la stessa simpatica agibilità di un ambiente; il giocare nel campetto ricavato tra le discariche del quartiere; la musica e la danza come capacità espressive; misurate attività di organizzazione del gioco e della festa; gruppi associativi; amici di qualche rivista o periodico; aggregazioni spontanee nate dall'incontro periodico di genitori.
    Questi e altri interessi, a seconda anche della situazione storica e ambientale in cui ci si trova, sono motivi che fanno stare assieme i preadolescenti, li fanno uscire di casa, staccare dalla televisione, orientare a una più intensa socializzazione. Queste esperienze che a noi possono sembrare banali, per loro sono il clima in cui fioriscono spontaneamente bisogni e domande, si intessono modi di stare assieme, vengono provocati al confronto.
    L'aggregazione di partenza quindi fa perno su una spontanea, o meglio, naturale propensione, anche indotta, verso caratteristiche tipiche dell'età o verso le occasioni imponderabili della vita.
    Oggi, ma forse è sempre stato così, occorre essere meno ideologici nel proporre aggregazioni. L'ideologia, o piuttosto l'idea fissa, che prevede quali sono i gruppi più giusti, le aggregazioni che meritano attenzione educativa, che ha già deciso che questi ragazzi hanno bisogno solo di un incontro fatto così e così, è una scelta che scavalca il preadolescente, lo inquadra in un mondo che non è suo, dà per scontato che si ponga domande di vita, ma soprattutto non è disposta a leggere nei bisogni le invocazioni anche deboli e le originalità, timide portatrici di istanze che si possono sviluppare in seguito. Soprattutto però, se non si parte da qualcosa che fa scattare i suoi interessi, si seppellisce il preadolescente in quel formalismo, in quello stare nei ranghi, che lo porterà a «star buono finché non sia finita».
    La possibilità di utilizzare altri ambienti oltre l'edificio chiesa o la sacrestia o il sottoscala del parroco diventa indispensabile, come estremamente necessario è poter contare su un gruppo di animatori, non solo giovani.

    Dagli interessi alle domande

    Il problema da affrontare in maniera più specifica in questa sede è di situare l'esperienza di gruppo come momento determinante per aiutare il preadolescente a passare dagli interessi, spesso anche esageratamente assorbenti (cf l'aggregazione in certe società sportive, l'esprimersi e l'aggregarsi come fan, la psicosi della corporeità...), alle domande di vita.
    Il nostro obiettivo è che il preadolescente scopra in Gesù di Nazareth la buona notizia che gli allarga il respiro e lo fa crescere; prendiamo le distanze da chi attraverso un cumulo di informazioni riesce solo a collocare Gesù come alleato di chi è interessato a prolungare la sua dipendenza e a ostacolare la sua crescita.
    Proprio per questo scegliamo di aiutarlo a scoprire e educare le domande di vita, non vogliamo essere banalmente responsoriali né lasciare il ragazzo solo con se stesso nella povertà e nei limiti costituzionali di ogni esistenza.

    L'EDUCAZIONE DELLA DOMANDA DI VITA

    L'educazione della domanda è un movimento «dalla periferia al centro». Non è ancora l'età di una forte interiorizzazione, ma si sta sviluppando una ricerca al fine di diventare soggetto autonomo. Il rischio è che il preadolescente si formi una personalità fortemente dipendente dalle molteplici agenzie o sponsorizzazioni se non lo si attrezza adeguatamente.
    Andare al centro non significa isolare. richiudere su di sé, ma compiere sempre un duplice movimento: da fuori di sé a sé, dal mondo al soggetto e viceversa. La domanda va interpretata e saturata. e nello stesso tempo va ri lanciata a nuovi livelli. L'interpretazione e l'educazione della domanda non è pretestuosa: tu mi chiedi il pallone o un campetto, io ti do una stanza di gruppo! È invece: ti do il campetto, ma ti aiuto ad allargare la domanda di gioco a qualcosa di più grande. So fare i conti con la realtà, col gusto, con l'interesse, ma so che l'interesse si porta dentro una sete che va approfondita e rilanciata fino (è lecito sognare?) a diventare domanda invocante di Qualcuno irraggiungibile che può essere solo accolto al di là di ogni domanda.
    Il punto di partenza è costituito dalle domande «povere», dai bisogni disarticolati e confusi consegnati in genere alla gestione altrui, gli interessi setto- dati, legati spesso a dipendenza psicologica, ma che sono una prima porta per giungere ad appropriarsi dei propri sogni.
    Ogni bisogno, ogni punto di partenza, quindi, è valido e ha la sua dignità; costituisce la molla di un processo che si svilupperà progressivamente.
    Il cammino verso il centro, verso la domanda profonda, è assicurato solo se c'è un animatore o un educatore che si è costruito un progetto educativo.

    Le condizioni

    * La domanda può essere educata nella misura in cui si offrono risposte o scommesse che si confrontino concretamente con la domanda stessa, che siano sperimentabili in una sequenza anche articolata di attività e esperienze. Si possono ampliare anche con i sogni, ma devono assolutamente diventare palpabili con esperienze anche parziali, da rilanciare continuamente.
    * Una domanda può essere educata nella misura in cui si superano risposte preconfezionate e di puro consumo, mutuate magari dalla moda imperante o adattate da esperienze meglio misurate su altri destinatari. È utile segnalare l'errore abbastanza diffuso di bruciare esperienze non calibrate sulle effettive domande e possibilità del preadolescente.
    * Le risposte devono essere prodotte attraverso il massimo coinvolgimento della soggettività del preadolescente; devono infatti essere per lui momenti di autoscoperta, di autodefinizione e autogestione, pur nella interazione di una vita di gruppo.
    In questo modo si può ipotizzare una saldatura tra domanda e bisogno profondo.
    * Prima di andare in profondità è utile allargare e collegare tra loro diverse domande; è come percorrere un segmento cui se ne collega un altro in una spezzata e infine in un arco di circonferenza. In altri termini è la logica delle ciliege che si trascinano dietro altre in una catena capace di soddisfare l'esigenza consistente di un gusto. Connessione e collegamento sono operazioni che permettono di lavorare a lungo al livello degli interessi, quindi al livello della facile percezione e interpretazioni dei bisogni, e quindi della aderenza alla vita dei preadolescenti.
    * Deve essere garantita la possibilità di apertura, di scambio e di confronto con altre risposte o elaborazioni delle domande, altri percorsi o formulazioni di itinerari. Ne consegue il valore e il peso determinante che assume per i preadolescenti un ambiente educativo e istituzionale aperto con molteplicità di approcci e risposte alla loro vita, in cui sono compresenti cammini diversi, costruiti su punti di partenza diversa. Viene confermata la necessità di molteplici aggregazioni e del superamento della strutturazione in classi parascolastiche.

    LE TAPPE

    1. Riscattare dalla «cosificazione» delle risposte

    La prima tentazione di ogni educatore è di rispondere. C'è una richiesta, ecco la risposta; c'è un desiderio, ecco la soluzione; c'è una sete, ecco l'acqua; si è fatta una apertura, ecco la botola per richiuderla. Invece bisogna sganciare le domande da risposte oggettivate, graduandone le risposte. Graduare significa stabilire una sequenza minima di programma che non «bara» sull'interesse del preadolescente, nel senso che non delude o frustra l'interesse o il bisogno, ma lo distribuisce in una serie di tappe e di momenti successivi che lo ampliano, lo mettono a confronto per crescere di gusto, a mano a mano che lo esperimenta.
    Alcuni bisogni del preadolescente sono già costruiti così: è il caso dello sport che si porta dentro una sequenza che lo sviluppa: allenamento, gioco, torneo, pause, gara finale... Altre, come l'amicizia, l'interesse per la musica o la danza, le varie espressioni di corporeità, possono essere bruciate con qualche risposta precipitosa, che soddisfa al momento, ma che spegne subito l'interesse e soprattutto interrompe il cammino verso la domanda. Spegnendo l'interesse, si accentua il consumo (vedi un certo modo di accostarsi alla musica da fans) e si chiude ogni possibilità educativa.
    Lo strumento più adatto per un educatore che vuol stabilire una sequenza progettuale di ricerca di risposte è la vita di gruppo. Un rapporto operativo con gli altri, prevedere che «si faccia assieme», la fatica di mettere a confronto i propri gusti spontanei e non riflessi permette di controllare il consumo. L'immagine più frequente delle risposte consumistiche la si ha quando dal gruppo di vita si stacca qualche gruppetto che vuol bruciare le tappe: all'inizio si pone parallelo agli altri, poi vive e segue a distanza e per un po' di tempo sparisce e infine, dopo aver consumato, ritorna insoddisfatto, meno abile degli altri che intanto si sono allenati, con una ulteriore voglia di consumare.
    Per rendere non eccessivamente impegnativa la sequenza, l'animatore si deve studiare un dosaggio graduale di risposte, di esperienze che richiamino continuamente il bisogno e lo rilancino su traguardi più avanzati. La stessa tendenza dei preadolescenti a non mantenere a lungo una unica attività facilita la gradualità attraverso sospensioni, incastri, molteplicità di iniziative.

    2. Le attività hanno un significato fuori di me e per me

    La risposta agli interessi può essere chiusa entro il gruppo degli amici oppure aperta alla realtà globale della vita della società. Si possono stabilire sequenze che chiudono sulla vita del ragazzo e lo isolano nel suo mondo, per cui lo sport che si pratica assume solo i significati della sua squadra, la musica è legata solo ai suoi piccoli gusti, il servizio è inteso come una sua esuberanza, gli interessi culturali sono legati al mondo delle sue emozioni...
    È necessario invece che attraverso un confronto con quanto capita nella realtà più vasta, un approfondimento e una verbalizzazione delle proprie sensazioni, si riesca ad arricchire il campo dei significati che ciascuno dà ai suoi interessi con i significati di tutti, con l'esperienza stessa dell'umanità. Si arriva così a un nuovo livello di comprensione di sé e del mondo, della natura, del vivere sociale...
    Il preadolescente lentamente si accorge di far parte, con i suoi interessi e le sue piccole domande, di una sete più grande a cui sono interessati tanti uomini. Si sente non tradito o escluso dalla realtà anche se oggi non ne avverte la necessità. Viene attrezzato per capirsi di più e per capire il mondo.
    Nello stesso tempo bisogna aiutare il ragazzo a capire che sulle attività che sviluppano i suoi interessi si gioca la sua «consistenza», la sua «grinta». Il che significa che le esperienze prodotte non sono secondarie, indifferenti, senza conseguenze sulla sua personalità. Riuscire nel gioco oppure no, essere apprezzato dagli adulti per quello che fa oppure no, acquisire abilità, essere soddisfatto, patire la tensione dell' agonismo, soffrire una calibrata competitività, leggere e confrontarsi con le stesse esperienze fatte nella società, sono approfondimenti di significato, necessari per scavare le domande oltre i bisogni.
    Gli strumenti più adatti sono:
    - l'interazione nel gruppo: le piccole liti, invidie e gelosie, la capacità di accogliere i pareri altrui e di dire i propri;
    - il rapporto con l'esterno, fatto di collaborazione, di confronto con altri gruppi o con le esperienze degli adulti, di lettura degli eventi che si collegano direttamente alle loro esperienze pur piccole;
    - la cura della risonanza interiore. Qui è necessario usare tutti i possibili linguaggi evocativi, indiretti, per abilitare a capire il significato - per me - di ogni operatività. Molte esperienze dei preadolescenti si consumano senza un minimo di cura della risonanza interiore, svuotandole di ogni significato e abbandonandole al consumo.

    3. Tentare di approdare a un senso

    Dopo l'acquisizione di linguaggi adatti a collocare le varie risposte nei modi di pensare, di vivere, di stare nella semplicità del quotidiano, occorre porre sotto i fari dell'osservazione il gusto provato, la soddisfazione, lo stesso smacco come strade necessarie per arrivare al senso.
    È la capacità di andare oltre l'utile, la gratificazione e il significato strumentale. È il livello in cui il ragazzo scopre la bontà del mondo, delle cose, della realtà che gli si offre come buona e carica di valore per la vita. Ho giocato, ho vinto o perso al torneo, ho raccolto aiuti per quell'opera, sono stato capace di far riuscire bene la festa con tutti gli amici, ho sperimentato che è difficile controllare i miei sentimenti in quella attività... ho capito che c'è da trovare un senso più profondo.
    Il senso lo si scopre se colgo il valore per me, se faccio un passo di più del «mi piace». Potrebbe all'inizio essere solo un «mi manca», «sarebbe più bello, se...», cogliere anche solo il negativo del senso. È una operazione delicata di sintesi di emozioni, sentimenti, confronti, sensazioni, impossibili da verbalizzare, che però vanno fatte formulare interiormente.
    Una poesia, una preghiera, un disegno, un cartellone di gruppo, dei murales, il linguaggio dei simboli è forse il più adatto a costruire queste sintesi. Talora un recital ben fatto, non copiato, una drammatizzazione, fanno scattare nel preadolescente le prime sintesi interiori di senso. È importante a questo livello tenere sempre collegata la domanda o l'interesse con la risposta, qualunque essa sia. Troppo sbrigativo, per esempio, dire davanti a una sconfitta anche solo nel gioco: l'importante è partecipare! È una magra consolazione, non uno scavare nella ricerca del senso. È forse più appropriato aiutare a capire che è stato importante giocare o fare; che riuscire o vincere era un sogno che ciascuno si deve tenere ancora dentro perché fa parte della sua vita; che la sconfitta può segnare tanti disimpegni o mancate collaborazioni, ma non spegne la voglia di stare con gli altri; che si deve fare i conti con i propri limiti; e che è bello condividere la gioia di chi è arrivato e ancor più bello sapere di camminare sempre.

    4. Aprire all'invocazione religiosa

    Il mondo religioso nel preadolescente si affaccia sempre in maniera molto frammentaria e episodica, senza essere la conclusione di particolari logiche o sequenze di pensieri. È un approdo talora spontaneo nella constatazione di una incapacità o limite, è condivisione di gioie inaspettate, di momenti di particolare sensibilità. Rasenta spesso la magia e la fuga. La scommessa dell'educazione della domanda è quella di dare più consistenza a questa ricerca e a questo approdo, di riuscire a far cogliere che il senso è una parola scritta a metà finché non si incontra con il trascendente. È di far esperimentare non solo parentela, ma continuità, novità di espressione, completamento necessario tra la proposta religiosa che finora gli hanno fatto gli adulti e quel nuovo che gli è nato dentro attraverso le varie esperienze fatte. Si tratta di superare la forte cesura tra il conosciuto per informazioni anche insistenti e obbligate, e questo mondo interiore che si sta elaborando dall'interno. Nello stesso tempo l'educazione di questa domanda religiosa deve far superare il distacco tra i valori umani autonomi del suo vivere personale (corporeità, carattere, abilità...) e sociale (amicizia, classe, gruppo, strada...) e la proposta di esperienze esplicitamente religiose.
    La strada più collaudata per questo delicato, ma necessario, passaggio è quella del confronto con testimoni o modelli motivati. Le domande devono potersi confrontare con incarnazioni concrete dei sogni. I modelli sono spesso quelli della vita quotidiana, che non vanno messi sul palcoscenico per la narrazione delle loro esperienze, anche se talvolta si può ricorrere pure a quelli un poco straordinari o carichi di valenza per l'opinione pubblica.
    Un altro strumento rilevante è l'utilizzo di gesti o momenti simbolici, di celebrazioni capaci di portare all'invocazione anche diretta, che, se non è sempre il punto di arrivo vero della domanda, così come è percepita interiormente, ne è sempre una linea orientativa. Spesso la preghiera non è esattamente l'invocazione che nasce dalla domanda, ma ne è la traccia.
    Un altro spazio da curare è qualche momento, sostenuto e aiutato, di «diario» personale, di sfogo della sensibilità interiore in una esplicitazione del proprio mondo interiore. Talora può peccare di narcisismo, ma ha sempre la possibilità attraverso un confronto di diventare ricerca di ulteriorità. Chi è questo Altro a cui mi affido? finisce con me? siamo tutti alla ricerca di noi stessi o c'è qualcuno che ci precede, che sta all'inizio e alla fine delle nostre espressioni personalissime e ripiegate?
    Ancora una volta il gruppo aiuta a tenere i piedi per terra puntando oltre.

    Conclusione

    L'educazione della domanda è un'arte e un compito educativo che deve essere sostenuto non sporadicamente o in maniera discontinua nella vita dei preadolescenti, ma deve fare da stile continuo in ogni itinerario.
    Direi che è proprio l'itinerario che permette a un educatore di apprezzare seriamente la vita e di provocarla a una graduale e costante crescita, attraverso una collocazione corretta entro un progetto, con tappe e strumenti adatti.


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