Andrea Peggion
(NPG 1990-04-22)
Gioco, sport e adolescenza sono le parole chiave di questo articolo. Nel parlare della loro relazione, non abbiamo la pretesa di definirli ma quella di descrivere quali possibilità, in campo educativo, può dare la loro conoscenza, e in che modo l'Arciragazzi si pone nei confronti di questo problema.
Noi, sinteticamente, definiamo «lavoro educativo» quello che svolge chi si pone problematiche di sviluppo delle potenzialità dell'uomo e, cosciente della realtà in cui interviene, segna un percorso e attiva processi. Riteniamo che, attraverso la coscienza del proprio ruolo, le conoscenze delle problematiche unite a obiettivi e fini educativi chiari, si possa rendere costruttivo questo lavoro.
COMUNICAZIONE E AUTONOMIA: COMPONENTI DEL GIOCO
L'Arciragazzi ha come finalità educative (sancite dal suo documento di base «Finalità educative dell'Arciragazzi») quelle di «favorire la reciprocità della comunicazione, l'autonomia e l'iniziativa dei ragazzi».
Comunicazione e autonomia sono componenti essenziali del gioco. Questo si definisce come attività automotivata (liberamente scelta), delimitata da uno spazio e da un tempo, senza fini che non siano il piacere di giocare o la gratificazione di farlo più o meno bene.
Il gioco si esplica attraverso un linguaggio delle azioni, all'interno di regole, che sono assunte da tutti i giocatori. La regola dice quale tipo di comunicazione (secondo quale sintassi) si deve attuare in quel contesto.
L'attività ludica è per definizione la più libera che l'uomo possa fare: non si può obbligare nessuno a giocare pena la negazione del gioco.
Chi gioca, mentre lo fa, non ha altro obbligo che mantenere alta la soglia del piacere.
La comunicazione, nel gioco, pur essendo vincolata da un certo numero di regole, è totale.
Si comunica il nostro modo di intendere quell'oggetto e quella relazione, si «parla» del nostro mondo interno, dei nostri valori, della nostra razionalità, ecc.
Attraverso lo spazio ludico, che è campo dell'illusione, e proprio per questo, possiamo esprimere: l'aggressività, il nostro amore, la gioia, il dolore, il corpo, la mente, il piacere, e tutto questo lo mettiamo in relazione con quello dell'altro.
In questo «cerchio magico», conosciamo noi e gli altri: conosciamo noi attraverso gli altri, conosciamo gli altri attraverso noi.
LO SPORT: STANDARDIZZAZIONE DI GIOCHI DI MOVIMENTO
Lo sport, come attività, non è altro che la standardizzazione, secondo regole molto recise, per fini culturali e sociali, di alcuni giochi di movimento.
Tutte le culture hanno prodotto loro giochi motori; questi sono rappresentazioni del rapporto spazio-corpo.
La nostra cultura occidentale, per esempio, ha «inventato» il pugilato come sua interpretazione dell'interazione aggressiva fra uomini. Altri popoli hanno prodotto, su questo tema, il karate. Ognuno di questi giochi è fortemente legato agli elementi culturali, dunque ai simboli, ai significati, alle strutture sociali ed economiche che li hanno espressi. Addirittura si potrebbe dire che, comunque venga svolto questo tema, tutta l'umanità ha avuto bisogno di elaborare il rapporto aggressivo fra corpi.
Tutte le culture hanno avuto bisogno di standardizzare questo fondamentale elemento di interazione. I motivi di questa regolazione sono soprattutto due:
- il bisogno di un linguaggio comune, che tutti possono parlare, serve ad esprimere l'identità e la cultura di quel popolo;
- l'elaborazione di capacità e di abilità sviluppa la relazione con quei temi che sono i contenuti dei giochi. Abbiamo sottolineato nel gioco l'interazione fra autonomia e comunicazione. Abbiamo detto dello sport che questo è regola (universale), palestra di abilità, rappresentazione di popoli.
Vogliamo ora affermare che particolarmente lo sport è il ritratto del rapporto corpo-vincoli attraverso una interazione (un linguaggio) che a sua volta è rappresentazione del modo di intendere le regole sociali.
Se è vero che ogni discorso non può che essere la descrizione di elementi in relazione, in un'ottica sistemica, possiamo affermare che elementi sistemici della relazione fra gioco e sport si costruiscono attraverso il rapporto fra regole (socialità), corpo (piacere), scoperta (avventura, apprendimento).
Non tutti gli sport sono campi delle stesse rappresentazioni, anzi diremo che i tipi diversi di interazione che vi si distinguono dimostra come grande e differenziato sia il bisogno ludico dell'uomo e quanto i giochi racchiudano tutti gli universi umani.
Potremmo semmai chiederci perché degli sport siano sopravvissuti fino ad oggi e perché storicamente alcuni si siano trasformati, altri dimenticati. Si è assistito, altresì, all'interno della cultura dei giochi di movimento, ad una ritualizzazione di questi, che sono stati trasferiti su di un palcoscenico (stadio), assumendo come teatrali certe manifestazioni di rapporto ludico fra corpo e spazio.
Nel momento in cui il gioco passa dal livello di attività a quello di rappresentazione c'è, al suo interno, una veicolazione di miti, di simboli culturali, di regole sociali, altamente intrigante per gli individui coinvolti.
ADOLESCENZA E SPORT
L'adolescenza è definita, dalla maggior parte degli studi sul tema, il periodo in cui, attraverso una serie di trasformazioni fisiche e psicologiche, si passa alla maturazione complessiva del soggetto. Essa è caratterizzata da un'esplosione di bisogni: di partecipazione, di accettazione, di comprensione, di autonomia, di conoscenza.
Questi bisogni si esplicano attraverso identificazioni e conflitti. Il ruolo degli stimoli culturali e sociali, in questa età, è di importanza fondamentale. Qui la funzione di uno spazio ludico «protetto» è diversa da quella svolta in età infantile, in quanto il tema principe che ora viene giocato è quello della identità fisica e psicologica.
Lo sport ha, e può avere, un indubbio peso nella crescita equilibrata degli adolescenti proprio perché è, nella sua accezione migliore, interazione creativa, protetta, fra corpo e regole.
Il problema è come viene usato e posto dagli educatori e dai mass-media. L'Arciragazzi nega che si debba costruire, attraverso lo sport, soltanto un'educazione «regolata» del corpo e che si adoperi la «gara» solo come sfogo di pulsioni aggressive. L'Arciragazzi non crede all'uso che viene fatto dell'attività ludico-creativa in funzione della selezione di atleti.
Viceversa, nell'associazione, lavoriamo per promuovere percorsi motori con fini ludici. L'educatore, in tale ottica, ha il compito di far giocare gli adolescenti a tanti giochi, di far riscoprire il gusto dell'attività fine a se stessa, e il confronto espressivo acquista possibilità educative per lo sviluppo del giovane, perché il conflitto, la lotta, saranno sempre visti come sana manifestazione di sé nel rapporto con gli altri, aldilà delle sovrastrutture che la società, o parte di essa, impone.
Dunque non negazione dello sport in generale, ma sviluppo delle qualità e delle possibilità ludiche di queste attività, stimolo alla conoscenza-coscienza del ruolo di interazione, ai fini di una crescita del sé e di una positiva reinvenzione del rapporto sociale.
Stimolare i contenuti ludici dello sport vuol dire far riscoprire il significato del piacere, non in opposizione a qualche cosa o a qualcuno, ma come elemento naturale della vita così come il dolore e la sofferenza.
Lo sport per educare alla vita
Far riscoprire la naturalezza del piacere, il suo essere un fatto essenziale e non straordinario, vuol dire far riscoprire il dolore, vuol dire educare alla vita. Vuol dire educare a non fuggire dalla vita, ad accettarla per come è: meravigliosa e drammatica, così come meraviglioso e drammatico è l'uomo, l'adolescente e il bambino.
«È emozionante che l'adolescenza si faccia sentire e sia attiva, ma la ribellione adolescenziale che si fa sentire oggi all'interno del mondo deve essere raccolta, deve esserle data realtà attraverso un atto di confronto. Gli adulti devono esserci, se gli adolescenti devono avere vita e vigore» (D. W. Winnicot, Gioco e realtà, Roma 1974).