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    La via sapienziale a Dio: gli atteggiamenti di fondo



    Antonio Bonora

    (NPG 1989-06-89)


    «Legge e profeti» (cf Mt 5,17; Lc 24,27) è un'espressione con cui si definisce la Bibbia ebraica da parte del NT.
    La «legge» (o torah) abbraccia tutto il Pentateuco, ossia la narrazione degli inizi: inizio del mondo e dell'umanità, inizio del popolo di Dio. La Legge è dunque il racconto fondativo comprendente il comandamento o i precetti regolativi dell'esistenza. Si tratta dunque di un archetipo, un paradigma di ciò che dev'essere e non tanto (o non solo) di ciò che è avvenuto in passato.
    La «storia» narrata nella torah è da leggersi piuttosto come un programma che come un resoconto di ciò che è stato. Nella torah si ritrovano i fondamenti perenni, i principi generali dell'esistenza. I «profeti» sono l'altra parte della Bibbia ebraica. Essi mostrano invece l'impegno nel contingente, nel particolare e nel concreto della storia. Tutto ciò che viene raggruppato sotto il termine «profeti» mostra infatti l'attualizzazione e l'inserimento della legge fondatrice e archetipa nel contesto vivo e cangiante della storia.
    Legge e profeti non sono due vie, perché la profezia riprende, reinterpreta e attualizza la legge nel quadro della storia mutevole e viva. La legge rimarrebbe un archetipo astratto senza l'attualizzazione profetica.

    LETTURA TORAHICA, LETTURA PROFETICA E LETTURA SAPIENZIALE

    Fare una lettura teologica della Bibbia significa coniugare questi due momenti, legge e profeti. Da una parte, infatti, la Bibbia-torah ci introduce nei grandi «assi» portanti della vita, che sottostanno a ogni divenire storico: la creazione, la vocazione (Abramo), l'esodo (liberazione), la legge (Sinai), la terra (ossia la vita come popolo e società); dall'altra parte, la profezia ci educa a tradurre e attualizzare quegli archetipi nella concreta storia umana, secondo le varie epoche, culture e situazioni politico-economico-sociali.
    Lettura «torahica» della Bibbia significa allora interrogarsi sui grandi principi e valori che reggono l'universo e l'esistenza umana.
    Lettura «profetica» della Bibbia è invece chiedersi come sia possibile comporre il contingente e mutevole corso della storia con le esigenze della legge fondatrice data da Dio.
    Ma dove si inserisce la sapienza?
    Nella formula «legge e profeti» si compendia tutta la Bibbia dell'AT. Sembra mancare il terzo elemento: la sapienza. Se la legge pone il «prima», l'archetipo; se la profezia pone «l'adesso» della attualizzazione; la sapienza insegna il «sempre», ossia abolisce le differenze dei tempi e dei luoghi per cogliere ciò che è universalmente valido.
    Infatti la sapienza non è tanto un genere letterario, non riguarda un'epoca o un gruppo di uomini: la sapienza è per tutti gli uomini, riempie tutto lo spazio e tutto il tempo. Essa è la dimensione universale perché si identifica con la «vita».

    LEGGERE LA BIBBIA DA SAPIENTI

    Ci vogliamo allora interrogare su che cosa possa significare leggere la Bibbia da sapienti, ossia assumendo come principio ermeneutico l'atteggiamento tipico del sapiente.
    Certamente ciò non significa escludere la torah o la profezia, perché la sapienza abbraccia e ha preso possesso sia della torah che della profezia. La legge è un appello al compimento; la profezia considera il provvisorio compimento storico della legge; la sapienza cerca il permanente e l'universale.
    È dentro questo quadro che pensiamo sia plausibile tentare di chiarire la «via sapienziale» a Dio in coordinamento con la via «etica» e con la via «profetica», senza porre nessuna alternativa, ma piuttosto una complementarietà e un'integrazione.

    Le tentazioni del credente

    Quali sono le tentazioni cui è esposto il credente che accoglie la torah e i profeti? Questa domanda ci aiuterà a comprendere meglio la necessità di assumere l'atteggiamento sapienziale.

    La vita come «prova»
    L'appello della legge e la predicazione profetica alla conversione possono far nascere la tentazione di concepire la vita come una «gara a ostacoli»: chi supera l'ostacolo avrà il premio. In questo caso la vita non è considerata in se stessa, ma come «condizione» per ottenere qualcosa (in termini cristiani: il paradiso). Nasce così la paura di vivere per amore della vita, la quale è prospettata solo in vista di «qualcosa» che non è semplicemente la vita.

    L'individualismo
    La legge e i profeti fanno appello all'individuo, alla sua responsabilità, alla sua coscienza. Il rischio è di dimenticare l'impegno di costruire la comunità umana, di edificare la società qui e adesso. Soprattutto il cristiano è facilmente tentato di pensare alla «comunione dei santi» in paradiso, ma dimenticare la promozione di una società nuova qui e adesso.

    L'autorità
    L'appello della torah e dei profeti è un richiamo autoritativo: «Cosi dice il Signore». Ciò può costituire una tentazione, come un esonero dalla ricerca, dalla verifica, dall'osservazione esperienziale. L'autorità potrebbe diventare allora autoritarismo.

    Gregarismo
    La legge può costituire una tentazione perché potrebbe indurre a creare dei «servi», non delle persone creative, piene di iniziativa e di inventiva. Tutto quel che è da fare sembra già stabilito e fissato in modo inequivocabile. I fedeli allora si trasformano in «gregge», non in comunità solidale, creativa.
    Se queste sono alcune vere tentazioni, alle quali potrebbe andare incontro il pio credente, allora comprendiamo come la sapienza sproni a vivere pienamente la vita come bene, non solo individualisticamente ma in società, non da gregari passivi e schiavizzati ma come partners creativi e intraprendenti, critici e intelligenti. In altri termini, la sapienza preserva la legge e i profeti dalla corruzione, dai fraintendimenti e dalle tentazioni fuorvianti.
    La sapienza è il «sale» che permette alla legge e ai profeti di conservarsi intatti e genuini nella loro capacità di fecondare e trasformare l'esistenza umana.

    Due poli supienziall

    Volendo brevemente riassumere il senso complesso e sfuggente di sapienza (e del «diventare sapienti»), potremmo ricorrere all'immagine di due «poli», indicando così non tanto i confini o i limiti della sapienza, ma piuttosto due assi fondamentali intorno ai quali si sviluppa il sapere sapienziale.
    Il primo polo è così formulabile: la sapienza è il tentativo di porre ordine nel caos dell'esperienza umana. Due termini sono qui decisivi: esperienza e ordine. La sapienza parte dall'esperienza umana concreta, così complessa e multiforme; essa ricerca un principio di ordine, senza il quale non può esserci successo, felicità, produttività.
    Il secondo polo è così definibile: la sapienza è la ricerca di autocomprensione dell'uomo in rapporto al mondo, agli uomini e a Dio. Il sapiente cerca la propria collocazione all'interno della realtà totale, ossia cerca una definizione di sé non astrattamente, ma nelle relazioni fondamentali costitutive della sua esistenza: col mondo, con gli altri uomini, con Dio.
    C'è un nesso tra questi due poli: la comprensione di sé si può raggiungere soltanto operando un intelligente discernimento nel mare delle varie e spesso contraddittorie esperienze della propria vita. Chi riesce a scoprire un «ordine» nella realtà, trova anche la giusta collocazione e comprende la maniera di stabilire delle relazioni felici e produttive.

    CINQUE VIA SAPIENZIALI

    Nell'assunzione e reinterpretazione di legge e profeti, la sapienza propone cinque vie principali, che occorre percorrere per evitare i pericoli e le tentazioni di cui si parlava sopra.

    Apertura all'esperienza dell'uomo
    Questo è l'atteggiamento di fondo che si richiede al credente che voglia essere autenticamente uomo. Il sapiente invita continuamente a osservare, a essere attento all'esperienza; ciò che è contrario alla «natura» può essere una bella teoria, ma illusoria. Ciò che non promuove realmente la dignità umana e ciò che non mette in conformità con la natura rischia di essere dannoso. Le leggi, le istituzioni e le teorie vanno messe a confronto con l'esperienza umana per misurarne la produttività e l'efficacia.

    Fiducia nella realtà
    Il sapiente, di fronte al caos apparente della realtà e alle allusioni della esperienza, mantiene un atteggiamento radicalmente ottimistico. Il suo ottimismo è fondato nella fiducia che la realtà porta in sé un ordine, un'armonia posta da Dio. Nel mondo c'è tanto male e tanta ingiustizia, ma occorre anche saper vedere la bontà radicale della realtà creata. La prima pagina della Torah dice che «Dio vide che tutto era buono e bello». Su questa fiducia nella bontà e nell'ordine creato il sapiente costruisce la sua vita.

    Fede nella creazione
    Conseguentemente, il sapiente si muove dentro l'orizzonte della fede nel Dio Creatore. La creazione è la prima, invitante e salvante, parola di Dio all'uomo. Basterebbe citare Giobbe 38-42 per comprendere come, per il sapiente, la creazione diventi maestra di vita: essa fa percepire all'uomo quale sia il suo posto di creatura, fa conoscere quanto Dio sia potente e misterioso, aiuta a scorgere l'ordine universale che Dio ha immesso nel cosmo. La creazione rivela anche la sovrana, assoluta libertà, non irrazionale e capricciosa, di Dio nel governo nel mondo.

    Verifica realistica e critica
    Il sapiente non si affida ciecamente all'autorità. Egli cerca di capire, di valutare criticamente, di verificare la solidità di una teoria o di un'opinione. Il saggio non è un credulone né un bigotto; non è nemmeno un contestatore superficiale, ma sottomette tutto a esame attento e a una verifica imparziale sulla base della esperienza. Per esempio, è bene rispondere allo stolto o è meglio tacere? In Prov 26,4-5 ecco la risposta del saggio: «Non rispondere allo stolto secondo la sua stoltezza per non divenire anche tu simile a lui. Rispondi allo stolto secondo la sua stoltezza perché egli non si creda saggio». Risposta paradossale, anzi contraddittoria! Così è il saggio: egli sostiene che a volte è bene rispondere, a volte è bene tacere. Se sei saggio saprai fare il discernimento in base alla situazione concreta in cui ti trovi.

    L'opportunità della verità
    Qui intendiamo dire che per il sapiente la «verità» esige anche una sua opportunità. Una verità detta fuori luogo e fuori tempo può diventare una falsità!
    Occorre saper discernere il momento giusto, l'occasione propizia: saggio è chi sa dire la parola giusta al momento giusto e alla persona giusta. Per questo i saggi israeliti rifuggivano dal costruire «sistemi» teorici groppo rigidi: non per mancanza di spirito speculativo, ma perché il sistema è sempre troppo rigido e inflessibile. La realtà non è facilmente sistematizzabile. Occorre essere sempre aperti a rimettere in discussione una verità raggiunta, un'opinione o una teoria: solo una ricerca continua permette un progressivo avvicinamento alla verità.

    IL «CREDO» DEL SAPIENTE

    Se dovessimo stabilire quale sia il «Credo» riformulato e ripensato dal sapiente israelita, potremmo riassumerlo in questo modo.

    Credo che la persona vale più delle cose
    Basterebbe qui citare il libro di Qoelet, che mostra all'evidenza come il successo, la ricchezza, gli onori e le cariche non rendano la vita né più felice né più sicura. I sapienti sono stati accusati di non interessarsi, come i profeti, dei problemi politici e sociali. Ciò è vero, ma non perché i sapienti fossero degli intellettuali avulsi dalla società del loro tempo e chiusi in una dorata torre d'avorio.
    I saggi di Israele volevano contribuire a «formare» delle autentiche personalità umane.
    E la persona non si misura da quello che possiede e da quello che fa. La persona è sí in parte plasmata dalle istituzioni e dalla società in cui vive, ma essa può anche trasformare la società. I saggi di Israele hanno messo il loro impegno soprattutto nel formare delle personalità mature, autonome, ragionevoli e responsabili, senza negare che i profeti avessero un compito diverso, cioè di funzione critica nei confronti della società.

    Credo che la vita è dono di Dio
    L'educazione sapienziale è condurre a scoprire che l'esistenza umana è dono. La vita non è solo una fatica, un'impresa per fare, costruire, produrre. Di qui l'invito a godere e apprezzare i doni disseminati nella nostra vita. Scoprire che la vita è dono di un Creatore buono, è arrivare alla «dimostrazione» dell'esistenza di Dio.
    Occorre perciò, secondo i sapienti, saper scandagliare tutte le esperienze, per discernere in esse la presenza donante di un Altro. Dio non è il motore immobile, nemmeno la semplice Causa prima. È il Donatore, è il Padre. Si scopre che Dio esiste se si scopre che la vita è dono.

    Credo che la vita è responsabilità
    Responsabilità significa essere capaci di risposta ai doni ricevuti. Se la vita è un dono affidato alla libertà umana, allora essa implica una responsabilità. L'uomo sapiente è responsabile: si preoccupa delle decisioni e delle scelte che non ignorino, non sciupino e non stravolgano il dono ricevuto.

    Credo che c'è una verità nel mondo
    Il sapiente non è uno scettico, ma nemmeno pensa di costruire e produrre la verità. Egli è convinto che la verità, l'ordine divino universale, è presente nel mondo ed è accessibile all'uomo. La torah rende concreta e visibile, afferrabile tale verità che è diffusa nell'universo. La disperazione è messa fuori campo; l'arroganza di avere la verità è pure rigettata. La verità è l'armonia, l'ordine che Dio ha posto nel mondo.

    Credo che il peccato è violenza
    Il sapiente sa che il mondo concretamente esistente è il mondo dove c'è il peccato. E il peccato è fondamentalmente concepire la vita e vivere non come creature cui è fatto un dono, ma come padroni che possiedono un potere illimitato e indiscutibile. Dunque, il peccatore è essenzialmente un violento.
    L'antidoto alla violenza è precisamente la fede, in quanto ci mette in una relazione di destinatari di un dono nei confronti di Dio. Il peccatore invece è colui che arroga per sé un potere assoluto e dispotico.

    IL «CREDO» DEL CRISTIANO

    Gesù il vero sapiente
    Gesù è il nuovo Mosé che compie la torah; Egli è il profeta che attualizza la torah nella storia, sia con le sue parole sia con tutta la sua esistenza; Egli è il sapiente perfetto.
    Possiamo rileggere i vangeli alla luce del Credo sapienziale per scoprire l'atteggiamento caratteristico di Gesù come sapiente e così anche trovare in Lui la «via sapienziale» autentica.
    Ci limitiamo ad alcune brevi osservazioni.

    Gesù fa appello all'esperienza
    Innanzitutto Gesù invita ad osservare la natura (cf Mt 6,26: «Guardate gli uccelli del cielo...»). Egli racconta molte parabole, con cui mostra come si debba imparare dalla riflessione sull'esperienza quotidiana.
    Infine Gesù fa ricorso alla propria singolare esperienza di Dio: «Nessuno conosce il Padre se non il Figlio» (Mt 11,27). Gesù non propone soltanto una dottrina da accettare intellettualmente, ma una via sulla quale chiede di seguirlo. Diventare cristiani significa infatti seguire Gesù, fare l'esperienza umana che ha fatto Lui. Ed Egli dice: «Fate questo in memoria di me»; non solo il gesto eucaristico, ma tutta la vita cristiana è un'esperienza come quella di Gesù.

    Gesù invita a essere attenti e responsabili
    Continuamente Gesù mette in guardia dal pericolo della superficialità, della distrazione dissipata, del non-vegliare, del non-essere pronti. Egli chiede un atteggiamento vigile e responsabile, riflessivo e maturo. Il discepolo deve imparare il discernimento, distinguere i «segni dei tempi» di Dio dai segni illusori.

    Gesù dimostra che esiste un Padre nei cieli
    La dimostrazione dell'esistenza di Dio è fatta da Gesù conducendo a scoprire che Dio è Padre e che, di conseguenza, la vita è un suo dono. Se la vita è dono del Padre celeste, essa va goduta. «Ecco un mangione e un beone», dicono di lui (Mt 11,18-19). Gesù mangia e beve, gode la vita come dono, non cerca mai né il dolore né la morte, e le sue opere dimostrano che egli è la sapienza vera. Anche nel dolore e nella morte Gesù non abbandona la fiducia che Dio gli darà la vita.

    Per Gesù le persone valgono più delle cose
    Basti citare il passo di Mc 2,27: «Il sabato è fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato». Nemmeno l'istituzione religiosa può schiavizzare e asservire l'uomo. E in Lc 12,15: «La sua vita non dipende dai suoi beni». Non è né la ricchezza né il potere che salva la persona. La morte di Gesù smaschera il vero volto del peccato che è violenza cieca, che mette sempre «qualcosa» al di sopra della persona. Infine, Gesù è venuto per dare se stesso e non soltanto delle cose: l'Eucaristia, che è l'attuazione oggi della dedizione personale di Gesù compiutasi con la sua morte in croce, è il banchetto dove si apprende la sapienza della vita.

    ATTUALITÀ DI UNA «VIA SAPIENZIALE» ALLA FEDE

    Anzitutto il saggio è un credente intelligente. Ciò vuol dire che egli non presuppone la separazione di fede e ragione, di quel che noi chiameremmo «natura» e «grazia», Dio e mondo, anima e corpo. La fede è vivere in modo autentico l'esperienza umana, essere pienamente umani, dunque assumere tutto ciò che è umano nella direzione di un senso, che è Dio.
    In altri termini, il sapiente impone la domanda sul senso di tutto ciò che l'uomo sperimenta. Lo stolto è invece il superficiale, il distratto, il presuntuoso che crede di non dover apprendere nulla, chi vive epidermicamente senza porsi l'interrogatorio serio sul senso della vita.
    Inoltre il sapiente è l'uomo in ricerca. La proposta sapienziale è di non fermarsi mai al déjà vu, alle opinioni confezionate, alle teorie comunemente ammesse. Nemmeno la tradizione religiosa del passato, neppure la Scrittura è un masso immobile da ingoiare!
    Leggere da sapienti la Bibbia significa scorgere che essa è la storia di una ricerca: Dio in cerca dell'uomo e l'uomo in cerca di Dio. La Bibbia non è un semplice ricettacolo di risposte, anzi essa molto spesso turba e sconvolge perché pone le domande più inquietanti e muove verso una ricerca mai conclusa.
    Infine, il centro di riflessione dei sapienti è l'uomo. Come essere autentici uomini? In fondo, tutta la Bibbia è in questa linea, fino alla piena rivelazione dell'uomo perfetto e ideale che è Gesù Cristo. In questo senso la fede biblica non propone una religione, ossia non dice quali debbano essere le prestazioni dell'uomo nei riguardi di Dio. Essa è propriamente «fede», ossia credere che Dio è tutto per l'uomo e fa tutto per il bene dell'uomo.

    CONCLUSIONE

    Abbiamo tracciato un semplice schema volendo soltanto lanciare un sasso provocatorio.
    Anche da questo frettoloso panorama risulta tuttavia chiaro che la «via sapienziale» è senz'altro una strada maestra per l'incontro con Dio. Forse è pure una via assolutamente idonea ai giovani di oggi.
    Infatti mi pare di scorgere, nel contesto della nostra società, segni di rinascita di atteggiamenti fideistici, di fanatismi o di abbandoni fatalistici a una fede «cieca», che spesso si vuol contrabbandare con la «fede semplice».
    Al cristiano oggi è richiesto uno sforzo di lucidità, di attenta riflessione e di responsabilità, di apertura al dialogo e all'esperienza umana universale. Il rischio non immaginario è di cadere nella concezione della chiesa come isola o come cittadella assediata.
    Inoltre c'è diffuso il bisogno di riscoprire oggi dimensioni della vita cristiana che una certa ascetica ha fatto dimenticare.
    Di fronte all'esaltazione del piacere e del godimento libertino e irrazionale, il cristiano dovrebbe saper proporre il vero piacere, la vera gioia di vivere.
    Siamo spesso accusati di stoicismo, di dolorismo: sono accuse proprio infondate? Il dolore e la morte non sono dei valori; noi siamo fatti per vivere e godere.
    Certo, il cristiano sa anche, con e come Gesù, vivere significativamente e con speranza pure nel dolore e nella morte, ma non attribuisce né al dolore né alla morte una patente legittimativa.
    L'appello all'esperienza, tipico dei sapienziali, costituisce una salutare reazione alla concezione illuministica, diffusa nella cultura dominante, secondo cui la verità è un'evidenza che si impone indipendentemente dalla decisione libera dell'uomo. I sapienti della Bibbia insegnano invece che soltanto chi vuole conosce la vena Non c'è una verità che non coinvolga la libera scelta umana, a meno di ridurre la verità a una «cosa» o a un puro concetto.
    La Bibbia è maestra di sapienza perché insegna a pensare, a porsi le domande radicali, a cercare il senso ultimo della vita. Essa dà le risposte di cui l'uomo ha bisogno, ma è anche compagna che guida nella ricerca.


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