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    La parola di Dio nel cammino neocatecumenale



    Marcello Pieraccini

    (NPG 1989-06-34)


    Uno degli obiettivi fondamentali del Concilio Vaticano II che (ove non sia disatteso) potrebbe segnare una nuova svolta, apportatrice di una rinnovata vitalità nella storia della Chiesa, è quello della riappropriazione della Parola al popolo di Dio.
    Il VI capitolo della Costituzione dogmatica «Dei Verbum» (cioè «la Parola di Dio») del Concilio, «La sacra Scrittura nella vita della Chiesa», afferma che «la Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture come ha fatto per il Corpo stesso di Cristo, non mancando mai, soprattutto nella sacra liturgia, di nutrirsi del pane di vita alla mensa sia della Parola di Dio che del Corpo di Cristo» (n. 21). E aggiunge: «nella Parola di Dio è insita tanta efficacia e potenza da essere sostegno e vigore della Chiesa, e per i figli della Chiesa la forza della loro fede, il nutrimento dell'anima, la sorgente pura e perenne della vita spirituale».
    Dopo aver raccomandato sia lo studio che la «lettura spirituale» della Scrittura, aggiunge: «Parimenti il Santo Concilio (n. 25) esorta con ardore e insistenza tutti i fedeli, e soprattutto i religiosi, ad apprendere la sublime scienza di Gesù Cristo (Fil 3,8) con la frequente lettura delle divine Scritture. 'L'ignoranza delle Scritture, infatti, è ignoranza di Cristo' (S. Girolamo). Si accostino essi volentieri al sacro testo sia per mezzo della liturgia, che è impregnata di parole divine, sia mediante la pia lettura, sia per mezzo delle iniziative adatte a tale scopo e di altri sussidi che, con l'approvazione e a cura dei pastori della Chiesa, lodevolmente oggi si diffondono ovunque. Si ricordino però che la lettura della Sacra Scrittura dev'essere accompagnata dalla preghiera, affinché si stabilisca il dialogo tra Dio e l'uomo; poiché quando preghiamo parliamo con lui, lui ascoltiamo quando leggiamo gli oracoli divini (S. Ambrogio)».
    E conclude: «Come dall'assidua frequenza del mistero eucaristico si accresce la vita della Chiesa, così è lecito sperare nuovo impulso alla vita spirituale dall'accresciuta venerazione della Parola di Dio che permane in eterno (n. 26)».

    ACCOSTAMENTI INSODDISFACENTI ALLA BIBBIA

    Questo mirabile programma del Concilio trova però nella realtà della Chiesa di oggi non pochi ostacoli e difficoltà.
    Alcuni di questi affondano la loro radice nel passato della Chiesa, quando la liturgia in latino rendeva inaccessibile la Parola di Dio alla maggior parte dei fedeli, e veniva guardata con sospetto la lettura della sacra Scrittura da parte dei laici, fino al punto che molti di essi avevano la convinzione che fosse proibito leggere la Bibbia.
    Ma ancora più grave è stato il peso dell'atteggiamento verso la Scrittura di un certo tipo di teologia, ancora impastoiata dalla polemica con «l'epoca dei lumi» e perciò spesso fortemente razionalistica.
    La sacra Scrittura in questa prospettiva interessa solamente in quanto contiene, confusamente mischiate al resto, un certo numero di verità trascendenti, di formule sulle verità di fede che il teologo deve staccare dal contesto per riorganizzarle e concatenarle logicamente o riformularle in idee chiare e distinte e in un ordine finalmente soddisfacente.
    Quello che resta della Scrittura è come una ganga priva d'interesse, un residuo inutile.
    Analogo a questo modo di vedere la Scrittura unicamente come una specie di miniera da cui estrarre idee e principi, è quello diffusissimo, ma non per questo meno riduttivo, di vedere in essa unicamente un codice di comportamento morale.

    Moralismo e riduttivismo

    Si estraggono allora da questa miniera solo le norme morali che costituiscono l'etica cristiana. Il risultato che ne deriva è una visione moralistica del cristianesimo, che si riduce a un'etica o, peggio ancora, a una sociologia e non a una vita nuova operata nell'uomo dalla potenza dello Spirito santo.
    È la «riduzione protestante» del cristianesimo, che faceva dire a Lutero che il discorso della montagna era «Mosissimus Moises», cioè Mosè al quadrato, e non l'immagine dell'uomo nuovo che vive nello Spirito. Ma questo moralismo non può sostenersi, perché condannerebbe tutti: nessuno può compierlo con le sue sole forze.
    Nasce allora la tentazione di ridurlo alla misura dell'uomo e di un uomo molto pigro e borghese per di più. Questa è la tentazione più grande della teologia e della morale di oggi; ma già negli anni '50 si insegnava l'assurdo che la giustizia obbliga e la carità no; riducendo così la morale cristiana a poco più del diritto romano tranne per ciò che riguardava il sesto comandamento. E la teologia morale che ho studiato io. Ricordo benissimo l'impressione che ricavai dalla lettura di «Morale et Corps Mystique» del Padre Mersch, che tentava un approccio nuovo alla morale cristiana, come lo aveva tentato con la teologia dogmatica. Il suo tentativo sarebbe nuovo anche oggi.

    Utilità e limiti dell'esegesi liberale

    Il terzo elemento di ostacolo, forse il più serio di tutti, è stato dato dalla accoglienza, talvolta ingenuamente acritica nel campo della esegesi cattolica, dei metodi dell'esegesi protestante- liberale e soprattutto del suo pregiudizio metodologico che è la impossibilità del miracolo e del soprannaturale, cosa che finisce per ridurre il cristianesimo a un teismo appena larvato e del tutto implausibile, appena ricoperto di qualche artistico rivestimento mitico.
    Lo sbocco ateistico della filosofia moderna prende infatti le mosse proprio dal rifiuto di una tale caricatura di cristianesimo. L'unico vantaggio di tutto questo è che la polemica sorta intorno a questa operazione culturale ha costretto moltissimi esegeti di buona volontà a studiare ancor più profondamente la sacra Scrittura, i suoi tempi e luoghi, il suo contesto culturale. Il risultato è solo di dimostrare la assoluta inconsistenza di ogni tentativo di «demitizzazione» del cristianesimo e soprattutto del Vangelo, e la assoluta caducità di ogni «soluzione», proposta sempre è come la verità ultima e assoluta. La critica esegetica è utile solo se si ricorda che essa come la dissezione di un cadavere. È utile per capire la vita, ma non è la vita.
    Tuttavia il prezzo che abbiamo pagato e che paghiamo è stato ed è ugualmente assai pesante, perché è questo tipo di esegesi che si insegna nelle nostre università e nei nostri seminari, spesso in maniera acritica e dimenticando il ruolo del servizio che il teologo e l'esegeta hanno nella Chiesa; col risultato di rendere visibile e di tacciare sbrigativamente di «fondamentalismo» qualsiasi tentativo di lettura spirituale della Bibbia.

    DENTRO UN MOVIMENTO DI ESPERIENZA DELLO SPIRITO

    La comprensione dell'assurdità di questa situazione si va facendo poco a poco strada nella Chiesa e ha già prodotto dei forti movimenti di recupero e di revisione, e non solo in campo cattolico.
    Tuttavia il neocatecumenato non è nato da alcuno di essi; ma dalla esperienza originaria e nativa che hanno fatto della potenza creatrice della Parola di Dio un gruppo di uomini e donne che si riunivano nelle baracche della periferia di Madrid subito dopo il Concilio. Costoro si riunivano intorno a Kiko (Francisco) Arguello, un pittore ateo, convertito, venuto in mezzo a questi poverissimi con l'idea diametralmente opposta di vivere in silenzio e preghiera secondo lo spirito di Charles De Foucauld.
    Da questa esperienza dell'irruzione dello Spirito operante con potenza attraverso la Parola nella vita delle persone, è nato il neocatecumenato in modo quasi involontario e certamente non previsto né studiato.
    E tutti coloro che fanno questa esperienza, preti e laici intellettuali e gente semplice, professori e studenti di sacra Scrittura, sono testimoni della ricchezza, della profondità, della potenza di questa riscoperta della Parola di Dio ascoltata nella preghiera.
    E tuttavia è difficilissimo descrivere questa esperienza a chi non vi ha mai partecipato (o non ne ha fatto una analoga) e non ha visto nel tempo le persone cambiare al di là di ogni possibile spiegazione psicologistica.
    Tuttavia dalla riflessione su questa esperienza e dalla necessità di introdurre in essa nuove persone è nata una sintesi catechetica e una metodologia pastorale di iniziazione alla sacra Scrittura.
    È quanto cercherò di esporre brevemente.

    La storia della Parola

    Innanzitutto occorre considerare che la Scrittura non è un aereolite piovuto dal cielo; essa si è formata ed è stata consegnata da Dio a un popolo, quello di Israele, che ha una mentalità, un'indole e una cultura molto diversa dalla nostra, e con questa esprime nei libri della Bibbia l'esperienza che ha avuto del suo incontro con Dio.
    Sarebbe ingenuo e mistificante allo stesso tempo proiettare in questo popolo non solo la nostra mentalità occidentale e, ancor peggio, le nostre preoccupazioni e i nostri pregiudizi.
    Il concetto stesso di Parola, «dabàr» è, per un antico ebreo, molto diverso dal nostro.
    Per un ebreo, Dio ha creato con la sua Parola: «E Dio disse: 'Sia fatta la luce!' e la luce fu» (Gen 1,3); ed è la Parola di Dio che crea e mantiene nell'essere tutte le cose. Per questo la Parola è ciò che «sta dietro» le cose (e non solo le cose), dietro i fatti e li costituisce nel loro essere e nel loro significato.
    Il Vangelo di Luca afferma due volte (Lc 2,19 e 2,31) che «Maria conservava tutte queste cose, meditandole nel suo cuore». La parola «cose» traduce il gre co «rémata» che vuol dire parole, discorsi (traduce l'ebraico «debarim» cioè parole) e si riferisce ai fatti riguardanti nel primo caso la nascita di Gesù e nel secondo lo smarrimento di Gesù nel Tempio. È un esempio tipico della nostra incomprensione della mentalità ebraica. Per Maria quegli avvenimenti sono altrettante «parole di Dio» con le quali Dio si manifesta e le parla.
    Tutti gli eventi, i fatti della storia della salvezza, sono per gli ebrei una Parola di Dio e come tali sono consegnati nella sacra Scrittura. Perché l'esperienza che gli ebrei e poi i cristiani ne hanno fatto li ha portati a dire che «la Parola di Dio dura in eterno» (Is 40,8; Pt 1,24), cioè che quella Parola di Dio contenuta in quegli eventi della storia della salvezza (Abramo, ad esempio, o l'Esodo) sono «parole» che parlano non solo al tempo in cui sono accadute, ma «parlano» ancora oggi. Per questo molto spesso sono consegnate nella Bibbia già nella dimensione di una «attualizzazione» a eventi posteriori. È il caso tipico del Deuteronomio che «attualizza» l'Esodo al tempo del ritorno dell'esilio.

    Una lettura propriamente «spirituale»

    Questo tipo di mentalità risulta del tutto incomprensibile alla critica razionalistica moderna. Eppure proprio qui è la chiave di una lettura propriamente «spirituale» della Bibbia. Perché essa è ancora oggi una Parola che Dio dice per me, cioè per la mia vita.
    Ma non soltanto nel senso, del tutto riduttivo, di un giudizio morale sulla mia vita; bensì di una illuminazione potente su di essa, sul suo senso e sul senso di tutti i fatti della mia storia, che alla luce di questa Parola divengono anche essi una Parola che Dio dice a me. Per cui qualcuno ha potuto affermare che la differenza tra un pagano e un cristiano consiste in questo: che il pagano la vita la subisce, mentre un cristiano la «interpreta». La nostra vita infatti senza questa Parola è cieca.
    Perché c'è una somiglianza nativa e profonda tra ciò che Dio ha detto e ha fatto con Abramo, con David, con Paolo, e ciò che vuole dire e fare con me. Ed è per questo che la storia di queste persone è stata consegnata, per ispirazione divina, nella sacra Scrittura.
    Ma c'è di più. Questa Parola è Parola di Dio, e quando è proclamata e accolta ha la potenza creatrice di Dio. Come ha avuto il potere di creare l'universo, così ha il potere di ricreare l'uomo, di operare la «nuova creazione» annunciata dai profeti e manifestata in Gesù Cristo.
    Ha cioè il potere di compiere ciò che annuncia e di ricreare in chi la accoglie l'opera di Dio.
    E impressionante vedere come tutto questo accade ancora oggi nelle persone e come questa Parola cambia la loro vita. Quanto abbiamo detto permette di capire il vero senso dell'espressione del prologo di Giovanni. «E la Parola si è fatta carne e ha posto la sua tenda in mezzo a noi» (Gv 1,14). La beata umanità di Cristo è la vera definitiva «tenda» (di cui quella dell'Esodo era solo un segno) della «scekinà», la presenza di Dio in mezzo al suo popolo, che ora si realizza in pienezza nel Verbo, Parola eterna del Padre e sua immagine perfetta.
    Ma in maniera analoga la Parola di Dio depositata nella Scrittura, che di quella Parola eterna è il riflesso, ha il potere di farsi carne nel cristiano e di crEare in lui un uomo nuovo fatto a immagine di Cristo e parte di Lui ad opera dello Spirito Santo. Perché questa Parola, senza di me e di te è morta.
    In questo la Parola di Dio si rivela molto vicina al sacramento, a dispetto di una teologia che sotto la spinta della polemica protestante ha voluto troppo distinguerli e perfino opporli tra loro. La Parola ha un'efficacia che potremmo chiamare sacramentale, e il sacramento è strettamente legato alla Parola.

    UN ITINERARIO DI INIZIAZIONE ALLA SCRITTURA

    Tutto questo non va solo spiegato e fatto capire; ma deve divenire l'anima e l'alimento della vita cristiana. Questo richiede un serio itinerario di iniziazione alla Scrittura, che è uno dei fondamenti del catecumenato, insieme alla liturgia e alla vita di comunità.
    Nella Chiesa antica il catecumenato era un tempo in cui la Chiesa, come madre, gestava come nel suo seno colui che aveva ricevuto la buona notizia e l'aveva accettata per darlo alla luce nelle acque del battesimo. Ma la chiesa antica non dava mai il battesimo se non si vedevano nel catecumeno i segni di un cambiamento profondo della vita.
    La testimonianza di Tertulliano o quella di S. Cipriano sulla sua conversione sono di una forza impressionante.
    Analogamente lo scopo del neocatecumenato è di far crescere e di portare a maturazione quel battesimo ricevuto da piccoli.
    E una gestazione affinché nasca nel battezzato realmente (e non solo in teoria) quell'uomo nuovo a immagine di Cristo, che porta in sé «gli stessi sentimenti che furono di Cristo Gesù» (Fil 2,5).
    Per questo nel catecumenato si propone volentieri, come immagine, quella della Vergine Maria. Essa riceve l'annuncio dall'Angelo e accetta con il «fiat» che si compia in lei la Parola che ha ricevuto. Da quel momento stesso inizia in lei la gestazione di Gesù. Alla sua nascita, nella quale tutti i Padri vedono una analogia con il battesimo, Gesù è accolto, cresce e si prepara alla sua missione e, alla fine, alla sua «ora» nella santa famiglia di Nazareth, che vive in umiltà, semplicità e lode. La famiglia di Nazareth diviene perciò il punto di riferimento delle comunità neocatecumenali.
    Ma questo non sbocca in una realtà statica, né in un perseguimento della propria perfezione personale, ma nella missione e nel servizio sia all'interno della chiesa sia nel mondo. Questo è un miracolo della potenza di Dio e spiega perché le comunità neocatecumenali si siano tanto diffuse in tutto il mondo, e anche le nuove forme pastorali dell'evangelizzazione che appaiono in esse.
    Queste forme nascono da una nuova presa di coscienza che chi evangelizza non è una persona singola, ma un corpo; è la Chiesa nel suo insieme, capo e corpo: presbiterio e laici, perché in questo corpo che è la Chiesa si è veramente fatta carne la Parola di Dio, e il segno di questo è che in essa ci sono persone disposte a perdere la vita per il vangelo e per il Regno di Dio.


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