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    Il boom del trucco. Cosmetici, profumi, mercato della bellezza



    Ave Appiano

    (NPG 1989-04-32)

    Qualsiasi direzione assuma, un discorso o una riflessione sulla bellezza incontra anzitutto l'ostacolo di una definizione, pur sempre parziale, del concetto stesso di bellezza, determinato da un contesto sociale e culturale particolare. In secondo luogo s'imbatte con la comprensione del significato che la cura, la salute e l'invecchiamento del corpo hanno per la persona.
    Infine, parlare di bellezza implica il porsi da molteplici punti di vista, daquello psicologico a quello sociologico, filosofico, di costume, da quello di mera astrazione a quello più concreto di bellezza realistica, da quello soggettivo a quello oggettivo, da quello culturale a quello espressivo del mascheramento.
    Ma un denominatore comune è alla base di ogni prospettiva di indagine della bellezza: il fatto che essa determina il modello di ideale perfezione espressiva e sensibile alla quale tendere con tutto l'apparire del corpo.

    UNO SGUARDO ALL'INDIETRO

    Le pratiche cosmetiche non hanno mai ottenuto, nella storia dell'uomo, grandi favori: diffuse e accettate nel mondo pre-ellenico, nella Grecia classica iniziano a trovare forti opposizioni, proprio in quanto considerate strumenti di vanità, di mollezza, di frivolezza e leggerezza femminile, nonché armi, appunto, ingannevoli nella seduzione atte a simulare un livello di bellezza più elevato di quella reale. Di provenienza originariamente orientale, la cosmesi si tinge d'infamia presso la civiltà greca assumendo le caratteristiche di uno strumento di corruzione: la pratica del «trucco» appartiene ad una volontà di mascheramento, a una strategia di seduzione che nel corso dei secoli sempre più sancisce la condanna di tutte le tecniche della cosmesi, considerate tecniche mercenarie.
    In realtà l'abbellimento del corpo edel viso ottenuto tramite ritocchi e cure di vario genere non sono altro che la manifestazione più elementare e archetipica di fermare il tempo sui propri lineamenti, riparando i guasti provocati dal degrado dell'invecchiamento: questa trasformazione di stato, procurando perdita del proprio riconoscimento, può determinare lesioni anche nella psiche, alterazioni della personalità. Il rifiuto del naturale trascorrere del tempo e della conseguente metamorfosi del corpo, conducono a ricorrere al camuffamento delle rughe e lesioni superficiali, a una esibizione di una bellezza ricostruita, inesistente, usurpata, posticcia e precaria. L'innaturale bellezza, intrisa di teatralità, è considerata in tutta l'antichità occidentale estranea a chi la ostenta; nel Gorgia platonico la cosmesi è definita «pratica viziosa, frodolenta, ignobile», mentre Seneca condanna chi esagera nell'uso del profumo; e ancora Plauto, Orazio, Petronio e Marziale la additano a emblema di una superba e sinistra sfida alle leggi della natura; e Virgilio, nell'Eneide, rinnega le frivolezze orientali elogiando all'opposto i rudi e austeri costumi delle popolazioni italiche, solide basi della futura Roma. Plinio il Vecchio, registrando il notevole peso, sulle casse dello stato, dell'importazione dei profumi, infierisce su questa effimera follia collettiva.
    Dissolvendosi nell'aria, i profumi sono l'emblema stesso della dissipazione e della ricchezza che va in fumo al solo scopo di catturare l'attenzione, il piacere altrui. La condanna dei profumi è appunto in relazione al fatto che essi sono espressione di un programma seduttivo ingannevole.
    La scoperta del profumo nasce con la scoperta del fuoco: tutte le grandi religioni antiche parlano di sacrifici col fuoco, di fumigazioni ottenute con elementi del mondo vegetale e del mondo animale, giungendo a precise distinzioni e classificazioni. Alle forze ctonie sono dedicati fuochi fatti con radici, alle forze dell'aria fuochi di foglie, a quelle dell'acqua quelli compiuti con arbusti delle rive, a quelle del fuoco quelli prodotti con la linfa, il sangue delle piante solari, «maschili», la resina. L'uso delle fumigazioni si estende quindi dai riti sacrificali alla ritualità della cura personale, collegandosi con l'astrologia e la magia. Dai Sumeri, agli Egizi, agli Ebrei e ai vari popoli orientali, la tecnica di produzione di profumi e cosmetici si tramanda e si arricchisce con sempre nuove ricette in stretta relazione alle pratiche sacre e a quelle profane.
    Rinnegata come strumento di contraffazione e d'inganno, come tecnica cortigiana della seduzione, la cosmesi trova in Ovidio un brillante apologeta che con il suo breve trattato intitolato Medicamina faciei femineae (I cosmetici delle donne) riscatta il valore delle pratiche cosmetiche nella nostra tradizione culturale. Egli, elaborando unateoria della bellezza che la affranca da pregiudizi moralistici legittimandola come naturale manifestazione dell'istintivo desiderio di farsi belli e di piacere, le considera corollario di quell'arte di amare e di farsi amare di cui si faceva in quegli anni maestro. Celebrando nella cosmesi il trionfo dell'ars sulla natura (G. Rosati), egli delinea un tipo di bellezza «culturale» che accresce e valorizza la bellezza «naturale». Non bellezza «artificiale» quindi, ma bellezza come frutto di accurate pratiche professionali basate sull'uso di prodotti medico-farmacologici di cui lo stesso Ovidio fornisce un ricco ricettario.
    Al nardo e allo zafferano, al mastice, al benzoino e allo storax della profumeria e cosmetica primordiali, si aggiungono con le formule di Ovidio, l'orzo, i bulbi di narciso, la gomma d'Etruria, il miele, i lupini, l'iris, le uova di alcione, l'incenso e il nitro, la mirra, i finocchi, il sale di Ammone, i papaveri, le corna di cervo. E pochi anni dopo Plinio il Vecchio, nella sua Naturalis Historia, propone l'uso cosmetico del burro e dello sterco di toro, dell'astragalo e della placenta di mucca, del grasso d'oca e del succo di basilico, del midollo di cervo e delle foglie di biancospino, dell'aceto e del fegato di capro... Questi elementi, tratti in parte dal mondo vegetale, in parte da quello animale, saranno alla base dei ricettari di Galeno (II-III sec.) che si preoccuperà in particolare di rendere bianca e luminosa la pelle del viso. Molte di queste ricette sono giunte fino a noi anche per mezzo di Porfirio, Cornelio Agrippa e Paracelso che riconobbero alla cosmetica e alla profumeria un aspetto cerimoniale magico-religioso, alcune volte addirittura mistico e contemplativo. Nella concezione magico-astrologica di impianto neoplatonico di Cornelio Agrippa di Nettesheim si ritrova un aspetto cosmologico legato alla profumazione del corpo in grado di collegare l'uomo all'universo: «Alcune fumigazioni - si legge nella Filosofia occulta (1510) - che hanno rapporto con gli astri, valgono a comunicare le qualità celesti diffondendosi nell'aria e nello spirito, vapori l'uno e l'altro. L'aria così si impregna facilmente delle qualità delle cose inferiori e delle celesti e, penetrando nel nostro spirito, ci fa acquisire disposizioni meravigliose». E ancora Agrippa associa a ciascun segno zodiacale il profumo più adatto, anticipando di quasi cinque secoli una moda attuale: l'Ariete ha la mirra, il Leone l'incenso, la Vergine il sandalo, la Bilancia il galbano, lo Scorpione l'opoponax, il Sagittario l'aloe, il Capricorno l'assa, l'Acquario l'euforbio, i Pesci il timo.
    Ma è comunque al grande Galeno di Pergamo, il più famoso medico dell'antichità dopo Ippocrate, che si deve una considerazione della cosmetica destinata a influenzare per molti secoli le indicazioni mediche al riguardo: «Lo scopo dell'arte del trucco - egli scrive -è di procurare una bellezza acquistata, mentre quello della cosmetica, che è parte della medicina, di conservare nel corpo tutta la sua naturalezza, a cui si accompagna una naturale bellezza. Rendere più bianco il colorito del viso con medicamenti, o più rosso, o farsi i capelli ricci o rossi oppure neri o, come fanno le donne, accrescerne a dismisura la lunghezza, queste e altre simili sono operazioni della perniciosa arte del trucco, non dell'arte medica». Con queste parole vengono indelebilmente segnati i confini fra una cosmesi «buona», accettabile, con funzione conservativa e protettiva della bellezza naturale, e una cosmesi «cattiva», innaturale, deturpante la naturalezza, mascheratrice. Il trucco, il maquillage, la tintura dei capelli «procurano una bellezza spuria, non autentica». Questa opinione rimarrà radicata per molti secoli nella «storia della bellezza», proiettando in molti consumatori la preferenza per i prodotti a base naturale, ritenuti più confacenti con le cure corporee.

    LA CULTURA DELLA BELLEZZA

    Con gli inizi dell'800 la bellezza e la cura del corpo prendono a collegarsi con l'igiene: alla corte napoleonica, la donna sensuale avvolta in veli leggeri, ha iniziato a lavarsi e a truccarsi; e nel 1870 esce un trattatello enciclopedico di Paolo Mantegazza intitolato Igiene della bellezza, che viene a costituire il manuale più osservato e seguito nelle cure cosmetiche fino a tutto il primo '900: in esso salute, bellezza e igiene (mentale oltre che fisica) sono una triade imprescindibile. Nasce in quell'epoca quel giusto grado di pallore «dannunziano» (né terroso né giallastro ma che riflette una pelle calda e lucente, osserva Mantegazza), frutto di una naturale bellezza curata con appropriati ingredienti che ancora di recente ha costituito l'impronta principale del trucco: un pallore luminoso, dai toni avo-rio, che esaltano un incarnato levigato, perlaceo e il fascino di una donna languida, eterea, seducente ed elegante. In realtà questo rosa chiaro da guancine di bimba anemica sono il risultato di un programma di stile di vita alla cui radice sta sempre il secolare desiderio di ricostituire, valorizzare o addirittura ricostruire una bellezza giovanile persino infantile.
    Look tenui, riflessi porcellanati, maquillage color biscotto, rivelano inoltre la volontà di non apparire «mascherati»: il trucco ha mille «trucchi» per non apparire trucco, per non apparire stucchevole e crostoso.
    Considerando che nell'85 sono stati spesi 140 miliardi - secondo le «stime consumi» forniteci dal Marketing Service -, e per gli occhi 200 miliardi, mentre per le labbra 147, c'è da pensare che alla fine dell'86 questo make up tenue e opalescente del volto sul quale risaltano gli occhi avvolti in un trucco protagonista (mentre la bocca si leviga su nuances appena riflessate), un make up quindi apparentemente semplice ma in realtà estremamente elaborato, abbia fatto perdere la testa ancora maggiormente.
    Ma, come osserva Ivo Pitanguy, direttore del dipartimento di chirurgia plastica dell'Università Cattolica di Rio de Janeiro, «la bellezza è creazione, è provocazione, è sogno. Per l'umanità è un lusso necessario»: è considerato un diritto, per tutti i risvolti, anche psicologici, che riveste nelle relazioni interpersonali.
    La nuova legge, che vieta 367 sostanze nella produzione di cosmetici, si volge a tutelare il consumatore, poiché, dato che il risultato di un buon maquillage dovrebbe essere in relazione alla propria personalità combinata con un insieme di cure salutari antistressanti e igieniche per tutto il corpo, dal maquillage stesso non si deve ottenere depauperamento dell'epidermide, danneggiamento dei tessuti dato dai prodotti chimici, dai coloranti e dai conservanti utilizzati per la loro produzione. La cosmesi dovrebbe quindi subire una svolta positiva ritornando su rimedi che sanno di ricette antiche, che hanno una scadenza, che agiscono sulla pelle in modo inoffensivo; infine la comunicazione pubblicitaria, che soprattutto per le creme ha puntato finora sull'aspetto miracoloso, dovrà essere più veritiera, più aderente alle reali possibilità terapeutiche del prodotto. La programmazione della propria avvenenza, misurata sul profilo psicologico, ambientale e sociale dell'individuo, non dovrebbe lasciare spazio a prodotti dannosi né nell'alimentazione né nella cosmetica, per quanto tutto ciò sia possibile in un mondo inquinato in profondità e su più fronti. L'educazione alla salute, condotta anche in età scolare, potrebbe condurre il consumatore verso una più chiara e fondata conoscenza di questo complesso mondo del trucco, al fine di pensare alla propria bellezza e al proprio fascino come a un esito della combinazione di fattori benefici, interni ed esterni all'individuo stesso.
    Oggi le piccole grandi marche investono miliardi per far conoscere un nuovo prodotto, sollecitato da esigenze della moda o legato alla ricerca della giovinezza perduta, paladino della lotta contro l'invecchiamento o emblema del nuovo fascino e arma di seduzione. Il boom della cosmetica e della profumeria - però - non fa che ricalcare antichi bisogni e desideri dell'umanità, non solo spiccatamente nel settore femminile, ma ora più che mai anche nel settore maschile: quello di vincere la paura del tempo che, devastando e segnando il corpo con le rughe, indica la perdita di giovinezza, e quello di apparire più belli per ottenere maggiori successi nella seduzione, nella conquista affettiva e sociale.
    Amore e morte finiscono per rimanere due costanti che giustificano da sempre stravaganze e follie del genere umano, non soltanto nelle fantasie letterarie e artistiche, ma anche nell'immaginario collettivo, all'insegna di un endemico culto estetico dell'apparenza.


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