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    Quale spazio per i giovani nella società oggi /2



    Diventare protagonisti della propria formazione

    (NPG 1988-1/2-87)


    Alcune premesse introduttive:
    - L'esperienza salesiana è essenzialmente una esperienza formativa. Nell'educare esprime tutte le sue potenzialità.
    Su questa centralità dell'esperienza formativa convergono anche i giovani, per i quali tale esperienza è decisiva in vista della capacità di dare significato personale alla vita.
    Chiedersi «quale spazio per i giovani nella società oggi» può essere riletto: «quale spazio hanno i giovani nella loro formazione». Vogliamo parlare di protagonismo educativo.
    - D. Bosco ha voluto sempre che i giovani non solo si sentissero a casa loro, ma fossero veri protagonisti della loro formazione.
    Non era un protagonismo di comodo. Esso era la sintesi di un originale processo formativo, a cui lui stesso ha dato un nome: «sistema preventivo».
    Parlare di protagonismo educativo è oggi riscoprire il sistema preventivo e attualizzarlo. Altrimenti anche il protagonismo accresce il disagio dei giovani.
    - Ecco allora l'interrogativo: come attualizzare, nel concreto degli ambienti salesiani, le grandi intuizioni del sistema preventivo, come l'ha vissuto don Bosco e come l'hanno arricchito i salesiani nel tempo? Non si può ripetere il passato, ma neppure lasciarlo morire.
    Occorre ripensarlo e riformularlo. Un'impresa in cui ognuno, adulto e giovane, è chiamato a portare la sua «esperienza salesiana».

    OBIETTIVI

    Non si può non riflettere su «come va l'educazione salesiana nei vari ambienti educativi». Spesso si finisce per parlare di problemi contingenti, a volte meschini, senza avere il coraggio di condividere il fascino dell'esperienza formativa in cui si è immersi.
    Ecco allora gli obiettivi.
    1. Abilitare salesiani e giovani a sentirsi responsabili di un grande patrimonio educativo, quello del sistema preventivo. Occorre sentirlo questo come un compito affascinante. Chi vive l'esperienza salesiana ha qualcosa da dire su questo ed è chiamato ad esprimerlo. Ma tutti hanno anche da scoprire cosa ha voluto essere, fin dagli inizi, il sistema preventivo.
    2. Abilitare i giovani a sentirsi non destinatari ma soggetti della loro formazione e di quella degli altri giovani e dei loro formatori, genitori e salesiani. Non si comprende lo spirito di don Bosco se non nel momento in cui si decide di fare gli educatori, di entrare in contatto con tutti da educatori.
    3. Dare vita o rinnovare gli ambienti educativi salesiani è un compito complesso.
    Verso dove andare, in modo che il protagonismo non sia una parola vuota? Ecco dunque l'obiettivo: abilitare a lavorare insieme, adulti e giovani, per rintracciare le strade e le strategie per «trasformare» gli ambienti educativi. Solo così rivive il sistema preventivo.

    TRACCIA Dl RIFLESSIONE E RICERCA

    Un nodo cruciale dello «spazio dei giovani nella società oggi» è intravedibile attorno ai processi che presiedono alla loro formazione. Gran parte del loro futuro si gioca attorno alle modalità con cui vivono, nel giro di pochi anni, tali processi.

    I giovani e la loro formazione oggi

    Diventa importante, anzitutto, cogliere alcuni «problemi», che i giovani, magari in modo inconsapevole, soffrono rispetto alla loro formazione.

    Un poco di vocabolario
    La formazione della persona, che implica la collaborazione attiva fra potenzialità del soggetto e «aiuto» dell'ambiente circostante, è la risultante di due grandi processi:
    - il processo di «socializzazione» (diretto nella scuola e nella famiglia; indiretto attraverso i massmedia e la vita quotidiana): le generazioni passate tendono a trasmettere e di fatto trasmettono ai giovani valori, norme e modelli di vita; ai giovani tocca apprenderli e interiorizzarli;
    - il processo di «educazione»: attività intenzionale e metodica tesa, da una parte, a «verificare» se la socializzazione è avvenuta in modo positivo (completo e critico) e, dall'altra, ad abilitare i giovani a riconoscere e dare personalmente un significato alla vita e a celebrare nuovi modelli di vita.

    Il volto della crisi della formazione
    Da più parti viene denunciata una crisi sia nel processo di socializzazione-trasmissione che in quello educativo-rielaborativo.
    A titolo esemplificativo, per avviare una ricerca comune:
    - a livello di «socializzazione» si riscontra: l'ignoranza della «cultura umana», la riduzione della socializzazione ad addestramento tecnologico, la mancanza di un modello di vita, l'incapacità di avere una scala di valori socialmente legittimata...; esiste una diversità: giovani iposocializzati e giovani ipersocializzati;
    - a un livello di «educazione» si riscontra: difficoltà a dare un senso alle azioni quotidiane, crisi di una «visione» personale della vita, caduta nei grandi miti sociali del consumismo e individualismo, incoerenza tra tratti della propria personalità, scollamento tra valori e comportamenti...
    Una volta delineata la crisi, bisogna interrogarsi sui fattori che la rendono possibile e la producono in una società complessa e postindustriale.
    Ancora a titolo esemplificativo:
    - la crisi di comunicazione tra generazioni e la mancanza di un «vissuto comune» che faciliti lo scambio di contenuti culturali;
    - la sclerotizzazione delle istituzioni, incapaci di rinnovarsi alla luce delle nuove domande: si pensi alla famiglia e alla scuola, ma anche ai costumi e tradizioni, ai modelli di vita incapaci di evolversi fedeli ai valori e alle nuove domande;
    - il proliferare contraddittorio di messaggi nella società complessa;
    - l'avanzare di una cultura tecnico-scientifica che emargina la cultura umanistica, così come è stata vissuta ed elaborata nelle varie regioni;
    - la fine delle grandi narrazioni culturali e religiose in cui tutti, al di là delle diverse subculture, si potevano riconoscere come in un «patrimonio comune»;
    - la mancanza di spazi e tempi in cui decantare e rielaborare i messaggi per arrivare a scelte «personalizzate».

    Gli esiti della crisi tra i giovani
    A questo punto è possibile ipotizzare qualche «tipologia» del mondo giovanile sulla base del funzionamento o meno dei processi formativi in cui sono immersi.
    - Si può delineare; anzitutto, un «continuo» di tipi disposti tra due poli esterni: gli iposocializzati (nuovi «barbari» dal punto di vista sociale e culturale) e gli ipersocializzati (i nuovi «vecchi» perché dipendenti in forma esasperata dai modelli di vita del passato).
    Tra questi estremi quali «tipi» si possono dare?
    In ogni caso, ci sono dei denominatori comuni che denunciano la crisi della formazione e, in particolare, della capacità di dare un significato alla vita che sia insieme «personale» e radicato nella cultura?

    RICERCA SUL SISTEMA PREVENTIVO: STIMOLO AD UN RIPENSAMENTO

    Cosa ha da offrire la proposta salesiana rispetto alle attuali problematiche formative? Essa non ha una risposta prefabbricata o una qualche ricetta immediata. Tuttavia essa è convinta di possedere alcune intuizioni di estrema attualità oggi: le intuizioni del sistema preventivo. Il sistema preventivo è codificato in alcuni scritti, ma soprattutto in una storia: quella personale di don Bosco e quella dei salesiani in oltre cento anni di appassionato lavoro educativo in mezzo ai giovani.
    Il sistema preventivo è un nucleo di intuizioni capaci di «generare» nuove riflessioni e proposte educative. Esso è capace di incarnarsi in nuovi ambienti e situazioni, riformularsi in nuovi linguaggi e gesti. Anche oggi non si può limitarsi a studiare il passato del sistema preventivo: occorre attualizzarlo in modo creativo .

    Un'ispirazione unitaria: il criterio preventivo

    D. Bosco non ha creato un sistema teorico, ma una riflessione su una prassi, alla ricerca della sua fonte ispiratrice e orientatrice nell'operare quotidiano.
    Il suo è un «sistema», cioè un insieme unitario e coerente di contenuti da trasmettere, vitalmente connessi, ed una serie di procedimenti per comunicarli ( = metodo pedagogico).
    «Preventivo» significa:
    - anticipare il prevalere di situazioni o abitudini negative in senso materiale e spirituale; non dunque pedagogia di recupero, ma direzione delle risorse della persona sana verso una vita onesta;
    - sviluppare le forze interiori che danno al giovane la capacità autonoma di liberarsi «dalla rovina», dal disonore;
    - creare una situazione generale positiva (famiglia, istruzione, amici) che stimoli, sostenga, sviluppi la comprensione, dia il gusto del bene: «far amare la virtù, mostrare la bellezza della religione»;
    - vigilare e assistere: essere presenti per evitare tutto quello che potrebbe avere risonanze negative definitive o che potrebbe guastare il rapporto educativo;
    - liberare dalle occasioni che superano le forze normali dei giovani, senza per questo rinchiuderli in un ambiente superprotetto; non mettere alla prova del male, ma impegnare le forze già risvegliate in esperienze positive.

    Tra ragione e religione

    Due grandi punti di riferimento sostengono il criterio preventivo: l'appello alla forza della ragione e l'appello alla forza della fede.
    I due punti di riferimento si integrano profondamente per don Bosco sia nel delineare gli «obiettivi» educativi, sia nel delineare lo stesso «metodo».
    L'obiettivo del suo programma è espresso in formule semplici: «buon cristiano e onesto cittadino», «salute, sapienza, santità»; «bene dell'umanità e della religione»; «diventare la consolazione dei parenti, l'onore della patria, buoni cittadini in terra per essere poi un giorno fortunati abitanti del cielo».
    Ragione e religione contribuiscono così a delineare un volto d'uomo e credente profondamente unitario. Crescita umana e crescita religiosa convergono.
    I due aspetti non sono sovrapposti, ma si permeano e si sostengono a vicenda.
    La «ragione» è piena di motivi che provengono dalla fede, per cui il senso del dovere è religioso, la socialità affonda le sue radici nel «comandamento» dell'amore.
    Viceversa la «religione» è ragionevole e richiede la comprensione delle verità che si propongono, l'applicazione alla vita concreta per umanizzarla e spinge verso impegni storici valutabili.
    Tuttavia, secondo don Bosco, nell'integrità c'è un «primum» in importanza: il «cuore religioso» della persona. L'uomo ben formato è quello che colloca al vertice del sapere la conoscenza di Dio; e al vertice del proprio progetto la «salvezza eterna».
    Da questa intima unione fra religione e fede, si possono trarre oggi tre preziose indicazioni:
    - tutte le attività e proposte educative e culturali che si rifanno alla «ragione» come istanza umanistica, hanno pure un'«intenzione evangelizzatrice». Quando il vangelo non è proposto esplicitamente, la vita e gli atteggiamenti degli educatori lo manifestano e lo offrono ai giovani;
    - vangelo e cultura umana vanno fatti interagire profondamente. Si tratta di far vedere come le grandi aspirazioni individuali e sociali trovino nel vangelo una risposta adeguata e una proposta che rimanda ancor più in là della richiesta;
    - l'itinerario religioso può prendere avvio da interessi culturali. Ciò significa un'opera di liberazione e stimolazione di domande sul senso e sulla religiosità, fino ad aprirsi a Cristo.
    Ma la crescita culturale non è mai asservita alla crescita di fede. Anzi, la stessa fede è vista come forza potente di umanizzazione individuale e collettiva.

    Il principio del metodo: l'amorevolezza

    L'amorevolezza è una realtà complessa.
    Il suo fondamento e sorgente: la carità che ci è stata comunicata da Dio e per cui l'educatore ama i giovani con lo stesso amore con cui il Signore li ama. Essa è vicinanza gradevole, affetto dimostrato sensibilmente attraverso gesti comprensibili che sciolgono la confidenza e creano il rapporto educativo. Questo infonde sicurezza interiore, suggerisce ideali, sostiene lo sforzo di superamento e di liberazione. È una carità pedagogica, che plasma la persona e viene percepita dal ragazzo come aiuto alla propria crescita.
    L'amorevolezza ha «due manifestazioni» tipiche: «l'amicizia» e la «paternità».
    L'amicizia occupa un posto rilevante nella riflessione pedagogica salesiana. Essa fa vedere la concezione eminentemente affettiva dell'educazione salesiana. «L'educazione è cosa del cuore e tutto il lavoro parte da qui; e se il cuore non c'è, il lavoro è difficile e l'esito incerto».
    Amicizia dice familiarità, confidenza, assistenza: «Qui con voi mi sento bene». È allo stesso tempo «presenza fisica» là dove i ragazzi si trovano, interscambiano e progettano, per stimolare e risvegliare. Il doppio aspetto della preventività:
    - protegge da esperienze negative precoci;
    - sviluppa le potenzialità attraverso proposte positive.
    L'amorevolezza ha un'altra manifestazione: la paternità. È più dell'amicizia. È responsabilità affettuosa e amorevole che dà guida e integramento vitale ed esige disciplina e impegno. È amore e autorità.
    Amicizia e paternità creano il «clima di famiglia», dove i valori diventano comprensibili e le esigenze accettabili.

    Un ambiente «oratoriano» dove i giovani sono attivi e protagonisti

    L'amorevolezza sotto forma di attenzione e di «condivisione», di amicizia equilibrata, di prevenzione affettuosa e di paternità preoccupata del futuro, si concretizza in una serie sistematica di interventi.
    Il primo è la creazione di un ambiente educativo «oratoriano», cioè festoso e attivo, ricco di umanità, che è già espressione e veicolo di valori.
    Don Bosco annuncia a riguardo una sua teoria: «L'essere in molti insieme serve molto a fare questo miele di allegrezza. studio e pietà. È questo il vantaggio che reca a voi il trovarsi all'oratorio: accresce l'allegria, serve d'incoraggiamento, stimola nel vedere il profitto degli altri».
    Il secondo intervento è il gruppo. Il grande ambiente, per rispondere a interessi e bisogni diversi, si articola in unità minori, dove sono maggiormente possibili la partecipazione, il riconoscimento della originalità della persona e la valorizzazione dei suoi contributi. Sono, quelli salesiani, gruppi aperti al maggior numero possibile di giovani, con una finalità educativa, dove si fa molta attenzione alla personalizzazione dei rapporti.
    Il terzo intervento è il «rapporto personale» che è amorevolezza verso il singolo. Don Bosco dà importanza all'incontro a tu per tu. L'incontro è segnato sempre da assoluta stima e affetto, dalla crescita di sintonia e dialogo, dall'intensità dei sentimenti.

    RICERCA SU COME ATTUALIZZARE IL SISTEMA PREVENTIVO PER REINVENTARE LA FORMAZIONE OGGI

    Alla luce dei problemi elencati in precedenza circa la «crisi» dei processi di formazione, sia nel versante «trasmissivo» che «rielaborativo», e alla luce delle principali intuizioni del sistema preventivo, si può chiedersi cosa propone (cosa è chiamata a proporre) la formazione salesiana oggi.
    In sintesi: la scelta salesiana oggi è invitare e aiutare i giovani a diventare protagonisti, sempre più consapevoli e responsabili, dei loro processi formativi.
    Vediamo alcune direzioni di ripensamento formativo per rendere concrete le scelte:
    - immersione critica e attiva nella cultura;
    - l'esperienza di un «ambiente oratoriano» in cui essere protagonisti;
    - l'invito ad una relazione educativa;
    - la scommessa sul gruppo e sulle sue energie formative.

    Immersione critica e attiva nella cultura

    La cultura è espressione della ragione e la fede è sempre vissuta all'interno di una cultura. Per don Bosco non può esserci crescita umana senza crescita insieme di fede.
    La cultura umana è vista in termini positivi, alla luce di una fiducia che trova la sua ragione ultima nella fede evangelica. Valore della cultura dice, anzitutto, attenzione per una socializzazione consapevole e critica, per «radicarsi» in quanto l'umanità ha elaborato. Non c'è identità personale senza radicamento nella cultura.
    Valore della cultura dice, in un secondo luogo, attenzione per una educazione che ripensi, arricchisca, rielabori creativamente «la cultura già fatta» in vista della «cultura da fare».

    Tre grandi «filtri» nella comunicazione con la cultura
    Il sistema preventivo fa appello alla ragione per abilitare i giovani a fare propri alcuni «filtri» e così comunicare con i dati della cultura.
    - primo filtro: la criticità: nessun messaggio va assunto per l'autorità che lo propone o per il mezzo che lo trasmette o per il fascino che emana, ma va sottoposto ad un attento giudizio della ragione;
    - secondo filtro: la significatività: ogni messaggio va accettato attraverso un confronto appassionato tra le domande profonde e il contenuto autentico che propone;
    - terzo filtro: la responsabilità progettuale: ogni messaggio va utilizzato in quanto appello ad un progetto personale, di cui si è responsabili, capace di produrre un cambiamento, per quel che è possibile qui-ora.

    La fede «ispira» e «orienta» l'apprendimento culturale
    Il sistema preventivo riconosce l'autonomia della ragione dalla fede, ma anche il loro reciproco «arricchirsi».
    Oggi si percorrono due strade insoddisfacenti:
    - la strada della separazione e ignoranza fra fede e cultura;
    - la strada della «dipendenza» della cultura dalla fede, in modo che la fede finisce per non riconoscere l'importanza della cultura.
    Alla luce del sistema preventivo si può dire che l'essere cristiani «spinge» ad amare la cultura, a immergersi in essa per inventare nuove forme di vita. In vista di questo lavoro essa offre «criteri ispiratori» e valori orientativi, ma rispetta l'autonomia della ragione.
    A quali conseguenze porta questa impostazione del problema? Essenzialmente al rispetto della autonomia della cultura, alla valorizzazione della laicità.
    In una ricerca comune si possono individuare esempi.

    L'esperienza di un «ambiente oratoriano» in cui essere protagonisti

    Il gesto sconvolgente del sistema preventivo è la sua offerta gratuita ai giovani, anche i più disperati, a sentirsi a casa propria negli ambienti educativi salesiani e diventarne protagonisti.
    L'ambiente oratoriano è dato da un «clima» segnato da alcuni valori continuamente da incarnare in gesti concreti e attività.
    Quali sono questi valori e atteggiamenti? La ricerca e il confronto comune possono evidenziarne alcuni. Successivamente possono essere integrati ripartendo dalle istanze del sistema preventivo.

    Essere protagonisti nell'ambiente educativo
    Da parte di non pochi giovani sembra esserci il rifiuto del protagonismo. Sembrano orientarsi alla irrazionalità distruttiva oppure all'adattamento passivo.
    Anche negli ambienti educativi possono verificarsi scelte negative, soprattutto nella direzione dell'adattamento passivo.
    È facile fare esemplificazioni.
    Come intendere oggi, invece, il «protagonismo educativo»?
    Alcuni suggerimenti per una ricerca.
    Esso richiede, anzitutto, la plasmabilità dell'ambiente, che non solo si fa capace di accogliere «nuove domande», ma anche di ristrutturarsi, senza rinunciare ai suoi valori di fondo e alla sua storia. Ne nasce un incontro creativo tra nuovo e tradizione, tra domande e proposte. Solo in questo «incrocio» ha senso parlare di protagonismo educativo.
    Il protagonismo dice partecipazione alle «decisioni» che regolano la vita dell'ambiente. Nulla viene deciso senza che i giovani partecipino alla elaborazione delle decisioni e dei progetti.
    Il protagonismo si realizza, concretamente, nell'affidare (secondo le forze di ognuno) ai giovani l'organizzazione delle iniziative e dunque la traduzione creativa dei progetti, perché facciano esperienza e considerino l'ambiente salesiano un «piccolo laboratorio» (dove è possibile «controllare» gli eventi, sbagliare senza paura) in cui esercitarsi al protagonismo sociale ed ecclesiale.

    L'invito ad una relazione educativa accogliente e trasformante

    L'amorevolezza del sistema preventivo si traduce nella appassionata ricerca di un rapporto educativo fra adulti e giovani, segnato dall'amicizia e dalla paternità.
    Come delineare questo rapporto educativo?

    La paura e le maschere della relazione educativa
    Oggi la relazione educativa fra adulti e giovani è segnata da paure e diffidenze.
    Hanno paura gli educatori. A titolo esemplificativo, per sollecitare una ricerca: paura di non avere niente da dire, paura di essere assaliti dai giovani o ignorati da loro, paura dell'insuccesso e degli errori...
    Le paure di fronte all'educatore che vive il giovane: paura di essere soffocato o manipolato dall'adulto, paura del «prezzo» che richiede stare davanti all'adulto e «impegnarsi», paura del suo giudizio malevolo o acido...
    Le paure spingono gli uni e gli altri a mettersi delle «maschere» ogni volta che ci si rapporta tra adulti e giovani, in modo da non rivelare le proprie intenzioni e paure. Come possono essere descritte o immaginate queste maschere?
    Al di là delle paure e delle maschere, o nascoste proprio in loro, c'è nei giovani oggi una domanda di rapporto con l'adulto e con figure di padre?

    Verso una relazione educativa accogliente e trasformante
    In sintesi: è una relazione educativa in cui tutti sono considerati educatori. Anche i giovani sono educatori dei loro coetanei e dei loro formatori. «Nessuno educa nessuno. Nessuno educa se stesso. Ci si educa tutti insieme».
    Si possono indicare alcune «condizioni» che permettono di vivere una corretta relazione educativa.
    Una relazione educativa segnata, anzitutto, da una profonda empatia reciproca che porta adulti e giovani a trovare stimolante «stare insieme», in «presenza» gli uni degli altri. Ci si accoglie reciprocamente.
    Mentre si comunica in modo empatico con gli altri, si è attenti a riconoscere la loro originalità e diversità. Si condivide che è decisivo che ognuno rimanga se stesso, non venga plagiato o sopraffatto. Non si vuole mai ridurre gli altri a se stessi, ma aiutare a sviluppare le loro potenzialità originali.
    Ci si sente a servizio dell'altro, perché diventi quello a cui è chiamato. Per fare questo, ognuno accetta positivamente di aprirsi alla comunicazione con l'altro. Amorevolezza è disponibilità, interesse, decisione di comunicare con l'altro nella sua diversità.
    Ma c'è da aggiungere che c'è relazione educativa solo quando ci si lascia provocare da ciò che è l'altro, dai valori che vive, dai contenuti culturali e religiosi che propone, al punto di riflettere seria mente su quanto si apprende da lui e si lavora per ristrutturare, trasformare la propria persona. Si matura un nuovo «progetto», a livello di idee, valori, modi di fare, atteggiamenti.
    A quali impegni concreti conduce l'apertura a questo tipo di relazione educativa?

    L 'identikit dell'educatore e del giovane secondo il sistema preventivo
    La ricerca comune può ora avventurarsi nel delineare l'identikit dell'adulto e del giovane perché possano vivere una relazione ispirata al sistema preventivo. Si può pensare ad una sorta di «decalogo» di atteggiamenti.

    La scommessa sul gruppo e sulle sue energie formative

    L'essere educatori e protagonisti per molti aspetti viene giocato nel «fare gruppo». Non si comprende il sistema preventivo se i giovani non sono orientati a vivere nell'arco dell'adolescenza una «esperienza di gruppo».

    Il gruppo tra desiderio e paura
    Fare gruppo non è facile per i giovani di una società differenziata, per molti versi esaltante l'individualismo.
    Ci sono sintomi di desiderio:
    - bisogno di fusione e inclusione, anche per reagire all'anonimato sociale;
    - bisogno di riconoscimento e affetto, spesso sottratto in ambienti come la famiglia e la scuola;
    - bisogno di consolidamento ed espressione delle proprie potenzialità, facilmente manipolate dalla pressione sociale al conformismo...
    Quali altri sintomi si possono segnalare?
    Non mancano le paure e le diffidenze:
    - la paura di compromettersi e del «prezzo» necessario da pagare per stare insieme;
    - la paura di essere assorbiti e annullati, fino a perdere la propria autonomia;
    - la sensazione che mettersi insieme per «fare qualcosa» è inutile e frustrante. . .
    Non sono le uniche paure, forse neppure le più importanti. Quali le altre?

    Perché e quale gruppo nello stile del sistema preventivo?
    Rifacendosi al sistema preventivo, occorre anzitutto ripensare il perché fare gruppo, o meglio il perché considerare il gruppo luogo educativo privilegiato.
    Non basta la relazione con gli adulti? Cosa aggiunge l'esperienza di gruppo?
    E ancora: non bastano i contenuti, e le attività da eseguire per poter educare? Cosa c'entra il gruppo con i contenuti culturali? C'è spazio per la ricerca.
    La ricerca può anche inoltrarsi in un'altra direzione: la delineazione delle caratteristiche del gruppo giovanile salesiano. In che cosa si distingue da altri gruppi sociali ed ecclesiali? Da che cosa è data la sua «qualità specifica» sia all'interno (struttura, clima) che nel suo rapporto con l'ambiente?
    Dal gruppo al «movimento»: cosa «aggiunge» l'esperienza di «movimento giovanile salesiano» al fare gruppo dentro il proprio ambiente educativo?
    In che cosa si caratterizza il movimento giovanile salesiano rispetto ad altri movimenti?

    Il gruppo dal sogno alla realtà: tappe evolutive
    Il gruppo è luogo educativo fin dalla sua nascita: il desiderio di «relazione educativa» con l'adulto e con i coetanei sottende una domanda di vita che nell'ottica salesiana include, almeno implicitamente, anche una ricerca religiosa.
    Eppure il gruppo ha da maturare, crescere, evolversi, perché solo in questo modo sprigiona la sua forza educativa.
    Quali sono allora le grandi tappe evolutive di un gruppo giovanile salesiano? Quale può essere il punto di partenza? Dove si colloca la crescita umana e dove quella di fede? Come descrivere una ipotetica fase conclusiva?

    Un interrogativo

    Parlare di sistema preventivo o parlare di animazione? Alla attualizzazione del sistema preventivo oggi, spesso vien dato il nome di animazione.
    Animare è il modo di incarnare il sistema preventivo oggi. È solo un cambio di nome, oppure dietro al cambio si vuole affermare qualcosa di importante?
    Se sì, che cosa?


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