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    Mediazione culturale e associazioni educative



    Giancarlo Milanesi

    (NPG 1988-07-5)


    Con questo mio contributo intendo approfondire due punti: la centralità della mediazione culturale (soprattutto come compito specifico dei laici in associazioni cosiddette educative), e la necessità della sua verifica:
    - all'interno dell'associazione (e cioè in connessione con l'azione specificamente educativa);
    - all'esterno (e cioè in rapporto alle istanze provenienti dal territorio).

    LA CENTRALITÀ DEL RUOLO Dl MEDIAZIONE CULTURALE

    Parto dal presupposto che il laico cristiano ha il compito essenziale di animare, promuovere, reinterpretare le realtà terrestri entro l'orizzonte della fede, rendendo possibile l'incarnazione di essa (fede) nella storia e nelle coscienze individuali e collettive.
    Non entro però nel merito dei diversi modelli di rapporto tra laicato e Chiesa e delle progressive accentuazioni della nuova ecclesiologia emergenti nel dopo-Concilio, di cui sottolineo soprattutto la proiezione della Chiesa come comunità posta al servizio dell'umanità e della non-umanità.

    Che cosa significa «mediazione»

    Entro questa prospettiva, la fede offre ispirazione, orientamento, criteri di discernimento; ma è la ragione che deve compiere la saldatura tra fede e realtà terrestri. In questo consiste sostanzialmente la «mediazione» di cui parliamo: è spazio di ricerca, confronto, ideazione e realizzazione (mediante tutti gli strumenti scientifici e non scientifici a disposizione) di un progetto di uomo e di società che sia il frutto di una mutua integrazione tra fede e prassi, tra rivelazione e storia, tra annuncio della salvezza e sua realizzazione nel quotidiano.
    Questa operazione è distinta (non separata) e allo stesso tempo è complementare all'opera specifica di evangelizzazione, in quanto è una premessa, un aspetto, un segno di essa. Il servizio che la Chiesa rende all'umanità include, infatti, sia un'azione vigorosa di promozione dell'uomo sul piano della sua «salvezza» terrestre, sia una esplicita opera di annuncio e di realizzazione della sua «salvezza» eterna. La prima non è possibile in realtà fuori dell'orizzonte della seconda: e quest'ultima, a sua volta, non è piena e perfetta se non include l'altra e non la integra.
    Fare «mediazione» significa dunque operare perché dalle realtà terrestri nasca un'indicazione della salvezza ultima, e dall'orizzonte delle certezze assolute si diffonda nella prassi delle realtà terrestri un significato profondo.
    In altre parole si può dire che ciò suppone una ragione capace di rendere conto della fede (cioè di renderla umanamente plausibile, vivibile, sperimentabile) ed una fede capace di allargare gli spazi della ragione (cioè di garantire la validità, la legittimazione, lo sforzo di comprensione, di difendere lo slancio operativo).

    Cos'è mediazione «culturale»

    Quanto stiamo dicendo a proposito di «mediazione» va approfondito ulteriormente in rapporto al fatto che stiamo parlando di mediazione «culturale»: la mediazione, cioè, ha come oggetto specifico la cultura.
    Farò al riguardo alcune riflessioni essenziali:
    - assumiamo qui la «cultura» nel senso più ampio, ormai assunto nelle moderne scienze dell'uomo, come approccio globale all'esistenza, costituito da diversificati strumenti conoscitivi (filosofia della vita, credenze, ideologie, pregiudizi, ecc.) e strumenti operativi (cioè tutti gli oggetti della cosiddetta cultura materiale), che sono prodotti collettivamente da ogni gruppo umano, riprodotti a mezzo di molteplici attività simboliche (di cui la socializzazione è il principale) e attivamente modificato dalle persone sociali che li interiorizzano;
    - nella società complessa diamo per scontata l'esistenza di un pluralismo culturale di principio e la conseguente relativizzazione delle diverse culture, con la parallela crisi dei processi di socializzazione;
    - all'interno di ogni cultura distinguiamo, per comodità, settori specifici che chiamiamo, ad esempio, cultura politica, cultura dello sport, cultura del tempo libero, ecc. che in diversa misura sono integrati e dipendenti in oggetto da una cultura complessiva;
    - infine si può annotare che all'interno di ogni cultura complessiva (o, in qualche caso, come controcultura o subcultura totalmente o parzialmente differenziata) emergono accentuazioni specifiche che denotano opzioni valoriali di diversificata origine e legittimazione.
    Su queste basi mi pare che si possa tentare di dire che cosa significa praticamente fare opera di mediazione culturale in rapporto all'attività associativa. Preliminarmente mi pare che si possa dire che ciò consiste nell'elaborare una compiuta «cultura» nei diversi settori e attività specifiche di cui ci si occupa e ci si fa carico, cristianamente ispirata, da tradurre poi sia nell'azione educativa sia in quella politica. Logicamente tali «culture» si sviluppano attraverso un processo molto articolato, in cui la riflessione si coniuga dialetticamente con una prassi costante.
    Ma quali sono i momenti essenziali di tale «mediazione culturale»?

    LE DIMENSIONI DELLA MEDIAZIONE CULTURALE

    Distinguiamo, tra le articolazioni della mediazione culturale, un momento metodologico e uno contenutistico.

    Il metodo della mediazione culturale

    Per un cristiano il metodo si ispira quasi necessariamente all'esempio incluso nella vita e nell'identità di Cristo. Si tratta cioè di realizzare nella nostra quotidianità il paradigma cristiano, che riassumo nelle tre fasi o esperienze essenziali della incarnazione, della passione, della risurrezione.
    L'incarnazione: è il momento in cui riconosciamo tutto ciò che è positivo nella prassi, tutto ciò che già costituisce valore, tutto ciò che un cristiano può accettare e valorizzare in quanto è evangelicamente autentico.
    È lo sforzo che facciamo per sentirci in sintonia con un mondo, che pur tra molte incertezze e contraddizioni, è in grado di esprimere qualcosa di valido.
    È in questa fase o momento che il cristiano si sente solidale con tutti coloro che fanno un cammino analogo (nel nostro caso, coloro che operano nella prassi) e ne condivide la ricerca onesta e generosa di valori universali.
    Il cristiano è, in questa fase, animato da una simpatia spontanea che mira a realizzare una vasta convergenza di interventi e di azioni.
    Il momento della passione e morte. È quello in cui il cristiano esprime in modo coraggioso e coerente il suo distacco o dissenso critico, ed esercita il suo ruolo profetico nei riguardi della prassi, cioè come essa è.
    Il che significa che il cristiano si riserva il diritto di mettere in discussione tutto ciò che si presenta con la pretesa di essere assoluto (mentre è solo relativo), tutto ciò che è contrario agli interessi profondi dell'uomo, ciò che è alienazione, regressione, contraddizione. Il cristiano si rende conto, alla luce della concezione dell'uomo e della vita che egli trae dal suo orizzonte di fede, di quanto sia necessaria una continua conversione, cioè di un rinnovamento continuo di mentalità, di una ricerca appassionata della verità; e ciò anche quando la conversione implica abbandono, distruzione, svuotamento dei modelli di comportamento e di criteri di valutazione che pure sono, in certe circostanze, largamente condivisi da compagni di viaggio per altro stimati e vicini.
    È da questa purificazione culturale che nascono spazi di invocazione per una prassi nuova, contrassegnata da valori diversi.
    Il terzo momento è quello più propriamente costruttivo e creativo. È il momento della risurrezione. È in questa fase che si riscopre il significato ultimo e profondo dei valori umani presenti nelle varie attività di cui ci si fa carico, ed ormai purificati dal lungo processo di discernimento ed autenticazione. È in questa fase che si opera quella saldatura tra fede e prassi, tra significato cristiano ed esperienza umana, tra valore universale e scelte contingenti che noi chiamiamo una «cultura» cristianamente ispirata. La prassi prende finalmente una sua fisionomia a partire da una antropologia (cioè di una concezione dell'uomo e della società) che trae la sua inesauribile fecondità dalla fede.
    I tre momenti così delineati costituiscono l'atteggiamento di base che dovrebbe caratterizzare il processo di produzione e mediazione culturale dell'operatore. Ma qualcosa in più si può dire circa i contenuti, cioè l'oggetto specifico di tale processo.

    I contenuti: l'analisi della domanda educativa

    Sotto questo punto vorrei analizzare alcune tecniche sulle quali è possibile esercitare con successo il metodo di analisi e di prassi descritto. Sono tematiche che costituiscono il «luogo» prioritario dell'impegno dei laici credenti che operano nelle associazioni educative.
    Ci sono oggi difficoltà che i giovani incontrano a esprimere i propri bisogni e a utilizzare correttamente le risorse che hanno a disposizione per soddisfarli .
    Suggerisco due serie di considerazioni che aiutano a capire meglio i bisogni dei giovani.
    - una crescente relativizzazione dei bisogni, una persistente difficoltà al discernere tra bisogni reali/profondi e bisogni indotti/superficiali, una certa propensione al rimescolamento dei sistemi di bisogno senza apparente motivazione;
    - il riemergere di bisogni legati alla qualità della vita (il post-materialistico), il tentativo di riappropriarsi del diritto (scippato dal Welfare State) di definire i propri bisogni ed i percorsi attraverso cui realizzarli, la presa di coscienza dei bisogni meno negoziabili (salute, sicurezza, vita, serenità...).
    Il primo gruppo di problemi si va strutturando in rapporto all'affermarsi della società complessa, cioè di una società che, avendo perso il proprio centro simbolico unificante, sembra legittimare ad ogni livello un pensiero, un atteggiamento, una prassi «debole».
    Il secondo gruppo di problemi si riconosce invece alla progressiva espansione della società post-industriale che sembra privilegiare il mercato dei beni simbolici (informazione, comunicazione, significato) rispetto al mercato dei beni materiali.
    Da queste considerazioni emerge la necessità di stabilire correttamente il rapporto che esiste tra la domanda di fruizione delle «cose», rispetto ai modi di identificare e qualificare i bisogni da parte dei giovani.
    Tali domande potranno di volta in volta essere collegate a bisogni di consumo o di socialità, di identità o di fuga, di creatività o di evasione, di efficienza o di significato.
    Fare mediazione culturale vorrà dire, pertanto, stabilire il senso che le singole domande hanno nell'ambito di una cultura complessiva variamente condivisa dai nostri destinatari, nell'ambito cioè di una concezione generale della vita.
    Una volta stabilito il senso di tali domande, fare mediazione culturale significa avviare un processo di discernimento delle priorità e delle urgenze, per avviare poi le risposte educative adatte.
    Credo che a questo proposito sia utile richiamare alcuni criteri orientativi (che riconosco legati alla tradizione salesiana).

    Il criterio della massima apertura ai giovani, a tutti i giovani
    Non si tratta di svendere senza discernimento un patrimonio di risorse personali, di attrezzature, di tradizione educativa, ma di attualizzare l'utopia donboschiana, che era l'intenzione, ai limiti appunto della irrazionalità, di salvare tutti i giovani purché esprimessero una minima disponibilità a entrare nella logica e nel dialogo educativo.
    E dunque: non l'irrazionale e indiscriminata dispersione dell'offerta educativa, ma l'ansia di arrivare al più gran numero e negli ambienti più disparati, superando la tentazione delle selezioni e delle discriminazioni precoci.

    Il criterio popolare
    Vuol dire essere prioritariamente per i giovani delle classe popolari.
    Oggi non è facile, in Italia, identificare correttamente gli ambiti del popolare.
    Infatti in una società che cresce rapidamente e che sembra avviata ad ampliare l'ambito dei ceti medi, siamo interrogati ogni giorno sul senso del «popolare», ormai oscillante tra due definizioni sempre più divaricate, in cui il «popolo» è a volte la crescente fetta di garantiti sui livelli medio-bassi, che già hanno risolto i problemi legati ai bisogni primari e si possono concedere il lusso dello sport, dei mass-media raffinati o del tempo libero di lusso; ed a volte è invece la popolazione residuale, ormai esclusa dalla corsa verso il benessere e destinata a ingrossare le file di una società parallela capace solo di riprodursi e di offrire servizi funzionali alla società affluente (vedi strati di popolazione colpiti da mobilità verticale discendente: piccoli agricoltori, artigiani, operai senza qualifica, addetti a servizi privi di contenuto tecnologico, ecc.).

    Il criterio della povertà, dell'abbandono e del rischio
    Esso precisa ulteriormente le categorie dei destinatari a cui deve essere rivolta la nostra azione.
    Oggi appare sempre più urgente ripensare le categorie sociologiche di definizione dei giovani più bisognosi di cure affettive.
    In una società in cui la marginalità diventa sempre fenomeno diffuso, latente, compatibile, si avverte l'urgenza di interventi preventivi sempre più precoci e generalizzati (a livello di prevenzione primaria e secondaria) e di azioni riabilitative e recuperative intelligenti e mirate.
    In questa prospettiva l'opzione per lo sport educativo, per l'educazione ai mass-media e all'uso intelligente del tempo libero (o delle altre attività legate alle singole associazioni) richiede uno sforzo di ricomprensione culturale del tutto originale; non basta offrire opportunità comunque, ma occorre inserirle in un progetto globale di analisi del bisogno e del disagio giovanile (e forse non sarà possibile escludere che fa parte del disagio, come sua dimensione, anche una prassi sportiva alienata e alienante); occorre includere le nostre proposte di un progetto educativo fortemente centrato sulla riscoperta dei valori (l'analogia con l'uso terapeutico del lavoro per la riabilitazione dei giovani emarginati può forse insegnarci qualcosa).

    Le finalità e i valori in gioco nella proposta educativa

    Un secondo «luogo» ideale della mediazione culturale delle associazioni educative è l'ambito delle finalità e dei valori che formano l'ossatura della proposta educativa e culturale.
    Penso che la mediazione culturale in questo ambito particolare debba articolarsi almeno in due direzioni:
    - nella presa di coscienza sempre più esplicita della distanza che separa il nostro quadro valoriale dalle antropologie correnti che in vario modo attraversano le concezioni della vita dominanti;
    - nel recupero consapevole delle radici cristiane dell'umanesimo plenario.
    Tale distanza si misura in base ai modelli di uomo e di società che ci stanno intorno:
    - l'uomo della cultura radicale/libertaria (ridotto alle sue pulsioni/bisogni/desideri; centrato sulla sola sua soggettività privata; senza storia, senza progetto preciso, senza limiti, e che considera la corporeità come forma espressiva più alta del bisogno e «luogo» fondamentale del piacere);
    - l'uomo della cultura nichilista (in cui la precarietà è eretta a principio, in cui si proclama l'impossibilità del dominio razionale sul mondo, e in cui si attua l'adattamento alla complessità, senza utopie. La corporeità è vista come peso, opacità, problema; e la vita come noia, inerzia, indifferenza);
    - l'uomo della cultura cibernetica (in cui si attua la programmabilità dell'uomo e la sua utilizzazione ottimale secondo la razionalità pragmatica e la generalizzazione universale del principio informatico. La corporeità qui è vista come macchina da rendimento, programmabile scientificamente);
    - l'uomo della autorealizzazione senza contenuto valoriale (in cui l'uomo viene considerato come struttura psichica funzionante e da far funzionare al meglio, e in cui vengono considerate centrali le tecniche del «benessere individuale». La corporeità poi viene vista come strumento del benessere psichico o come luogo della felicità programmabile).
    Il recupero delle radici cristiane poi passa attraverso l'attualizzazione di alcune dimensioni essenziali, quali:
    - un approccio integrale ai problemi dell'uomo, in cui vengono valorizzate in modo equilibrato le componenti che solo parzialmente sono sottolineate in altre antropologie: l'orizzonte umano e la prospettiva soprannaturale, il privato e il pubblico, l'individuale e il sociale, la realtà e l'utopia, il corpo e lo spirito, l'economia e l'etica, la disciplina e la libertà, ragione religione ed amorevolezza, educazione ed evangelizzazione;
    - un approfondimento delle scelte prioritarie qualificanti: il primato della persona umana rispetto alle strutture, le tecniche, la organizzazione ecc.; il primato della progettualità rispetto alla pulsione; il primato dell'etica rispetto all'utilità; il primato del valore rispetto al funzionamento; in una parola il primato di un'immagine di uomo che va ben oltre l'orizzonte chiuso della pura corporeità terrestre, storica, finita.
    In questo settore, fare mediazione culturale significa rendere praticabile sia l'approccio integrale (con i suoi difficili equilibri) sia le scelte prioritarie (con le sue accentuazioni coraggiose), attraverso modelli di comportamento che ne rendano evidente la coerenza con i messaggi carismatici originari e plausibile la pratica nel vissuto di ogni giorno.

    Le scelte di metodo, stile, organizzazione

    Un terzo «luogo» in cui esercitare la «mediazione culturale» da parte dei laici è quello in cui si costruisce la «risposta» da dare alla domanda educativa dei giovani alla luce delle finalità e dei valori.
    Anche qui mi pare che la «mediazione culturale» consista principalmente nel rendere praticabili certi equilibri delicati tra componenti essenziali di un intervento complesso, e nell'approfondire certe priorità che qualificano lo stesso intervento.
    L'equilibrio va cercato: tra l'azione educativa diretta, l'elaborazione culturale della prassi, l'azione socio-politica; tra ruoli e funzioni di diversi tipi di operare; tra sollecitazioni carismatiche e responsabilità/partecipazione/protagonismo collettivi; tra componenti laiche e componenti religiose; tra identità associativa (e sua specificità) e appartenenza ad un più vasto movimento di spiritualità giovanile.
    - Le priorità qualificanti riguardano tra l'altro: la dimensione essenzialmente preventiva dell'intervento educativo; l'accentuazione del gruppo e della comunità come luogo e metodo dell'intervento educativo; lo stile peculiare e democratico delle relazioni interpersonali; il clima di gioiosa serenità, fiducia, schiettezza; il prevalere reale ed ideale della vocazione laicale e del volontariato nella definizione dell'operatore delle associazioni educative.
    Su questi due punti si possono dire molte altre cose più specifiche: l'esigenza di «mediazione culturale» qui si fa proposta concreta e creativa di forma dell'agire quotidiano che si manifestano nel duplice ambito dell'educare e dell'animare sul territorio.
    È questo l'oggetto delle ultime considerazioni del mio contributo.

    LE APPLICAZIONI DELLA «MEDIAZIONE CULTURALE» ALL'INTERNO DELL'ASSOCIAZIONE

    Distinguerò due livelli di possibile applicazione di questa complessa «mediazione culturale» all'interno dell'associazione educativa.

    L'animazione generale della vita associativa

    È chiaro che l'impegno di mediazione culturale (portato avanti dai laici) gratifica associazioni, garantendone il carattere laicale come componente essenziale e insostituibile. Senza di essa, le associazioni non sarebbero più se stesse.
    Mancherebbero loro da una parte quella base di animazione e promozione che renderebbe inutile un eventuale sforzo di evangelizzazione dell'ambiente.
    Dall'altra parte, senza mediazione culturale, verrebbe meno la ragione stessa della presenza dei laici nelle associazioni, giacché essi sarebbero ridotti a soli puri esecutori materiali delle decisioni e degli orientamenti elaborati dalla componente «clericale» delle associazioni stesse.
    Esse possono guardare con fiducia all'avvenire solo se ai laici verrà garantito uno spazio ed una presenza che tocchi la funzione essenziale dell'elaborazione culturale del progetto educativo e non solo gli aspetti tecnici, organizzativi, amministrativi della vita associativa; e se tali spazi e presenze saranno coperti dai laici con intelligenza e generosità.

    Nelle decisioni operative concrete

    Le annotazioni di metodo e di contenuto concernenti la mediazione culturale sfociano necessariamente in alcune indicazioni di grande rilievo.
    Dall'analisi delle domande educative deve nascere una nuova sensibilità nel discernere quali siano le urgenze che reclamano la nostra presenza nel campo delle attività specifiche (sport educativo, educazione all'uso dei mass media, uso educativo del tempo libero. . .)
    In ognuno dei settori la mediazione culturale deve diventare precondizione per decisioni coraggiose e creative, alimentare la capacità di correre rischi ragionevoli, stimolare un'attenzione creativa alle mutazioni in atto nel quadro dei bisogni ragionevoli.
    Dall'analisi delle finalità e dei valori vengono anzitutto indicazioni circa i contenuti da far circolare con insistenza nell'associazione a tutti i livelli soprattutto nei momenti formativi (parlo soprattutto degli equilibri e delle priorità indicati precedentemente); senza questa circolazione di idee non può nascere né il volontariato educativo giovanile né tanto meno quello adulto.
    Dalle riflessioni sulle scelte di metodo, stile, organizzazione può emergere una nuova consapevolezza circa:
    - le esigenze strutturali delle organizzazioni (proposta ricca di contenuto e di stimolo, anche se veicolata da strutture o strumenti modesti; mentalità flessibile che utilizza strutture leggere e adattabili; concretezza ed efficacia più che immagine e superficialità);
    - le esigenze connesse ai rapporti di ruolo tra i diversi operatori (definizione degli ambiti dei dirigenti, degli operatori, tecnici ed esperti, integrazione delle loro funzioni);
    - le esigenze connesse alla dimensione preventiva (presenza nelle zone a rischio, accentuazione del carattere di animazione socioculturale, presenza in strati giovanili particolarmente bisognosi);
    - le esigenze derivate dalla scelta del metodo/strumento associativo (preferenza per attività di gruppo a larga base popolare, utilizzazione sistematica della vita di gruppo come risorse educative, fedeltà ai principi della corresponsabilità, del protagonismo, e della partecipazione dal basso anche quando ciò costa grossi sacrifici).
    Mi sembra ormai scontato, a questo punto, aggiungere che la mediazione culturale di cui siamo venuti parlando fino ad ora non si esaurisce in una riflessione teorica di tipo intellettuale, ma implica progettazione, sperimentazione e valutazione continua; senza di ciò non si può parlare neppure di «mediazione», ma semmai solo di fredda ed accademica esercitazione culturale.

    LE APPLICAZIONI DELLA «MEDIAZIONE CULTURALE» ALL'ESTERNO DELL'ASSOCIAZIONE

    Sottolineiamo ancora la necessità della proiezione verso il territorio, proprio in forza della rilevanza sociale che ciò accorda al progetto educativo e culturale.
    Il rapporto con esso e con le sue componenti sociali, culturali, economiche e politiche è - lo sappiamo - molto articolato.
    In ogni caso tale rapporto (sia esso dialogo, collaborazione, confronto, scontro o altro) suppone una «mediazione culturale» da parte di chi se ne fa carico.
    Vorrei qui soltanto sottolineare alcuni rilevanti momenti di crescita nel cammino verso il territorio.

    Una duplice lettura del territorio

    Nei riguardi della «comprensione più adeguata» del territorio mi sembra importante dire che il processo di «mediazione culturale» che abbiamo qui delineato mira soprattutto a far emergere le caratteristiche qualitative e dinamiche del territorio.
    Da un lato tale mediazione ci rende avvertiti della complessità delle forze che ivi sono presenti, del protagonismo esercitato dalle personalità eccezionali dotate di particolari carismi e delle dinamiche gestite dalle diverse istituzioni, dei processi di aggregazione e disgregazione, di convergenza e di conflittualità, di sviluppo e di regressione; come pure ci sensibilizza circa le dinamiche di produzione e di trasmissione della cultura (vecchia e nuova).
    D'altra parte la «mediazione culturale» che si colloca entro l'orizzonte della fede ci fa leggere il territorio come il luogo (teologale) in cui si sta affermando il Regno di Dio (cioè la crescita dell'uomo nel processo della sua promozione complessiva e della sua evangelizzazione) e si percepisce la presenza della Chiesa come segno anticipatore e strumento efficace del Regno. È da questa doppia lettura del territorio che deve nascere un'empatia profonda nei riguardi di tutto ciò che avviene nel territorio, porzione di mondo in cui si radica il Regno e la Chiesa.

    Quale tipo di presenza?

    La presenza dovrebbe seguire una certa sequenza logica; partire dalle interazioni umane di base per incidere successivamente sugli ambiti della società civile e di quella politica. Vorrei quindi indicare alcune modalità pratiche di tale presenza e alcuni risvolti particolarmente problematici.
    La mediazione culturale deve aiutare a rendere più operante ed efficace la capacità di creare aggregazione, sia pure nella forma prevalente del «rendere presente il territorio nella comunità educativa» (mediante accoglienza, valorizzazione, lancio di diverse forze convergenti).
    Ciò equivale a creare un ampio consenso per una specifica «cultura educativa» che si sviluppa e si radica nella prassi; ma significa anche sviluppare un sistema concreto di ruoli e di funzioni differenziate, attorno a finalità chiare e possibili, e mediante l'uso di efficaci strumenti di lavoro. Dobbiamo ancora definire culturalmente, prima ancora che operativamente, gli spazi di collaborazione dei genitori, degli esperti vari: dei sostenitori esterni che in qualche modo sono disponibili a condividere il progetto educativo.
    L'esigenza di condivisione critica e di animazione dei problemi che caratterizzano il territorio reclama inoltre una più profonda consapevolezza della importanza che riveste per noi la capacità di produrre e diffondere cultura.
    Voglio qui indicare la necessità di una più efficace comunicazione della nostra cultura, sollecitando la riflessione sull'esigenza di un proprio linguaggio comunicativo, di più stretti collegamenti con altre agenzie culturali, di migliore utilizzazione degli strumenti già a disposizione. Qui aggiungo che tutto ciò non è possibile se il compito di mediazione culturale viene delegato ai vertici della associazione, se non vi è dibattito interno, se non vi è assunzione in prima persona del diritto-dovere di creare cultura. Questa condizione è indispensabile per assicurare all'associazione una sua forte identità, che in caso contrario si perderebbe nel confronto impietoso, che è tipico delle società complesse. Ma per tale forte identità si esige che la mediazione culturale si allarghi ai grandi temi della società civile e politica, della condizione giovanile e femminile, del mondo e della Chiesa, ecc.
    La nostra presenza nel territorio si specifica ulteriormente con iniziative che mirano a portare la comunità educativa fuori del proprio ambito tradizionale, mediante nuove forme di presa di contatto con i problemi giovanili. Qui la «mediazione culturale» esige un salto di qualità a cui le associazioni sono forse ancora impreparate; si tratta infatti di giustificare sotto tutti i punti di vista una nuova mentalità che si oppone al tradizionale atteggiamento di «attesa» dei giovani e che invece preferisce l'atteggiamento dell'attiva «ricerca» di essi nei loro contesti reali di vita.
    Ed oltre a ciò si tratta di affrontare tutti i nuovi problemi che questa attiva ricerca può proporre; accenno solo ai temi riguardanti la comprensione e l'intervento dei e nei problemi della marginalità, della nuova povertà, della devianza o, non meno importanti, ai temi della lettura e comprensione empatica delle ricorrenti mode o costumi culturali dei giovani persi nei labirinti impercorribili della società complessa.
    Infine la presenza nel territorio implica partecipazione a tutti i livelli possibili, agli organismi in cui si elaborano le politiche dello sport, della gioventù, del tempo libero, della cultura, della famiglia.
    Qui la «mediazione culturale» si allarga necessariamente fino a comprendere i contenuti essenziali di una «cultura politica», cioè dei valori e degli atteggiamenti ideali e concreti che si esigono in un confronto di cosi grande rilievo.
    Vorrei soprattutto sottolineare alcuni tratti «nuovi» di proposta: la preferenza per le mediazioni costruttive, la propensione a suscitare e valorizzare le forze positive, la tendenza al servizio piuttosto che allo sfruttamento delle opportunità, il superamento della logica delle lotte di potere e delle pratiche di lottizzazione.
    Tale «cultura» va continuamente riportata alla sua matrice etica e religiosa, attraverso periodiche occasioni di verifica e di confronto.


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    Sguardi in sala
    Tra cinema e teatro

    A cura del CGS


    Recensioni  
    e SEGNALAZIONI

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    Etty Hillesum
    una spiritualità
    per i giovani
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    Semi e cammini 
    di spiritualità
    Il senso nei frammenti
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    Ritratti di adolescenti
    A cura del MGS


     

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