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    Adolescenti in questa cultura: verso una proposta di animazione



    (NPG 1988-10-37)


    Chiedersi «quale proposta di animazione per gli adolescenti» è sollevare un intreccio complesso di prospettive che riguardano:
    - la situazione degli adolescenti dentro l'attuale cultura;
    - il compito che l'animazione cosiddetta culturale si propone;
    - gli obiettivi significativi e praticabili dagli adolescenti per una loro crescita globale.
    Vediamo allora di precisare i termini del discorso.

    GLI ADOLESCENTI IN QUESTA SOCIETÀ E CULTURA

    1. Viviamo in un periodo di «valle» e di adattamento, più che di grandi cime e padroneggiamento della situazione.
    La caduta della ideologia del cambio e del progresso, ultimi abiti indossati dalla cultura occidentale a seguito del crollo delle visioni totalizzanti del mondo, lascia spazio solo più alla vita che scorre tra le mani dell'adolescente come unico bene a sua disposizione.
    Al centro della cura personale è oggi la vita quotidiana, cioè la vita senza altre aggiunte nella sua immediatezza, freschezza, fragilità, frammentarietà. La si ha tra le mani e ci si chiede come non perdere anche questo. E come giocarla, sapendo che non esistono più «reti» che salvino nel misterioso gioco del trapezio che è la vita.

    2. Viviamo in un tempo di pluralismo di proposte, di piccole scelte di vita, che altro scopo non hanno che essere di orientamento per la «tribù» che la elabora, senza pretese oggettive o di validità per altre «tribù».
    Del resto la comunicazione fra le «tribù» è abbastanza difficile, anche se è fortemente aumentata la quantità delle informazioni in circolazione.
    Ognuno parla ed ognuno scambia con facilità, ma lo fa a partire dai suoi filtri selettivi. Molte informazioni vengono scartate non perché in sé non significative, ma perché incapaci di oltrepassare i robusti filtri eretti a difesa della propria «originalità» e «libertà».

    3. Ciò che sembra in discussione, a questo punto, è la realtà stessa di «cultura» in cui finora, al di là delle diverse visioni ideologiche, si era immersi e che faceva da tessuto connettivo alle diverse esperienze.
    Se pensiamo alla cultura come un organismo vivente dentro il quale esistono diverse funzioni e la cui vita è regolata dalla comunicazione tra le funzioni, sembra che oggi le diverse funzioni tendano ad una situazione come quella che Menenio Agrippa descriveva nel suo famoso apologo.
    L'impressione è che non esiste più questo organismo vivente che chiamiamo cultura e che, in ogni caso, la comunicazione tra le funzioni non accede alla «memoria della cultura», cioè all'insieme dell'esperienza accumulata nei secoli.

    4. Viviamo in un tempo in cui, anche per le cose appena dette, è faticoso rintracciare proposte e modelli educativi significativi per la «tribù» degli adolescenti.
    Gli educatori sono stati abilitati a pensare e programmare la loro esistenza in un tempo segnato dal riferimento a visioni di vita sufficientemente solide, organiche, in fondo oggettive.
    Che significa per loro educare oggi? Non certamente proporre quella visione della vita alla quale, a volte, neppure loro danno più credito. Non basta neppure, oggi lo si afferma più di ieri, lasciare gli adolescenti in uno stato simile all'imbarbarimento. Le piante selvatiche non producono frutti buoni. Come non basta pensare l'educazione come «arte maieutica», cioè come aiuto ad esprimere se stessi, al di là dei condizionamenti sociali. Non basta, infine, limitarsi a «fare compagnia» agli adolescenti che percorrono la «valle», limitandosi a rincuorarli o a compatirli, a seconda delle volte, ma sempre con un atteggiamento passivo.
    Quale proposta educativa allora?

    LA «FILOSOFIA» DELL'ANIMAZIONE CULTURALE

    Ci sono tanti modi di riflettere, anche in ambito educativo, sulla situazione. Noi ne proponiamo uno sotto il termine di animazione culturale. Vediamo in che cosa consiste, a cominciare da alcune scommesse (indimostrabili).
    1. La filosofia dell'animazione viene anzitutto definita come «amore alla vita». Vediamo come. L'amore alla vita di cui parla l'animazione è tutt'altro che esaltazione dionisiaca e giovanilistica. Piuttosto si vuole dare all'uomo, che si ritrova, perplesso, la vita tra le mani e si interroga se val la pena viverla, che può amare la vita cosi come è, perché non esiste situazione - per quanto avvilente e tragica - che non sia redimibile, cioè che non sia capace di essere ripiena di un gesto che la umanizzi. Amore alla vita vuole dire che l'uomo può assumere con dignità questa «sua vita», perché in ogni caso e situazione gli è possibile «trovare il tesoro» che misteriosamente si porta dentro.

    2. Perché questo possa accadere sono necessarie alcune condizioni. La prima è che gli adolescenti siano in grado di individuare, al di là dell'attuale pluralismo di modi di vivere e pensare, la sagoma di quell'organismo vivente che abbiamo chiamato cultura. Le troppe luci, le troppe informazioni e messaggi sembrano aver dissolto nel nulla questo organismo. Lo si intravvede appena e, soprattutto, lo si vede nell'attimo senza poterlo avvicinare per conoscerne la storia. Indirettamente l'animazione viene ad affermare che questo organismo ancora pulsa e vive, ma molti non se ne rendono conto. Alcuni valori permangono, come permane soprattutto l'intuizione che anche oggi «val la pena vivere». Il pluralismo tribale, e dunque il pluralismo di messaggi e modi di vivere, in fondo si ritrova nelle «radici» della cultura occidentale, che, ispirata dal cristianesimo, non rinuncia ad amare la vita, ma faticosamente cerca nuovi modi di esprimere questa passione esistenziale.

    3. Se l'amore alla vita e la consapevolezza della sua redimibilità sono il legame radicale al di là del pluralismo, sta di fatto che dentro la cultura le posizioni si sono frazionate e le tribù moltiplicate.
    L'animazione ne prende atto e lavora (in termini educativi) in due direzioni.
    La prima direzione è il riconoscere che, almeno per ora, indietro non si torna e che dunque il pluralismo di proposte e il conseguente disorientamento dei soggetti attratti in più direzioni non è facilmente sormontabile. Deve, anzi, essere accolto e riconosciuto a condizione che vengano ripuliti e consolidati i vecchi canali di comunicazione dentro la cultura, e ne vengano allacciati dei nuovi nella direzione del confronto tra le proposte culturali, ma soprattutto del loro radicamento nella cultura e nei valori di fondo che ne costituiscono la «memoria».
    Il pluralismo può essere visto come fonte di arricchimento, oggi soprattutto in cui si è alla ricerca faticosa di nuovi modelli antropologici e nuovi «stili di vita».
    Questo è tuttavia possibile solo se alla logica della contrapposizione o alla logica della sconfessione delle altre proposte culturali succede la logica del «contrappeso» che vede in ogni situazione e proposta un «germe» culturale espresso in forma esasperata, ma per assumerlo e valorizzarlo in modo critico e creativo.

    4. La seconda condizione è che si riprenda o si intensifichi l'educare nuove generazioni, intendendo con questo termine la presenza intenzionale e metodica di persone a servizio della loro crescita.
    La domanda adolescenziale è domanda di un progetto o forse di un «programma» inteso nel linguaggio dei calcolatori. È dunque domanda di progettualità per il futuro.
    Tale servizio va visto secondo una logica precisa, quella del giardiniere, il quale da un parte cura la piccola pianta dentro cui scorre una vita che lui non ha creato ma che ha il dovere di proteggere e crescere, e, dall'altra, ad un certo punto, «innesta» la pianta selvatica perché le sue energie non vadano disperse, ma canalizzate per portare frutto.
    Questo è animazione. Certamente l'animazione è una pedagogia dell'accoglienza e del riconoscimento di ciò che già esiste negli adolescenti. L'animatore si pone al loro fianco aiutandoli ad «esprimere» quella vita che si portano dentro.
    Ma non basta. Perché gli adolescenti possano dire se stessi con pienezza, devono anche attuare l'operazione, faticosa e non sempre indolore, che consiste nell'inserire la loro crescita nel vivo della cultura, della tradizione, in modo che la loro storia si arricchisca di una storia più grande ed i loro valori, allo stato nascente, ritrovino forza, illuminazione, purificazione nella cultura.
    L'immagine dell'innesto suggerisce anche che i frutti sono, in qualche modo, originati da questo incontro faticoso tra adolescenti e cultura.

    5. Va chiarito il livello a cui l'animazione, come proposta educativa, viene a situarsi. La crisi culturale, prima che l'agire morale, riguarda le «ragioni per vivere». Il livello morale della vita è decisivo, ma non è a tale livello che sembra potersi risolvere la crisi.
    L'animazione di fatto è interessata a far ritrovare il gusto per la vita, la possibilità e la fiducia in un futuro diverso, il coraggio di rischiare la propria esistenza.
    Per fare questo l'animazione si pone come educazione esperienziale, che si avvale quindi di linguaggi che permettono di fare un discorso di tipo sapienziale sulla vita.

    QUALE OBIETTIVO PER L'ANIMAZIONE DEGLI ADOLESCENTI?

    Si tratta ora di individuare le finalità e gli obiettivi educativi per gli adolescenti oggi.
    Tali obiettivi devono essere da una parte significativi, e quindi capaci di rispondere alle intuizioni e attese che gli adolescenti si portano dentro, e dall'altra praticabili dagli adolescenti in genere. Cioè quelli che pongono al centro della loro attenzione-riflessione-attività la vita nella sua quotidianità, costellata di piccole avventure e sentono di appartenere a più mondi e proposte culturali, senza volersi identificare con una in particolare e senza rinunciare a nessuna di esse.
    Ma gli adolescenti non sono solo questo. Essi manifestano anche alcuni «germi» di vita che, in qualche modo, costituiscono un (debole) segnale di ricerca oltre la crisi. Esistono in loro, cioè, quelli che vengono chiamati i «temi generatori».
    Si tratta di segnali deboli, ma non per questo confusi. «Debole» indica piuttosto un modo di viverli, più che un giudizio morale. Indica che questi segnali, in un tempo di crisi culturale, vanno perseguiti con una strategia non totalizzante, facendo spazio al ripensamento, rielaborando continuamente il loro contenuto, utilizzandoli come luoghi da cui provare a capire tutto il quadro.
    Questi segnali deboli si riconducono a quattro: il primo più generale e gli altri più articolati, quasi una chiarificazione di quello generale.
    Essi sono:
    - un segnale di affezione alla vita, così come è, senza volerle sfuggire e con un atteggiamento di distacco e coinvolgimento, tenerezza e durezza insieme;
    - un segnale di ricerca di soggettività, come luogo in cui la vita può dirsi in modo nuovo nella sua dignità profonda e nel suo mistero più intimo;
    - un segnale di ricerca di solidarietà, intesa come capacità di immedesimazione con l'altro di cui si è compagni, per affermare la «comunione» nella «diversità»;
    - un segnale di invocazione ad un «oltre», di ascolto silenzioso di una musica nascosta che deve far da spartito alla sinfonia della vita.
    Alla luce di questi segnali deboli e dell'affermazione che la cultura rimane l'unico luogo in cui dire se stessi con pienezza, possiamo definire l'obiettivo generale dell'animazione degli adolescenti come segue.
    L'animazione si propone di abilitare (= costruire atteggiamenti) gli adolescenti a essere consapevoli della biografia personale e riconoscere e costruire la loro dignità di persona:
    - attraverso un intenso «dialogo interiore» posto come crocevia tra le diverse proposte culturali;
    - attraverso una condivisione solidale e attiva della vita con/per gli altri, a partire dal proprio «ambito vitale»;
    - attraverso il consolidamento di un rapporto di comunione con un valore o un'utopia, una fede o un Dio, in grado di far «scommettere» che «val la pena vivere».
    A partire dall'obiettivo generale identifichiamo e presentiamo gli obiettivi intermedi e gli itinerari per raggiungerli come una triplice svolta o passaggio:
    - dalla ricerca di soggettività al radicamento culturale;
    - dalla ricerca di solidarietà ad una nuova responsabilità sociale;
    - dalla invocazione silenziosa al riconoscimento di un oltre e di un Dio.

    PRIMA SVOLTA: DALLA RICERCA DI SOGGETTIVITÀ AL RADICAMENTO CULTURALE

    Presentiamo anzitutto l'obiettivo in sintesi.
    Abilitare gli adolescenti ad accogliere e costruire se stessi come difficile ma affascinante convivenza tra unità e pluralità, giocata in una società differenziata ma capace di credere nella vita, attraverso un «dialogo interiore» vissuto con tutta la persona, nutrito dal culto della propria dignità e dal desiderio di sperimentare la ricchezza e il mistero della esistenza umana.

    Descrizione dell'obiettivo

    L'obiettivo è anzitutto centrato sul riconoscere se stessi, accogliersi e decidere di costruirsi.
    Il punto di partenza è la ricerca attuale di soggettività, l'attenzione a se stessi e ai propri limiti, la gelosia per la propria individualità. Vediamo in tutto questo un rischio (individualismo, soggettivismo morale, mito dell'auto- realizzazione personale) ma anche una grande promessa: la riaffermazione della inalienabile dignità di ogni persona, per quello che è e per la sua originalità irrepetibile.
    La riscoperta della dignità della persona, una dignità che ha un fondamento oggettivo e trascendente ma che va assunta consapevolmente, è, in qualche modo, la ribellione ad una società e cultura che, mentre offrono un minimo di coscienza e responsabilità agli individui, tentano di annullarne la dignità rendendoli appendici di altre realtà sociali, ideologiche, economiche, organizzative.
    L'obiettivo non vuol essere «alla moda». Accettare se stessi e prima ancora riconoscersi, decidere di costruirsi a partire dalla propria ricchezza e limite dentro l'attuale società, richiede coraggio, fatica, dura ascesi e disciplina, un lungo cammino.
    Questo cammino ha delle direzioni precise.
    Anzitutto è presentato come ricerca di una «difficile convivenza tra unità e pluralità». Fino a non molto tempo fa la persona che diventava consapevole di se stessa doveva scegliere tra unità e disgregazione.
    L'unità era costituita da un insieme di valori e pratiche di vita in cui la persona poteva riconoscersi con facilità, dando così un volto coerente alla sua personalità: si era persone tutte d'un pezzo. Si aveva una identità forte e sicura, ci si differenziava con chiarezza da quanti appartenevano ad un altro sistema di valori e pratiche di vita.
    Opposta all'unità era la disgregazione, la confusione dei valori, la non coerenza dei tratti, il rifiuto della propria dignità, la incapacità di darsi un volto.
    Oggi la situazione culturale è profondamente cambiata. È più difficile trovare punti di riferimento per una identità forte.
    Al centro non sta l'unità ma la pluralità di forme culturali, pur dentro la stessa matrice culturale. Questa pluralità è confusione e insieme ricchezza allo stato nascente. Include il tentativo di uscire dal tunnel della crisi, lo sforzo di dare alla luce nuovi modi di vivere. In questa pluralità l'adolescente è chiamato a vivere la sua vita, a giocare, come si dice, la sua partita.
    Egli di fatto appartiene a più mondi, a più realtà, a diversi modi di organizzare i valori della vita. Ed è in qualche modo sollecitato a non scegliere, a non rinunciare a niente. Ecco il «difficile» ma affascinante compito di far convivere unità e pluralità. Vivendo nella pluralità egli ha il dovere di salvare l'unità, cioè di darsi una forma in qualche modo unitaria di vita, «discernendo» con pazienza i valori «diffusi» in modo discontinuo nella pluralità. Può diventare se stesso solo se apprende a muoversi con pazienza tra l'unità e la pluralità. Ovviamente è dalla ricerca di unità che va ripensata la pluralità, pena la disgregazione della personalità.
    Come riuscire a fare questo?
    Questo è possibile se dalla consapevolezza della pluralità si passa ad una sorta di radicamento nella cultura, presa come un sistema unitario ed articolato. L'adolescente deve non tanto scegliere o identificarsi in una delle diverse forme sociali o di appartenere in modo totalizzante e selettivo ad una organizzazione sociale. Non è, almeno sembra, il principale compito a questa età. Egli, piuttosto, deve sviluppare un «dialogo interiore» che gli permetta di diventare se stesso mentre si apre alla società e alla cultura. Per dialogo interiore (non monologo) si intende la capacità di mantenere una vita interiore in cui far dialogare le diverse appartenenze culturali, a partire dall'arricchimento che queste «permettono» al soggetto che cerca se stesso e la sua dignità.
    «Il dialogo interiore» è una sorta di tribunale della coscienza, in cui, nel più intimo di se stesso, giudica se le proposte e appartenenze riescono ad andare oltre le facili promesse di valori, identità, realizzazione e di orientamento verso una personale scala di valori.
    Il monologo si oppone al dialogo interiore. Si ha il monologo se il soggetto assume un'unica posizione dalla quale giudica tutto o se è talmente rozzo da non sapersi «scindere» in diversi personaggi interiori che dialogano tra loro.
    Il dialogo si oppone anche alla disgregazione, alla «babele» dei messaggi.
    Si ha disgregazione se di volta in volta il soggetto fa parlare una appartenenza o forma culturale, mentre le altre, pur presenti in lui, tacciono e si accontentano di far silenzio in attesa del loro turno nell'agire della persona.
    Si ha invece dialogo se l'individuo si pone alla ricerca di una verità profonda tra le varie istanze e i vari messaggi.
    A tutto si riconosce una dignità allo stato nascente, proprio mentre si afferma che tutto va giudicato dal tribunale della coscienza e dai valori che la illuminano.
    Nella ricerca di un modo di vivere che valorizzi la soggettività ma le dia un fondamento culturale e esistenziale, il dialogo conduce ad affermare l'esistenza di «valori» a cui il soggetto deve riferirsi nel costruire se stesso. Sono valori riconducibili al riconoscimento della propria dignità radicata nella cultura. Non una dignità astratta, solipsistica, ma una dignità che nutre se stessa della esperienza umana, accumulata nella «memoria culturale».
    Di essa l'adolescente apprende le movenze, conosce e valuta l'evolversi, confessa la ricchezza ed il mistero di organismo vivente che produce sempre nuove forme di vita. In essa l'adolescente acquisisce la capacità di chiedere a se stesso cosa è l'uomo, cosa è la storia, cosa è l'evolversi dell'umanità. Qui sta il nucleo del mistero a cui il dialogo interiore conduce. Qui sta il luogo in cui la stessa vicenda personale si fa mistero. Qui il dialogo interiore si fa sorpresa e smarrimento, rispetto della vita.

    Tappe per la prima svolta

    Proviamo ad individuare alcune tappe di un «itinerario» relativo alla prima «svolta», sapendo che da una parte è importante individuare i singoli passaggi, e dall'altra che il cammino delle persone quasi mai segue un tracciato logico come quello che si presenta, ma procede con frequenti escursioni in avanti e ritorni all'indietro.

    Apprendere a sentirsi «parte di»
    La ricerca di soggettività va orientata in una direzione: quella del radicamento «in», dell'apprendimento della propria storia, del sentirsi parte di un mondo più vasto entro il quale collocarsi, per affermare la ricchezza della propria soggettività. In questa direzione si possono dare diversi obiettivi intermedi:
    - sperimentare legami concreti e personali con soggetti, luoghi, fatti, racconti che possono far conoscere la propria storia e illuminare certe connotazioni altrimenti inspiegabili del presente;
    - rendersi consapevoli che si fa parte di un universo culturale che, mentre lentamente procede in una direzione, offre una pluralità di stimoli e di proposte che esprimono la faticosa ricerca di una vita più dignitosa;
    - cogliere la pluralità come ricchezza, a patto che non si finisca nella palude e nella confusione: c'è pluralità se c'è capacità di distinguere, precisare le sottili diversità dei messaggi, affermare le necessarie opposizioni, rendersi gelosi della propria autonomia di pensiero e azione;
    - apprendere a chiamare «le cose per nome» riconoscendo loro una tendenziale oggettività che sorpassa l'uso che le persone e i gruppi ne fanno, e che rimanda ad un fondamento ultimo della esistenza; dialogo, confronto, apprendimento acquistano spessore e senso solo se si riconosce che le cose della vita non sono mai del tutto manipolabili dall'uomo;
    - apprendere i vari linguaggi con cui dire la cultura e la ricchezza delle sue forme, in particolare facendo propri, oltre i linguaggi della scienza e della tecnica, i linguaggi simbolici, poetici, sapienziali, artistici;
    - individuare i contorni della propria storia personale e dunque i confini positivi e negativi che connotano la propria esistenza qui, ora, con queste persone.

    L'abilitazione al dialogo interiore
    La seconda tappa è l'abilitazione al dialogo interiore, cioè alla capacità di farsi uno spazio in cui tener vive le diverse istanze culturali per quel che sono significative per il consolidamento di un centro personale di vita. Vediamo alcune specificazioni:
    - vivere dentro se stessi, nel culto della interiorità, del ripensamento del vissuto, del rimasticamento delle esperienze e situazioni di vita;
    - far vivere al proprio interno la pluralità delle forme culturali che si incontrano all'esterno, in modo da riconoscerle, provare a «dare loro un nome», ripensarle in funzione della costruzione di se stessi;
    - evitare due errori: la rigida selettività di chi si riconosce in modo totalizzante in una posizione e da quella svaluta in modo preconcetto le altre; la confusione di chi gira nel labirinto delle proposte culturali senza procurarsi un filo d'Arianna, abbandonandosi alle suggestioni del momento;
    - la strategia non è una integrazione irenica dei diversi messaggi o una selettività preconcetta, ma un sottile lavoro di cernita, ricostruzione, ripensamento, discernimento attorno ad un nucleo personale che cresce così attraverso un procedimento di tipo «ermeneutico».

    Dal dialogo interiore ad un centro personale
    L'abilitazione al dialogo interiore ha la funzione di consolidare lentamente un centro interiore attorno al quale confluiranno sempre nuovi materiali dell'esperienza culturale personale. Questo centro interiore si forma attraverso il sovrapporsi e fondersi variegato dei fili o tracciati di comunicazione fra il soggetto e l'ambiente. Filo dopo filo prende corpo un originale disegno o architettura che definisce l'identità personale e culturale dell'individuo.
    Esso è essenzialmente costituito da un fascio di atteggiamenti suddivisi in criteri di lettura e valutazione della realtà, e criteri di azione e comportamento.
    Anzitutto criteri di lettura e valutazione della realtà. Muovendosi nel grembo materno della cultura, l'individuo sperimenta nel tempo diversi criteri di lettura e valutazione, fino a rendersi conto che quello che distingue e permette di comunicare è riconoscersi personalmente in un fascio di criteri.
    In secondo luogo, e di conseguenza, il centro esistenziale comprende una serie di criteri orientati all'azione, in grado di aiutare a scegliere tra le varie azioni possibili e a dirigerne il compimento.

    Verso una presenza responsabile nella cultura
    Man mano che si costituisce un centro interiore personale e che si consolidano gli atteggiamenti valutativi e quelli orientati all'azione, l'adolescente deve definire il proprio rapporto verso la cultura e prende posizione nei suoi confronti.
    Vediamo alcuni passaggi:
    - abilitare a sentirsi parte di una cultura «già fatta» ma di essere responsabili di una «cultura da fare», attraverso il proprio «impegno culturale»; in modo da non essere solo consumatori ma anche produttori di cultura;
    - impegno culturale è anzitutto individuare un modo di vivere la vita quotidiana, prima che «discutere», prendere posizione su ideologie astratte, ragionare in termini di «grande politica»;
    - ripensare la vita personale e dei gruppi sociali attraverso il processo azione-riflessione-nuova azione;
    - rendere consapevoli che verificare come si vive e come vivere il lavoro, l'amicizia, l'amore, la solidarietà, la pace, il rispetto per la natura, è un contributo alla «rivoluzione della vita quotidiana» che deve accompagnarsi ad ogni rivoluzione sociale e politica;
    - porre come soggetto della verifica il gruppo, cioè un insieme di soggetti tra i quali è possibile stabilire un rapporto personale continuato nel tempo e insieme uscire dalla stretta cerchia della propria «tribù», attivando uno scambio nel vissuto quotidiano con le altre tribù giovanili;
    - creare spazi, tempi, modalità, temi per un dialogo internazionale, quasi una sorte di «confessione» reciproca sugli stili di vita e sulla capacità di dare vita a personalità e creature mature, partendo dalla scommessa che «nessuno educa nessuno, nessuno educa se stesso, ma ci si educa tutti insieme». (Paulo Freire).

    SECONDA SVOLTA: DALLA RICERCA DI SOLIDARIETÀ AD UNA NUOVA RESPONSABILITÀ

    Anzitutto l'obiettivo in sintesi.
    Abilitare gli adolescenti a:
    - riconoscersi e lasciarsi compenetrare dalla «solidarietà» sperimentata nei «mondi vitali»;
    - in modo da consolidare dei legami personali che tengono nel momento in cui da qualsiasi parte s'avanza e così si apprende a lasciarsi coinvolgere nel darvi una risposta gratuita, dentro la quale prendere atto della più grande lotta tra vita e morte;
    - parteciparvi usando le proprie forze a servizio della vita.

    Descrizione dell'obiettivo

    Il punto di partenza è la ricerca adolescenziale di solidarietà, cioè di luoghi caldi in cui sentirsi rassicurati, accolti, valorizzati per quello che si è e non per quello che si potrebbe fare e dare. C'è solidarietà quando si percepisce che ciò che la sostiene è l'assoluta gratuità espressa per riconoscere la dignità e il mistero della esistenza del singolo.
    Questa solidarietà l'adolescente la può e la deve sperimentare nei «mondi vitali», cioè in quegli ambiti caratterizzati dall'accettazione reciproca, dalla possibilità di intense comunicazioni faccia a faccia, dallo stabilirsi di rapporti e legami sempre più solidi e gratuiti.
    Tali ambiti sono, essenzialmente, la famiglia ed il gruppo dei pari. In entrambi, anche se in modo diverso, l'adolescente deve apprendere che è accolto nella gratuità e deve lasciarsi compenetrare da questo fatto. Non deve dare per scontato di essere accolto ed amato gratuitamente, di essere valorizzato per quello che è, di essere criticato perché qualcuno crede nella sua possibilità di «cambiare» e modificarsi.
    Partire dagli ambiti vitali è, indirettamente, ammettere una certa distanza dell'adolescente dal più vasto mondo del sistema sociale, dentro il quale si muove e comunica, ma nel quale sperimenta anche diffidenza, indifferenza, separazione.
    Dei problemi del sistema sociale, egli del resto non è del tutto ignorante. Le informazioni che gli giungono tuttavia rischiano di renderlo da una parte angosciato per le sofferenze dell'uomo, e dall'altra apatico, perché solo una buona dose di apatia permette di vivere, come se niente fosse, di fronte alle ingiustizie sociali, il sottosviluppo, le diverse forme di dittatura, l'alienazione delle persone.
    Se una nuova partecipazione sociale può esserci per l'adolescente di oggi, essa nasce per sviluppo e consolidamento di legami profondi nei mondi vitali e nell'impegno di redimere la sofferenza sperimentata in quegli ambiti.
    Alla partecipazione sociale l'adolescente infatti non arriva più attraverso una precisa ideologia dell'impegno o del cambio.
    Alla possibilità di cambiare il sistema egli non crede più. Più semplicemente prende atto della sofferenza presente e si impegna a darvi una risposta sempre più adeguata. Una risposta che gli chiede impegno, competenza, continuità. Tutte cose alle quali deve lentamente abilitarsi e che creano gli atteggiamenti e competenze di base per una partecipazione sociale.
    L'adolescente oggi, probabilmente, arriva all'impegno per una via più esistenziale che morale, più esperienziale che conoscitiva, più interpersonale che strutturale.
    Non è capace di grandi rivolte morali, alle quali del resto neppure la società crede, in un momento di «valle» come quello attuale. Prima che tempo delle rivolte morali, pur oggettivamente necessarie, è tempo di una ricomprensione esistenziale della vita. Da qui nasce l'impegno morale. Non è il tempo della scoperta e studio dei grandi problemi della umanità, ma è il tempo dello sperimentare il vicino, ciò che sta a fianco e con il quale si apprende a essere solidali e che provoca una rispo sta immediata. Non è, infine, il tempo neppure di appelli al «sacrificio» personale, almeno per l'adolescente di oggi, il quale - angosciato e indifeso - non può permettersi di mettere se stesso tra parentesi per essere «a servizio di...».
    Ogni impegno deve essere luogo di servizio ma anche di crescita consapevole della soggettività. Solo se si salva il «personale» è possibile, per l'adolescente, il «politico».
    Questo non vuol dire minor capacità d'impegno o lotta anche politica, ma soltanto un modo diverso di impostare il problema, un cammino educativo. Quello indicato contiene dei rischi, perché è facile rinchiudersi in se stessi e usare gli altri per affermare se stessi. Ma educare è rischiare una strada, consapevoli dei suoi rischi e della necessità di inventare dei contrappesi.

    Tappe per la seconda svolta

    La seconda svolta è centrata sul passaggio dalla solidarietà alla responsabilità. Proviamo ad indicare alcune tappe interne del cammino.

    Sperimentare l'accoglienza
    Un primo obiettivo sembra essere abilitare a sperimentare l'accoglienza e godere il calore umano delle situazioni in cui l'adolescente si sente pienamente accolto e può tirare il fiato e respirare. In questa direzione si possono indicare:
    - sperimentare spazi di vita primari, nella famiglia e nel gruppo in particolare, in cui l'accoglienza sia del tutto gratuita e disinteressata, centrata sull'affermazione che stare-con è decisivo per il bene di ogni persona;
    - abilitare a lasciarsi compenetrare fino in fondo da questa solidarietà ed accoglienza, abbassando le difese che istintivamente si innalzano per difendere quel bene primario che è la propria soggettività;
    - abilitare ad una «decisione» calda ed esperienziale di amore alla vita vissuto insieme, pur in mezzo alle piccole burrasche che si sollevano nel quotidiano di una famiglia o di un gruppo di coetanei;
    - non disprezzare nessuno degli interessi che affiorano nelle persone, nel gruppo: ogni interesse esprime una ricerca, una valorizzazione della realtà e come tale va accolto.

    La fedeltà all'accoglienza e al suo prezzo
    Non si deve avere paura della solidarietà passiva che l'adolescente può sperimentare. Essa infatti è sorgente di nuove esigenze e scelte: l'esigenza di non tradire l'accoglienza che si sperimenta e la consapevolezza di dover pagare un prezzo personale perché la solidarietà duri nel tempo e si allarghi ad altre situazioni e persone. Vediamo alcuni obiettivi:
    - apprendere ad essere fedeli al gruppo: lo stare-con non è solo affascinante, ma anche faticoso; ognuno deve apprendere a trovare la distanza giusta dagli altri, quella di cui parla la favola dei due ricci: la distanza che permette di scambiar calore senza pungersi avvicinandosi troppo;
    - la solidarietà di gruppo richiede continuità, fantasia, assunzione di piccole responsabilità, capacità di cedere del tempo agli altri, rispetto delle norme stabilite insieme.

    L'incontro con la sofferenza
    La solidarietà nasce dove ci si libera dalle difese e si riesce a immedesimarsi nella sofferenza degli altri, quelli che sono «vicini» e la cui salute dipende anche da noi; non una solidarietà astratta, ma una concreta e vissuta con persone conosciute, sopportabile dall'adolescente, pena la sua distruzione.
    Vediamo alcuni passaggi intermedi:
    - la solidarietà che nasce dalla sofferenza sperimentata trova il suo spazio originale nel gruppo e nella famiglia, ma deve progressivamente allar garsi e consolidarsi man mano che si allargano gli spazi e interessi ambientali in cui l'adolescente riesce ad essere presente;
    - la solidarietà a partire dalla sofferenza come luogo cui ogni uomo è provocato ad una scelta: aiutare a prendere una decisione personale, quella di vivere per sviluppare non solo la propria soggettività, ma anche quella degli altri;
    - impegno concreto nei vari ambiti del volontariato, con gli anziani o con gli handicappati o con i più piccoli; ma un volontariato vissuto come gruppo e luogo in cui educarsi alla responsabilità sociale;
    - sperimentare intensi momenti di gioco e di festa per far da «contrappeso» alla crisi d'angoscia e allo scoraggiamento che può suscitare l'incontro con la sofferenza e il servizio volontario: fare festa non è sfuggire all'impegno ma ritrovarne il senso vero;
    - iniziare una riflessione critica, da soli e in gruppo, sulla sofferenza, apprendendo ad analizzare i vari «perché» (sofferenza dovuta alla cattiveria dell'uomo oppure no; sofferenza a cui l'uomo è in grado di dare una risposta o invincibile) e a individuare le risposte sociali (i vari atteggiamenti di fronte alla sofferenza: fuga, impotenza, solidarietà...) fino a maturare una decisione critica, in continuità con l'esperienza concreta, di volontariato.

    Verso una responsabilità tra sociale e politico
    La decisione di solidarietà e lotta contro la sofferenza umana è essenzialmente un luogo educativo. L'adolescente apprende a fare e consolidare una «decisione» per la vita. Ora questa decisione deve radicarsi in lui e maturare nella ricerca delle «strategie» per realizzarla.
    In questa fase l'adolescente è chiamato a esplorare ed entrare nel mondo sociale e politico. Vediamo alcuni passaggi:
    - rendersi competenti nel servizio volontario; competenza che richiede di individuare, dopo le prime esperienze, un campo d'intervento, confrontarsi con chi già lavora in quell'ambito, stendere un piccolo «progetto» d'intervento (analisi, obiettivi, criteri d'azione...);
    - affrontare il prezzo che richiede il volontariato, soprattutto quello di una ristrutturazione dello stile di vita personale e di gruppo, sviluppando particolari atteggiamenti: amore per la vita, senso del dono agli altri che redime la propria vita, sacrificio e resistenza alla stanchezza;
    - rielaborare in termini culturali riflessi l'esperienza di volontariato, apprendendo a collocare la propria attività nell'ambito della più vasta vita sociale e culturale, e chiarificando sempre più per quale «uomo» e «quale società» si intende lavorare;
    - maturare di una «coscienza politica», consapevoli che a certi problemi si risponde solo con la politica e che fare volontariato è politica, ma non sempre una buona e costruttiva politica;
    - entrare in contatto e collegarsi criticamente, ma vincendo il rischio di isolarsi con associazioni e istituzioni che lavorano nel sociale e con gli stessi partiti politici;
    - riconoscere che il lavoro e la professione, come anche il migliorare la «qualità» della vita quotidiana, sono luogo primordiale della «solidarietà» sociale e politica;
    - cogliere il limite del volontariato e della politica di fronte alla complessità di certi problemi e, ancora di più, di fronte alla sofferenza invincibile, fino a intuire delle «domande aperte» al mistero della vita e a Dio.

    TERZA SVOLTA: DALLA INVOCAZIONE SILENZIOSA AL RICONOSCIMENTO DI UN DIO PERSONALE

    In sintesi.
    Abilitare a interrogarsi e fare esperienza, dentro lo svolgersi misterioso della vita quotidiana, della presenza di un «fondamento», come «promessa» di un senso che è già donato entro la ricchezza e povertà della vita e come appello alla sua piena realizzazione, a cui progressivamente si riconosce una consistenza oltre il vivere quotidiano, fino a confessarlo Dio e Signore che richiede di aprirsi a una profonda intimità con Lui.

    Descrizione dell'obiettivo

    L'obiettivo vuol abilitare al senso del mistero, come silenziosa affermazione di un qualcosa, di un punto di osservazione sulla vita, che permette di coglierla nella sua interezza e afferrarla nella sua profondità.
    L'adolescente di oggi non è, in genere almeno, «religioso», nel senso che non esprime molte pratiche legate alla religione; eppure sembra affascinato dal mistero senza nome che il vivere quotidiano si porta dentro. A volte almeno, si ritrova a soffermarsi sul mistero della vita nel suo proliferare alterno di gioia e di sofferenza, noia ed esaltazione, solitudine e coinvolgimento. C'è un qualche spazio dove consolidare il mistero religioso della vita? La risposta è positiva. La valorizzazione della soggettività fino alla scoperta della propria inalienabile dignità e della solidarietà fino ad una «scommessa» sulla redimibilità della sofferenza attraverso il dono gratuito e all'invocazione di una «solidarietà» che l'uomo non può darsi, offre uno spazio in cui compiere un'ulteriore svolta o passaggio: dal mistero ricercato personalmente e sperimentato con un movimento di «religiosità ascendente» a una sorta di feedback sapienziale sulla vita così com'è.
    Un feedback, in primo luogo, sul mistero della propria soggettività irripetibile e dignità inalienabile. Rifiutare di essere solo frutto del caso non sembra solo un desiderio, ma una scommessa costitutiva dell'essere umano. Si scopre povero, ma capace di aprirsi ad un mistero sconvolgente.
    Un feedback, in secondo luogo, sull'esperienza di solidarietà accolta e data come appello ad una solidarietà ulteriore che l'uomo non può garantire, ma solo invocare. Un feedback sulla sofferenza e sulla gioia delle piccole cose della vita quotidiana, come invocazione di una pienezza che l'uomo non si può dare e di una redenzione dalla sofferenza che non si può procurare con le sue mani.
    Questo feedback è una sorta di sguardo sapienziale e contemplativo sulla vita, uno sguardo di meraviglia velato di malinconia e carico di un desiderio che non si vuole esprimere per intero, che ricerca il sapore dell'esistenza, una vivibilità che non sia illusione, un frammento che rimandi ad un tutto invisibile e indicibile.
    Questo sguardo sapienziale non è la ricerca di una visione della vita nella sua globalità ed unitarietà, ma piuttosto osservare con un certo distacco il frammento a cui si è attaccati giustamente o l'isola su cui si vive amando la vita, per chiedersi se si dia un disegno di cui il frammento sia parte, o una roccia su cui l'isola viene a poggiare in mezzo al mare.
    Dire fondamento è dire, nei limiti in cui questa parola è capace di dirlo, un oltre, un punto di vista sul mondo senza il quale il mondo stesso non appare nella sua interezza.
    Trovare il fondamento è il gesto di chi «ama» e vuole salvare e redimere se stesso e le persone che ama, gli altri e la vita nel suo insieme.
    Questo gesto d'amore richiede di uscire, di staccarsi, perché solo uscendo e staccandosi i tratti dell'esistenza si delineano con maggiore precisione. È un uscire contemplativo che cerca di cogliere tutto in un solo sguardo.
    L'esperienza del fondamento sembra oggi più ricercata di ieri. In effetti nel passato la vita era assunta nella sua oggettività religiosa che finiva per giustificarla, garantendone la comprensibilità nel momento in cui forse la si svuotava d'importanza e consistenza. La domanda sul senso della vita rischiava di essere vuota di contenuto.
    Oggi è la stessa esperienza del quotidiano e del frammento che richiedono con intensità il fondamento come qualcosa che redime, una parola che salvi, un valore che giudichi, una fede che richieda la stessa vita dei soggetti.
    Qui entriamo in un altro aspetto dell'obiettivo: il nome del fondamento.
    Forse non bisogna avere fretta di dare un nome. Prima vanno consolidati i presupposti che rendono autentica la ricerca del nome. Non è di un nome o di una parola in più che si ha bisogno; ma creare uno spazio nel profondo della persona, in cui pronunziare quel nome o riconoscersi in quella parola è affermare che la vita ha un senso e che è chiamata a riempirsi di senso.
    Ed ancora, non è di una informazione in più sulla vita che si ha bisogno, magari riaffermando l'esistenza di Dio, ma di sapere che esiste un punto di fuga architettonico che permette di dare ordine alla costruzione; che esiste uno spartito musicale da qualche parte che va interpretato; che esiste un valore che può coinvolgere i soggetti fino al punto di richiedere loro la vita; che esiste un Dio nella comunione con il quale la vita rivela un senso definitivo.

    Tappe per la terza svolta

    La terza svolta, come si è visto, è intimamente collegata alle prime due. È quasi uno sviluppo interno a loro, che conduce tuttavia a livelli di esperienza ulteriori.
    Nella direzione appunto dell'oltre, a partire dal quale giudicare la vita e attorno al quale ritrovare il senso della vita.
    Vediamo alcuni obiettivi.

    Abilitare a «non accontentarsi»
    Un primo obiettivo, in continuità con la ricerca di soggettività e di solidarietà, può essere l'abilitazione a non accontentarsi, non adagiarsi su quel che già si è e si vive.
    In altre parole:
    - risvegliare l'inquietudine esistenziale deposta nel profondo dei fatti della vita; tale inquietudine può nascere dall'esperienza di gioia o da quella di sofferenza e si esprime in una sorta di non accontentamento proprio mentre si coglie il valore delle cose che si vivono;
    - abilitare a distanziarsi e distaccarsi dalle cose per vedere meglio, per ascoltare nel silenzio la musica che si portano dentro;
    - avere il gusto per l'interiorità e per gli spazi di silenzio e intimità personale, i quali, tutt'altro che rendere assenti dalla vita, permettono di immergersi in essa fino in fondo.

    Ricercare un valore o una fede a cui obbedire
    Un secondo obiettivo è l'identificazione di un valore di fondo, frutto di un appassionato dialogo con la cultura e le proprie intuizioni, attorno al quale raccogliere il senso della propria esistenza e compiere scelte di obbedienza che orientano il comportamento e permettono di valutarlo in modo corretto; questo valore può essere la pace, il servizio agli altri, il dono di sé, la dignità di ogni uomo... Sono valori che esprimono una fede, un'utopia, una scossa sulla vita.
    Dentro questa scelta utopica va ricercato il nome dell'oltre che è in grado di chiedere tutto all'uomo. Una ricerca legata, più che ad una proposta religiosa, ad una faticosa ricerca interiore, al livello del dialogo intimo dell'uomo con se stesso, nel quale si impara a discernere gli idoli dell'uomo da quel Dio che silenziosamente si offre, ma non si impone; una ricerca che, a questo punto, si esprime nella preghiera personale fatta, più che di parole, di silenziosa invocazione, di comunione, di obbedienza alle sue richieste espresse attraverso la coscienza dell'uomo.

    Aprirsi al Dio di Gesù e alla causa del Regno
    L'esperienza religiosa può ora incontrare, in modo significativo, una proposta cristiana ed ecclesiale, perché trova il terreno adatto nell'adolescente; una proposta che non nega il cammino precedente, ma lo libera e lo consolida nella consapevolezza che quell'amore alla vita, che ogni uomo tende a far crescere dentro di sé, trova la sua ragione ultima ed il suo punto terminale nella misteriosa comunione con Dio creatore e in quella più misteriosa del Cristo, Dio fatto uomo perché l'uomo potesse divinizzarsi.
    L'esperienza religiosa e cristiana matura infine come «vocazione»: il soggetto prende atto che la sua dignità ultima si fonda nel misterioso dialogo con Dio che lo chiama ad essere e a prendere parte al compimento della vita fino alla sua pienezza.
    Individuare la propria vocazione richiede la fatica di rintracciare il filo rosso che collega le esperienze e che permette ad un accumulo di messaggi, fatti, eventi, contraddizioni, di disporsi lungo un asse, verso una direzione.
    La vocazione è allora il momento in cui l'uomo confessa, in modo esplicito, che vai la pena vivere.
    Ben sapendo che si è chiamati ad esercitare la responsabilità davanti a Dio nella povertà delle cose; e consapevoli che, quando una cosa povera è vissuta con dignità, là si è realizzato, magari in modo sconosciuto a tutti, il Regno di Dio.


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