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    Il posto dell'educativo nella prassi pastorale



    Giuseppe Groppo

    (NPG 1987-10-3)


    Ci sono alcuni fatti o tendenze, nella prassi di diverse comunità ecclesiali o di movimenti, che sono da problematizzare, o quanto meno da rilevare. Sottolineiamo anzitutto la tendenza ad accentuare maggiormente che non in passato le dimensioni pastorale e spirituale nei confronti di altre dimensioni, come quella educativa.
    Ciò non significa certamente volontà precisa di trascurare quest'ultima o di svuotarla totalmente di significato e di contenuti, quanto piuttosto sembra che questa operazione miri a integrare l'educativo nel pastorale e abbia come meta quella di inglobare la «formazione umana» nella «formazione spirituale» per un'esigenza di unità, non solo sul piano dell'azione ma anche del pensiero.
    Ciò ovviamente dà origine a problemi sia a livello teorico (quale rapporto tra attività pastorale della comunità cristiana e scienze pedagogiche, nei processi concreti di crescita dei giovani all'interno del pluralismo culturale e della conflittualità ideologica che caratterizzano il nostro tempo), sia a livello pratico (quale concreto modello di educazione e di maturità umana e cristiana nei progetti di «iniziazione» a favore dei giovani).
    Un secondo fatto-problema che possiamo annotare è la concreta difficoltà degli operatori a progettare un itinerario di maturazione che sappia essere adeguata all'età (ogni età può raggiungere la piena maturità cristiana la santità , ma non necessariamente la pienezza di maturità umana), che eviti il dualismo, che sia attenta alle dimensioni richieste dall'oggi.
    Giuseppe Groppo, nel triplice intervento che forma il dossier, traccia un quadro teorico dei problemi, offre le coordinate per una ricomprensione del rapporto santità-maturità umana, e prospetta un itinerario di crescita cristiana «che si identifichi dal punto di vista esistenziale con quello di un'autentica maturazione umana».


    1. Educazione e pastorale a confronto

    Occorre anzitutto chiarire e mettere a confronto alcuni concetti fondamentali sia di tipo teologico (salvezza cristiana e alcune attività pastorali delle comunità cristiane ad essa finalizzate: più specificamente i processi di evangelizzazione/catechesi, di pastorale giovanile e di educazione cristiana) sia di tipo pedagogico (promozione/liberazione umana in generale e alcune attività conseguenti, quali i processi educativi e l'animazione giovanile in funzione della maturazione umana).
    È necessario poi definire i rapporti tra la maturazione umana e i processi di conversione e di maturazione cristiana.
    In questo studio vorrei proporre una specie di teoria generale della maturazione umano-cristiana, non però con lo scopo o la speranza, più o meno reconditi, di poter derivare da essa le soluzioni riguardanti i problemi concreti della prassi pastorale ed educativa (ritengo questa procedura pericolosa e improduttiva), quanto piuttosto per poter offrire orizzonti di significato e conferire ragionevolezza a quelle soluzioni, che la creatività intelligente e saggia degli operatori pastorali e degli educatori saprà inventare nel rispetto coerente delle esigenze sia della fede che della realtà dei soggetti e della cultura e società in cui vivono.

    SALVEZZA CRISTIANA E PROMOZIONE/LIBERAZIONE UMANA

    Oggi non è più contestata l'affermazione, già presente nel Concilio Vaticano II, che la salvezza cristiana comporta ed esige necessariamente anche un'autentica promozione/liberazione umana. Il modo di intendere questa formula varia però notevolmente da teologo a teologo; non solo, ma nella prassi si concretizza in realizzazioni pastorali ed educative di stile fortemente differenziato.
    Occorre pertanto una chiarificazione, che metta in luce le motivazioni di questa implicanza della promozione umana nella salvezza cristiana, definendone contemporaneamente le modalità e le conseguenze. Tenteremo di farlo mediante tre passi successivi:
    - anzitutto mettendo bene in luce il fenomeno dell'acculturazione dell'esperienza di fede delle comunità cristiane, acculturazione che obbliga i cristiani di tutti i tempi ad occuparsi delle realtà profane, tra cui l'educazione e la scuola;
    - in secondo luogo offrendo un'interpretazione dell'affermazione sopra citata, cioè che la salvezza cristiana, considerata nella sua integralità, comporta sempre processi di promozione/liberazione umana anche nel campo dell'educazione;
    - infine mettendo in luce l'esigenza, insita nelle finalità specifiche della missione evangelizzatrice/catechetica delle comunità cristiane, di un autentico impegno educativo.
    Per i credenti il cristianesimo è, nella sua essenza più profonda, l'esperienza di fede della comunità cristiana nel Cristo risorto .
    Il cristianesimo non apparve nei suoi inizi come una dottrina o una teologia. Si presentò al mondo antico, sia giudaico che ellenistico, come una predicazione, un «kerygma», cioè come un annuncio: l'annuncio gioioso e impegnativo che Gesù di Nazareth, crocifisso sotto il procuratore romano Ponzio Pilato intorno all'anno 30 della nostra era, è veramente risorto; pertanto che è il Messia (Cristo), predetto dai profeti e atteso da Israele, è il Figlio di Dio, inviato dal Padre per la salvezza non solo di Israele ma di tutta l'umanità. Il cristianesimo nasce come una fede nell'evento Cristo, che diviene annuncio gioioso e invito alla fede degli ascoltatori.

    Acculturazione della fede e impatto coi problemi educativi e scolastici

    L'evento Cristo è per il credente l'espressione suprema dell'intervento salvifico di Dio-Padre nella storia umana, ma anche contemporaneamente del suo invito-appello, rivolto all'umanità tutta, ad entrare in questo processo di salvezza e di liberazione integrale. Esso è mediato dalla Chiesa-istituzione come segno sacramentale di una misteriosa e ineffabile unione di tutti gli uomini tra loro e con il Padre per mezzo del Cristo nello Spirito, all'interno di un universo in cammino con essi verso il compimento totale (parusìa).
    Condizione fondamentale per entrare in questo processo di salvezza e liberazione umanizzante è la conversione o «metànoia», la quale non è altro che la risposta di fede all'appello-invito di Dio in Cristo, mediato dalla predicazione della Chiesa. Essa si presenta generalmente come un'opzione fondamentale, che sconvolge l'esistenza, investendo tutte le dimensioni della vita in modo radicale e tendenzialmente irrevocabile.
    Il cristianesimo, fin dalle sue origini e lungo tutta la sua storia, si presenta sempre come esperienza di fede che comporta la conversione. Il lieto annuncio della presenza del Regno, fatto dal Gesù storico, è strettamente connesso con l'appello a convertirsi, credendo, e a cambiar vita (Mc 1, 14 ss). Anche la prima predicazione cristiana, quella degli Apostoli e dei primi discepoli di Gesù, se è vero che ha come suo fondamento e sua motivazione l'esperienza sconvolgente dell'incontro col Risorto, è pure vero che sfocia sempre in un invito-appello alla conversione. (At 1, 38 ss; 3,26, ecc.).
    Ora, l'esperienza di fede delle comunità cristiane si è sempre attuata sia diacronicamente che sincronicamente all'interno di culture molteplici e diverse (acculturazione), suscitando non pochi problemi di conciliazione tra il dovere di restare fedeli alla Parola di Dio da una parte e la volontà di non disattendere le autentiche attese ed aspirazioni dell'uomo dall'altra. Tra questi problemi, che le comunità cristiane sono chiamate a risolvere restando fedeli a Dio e all'uomo, hanno una notevole importanza quelli riguardanti l'educazione e la scuola.
    Infatti l'esperienza di fede, frutto di un'autentica conversione, abbraccia anzitutto la totalità della vita del cristiano e ne investe tutte le dimensioni, sia quelle sacrali che quelle profane. Inoltre, pur essendo vero che l'esperienza di fede e la conversione sono un fenomeno eminentemente personale, tuttavia possiedono anche una dimensione sociale e culturale, perché avvengono attraverso la mediazione della comunità ecclesiale, che vive la sua esperienza di fede in una determinata cultura.
    L'impatto della fede con la cultura avviene evidentemente anche nel settore educativo e della scuola, suscitando all'interno della comunità cristiana, soprattutto oggi, molti problemi, i quali provocano necessariamente non solo il teologo di professione, ma anche il semplice cristiano che intenda vivere responsabilmente la propria fede anche in questi settori. Tali provocazioni vanno interpretate come «segni dei tempi» e, come tali, impongono una sempre rinnovata comprensione ed interpretazione della Parola di Dio sull'educazione e sulla scuola, allo scopo di trovare soluzioni che salvino la duplice fedeltà a Dio e all'uomo .

    Salvezza cristiana, promozione umana e processi educativi

    Il problema della salvezza cristiana è oggi centrale nella teologia: la presenza dei differenti umanesimi atei tutti con messaggi di salvezza per l'uomo contemporaneo costituisce una sfida alla fede cristiana nella salvezza portata da Gesù.
    - Mette anzitutto in crisi certe concezioni puramente privatistiche (salvezza del singolo, sganciato dalla comunità) e spiritualiste (solo salvezza dell'anima) o puramente escatologiche (solo la salvezza eterna) del passato, che ebbero conseguenze deleterie per l'attività pastorale della Chiesa nel periodo pre-conciliare, in quanto la vedevano come estranea (se non ostile) ai processi di liberazione e promozione umana dei «poveri» e degli emarginati.
    - La reazione a queste concezioni riduttive della salvezza cristiana ha provocato negli anni Settanta, soprattutto nell'ambito del Terzo Mondo e in particolare in America Latina, un ripensamento teologico e una prassi rivoluzionaria a favore degli oppressi.
    Alcune di queste correnti o di questi movimenti di liberazione identificarono la salvezza cristiana con la liberazione umana, soprattutto politica ed economica, confusero l'evento salvifico con il processo storico di liberazione e l'ermeneutica della fede con quella marxista della storia. Si ebbe l'impressione che la salvezza cristiana si dissolvesse nella liberazione umana, perdendo tutto il suo contenuto misterico. Si consumava in questo modo un nuovo tipo di riduzionismo di tipo puramente orizzontalista: la salvezza cristiana veniva interamente secolarizzata e la fede diventava ideologia a servizio di un movimento politico.
    - In opposizione a queste due forme di riduzionismo della salvezza cristiana, anche se di segno diverso, la Chiesa, prima a Medellin e poi a Puebla, e buona parte della «teologia della liberazione» propongono una concezione integrale della salvezza cristiana, che ne salvi da una parte il contenuto e il significato misterico (Dio salva l'uomo per mezzo di Cristo nello Spirito Santo attraverso la mediazione della Chiesa come sacramento di salvezza) e dall'altra l'indissolubile connessione con la liberazione e promozione umana.
    Potremmo sintetizzare questa concezione integrale della salvezza cristiana in alcune affermazioni fondamentali.

    Una concezione di salvezza integrale
    La salvezza cristiana è anzitutto comunitaria: è salvezza di tutta l'umanità in Cristo.
    Tutta la famiglia umana è chiamata a salvarsi in Cristo. Israele prima e ora la Chiesa non sono altro che «sacramento» (la seconda però in modo più pieno) di questa salvezza universale e della presenza dello Spirito salvifico di Cristo nella storia umana. Solo all'interno di questa salvezza comunitaria si attua la salvezza dei singoli.
    La salvezza cristiana è in secondo luogo salvezza di tutto l'uomo in Cristo.
    Non solo salvezza dell'anima ma anche del corpo; è salvezza di tutti i valori e di tutte le dimensioni autenticamente umane, anche di quelle temporali: quindi delle realtà sociali, economiche, politiche, culturali, educative e scolastiche, ecc., non solo per la bontà originaria di tutto il mondo creaturale, ma anche perché tutte le attività umane e le istituzioni temporali abbisognano, a causa del peccato del mondo, della salvezza redentrice di Cristo.
    In terzo luogo la salvezza cristiana si attua già fin d'ora, quaggiù sulla terra, anche se solo germinalmente e nel mistero (perché è ancora presente il peccato, il dolore e la morte); è però tutta tesa, mediante la speranza, verso un punto di arrivo e una meta finale: il mondo definitivo, che il Cristo ha già inaugurato con la sua resurrezione e che attuerà pienamente con la sua seconda venuta.
    Finalmente la salvezza cristiana è contemporaneamente dono e impegno.
    È anzitutto dono (= «grazia») del Padre per mezzo di Cristo nello Spirito; è dono però che attende risposta, impegno che si traduce nella fede, nella speranza e nella carità-agape. Quest'ultima investe tutto il mondo, amato da Dio, perché sua creazione in Cristo; in particolare l'umanità, e nell'umanità i poveri, gli esclusi, gli emarginati, gli oppressi.
    Compito fondamentale della comunità cristiana verso tutti i fratelli dell'umanità è pertanto quello di animare quel plesso di rapporti umani che costituiscono le varie comunità, con un amore che si dona disinteressatamente, che non strumentalizza nessuno, che reagisce contro tutte le oppressioni, che paga di persona per un'autentica promozione e liberazione di tutti.
    Quest'amore oblativo, animato dalla grazia dello Spirito, non può disattendere o ignorare il complesso mondo dell'educazione e della scuola. Deve necessariamente impegnarsi per un'educazione e un tipo di scuola che promuovano processi critici di autentica maturazione umana, e non si riducano a puri strumenti o agenzie «riproduttrici», a servizio di determinati sistemi socioculturali, puramente terrenistici.

    Missione evangelizzatrice delle comunità cristiane e impegno educativo

    - L'evangelizzazione, intesa in senso largo e globale, sulla scia della «Evangelii Nuntiandi», è qualcosa di complesso e comprende anche la catechesi. Essa è essenzialmente una testimonianza-annuncio dell'adozione salvifica di Dio nel Cristo per mezzo dello Spirito e del messaggio in essa contenuto (cioè della «rivelazione» intesa come evento e parola); ma è pure contemporaneamente un'interpretazione della realtà e della vita alla luce di tale evento e parola.
    Essa costituisce la missione fondamentale della comunità cristiana; precede per importanza e valore l'azione sacramentalizzatrice e liturgica della comunità.
    - L'evangelizzazione-catechesi ha come finalità specifica quella di suscitare e portare a compimento nell'uomo la conversione, fondamento e centro di ogni vita cristiana.
    Infatti senza conversione non esiste né vita cristiana né comunità cristiana vere e proprie, anche al di dentro di un solido apparato ecclesiastico con pratiche liturgico-sacramentali.
    Il processo di conversione, che l'evangelizzazione così intesa ha lo scopo di suscitare e far maturare, consta sostanzialmente di fede, speranza e carità: fede, cioè opzione libera e responsabile che investe tutta la vita; speranza, intesa come attesa del «Regno», quindi con dimensione fondamentalmente ma non esclusivamente escatologica; carità-agape, radicale amore oblativo verso Dio, che si manifesta nel Cristo e opera per mezzo dello Spirito, e verso gli uomini tutti, chiamati a formare il popolo santo dei salvati in Cristo .
    - La meta del processo di conversione è espressa dal linguaggio della tradizione cristiana con una pluralità di immagini, desunte principalmente dalla Bibbia: formare Cristo nei credenti portare i cristiani alla perfezione in Cristo, alla piena maturazione dell'uomo nuova in Cristo; seguire e imitare il Cristo; tendere alla santità.
    - Il ripensamento della salvezza cristiana nella sua integralità, di una salvezza cioè che implica necessariamente anche l'impegno per la liberazione e la promozione umana, ha portato al superamento di una concezione puramente intimistica e spirituale del processo di conversione cristiana e della sua meta. Per conseguenza le comunità cristiane, soprattutto nei paesi dell'America Latina ma anche in Europa, si sono rese conto che l'evangelizzazione-catechesi, proprio in quanto testimonianza-annuncio dell'azione salvifica di Dio e del suo messaggio, deve essere testimonianza-annuncio dell'integralità di questa salvezza, e pertanto nell'attuazione della sua finalità specifica (= suscitare e far maturare nell'uomo il processo di conversione) deve necessariamente promuovere processi di maturazione dell'uomo.
    - La comunità cristiana si è resa conto che non può disgiungere il suo impegno di evangelizzazione da quello di promuovere un'educazione e una scuola capaci di autentica maturazione umana per tutti gli uomini, soprattutto per i più poveri e gli emarginati.
    Infatti l'annuncio-testimonianza dell'azione salvifica di Dio in Cristo e del messaggio in essa contenuto, come pure l'interpretazione della realtà e della vita alla luce di tale evento e messaggio, è rivolto a uomini (giovani e adulti) immersi di fatto in processi di socializzazione e inculturazione, al di dentro dei quali si dovrebbe mettere in opera un processo educativo critico, liberante e umanizzante, tutto teso ad una maturazione della loro libertà, del loro senso di responsabilità e di tutte quelle doti umane che rendono possibile una crescita e una maturazione della loro fede, speranza e carità, cioè della loro crescita cristiana. Le scelte di fede dei cristiani, come singoli e come comunità, diverranno sempre più libere e responsabili, sempre più mature, quanto più umanamente maturi saranno i cristiani che le pongono e le comunità in cui essi vivono la loro esperienza di fede.
    - Ma per fare tutto questo le comunità cristiane devono necessariamente occuparsi dell'educazione e della scuola. Lo devono fare però in un mondo ampiamente secolarizzato e ideologicamente pluralistico e conflittuale, non più in un ambiente di «cristianità». Questo stato di cose impone alle chiese particolari e alla Chiesa universale opzioni nuove e coraggiose proprio nel campo dell'educazione e della scuola.
    Senza voler affrontare a fondo tutto il problema, diciamo soltanto che la Chiesa deve preoccuparsi di formare soprattutto persone e comunità cristiane, adulte e mature; i singoli cristiani, ciascuno secondo le proprie competenze e i propri carismi, devono impegnarsi nelle strutture e istituzioni educative e scolastiche esistenti oppure progettarne delle «nuove», non tanto per servirsene come strumento di evangelizzazione-catechesi, ma invece per renderle, sotto l'ispirazione della loro fede, agenzie di autentica educazione critica, umanizzatrice e liberatrice nell'orizzonte della fede cristiana.

    VERSO NUOVI PROBLEMI

    A questo punto è necessario richiamare le conclusioni a cui siamo giunti nelle riflessioni precedenti sui rapporti tra la salvezza cristiana e la promozione/liberazione umana.
    Sono fondamentalmente tre.
    - Al centro dell'esperienza di fede delle comunità cristiane va collocata la conversione, intesa come opzione fondamentale per Cristo e come processo continuo di crescita in Cristo, mediati l'una e l'altro dall'azione pastorale di tutta la comunità cristiana.
    - L'impatto della fede cristiana con la cultura dell'ambiente (= acculturazione dell'esperienza di fede delle comunità cristiane) comporta necessariamente l'emergere di problemi teorici e pratici per l'attuazione del processo di conversione, soprattutto nell'ambito delle realtà profane, quali ad esempio l'educazione e la scuola, problemi che devono essere risolti restando fedeli sia alla Parola di Dio che alle autentiche esigenze dell'uomo.
    - La concezione integrale della salvezza cristiana e l'attuazione delle finalità specifiche del processo di conversione, mediato dall'attività pastorale della comunità cristiana, in modo particolare dell'evangelizzazione/catechesi, esigono un'azione educativa, volta a promuovere una crescita e maturazione autenticamente umana.
    L'ultima conclusione merita di essere approfondita.
    Lo faremo studiando la complessità del processo di conversione, considerata soprattutto nel suo aspetto di risposta dell'uomo all'azione salvifica di Dio, e la duplice meta (terrena ed escatologica) di questo stesso processo in rapporto alla maturazione cristiana.
    Questo ci permetterà di definire meglio il rapporto tra la maturazione cristiana e la maturazione umana nel contesto del processo di conversione cristiana.

    2. Conversione, maturazione cristiana e maturazione umana

    La conversione, nucleo fondamentale dell'esperienza di fede della comunità cristiana, si presenta come una realtà complessa e in continuo divenire da molteplici punti di vista:
    - dal punto di vista delle sue componenti essenziali: è contemporaneamente dono di Dio e risposta libera dell'uomo;
    - da quello delle sue dimensioni: la conversione possiede una dimensione personale, ma anche una dimensione ecclesiale e culturale;
    - dal punto di vista della sua struttura psichica in quanto atto personale: è una scelta libera e responsabile, possiede contenuti conoscitivi e si esprime mediante formulazioni linguistiche;
    - e infine dal punto di vista dei suoi ambiti: essa abbraccia sia l'ambito propriamente sacrale/culturale che quello profano/temporale .
    Esaminiamoli separatamente.

    UN PROCESSO DALLE MOLTEPLICI COMPONENTI

    La complessità del fenomeno della conversione dipende anzitutto da un aspetto, che non si può in alcun modo trascurare, pena la vanificazione dello specifico della conversione cristiana: intendiamo parlare del «dono di Dio» o della «grazia della fede». La conversione è sempre contemporaneamente dono di Dio e risposta dell'uomo.

    La conversione come dono di Dio e impegno libero dell'uomo

    Tutto il Nuovo Testamento afferma in modo inequivocabile che all'inizio della conversione sta l'iniziativa di Dio. La conversione cristiana, prima di essere opera dell'uomo, è opera di Dio (in senso ontologico, non temporale). Credere e convertirsi è «rinascere» in Cristo per opera dello Spirito (Giov 1,12 ss; 3,5 ss).
    A fondamento del cristianesimo, inteso come esperienza di fede della Chiesa, sta l'iniziativa divina, l'amore del Padre che salva per mezzo di Cristo nello Spirito. Il kerygma e la testimonianza ecclesiale hanno solo la funzione di mediare questo dono della salvezza. L'uomo si converte quando risponde positivamente al Padre che lo attira verso il Figlio e rende possibile l'incontro con lui (Giov 6,44). La conversione è «grazia» che si traduce in «risposta-impegno». Perciò nell'esperienza di fede del cristiano che si converte si coniugano in profonda unità esistenziale il dono di Dio, la grazia e la risposta dell'uomo, che è fede, speranza e amore.
    E questa simbiosi del dono di Dio e della risposta dell'uomo si prolunga per tutta la vita del cristiano, proprio perché questa, nella sua realtà più profonda, non è altro che un continuo processo di conversione e crescita in Cristo.
    Non c'è dubbio che la conversione sia un fenomeno eminentemente personale; tuttavia avviene generalmente attraverso la mediazione della comunità ecclesiale, che vive la sua esperienza di fede all'interno di una cultura. Pertanto non è lecito pensare la conversione e, per conseguenza, l'esperienza di fede del cristiano, come un fatto isolato dal contesto socioculturale. Essa rientra sempre anche se non vi si riduce nella categoria delle esperienze religiose comunitarie ed è sempre connotata dai caratteri propri di una determinata cultura.

    Ecclesialità e acculturazione dell'esperienza personale di fede

    Già il messaggio cristiano, che contiene la Parola di Dio, per il fatto di essersi incarnato nella pluralità dei linguaggi della Tradizione vivente della Chiesa ed essersi in un certo modo cristallizzato nella Bibbia, è necessariamente legato ad una cultura. Inoltre le oggettivazioni materiali (per esempio gli edifici e gli arredi sacri) e istituzionali (per esempio il papato, l'episcopato, le diocesi, le parrocchie, la curia romana, il Codice di diritto canonico, ecc.), attraverso le quali si esprime l'esperienza di fede della comunità cristiana; la prassi con cui la Chiesa intende tradurre gli imperativi del messaggio evangelico; i moduli linguistici mediante i quali le comunità cristiane esprimono e interpretano la Parola di Dio (predicazione, catechesi, teologia); tutto questo è sempre incarnato in una cultura o secondo l'espressione oggi corrente è «acculturato» o «inculturato». La persona stessa che si converte, interpreta ed esprime sia a livello linguistico che comportamentale la sua opzione fondamentale per Cristo attraverso la mediazione della cultura in cui vive.
    Questa mediazione culturale, che investe la totalità dell'esperienza di fede del singolo cristiano e della comunità ecclesiale e che connota profondamente il processo di conversione, è limite e ricchezza insieme.
    È limite perché rende sempre costituzionalmente imperfetta la risposta di fede e la realizzazione concreta della salvezza cristiana sia a livello personale che a livello comunitario-ecclesiale; però è insieme anche ricchezza, perché è effettiva incarnazione del dono salvifico del Padre, mediato dal Cristo e comunicato nello Spirito Santo, in tutte le persone singole e in tutte le culture in cui si realizza.

    Struttura della conversione: gli aspetti esistenziale e noetico della fede

    La «fede», intesa secondo la sua accezione biblica, è l'equivalente della «conversione» e presenta sempre due facce o aspetti, distinti ma nello stesso tempo profondamente connessi e inscindibilmente uniti nella realtà concreta della persona del credente: l'aspetto esistenziale e quello noetico.
    Dal punto di vista esistenziale essa è radicale accettazione di Dio-Padre che salva per mezzo del Cristo nello Spirito; è un «fidarsi» e «affidarsi» totalmente al Padre che si manifesta nel Figlio, è opzione fondamentale che mette in questione tutta la vita dell'uomo; è «speranza», attesa della vita eterna, cioè del mondo definitivo, promesso dal Cristo e realizzato già nella sua persona mediante la risurrezione, posseduto già germinalmente nel mistero dai credenti; è amore, «agape», abbandono, obbedienza al Padre, virtuale dedizione ai fratelli, cioè a tutti gli uomini, perché possano mettersi sulla via della salvezza e della liberazione integrale. Così intesa, la fede ingloba virtualmente tutta la vita del cristiano nella sua integralità; inoltre è realtà strettamente personale e incomunicabile. Può trasparire solo attraverso la «testimonianza» della vita. Da questo punto di vista, la sua «verità» è misurata dalla coerenza della prassi.
    Dal punto di vista noetico o conoscitivo invece la fede si identifica con la rappresentazione intellettiva e la formulazione linguistica del messaggio salvifico di Dio, rivelatoci compiutamente, anche se misteriosamente, in Cristo, contenuto in modo privilegiato nella Bibbia, trasmesso e vissuto nell'esperienza di fede della comunità ecclesiale lungo i secoli; messaggio a cui l'uomo aderisce incondizionatamente, facendone la suprema norma del suo pensare e del suo agire.
    Considerata sotto questa angolazione, la fede diviene nel credente «mentalità nuova»; modo nuovo di vedere le cose, la vita, l'uomo, l'universo; è dare nuovo senso a tutto; è «verità» che, informando la coscienza, salva, libera e unisce. Da questo punto di vista, pur essendo sempre una realtà decisamente personale, tuttavia in quanto contenuto cognitivo e formulazione linguistica del messaggio cristiano («simbolo di fede»), è realtà «oggettivabile» (le «verità di fede», le «formule di fede», i «dogmi») e per conseguenza comunicabile attraverso la predicazione, la catechesi, la liturgia. Non solo, ma può diventare anche oggetto di contemplazione e di riflessione critica e sistematica (la «teologia»).

    Gli ambiti sacrale e profano a cui si estende la conversione

    La conversione, abbracciando virtualmente tutta la vita del cristiano, ne investe tutti gli ambiti, sia quello sacrale/culturale che quello profano/temporale.
    Essa infatti diviene, in concreto, ascolto della Parola di Dio; meditazione e preghiera personale sul mistero della salvezza; vita liturgico-sacramentale; slancio ascetico e contemplazione mistica; ricerca teologica; annuncio della Parola di Dio; amore del prossimo; speranza di vita eterna, ecc. In una parola: anima tutto il mondo della religiosità personale e comunitaria della Chiesa e si traduce in gesti cultuali, sinceri e vissuti.
    Però è anche vita quotidiana nel mondo: vita familiare, esercizio di una professione, scelta politica, azione educativa, pesante lavoro manuale, ricerca scientifica, arte, letteratura, ecc. Tutto questo, però, vissuto nell'orizzonte significativo della Parola di Dio, posseduta nella fede (intesa nei suoi due aspetti: esistenziale e noetico), alla luce della speranza escatologica, sotto l'impulso della carità-agape.
    Si badi bene tuttavia: vivere il «profano» nell'orizzonte della fede non significa affatto «sacralizzarlo» o, peggio ancora, «clericalizzarlo». Tutte le realtà e le attività profane restano tali, conservano la loro natura di realtà e attività «mondane» con le loro finalità specifiche proprie. Il viverle nell'orizzonte della fede, della speranza e della carità-agape non vanifica la loro consistenza creaturale; al contrario contribuisce ad una loro maggiore umanizzazione, mentre le carica di nuovi significati, rendendole segno e annuncio di quella salvezza integrale e inaudita, che si realizzerà nel mondo definitivo.

    LA CONVERSIONE CRISTIANA COME RISPOSTA DELL'UOMO

    Abbiamo velocemente accennato ai tratti caratteristici dell'esperienza di fede del cristiano, considerata nel suo nucleo fondamentale di «processo di conversione», alla cui origine sta il «dono di Dio», cioè la grazia, l'azione santificatrice dello Spirito Santo, per cui l'uomo diviene una «nuova creatura» in Cristo.
    A questo punto, però, va fatta un'osservazione.
    La conversione cristiana, considerata come risposta umana all'amore salvifico di Dio in Cristo, può essere studiata da due punti di vista diversi: o nella sua essenza, indipendentemente dalle contingenze concrete, oppure nella sua concretezza dinamica/esistenziale.
    Generalmente in teologia si privilegia il primo punto di vista, trascurando il secondo.
    E allora, dal punto di vista della sua essenza, la conversione si rivela come celebrazione della libertà, come affermazione del senso di responsabilità e dell'autonomia della persona, come frutto dell'amore alla verità e alla vita.
    Considerata invece nella sua realtà esistenziale e concreta, appare come un continuo processo di «trasformazione» su tutti i piani della vita umana: dal piano della decisione a quelli della comprensione conoscitiva, della formulazione linguistica, degli atteggiamenti, delle disposizioni, dei comportamenti, ecc.
    L'approfondimento del secondo punto di vista, quello dinamico/esistenziale, è fondamentale per la nostra ricerca, perché ci permette di scoprire lo stretto rapporto che intercorre tra conversione ed educazione.

    Celebrazione della libertà e dell'amore alla verità e alla vita

    La conversione, nella sua qualità di risposta umana al dono di Dio, è costituita strutturalmente da un'opzione fondamentale, globale e totalizzante, cioè determinante e inclusiva di tutte le scelte ulteriori, e tendenzialmente definitiva. Sotto quest'aspetto è celebrazione massima della libertà della persona.
    Essa si radica su quella spinta interiore, che si trova all'origine stessa di tutto il dinamismo della persona e che non è passibile di alternative: cioè la volontà di vivere e di vivere in pienezza, l'aspirazione irrinunciabile alla felicità. al di dentro di questo dinamismo fondamentale della persona che si innesta il dono di Dio: la salvezza in Cristo, il dono dello Spirito, la grazia. La conversione costituisce appunto la determinazione di questo orientamento fondamentale della persona di vivere in pienezza; determinazione che si realizza attraverso l'opzione globale, totalizzante e tendenzialmente definitiva per Dio che si rivela nel Cristo, cioè mediante l'accettazione incondizionata del suo piano di salvezza, di liberazione e di gioia, decidendo simultaneamente di assumere gli impegni.
    Così intesa la conversione è una forza che tende a permeare l'intera esistenza del cristiano, dando un senso a tutte le sue componenti; è la piena celebrazione della libertà umana, proprio perché è l'atto con cui l'uomo decide del suo destino. Nella conversione l'uomo manifesta la serietà con cui affronta la vita, il suo senso di responsabilità, afferma l'autonomia della sua persona di fronte alle pressioni di tutte le forze egemoni dell'ambiente, testimonia l'amore alla verità fino a dare la vita per essa.

    La conversione è soggetta alle vicissitudini della libertà

    Esiste però un altro aspetto della conversione in rapporto alla libertà umana, che non può essere disatteso. Essa, in quanto decisione libera e responsabile della persona, è soggetta a tutte le vicissitudini della libertà umana, dipende cioè dalla capacità effettiva di autodecisione responsabile, di opzione fondamentale. Ora la libertà dell'uomo varia secondo l'età (quella di un bambino non è quella di un adulto); è profondamente condizionata dalle situazioni sia psicologiche che socioculturali dei soggetti; in una parola è un dono germinale, una potenzialità della persona, che può crescere e maturare se coltivato attraverso l'educazione, ma può anche deteriorarsi se trascurato o soffocato dal prevalere dell'istintualità. Libertà e senso di responsabilità sono profondamente condizionate nel loro sviluppo e nella loro maturazione da un'infinità di fattori, sia all'interno stesso della persona sia nell'ambito del contesto sociale, economico, politico, culturale in cui essa vive.
    Perciò, pur restando vero che un'autentica conversione è una forza che tende a permeare tutta l'esistenza del cristiano ed è vera celebrazione della libertà umana, essa proprio in quanto opzione fondamentale non può essere uguale in tutte le persone, cioè non può essere allo stesso livello di «perfezione», di «pienezza», di maturità: proprio perché la libertà che la costituisce in quanto risposta umana al dono di Dio è diversa nell'uomo adulto e maturo che si converte da quella che può avere un adolescente o un atipico (un nevrotico, un malato psichico) o una persona costretta a vivere in condizioni sub-umane.
    D'altra parte, siccome il dono salvifico di Dio, cioè la grazia, si inserisce nell'uomo in modo pienamente rispettoso delle sue possibilità di libertà e di responsabilità (secondo la legge della «paedagogia Dei»), nella conversione Dio chiede alla persona solo e tutto ciò che essa liberamente e responsabilmente può dare (cf parabola dei talenti: Mt 25, 14-30; Lc 19, 12-27).

    La conversione è soggetta ai processi di crescita della persona e della società

    Tutto questo ci porta a parlare della conversione cristiana come di un processo continuo di cambiamento e di crescita o, meglio, di una molteplicità di tali processi, diversi per le singole persone e comunità cristiane.
    I cristiani singoli, le comunità locali e la Chiesa tutta, secondo questa prospettiva, se vogliono essere fedeli alla loro vocazione, dovrebbero essere immersi in continui processi di conversione; dovrebbero vivere in tensione verso una continua crescita in Cristo, nella prospettiva di un ideale di perfezione che li trascenderà sempre, perché essenzialmente escatologico (cf Ef 4,11-16).
    Però, proprio perché la libertà umana e il senso di responsabilità variano secondo l'età e le condizioni della persona, possono crescere e maturare, ma anche diminuire e deteriorarsi se non sono «educate», i processi di conversione possono, come il buon grano della parabola evangelica (Mt 13,39 e 18-23), venir soffocati dal prevalere del peccato. Essi sono profondamente condizionati nel loro sviluppo e nella loro maturazione dalla crescita o dall'involuzione della persona umana e della comunità.
    Tutto questo va approfondito, perché è proprio in questo contesto che il discorso sulla maturità umana assume il suo autentico significato.
    Inizialmente il processo di conversione è solo allo stato germinale e con modalità diverse secondo le diverse persone e le diverse comunità che lo intraprendono. Tutte le sue componenti, proprio perché dipendono dalle vicissitudini della libertà umana, dagli inevitabili condizionamenti inerenti all'incarnarsi della fede nel contesto delle persone e delle culture, esistono inizialmente solo allo stato di seme, un seme che deve germinare e crescere fino ad arrivare alla piena maturazione, ma che può anche morire o deteriorarsi. La germinazione e la crescita dei processi di conversione, nonostante l'universalità del «dono di Dio», a causa del «peccato» dell'uomo, possono anche non realizzarsi. Se si realizzano, è perché l'uomo, corrispondendo al «dono» o «grazia», cresce come uomo, matura come persona e comunità.
    E così sul piano della libertà, i cristiani (come singoli e come comunità) devono passare dall'opzione globale degli inizi della conversione alle successive scelte coerenti in tutti gli ambiti, sacrali e profani, della vita.
    Sul piano della comprensione intellettuale e vitale dei contenuti conoscitivi dell'esperienza di fede e su quello della loro formulazione linguistica, si deve passare dalle formule iniziali di tipo piuttosto globale e spesso anche imperfetto a conoscenze e formulazioni più adeguate, conformi alla crescita psichica e culturale.
    In rapporto alla sfera affettiva e a quella dei comportamenti, occorre passare dalla conflittualità tra «l'uomo vecchio» e «l'uomo nuovo» (quest'ultimo ancora allo stato germinale) ad uno stato di pacificazione relativa per la crescita dell'uomo nuovo; da un comportamento cristiano di tipo saltuario e frammentario, ad una testimonianza costante ed organica di vita cristiana.
    Con queste riflessioni si apre in modo naturale il discorso sulla maturazione cristiana all'interno dei processi di conversione.

    LA MATURITÀ CRISTIANA COME META DELLA CONVERSIONE

    Esiste tutta una serie di motivi o temi biblici (continuamente ripresi, sviluppati e approfonditi secondo direzioni spesso notevolmente differenti dalla tradizione cristiana lungo i secoli), i quali esprimono la nuova condizione ontologica del convertito e ne definiscono le mete e gli impegni.
    Tali sono il tema ontologico/etico dell'uomo come immagine di Dio e del Cristo; quello etico della sequela e dell'imitazione di Cristo, unito agli altri della crescita in Cristo fino al raggiungimento dell'uomo perfetto o della piena maturità in Cristo; e infine quello della santità nei suoi due aspetti, ontologico/culturale ed etico.
    La meta della sequela e dell'imitazione di Cristo o della crescita in Cristo (espressa mediante il motivo, spesso ricorrente, della perfezione in Cristo o della santità in senso etico oppure ricorrendo al sistema ontologico/etico dell'immagine di Cristo) è sempre vista dalla Bibbia in una duplice prospettiva: escatologica e terrena. Oggi, soprattutto quando se ne parla in prospettiva terrena, la si qualifica spesso come «maturità cristiana», identificandola con la santità. Tutto questo a nostro avviso esige di essere approfondito e chiarificato.

    La duplice meta, escatologica e terrena, della conversione

    Se è vero che la meta ultima della conversione cristiana è escatologica, è anche vero che nel Nuovo Testamento si parla anche di una «meta terrena», non definitiva, alla quale sono chiamati i cristiani. Tale meta non è altro che un continuo crescere, perfezionarsi, maturare, santificarsi in Cristo, indefinitamente, mediante continui processi di conversione. In terra è possibile solo una continua «maturazione cristiana» o, se si vuole, una «maturità cristiana» solo relativa. Tutto questo emerge chiaramente dall'esame di quei motivi biblici di cui abbiamo parlato appena sopra.

    Il motivo dell'«immagine» di Dio e del Cristo
    Il cristiano è «imago Dei et Christi» in senso ontologico, però allo stato germinale, ed è chiamato a sviluppare e a portare a compimento quest'immagine. La perfezione definitiva, però, è solo escatologica.
    L'uomo e la donna, creati ad «immagine di Dio» (Gen 1,26 ss), si sono perduti, cercando la determinazione del bene e del male al di fuori della volontà di Dio (Gen 2,17). Schiavi del peccato e delle sue cupidigie (Rom 5,12), sono diventati quello che Paolo chiama in modo significativo «il vecchio uomo» che deve morire (Rom 6,6; Ef 4,22), per far posto a «l'uomo nuovo», che è ricreato nel Cristo (Ef 2,15), immagine perfetta di Dio (Col 1,15 ss; Rom 8,29; Eb 1,3; Giov 1,3). Questo uomo nuovo, creato nella giustizia e santità vera (Ef 4,24), è uno e unico, perché in Cristo scompaiono tutte le divisioni dell'umanità (Col 3,10 ss; Gal 3,26 ss); non solo, ma ritrova in Cristo la rettitudine primitiva e giunge alla vera conoscenza morale (Col 1,9; Eb 5,14). Cristo, imprimendo all'uomo l'immagine di Dio e ristabilendolo nella rettitudine del giudizio morale, gli restituisce pure il diritto alla gloria che il peccato gli aveva fatto perdere (Rom 3,23).
    L'indicativo di grazia (l'uomo che si converte diviene in Cristo immagine di Dio) si fa imperativo etico (l'uomo deve instaurare in sé un processo di assimilazione a Cristo, immagine perfetta di Dio, per portare a compimento l'immagine ricevuta allo stato germinale) e manifesta una chiara tensione escatologica: con la risurrezione dei corpi, nella seconda creazione, si avrà la realizzazione piena dell'imago Dei nell'uomo, perfettamente assimilato a Cristo.
    Il processo di conversione, visto in questa prospettiva, diviene un processo di assimilazione dell'immagine perfetta di Dio che è Cristo, processo il cui termine è principalmente escatologico. Il cristiano è perfetta immagine di Cristo, raggiunge la sua pienezza solo nel mondo definitivo della resurrezione. E non si tratta di una conquista, quanto piuttosto di un dono. Qui in terra si può solo parlare di crescita continua, di processi di assimilazione al Cristo sempre imperfetti.
    Anche l'educazione cristiana è stata vista lungo la storia in questa prospettiva, cioè come un aiuto, offerto dai cristiani adulti in Cristo, alle nuove generazioni cristiane, per portare a compimento in esse l'immagine di Cristo, ricevuta nel battesimo.

    Il motivo dell'«uomo perfetto in Cristo»
    Il credente singolo, come pure tutta la comunità cristiana, sono chiamati a «crescere in Cristo» fino a raggiungere «l'uomo perfetto», «la piena maturità di Cristo» (Ef 4, 7-16). Questa piena maturità della persona e della comunità, però, è solo escatologica.
    La vita cristiana è interamente comandata da una legge di progresso, sia che la si veda come una avanzata, sia che la si veda come un acquisto progressivo o un arricchimento; oppure come una crescita alla maniera del granello di senape che si fa grande e diviene albero; o, meglio ancora, come lo sviluppo del bambino che diventa adulto e acquista maturità.
    Tutto il Nuovo Testamento è permeato da quest'idea di crescita, di progresso verso la perfezione. Però il teologo del progetto di crescita cristiana è decisamente S. Paolo. straordinaria la ricchezza di linguaggio con cui Paolo esprime questo processo di crescita cristiana fino al raggiungimento dell'uomo perfetto.
    S. Paolo parla di due categorie di cristiani: la categoria dei «bambini» o «semplici» (1 Cor 3,1), dei «carnali», degli «psichici» (1 Cor 2,14; 3,1.3) e la categoria degli «spirituali», dei «perfetti» (1 Cor 2,13 ss; 3,1).
    Dal modo con cui ne parla, emerge che per Paolo lo scopo dell'esistenza cristiana (e quindi dei processi di conversione) è di diventare credenti adulti.
    E ne indica anche i contrassegni.
    Il primo è di riconoscere come vera maturità quella propria della croce. Paolo mette a nudo la presunzione del Corinzi di pensarsi adulti in forza della loro sapienza (cf 1 Cor 1,29 ss; 3,21; 4,7), mentre per l'Apostolo è maturo colui che sa farsi ammaestrare dalla stoltezza della Croce (1 Cor 1,23; 2,1-2), che accetta di diventare «semplice», «bambino», nel senso di Gesù, e si lascia permeare dallo Spirito (cf 1 Cor 2,6-16).
    Un altro segno del credente adulto si manifesta, a livello di comportamento, in quella «maturità morale» che possiede colui che è capace di «agape» (1 Cor 13, 8-12) e di discernimento per l'edificazione della comunità (1 Cor 14,20).
    Ultimo contrassegno del cristiano adulto è infine il possesso di una «mentalità escatologica», per cui si è sempre in tensione verso obiettivi di perfezione ulteriori, consci tuttavia che la perfezione definitiva si avrà solo, come dono, alla parusia (cf 1 Cor 14,20, Fil 3,12-16). Con Ef 4,7-16 si ha l'espressione forse più compiuta di quello che è lo scopo della crescita cristiana: l'uomo perfetto, in contrapposizione all'immaturo nella vita cristiana. Siccome però l'argomento centrale del brano è il processo di crescita della comunità ecclesiale, l'uomo perfetto non può essere anzitutto il singolo cristiano, ma la Chiesa come corpo di Cristo (Paolo la concepisce come soggetta ad un processo di crescita, analogo a quello di un bambino che diventa adulto). Conseguentemente si riferisce pure all'insieme dei cristiani anche il suo contrapposto. Ciò non esclude tuttavia un riferimento indiretto di questa sezione di Ef anche al singolo cristiano e alla sua crescita, purché la si intenda in una prospettiva comunitaria.
    La meta ultima della crescita cristiana, espressa nel Nuovo Testamento, principalmente in S. Paolo, attraverso l'immagine (assai significativa pedagogicamente) della contrapposizione tra essere «bambini» ed essere «adulti» e la nozione di «uomo perfetto» come scopo della costruzione del Corpo di Cristo, ha però sempre in qualche modo due dimensioni: accanto alla dimensione «terrestre» è sempre presente anche quella «escatologica»; ed è quest'ultima che dà senso alla prima.

    Il motivo della «santità»
    L'universale vocazione dei cristiani alla «santità», intesa in senso ontologico/ etico, oltre che meta terrena è essenzialmente una meta escatologica.
    «Santità» è certamente uno dei termini più ampiamente utilizzati nel linguaggio biblico e nella tradizione della Chiesa sebbene con notevoli varianti per esprimere sia la nuova condizione dei «chiamati» a partecipare alle promesse messianiche (ebrei e cristiani), sia per indicare la meta a cui devono tendere.
    Il Concilio Vaticano II ha ripreso, all'interno di una rinnovata ecclesiologia, i temi biblici sulla santità nel capitolo V della Lumen Gentium dal titolo significativo: «Universale vocazione alla santità nella Chiesa».
    Alla luce di questi insegnamenti possiamo affermare che la santità cristiana possiede una duplice dimensione: una dimensione «ontologica» o oggettiva, con una accentuazione culturale, ed una dimensione «etica» o soggettiva.
    La prima, frutto del dono di Cristo, lo Sposo, alla sua Chiesa, la Sposa (Ef 5,25 ss.), è fondamento della seconda, intesa come risposta della Chiesa all'amore generoso di Dio nel Cristo mediante la fede, la speranza e l'amore-agape. Ambedue provengono dallo Spirito Santo e santificatore, che anima la Chiesa e la sollecita verso una risposta piena e perfetta, per quanto è possibile alla condizione umana. Però sia la prima che la seconda si realizzano pienamente solo nel mondo definitivo della resurrezione, alla seconda venuta di Gesù («parusia»).
    Come si vede, il concetto di santità cristiana è profondamente connesso sia col concetto di conversione che con quello di perfezione. La chiamata alla santità è la chiamata alla perfezione della fede, della speranza e dell'amore-agape, a quell'uomo perfetto, di cui parla S. Paolo, che si realizzerà in modo definitivo solo con la resurrezione.
    È vero: tutti sono chiamati alla santità; non solo i «clerici» e i «religiosi», ma anche i laici; non solo le persone adulte, ma anche la generazione in crescita, cioè i fanciulli, gli adolescenti, i giovani; non solo le persone sane, ma anche i malati, le persone affette da tare psichiche, i nevrotici, tutti quelli che forse non riusciranno mai ad arrivare ad una maturità umana. Dio, che opera in ciascuno per mezzo dello Spirito, attende da ciascuno una risposta proporzionata ai doni ricevuti (parabola dei talenti: Mt 25, 14-30). Questa è la perfezione a cui Dio chiama il cristiano qui in terra, e tale perfezione non indica soltanto la meta finale dell'impegno del credente, ma anche la totalità di perfezione in ogni singola azione (certo proporzionata alle possibilità effettive del soggetto). E questo vale, lo ripetiamo, per qualunque categoria di persone. Però questa perfezione, prima della «parusia» sarà sempre e solo «relativa»; quella totale e definitiva è solo escatologica.

    Il motivo della «sequela»
    La meta terrena della santità cristiana è espressa anche attraverso le categorie della «sequela» e della «imitazione» di Cristo .
    Questi due temi, essenzialmente biblici (il primo concentrato quasi tutto nei Vangeli, il secondo invece nel corpus paolino), hanno informato e determinato tutta la storia della spiritualità cristiana; un po' meno, soprattutto nel passato, la teologia morale.
    Anche la pedagogia cristiana li ha spesso proposti come le mete ultime dell'educazione. Si pensi all'Enciclica di Pio XI: «Divini Illius Magistri». Variamente interpretati, i motivi della sequela e dell'imitazione di Cristo diventano in qualche modo l'orizzonte ultimo di senso, entro il quale il convertito dovrebbe organizzare la sua vita etico-spirituale di «uomo nuovo», formare la sua coscienza e maturare come cristiano.
    A questo punto, però, sorge spontanea una domanda: possiamo chiamare «maturità cristiana» il punto d'arrivo, cioè la meta «terrestre» dei processi di conversione?

    Verso la «maturità cristiana»: i processi di maturazione cristiana

    Siamo in grado di dare a questa domanda un primo abbozzo di risposta.
    Le categorie bibliche e della tradizione ecclesiale, che esprimono la nuova condizione ontologica del convertito e ne definiscono gli impegni, vanno intese come le mete in un certo senso utopiche (cf Mt 5,48) di un processo di conversione che non deve mai cessare, che deve rinnovarsi continuamente, perché la perfezione definitiva si avrà solo nel mondo escatologico.
    Il cristiano deve mirare ad essere «santo», «perfetto» in ogni azione, ma non lo sarà mai totalmente durante la sua vita terrena, perché «l'uomo vecchio» e «l'uomo nuovo» in lui coesisteranno sempre in una tensione continua, e la sua libertà non sarà mai totale. La dottrina del peccato originale e dei suoi effetti sull'umanità (il «peccato del mondo») costituisce una parte essenziale dell'antropologia cristiana. L'uomo sarà sempre in cammino; sarà sempre un essere in crescita, se corrisponde al dono salvifico e redentivo di Dio in Cristo.
    Questa perfezione relativa possiamo chiamarla certamente «maturità cristiana», intendendo però quest'espressione nel senso di anticipazione profetica, possibile nella situazione concreta della vita presente, di quella pienezza e maturità escatologica che si realizzerà solo nel mondo definitivo della risurrezione.
    Così intesa, però, la maturità cristiana non si identifica necessariamente con quella che nell'ambito delle scienze dell'educazione vien detta «maturità umana», proprio perché anche persone, ritenute umanamente incapaci di tale maturità, possono essere cristianamente perfette o sante, possono cioè dare a Dio una risposta di fede, speranza e amore totale rispetto alle loro possibilità umane e ai doni di grazia ricevuti; possono cioè essere cristianamente mature nel senso sopra spiegato.

    MATURAZIONE CRISTIANA E MATURAZIONE UMANA

    L'esperienza di fede, mediante la quale il credente singolo come pure la comunità cristiana attuano, lungo la vita e lungo la storia, un processo pluriforme di conversione e tendono incessantemente a crescere in Cristo, ha dunque una duplice meta.
    Anzitutto una meta «terrena», che è la santità o perfezione o maturità in Cristo sia dei singoli cristiani che della Chiesa tutta: cioè la realizzazione, nella precarietà e nel mistero, dell'immagine di Dio e di Cristo nell'uomo. Questa santità e perfezione può essere detta «maturità cristiana» solo in senso relativo, e non si identifica necessariamente con quella che comunemente viene detta «maturità umana».
    In secondo luogo una meta «celeste», che nel linguaggio cristiano vien detta anche «vita eterna», «paradiso», e costituisce lo scopo ultimo e trascendente della storia delle singole persone e di tutto il cosmo: è il mondo della risurrezione, caratterizzato dalla perfezione definitiva dell'umanità in Cristo. Questa sarebbe la vera «maturità» dell'uomo e del cosmo, il suo compimento definitivo.

    La maturazione cristiana implica quella umana

    A questo punto sorge spontanea la domanda: che rapporto esiste tra la santità e perfezione in Cristo, raggiungibile in terra e che noi abbiamo chiamato «maturazione cristiana», e la «maturità o maturazione umana»?
    Sappiamo già che non si identificano necessariamente. D'altra parte non sembra che si debbano considerare come assolutamente estranee, secondo una certa corrente teologica che si richiama alla teologia dialettica di K. Barth. Il processo di maturazione cristiana, a nostro parere, pur non identificandosi con quello della maturazione umana, lo esige, lo postula necessariamente.
    Per quest'affermazione rinviamo a quanto abbiamo già detto precedentemente circa la salvezza cristiana, che implica la promozione umana. Si tratta della stessa affermazione, considerata dal punto di vista del soggetto.

    Non due processi, ma un unico processo esistenziale

    Non si tratterebbe tuttavia di due processi paralleli che avvengono contemporaneamente; ma neppure di due processi in successione temporale. Si tratterebbe di un unico processo dal punto di vista esistenziale. Il processo di conversione, crescita e maturazione in Cristo diventerebbe «esistenzialmente» anche un processo di maturazione umana sia a livello individuale che comunitario.
    Quest'affermazione esige di essere chiarita e approfondita.
    Si sa che esistono molteplici teorie psico-pedagogiche sulla maturità umana, difficilmente integrabili tra loro. Non è il caso di richiamarle. Teologi e catechisti, trattando della maturazione morale della persona o della maturità di fede di un credente o di una comunità, ne hanno spesso «utilizzate» alcune, tracciando schemi e griglie per valutare la loro maturità o immaturità. Questo metodo di lavoro è stato criticato forse non senza ragione. Probabilmente è meglio seguire una strada differente.
    Anzitutto va detto che il termine «maturità», considerato da un punto di vista puramente «formale», può assumere due accezioni differenti.
    Esso può indicare «lo scopo finale» di un processo, il quale, una volta raggiunto tale scopo, si arresta e da quel momento può solo permanere o deteriorarsi, non può più progredire. La maturità sarebbe allora un complesso di doti, qualità, virtù, ecc. che l'immaturo (cioè il ragazzo, l'adolescente, il giovane) dovrebbe acquisire mediante un lungo esercizio, sotto la guida di validi educatori. Una volta raggiunto lo scopo, cessa la necessità dell'educazione; l'uomo si può considerare «adulto», quindi capace di affrontare autonomamente la vita e di aiutare altri a maturare. Non sembra illegittimo pensare in questo modo. Si tratta però di una considerazione del problema della maturità piuttosto astratta, troppo ideale per trovarla normalmente verificata nella concretezza dell'esistenza quotidiana. Sembra che di questi uomini adulti, maturi, non ne esistano molti .
    Esiste anche un altro modo di concepire la maturità. Invece di pensarla come una meta finale, la si potrebbe considerare come un continuo succedersi di tappe di crescita umana, ciascuna delle quali ha il suo significato e il suo valore: non solo ma anche una sua compiutezza, anche se non definitiva.
    Da questo punto di vista ogni età, anche le «prime» età, possono avere una loro maturità, una loro perfezione, che però deve essere continuamente superata, per cui il processo di crescita e maturazione dell'uomo non si arresta mai, dura tutta la vita. I termini «bambino», «giovane», «adulto» continuano ad avere il loro significato usuale; ciò che viene relativizzato è il termine «maturità». Questa non è più intesa unicamente come il punto di arrivo, al quale devono giungere i bambini, i ragazzi e i giovani, diventando biologicamente adulti, ma piuttosto come quell'equilibrio dinamico, e tuttavia stabile, di salute psichica e morale della persona, qualunque sia la sua età.
    Così intesa, la maturità varia secondo le età, la struttura psichica delle persone e anche secondo le culture. Resta ancora una meta, intesa però non in senso statico ma dinamico. Non è uno «stato» fisso una volta per tutte, ma uno «stabile equilibrio dinamico» di tutte le componenti della persona, che la rendono sana psichicamente e moralmente, creativa nelle sue scelte, sempre aperta alla crescita e quindi anche al cambiamento, tutte le volte che questo è richiesto dalla realtà.
    Questo duplice modo di concepire la maturità dà origine a due letture diverse del processo esistenzialmente unico della maturazione umano-cristiana.
    Secondo la prima questo processo è visto in funzione di una meta utopica, anche se molto precisa dal punto di vista concettuale. una meta astratta, lontana dalla vita reale, difficilmente raggiungibile dalla maggior parte delle persone a causa dei molteplici condizionamenti negativi (biologici, psichici, socioculturali), di cui è disseminata la vita di ogni uomo.
    Il secondo tipo di lettura invece intende il processo di maturazione umano-cristiana in funzione di obiettivi realistici ciascuno dei quali è caratterizzato da quella compiutezza e perfezione che è possibile per quella data età: ha un senso compiuto, senza tuttavia rappresentare qualcosa di definitivo; è aperto a quegli ulteriori perfezionamenti che sono richiesti dall'evolversi della vita, dal divenire della cultura e dalle mutazioni della realtà.
    Noi ci porremo dal punto di vista di questa seconda prospettiva, tracciando un itinerario di maturazione umano-cristiana. All'interno di questa prospettiva siamo convinti che il processo di conversione e crescita in Cristo, personale e ecclesiale, possa attuarsi in modo tale da essere, dal punto di vista esistenziale, anche un processo di maturazione umana sia a livello di persone che di comunità.


    3. Itinerario di maturazione umano-cristiana

    Dopo aver chiarito il senso che si dovrebbe dare all'espressione «maturità cristiana» all'interno dei processi di conversione, ora intendiamo tracciare un itinerario di maturazione cristiana che si identifichi, dal punto di vista esistenziale, con quello di un'autentica maturazione umana.
    Non nel senso che le formalità «maturità umana» e «maturità cristiana» si equivalgano, ma nel senso che l'itinerario che tracceremo per la maturazione del cristiano (singolo o comunità) sia tale da implicare necessariamente anche un processo di maturazione umana, per cui dal punto di vista esistenziale colui che matura cristianamente diviene adulto e maturo anche umanamente.

    LE COMPONENTI PERSONALI DELLA MATURAZIONE UMANO-CRISTIANA

    Le componenti di un processo di maturazione umano-cristiana sono o di natura individuale, in quanto riguardano la maturazione della persona singola, oppure di natura sociale, perché condizionano la crescita e la maturazione della comunità e la sua capacità formativo-educativa. Tutte insieme poi (sono infatti strettamente interdipendenti) costituiscono le condizioni necessarie per l'instaurazione di un processo autentico di conversione e maturazione umano-cristiana.

    Opzione globale di fede e progetto di vita

    Elemento fondante e centrale nello stesso tempo dell'esperienza di fede cristiana è la conversione, che è insieme dono di Dio (grazia) e gesto libero e responsabile dell'uomo. Il dono di Dio, però, si inserisce nell'uomo secondo il modulo umano: Dio chiede all'uomo solo ciò che questi gli può dare. Di tutto questo abbiamo già parlato ampiamente; dobbiamo fare ora una riflessione ulteriore.
    Si deve tener presente che l'opzione globale di fede con cui ci si converte al Cristo nella Chiesa, a causa del suo carattere radicale e totalizzante, viene ad essere di fatto un vero «progetto di vita» ed ha la funzione di unificare tutta la personalità. Naturalmente questo si realizza in modo diverso nelle varie età e secondo le diverse possibilità di libertà della persona, essendo differenti la valenza di libertà e responsabilità, di presa di coscienza e di realismo nel ragazzo, nell'adolescente, nel giovane e nell'adulto. Tuttavia la funzione unificante delle varie componenti della personalità, messa in opera da un'autentica opzione globale di fede anche nelle prime età, è innegabile e tale da renderla sempre equivalente ad un progetto di vita.
    Proprio per questa sua funzione, l'opzione globale di fede possiede una valenza educativa, nel senso che può contribuire efficacemente alla formazione della personalità. Cerchiamo di approfondire quest'aspetto.
    Un'azione pastorale della comunità cristiana, che proponendo e testimoniando il messaggio di Cristo sia alla generazione in crescita che agli adulti, li aiuti a rispondere al dono del Padre in Cristo e a convertirsi, facendo un'opzione globale di fede, oltre ad avere sempre una certa valenza educativa, potrebbe diventare anche un autentico processo di maturazione umana, purché si adempino determinate condizioni.
    L'uomo, giovane o adulto che sia, il quale, rispondendo positivamente all'attrazione del Padre (Giov 6,44) e al dono dello Spirito, si converte facendo un'opzione globale di fede, realizza certamente un'unificazione della sua personalità attorno al nuovo progetto di vita, ma questo avviene normalmente in una situazione di grave conflittualità.
    Questo nuovo progetto di vita (nuovo modo di vedere il mondo, l'uomo; nuovo quadro di valori, ecc.), incluso nella sua scelta di fede, provoca generalmente nel convertito un profondo sconvolgimento sul piano del pensiero e dell'azione, esigendo nuovi modi di vedere la realtà e nuovi comportamenti. Si crea in lui una situazione conflittuale tra ciò che era prima («l'uomo vecchio» di cui parla S. Paolo) e ciò che non è diventato ora («l'uomo nuovo») convertendosi.
    È una situazione che va superata, ma non a spese dell'umano. Un progetto di vita cristiano, cioè un impegno di imitazione e di sequela di Cristo, una decisione per la santità, che siano di tipo disumanizzante, sarebbero la cosa peggiore che, oggi, potrebbe fare un cristiano, un convertito. Possono avere come conseguenze una mistificazione degli autentici imperativi etici e della «radicalità» (cf il discorso della montagna, Mt 5-7) del vangelo, ma anche un'involuzione della personalità; possono addirittura e non raramente originare personalità nevrotiche oltre che immature.
    Questa situazione di conflittualità tra «l'uomo vecchio» e «l'uomo nuovo» deve quindi essere superata nell'accettazione sincera delle aspirazioni autenticamente umane del nostro tempo, nel rispetto di quei valori umani che l'umanità di tutti i tempi ha sempre stimato come mete dello sforzo etico della persona.
    Rispetto però non significa accettazione acritica. È indispensabile infatti che il convertito, nell'orizzonte della saggezza che gli proviene dal messaggio di Cristo (cioè dal vangelo), operi gradualmente una scelta sempre più chiara e decisa tra le aspirazioni, i desideri e le speranze che aveva fino allora coltivato; ricostruisca in modo organico l'immagine di sé, del mondo, di Dio; riformuli il suo progetto di vita, nel quale trovino posto organicamente, secondo una gerarchia oggettiva, le aspirazioni e i valori autenticamente umani.
    Cristo, che è il centro della sua fede, non entrerà certamente in concorrenza con l'umano, proprio perché è lui il modello perfetto di ogni umanità; ma neppure si limiterà a coabitare passivamente dei valori e le speranze dell'uomo: sarà invece il determinante definitivo della loro importanza e della loro validità nella vita, costituendone il significato ultimo.
    Come si vede, la fede del convertito (intesa nel significato ampio di cui abbiamo parlato all'inizio) viene ad avere, per quanto riguarda il mondo dell'umano, una duplice funzione:
    - anzitutto critica, perché lo mette interamente e radicalmente in questione alla luce del vangelo;
    - ma anche integratrice, perché lo promuove verso mete nuove ed inattese, verso i vertici dell'eticità, promettendogli anche una inimmaginabile comunione con Dio e con i fratelli in quel mondo definitivo che per il cristiano non è semplice utopia, ma realtà, anche se solo sperata, perché ha già avuto inizio con la risurrezione di Cristo.
    Mediante questa duplice funzione della fede, il convertito, mentre matura come cristiano, cioè cresce in «santità», cresce e matura pure come uomo. La conversione, quando è autentica e non disumanizzante è, dal punto di vista esistenziale anche una vera maturazione dell'uomo .

    Dal progetto di vita ai dinamismi permanenti della vita cristiana

    Dicevamo precedentemente che convertirsi significa iniziare un cammino di fede, speranza e amore-agape, mediante il quale ci si sforza di tradurre nella concretezza esistenziale della vita gli impegni che nascono dalla nuova scelta radicale e totalizzante.
    Anche quando l'opzione globale di fede si è trasformata gradualmente in progetto cristiano di vita, nel quale siano state assunte organicamente le aspirazioni e i valori autenticamente umani, presenti nell'esperienza di vita della persona, non per questo si è già arrivati a colmare il vuoto che esiste tra ciò che si vuole essere (la nuova creatura in Cristo) e ciò che di fatto si è ancora; tra la mentalità di fede che si vorrebbe possedere e il modo di pensare e giudicare che si aveva prima; tra la condotta ideale che ci si propone e quella effettiva, messa in opera nel grigiore della quotidianità.
    È chiaro: l'itinerario di maturazione cristiana implica ancora un lungo e faticoso lavoro di acquisizione di quelle strutture dinamiche o disposizioni permanenti, che orientano il cristiano a valutare e ad agire costantemente con una certa facilità e soddisfazione, senza grossi dissidi e conflitti interiori, senza ansie eccessive, secondo gli obiettivi, remoti o prossimi, contenuti nel progetto di vita, ispirato alla fede. Si tratta di quello che può essere detto: «apprendistato della vita cristiana». Nella Chiesa dei primi secoli questo avveniva in forma sistematica e massiccia, durante i tre lunghi anni del «catecumenato», ma continuava poi lungo tutta la vita del cristiano. Nei secoli seguenti continuò ad esistere soprattutto nell'ambito delle istituzioni «religiose» (monasteri, conventi, confraternite, ecc.).
    Oggi sta riprendendo in forme diverse, sia pure in modo ancora germinale e con molte incertezze, anche nell'ambito del laicato cristiano.
    Queste strutture dinamiche cristiane erano chiamate in passato con un nome che l'uso ha profondamente deteriorato: virtù. Doni germinali dello Spirito Santo come la conversione (si parla di «virtù infuse», esse crescono però e diventano veramente efficienti (rendono «in forma»), attraverso la risposta positiva dell'uomo, cioè mediante lo sforzo quotidiano che impegna tutte le risorse umane (ragione, cuore, sensibilità, ecc.), alla luce di quanto ci insegna non solo l'esperienza ascetica del passato, ma anche la moderna pedagogia.
    Si tratta di acquisire, con i metodi che un'accorta pedagogia sta sempre più perfezionando, tutta una serie di strutture dinamiche che gli antichi riassumevano nelle quattro virtù cardinali: prudenza, giustizia, fortezza e temperanza. Oggi si parla di stabile sicurezza emotiva; di equilibrato e sereno dominio della propria sensibilità; di sano realismo; di vivo senso dell'umorismo contro ogni rigidità fanatica; di moderazione nel possesso; di signorilità nel tratto; di decisione e sicurezza nell'azione; di proattività; di amore oblativo; di capacità di ascolto, di dialogo, di comunicazione e collaborazione; di disponibilità verso gli altri; di accettazione e rispetto delle persone; di senso della giustizia; ecc. Tutto questo naturalmente per essere in grado di vivere da persone sempre più mature il nostro processo di conversione.

    LE COMPONENTI COMUNITARIE DELLA MATURAZIONE CRISTIANA

    Ma quali sono le condizioni perché nella comunità si crei l'ambiente adatto per l'attuazione del processo di conversione e crescita cristiana, e realizzare così i compiti per cui sono postulate?

    Evangelizzazione e promozione umana in comunità a misura d'uomo

    Perché il processo di maturazione umano-cristiana possa realizzarsi, deve avvenire all'interno di gruppi o piccole comunità ecclesiali, promosse o, se già esistono, accettate dalla parrocchia.
    Devono essere anzitutto piccole comunità o gruppi, nelle quali l'elemento «comunione» tra i membri sia reale ed evidente. Non devono tuttavia in nessun modo diventare una specie di «ghetti» o di circoli chiusi; al contrario devono essere aperte e in piena armonia con gli altri gruppi e con l'intera parrocchia.
    Si esige, in secondo luogo, la presenza in queste piccole comunità di un certo numero di persone che abbiano già fatto un cammino di maturazione della loro esperienza di fede e sono impegnate in un'azione di testimonianza evangelizzatrice e di promozione umana. Sono appunto queste persone coloro che con la loro «autorevolezza» cristiana possono donare, ai neoconvertiti, un autentico aiuto educativo, offrendo loro le condizioni di crescere in Cristo e di maturare come uomini.
    In questo contesto, una «direzione spirituale» rinnovata sembrerebbe veramente necessaria.

    Comunità caratterizzate dal dialogo

    Sembra assodato che una delle condizioni fondamentali perché una comunità o un gruppo possano esercitare una funzione formativa reale sui membri sia appunto «il dialogo».
    Nel caso poi di giovani, il dialogo, adeguatamente inteso, sembra la via più importante se non l'unica per una vera maturazione umano-cristiana: per evitare cioè che il giovane, mentre tende a conformarsi sempre più al Cristo, si arresti nel suo itinerario di maturazione umana, vivendo per esempio la sua vita ad uno stadio infantile, magari sotto lo specioso pretesto di un'obbedienza cieca o di un'accettazione incondizionata della prassi tradizionale.
    In una comunità si ha «dialogo» quando questa modalità di rapporto interpersonale diviene «atteggiamento», «comunicazione», «collaborazione».

    Il dialogo come atteggiamento
    Questo atteggiamento si identifica ultimamente con l'apertura e l'accettazione della persona dell'altro, e si realizza in concreto quando ci si sa mettere in contatto con lui e, di fronte ad un suo comportamento (qualunque esso sia), si è capaci di rispondergli con franchezza e sincerità, senza tuttavia includere mai in questa risposta un giudizio sulla sua persona.
    Questo atteggiamento è strettamente dipendente da una di quelle strutture dinamiche che si devono acquisire per maturare umanamente, che si chiama «la sicurezza di sé», per cui ci si libera dal bisogno compulsivo di difendere la nostra persona, tentando di sminuire l'altra.

    Il dialogo come comunicazione
    Accettando e stimando la persona dell'altro, diviene possibile «comunicare» con lui sia a livello verbale che gestuale o vitale.
    È possibile mettere in opera un procedimento col quale si trasmettono all'altro conoscenze, informazioni, stati emotivi, ma soprattutto si realizza con lui un vero rapporto interpersonale.
    Avere la possibilità di un'autentica comunicazione umana è importantissimo in questo periodo di maturazione della propria conversione e della propria realtà personale.
    Mediante una tale comunicazione il «neoconvertito» non si sente emarginato ma partecipe della nuova famiglia. Cresce il sentimento di appartenenza alla Chiesa, attraverso la mediazione della piccola comunità.
    Solo attraverso una vera comunicazione il convertito è in grado di assimilare i contenuti del messaggio cristiano, e di apprendere quei comportamenti etici che gli permetteranno di acquisire lentamente le cosiddette «virtù cristiane».

    Il dialogo come comunione/collaborazione
    Tutti i membri della comunità, accertandosi e potendo comunicare in profondità tra loro, sono in grado di aiutarsi reciprocamente per il raggiungimento dello scopo della loro conversione: crescere in Cristo, maturando come uomini; attuare la loro missione di evangelizzazione e di promozione umana nel mondo. Si ha vera collaborazione quando i rapporti umani all'interno di una comunità sono fatti di disponibilità reciproca, di capacità di modificazione dei propri stereotipi e delle proprie abitudini in favore di imprese comuni, che esigono sacrifici da parte di tutti. In una vera collaborazione tutti danno e tutti ricevono, e la comunità cresce come comunione effettiva anche sul piano della prassi e non solo delle parole.
    Veniamo ora all'ultimo momento del nostro cammino: l'evidenziazione di alcuni tratti caratteristici ed essenziali insiti in ogni autentico processo di maturazione

    IL PROCESSO Dl MATURAZIONE UMANO-CRISTIANA E L'EDUCAZIONE

    Il pluralismo culturale e la conflittualità ideologica, l'ampio processo di secolarizzazione e la tendenza sempre più accentuata del nostro tempo al consumismo impongono un ripensamento della funzione educativa della comunità cristiana nelle sue diverse componenti: famiglia, parrocchia, scuola cattolica, gruppi e associazioni giovanili, ecc.
    Ma quali sono le componenti attuali dell'educazione realizzata in un orizzonte di fede?

    Un'educazione per l'oggi autenticamente umana

    L'educazione cristiana deve essere anzitutto un'educazione attuale, cioè adatta agli uomini del nostro tempo, però secondo un progetto autenticamente umano. Conseguentemente dovrà tener conto della situazione culturale, nell'ambito della quale deve avvenire la maturazione umano-cristiana che abbiamo descritta. Quindi non può limitarsi ad essere un semplice processo di inserimento in una cultura preesistente e dell'assimilazione della sua visione del mondo e dei suoi valori, come poteva avvenire in epoche passate.
    Il pluralismo culturale e la conflittualità ideologica, propri del nostro tempo, hanno spinto i pedagogisti occidentali a concepire l'educazione come un processo critico di promozione umana e di liberazione dalle oppressioni, in funzione di una crescente umanizzazione delle persone singole e della comunità. Così intesa, essa si differenzia da quei processi di socializzazione e inculturazione, il cui scopo si riduce ad interiorizzare i modelli di comportamento e il quadro di valori della società in cui si vive, e a integrare principalmente la generazione in crescita nel sistema socioculturale dominante.
    Compiti di un'educazione così intesa sarebbero i seguenti.
    - Anzitutto lo sviluppo (specialmente nei ragazzi, negli adolescenti e nei giovani) di una crescente capacità critica di fronte ai «valori» (molte volte pseudovalori) proposti o imposti dalle forze egemoni del sistema culturale dominante. Si tratta di portarli ad un atteggiamento critico di fronte alle attese, alle aspirazioni e ai progetti di vita, che le agenzie di socializzazione e inculturazione, attraverso i massmedia, hanno fatto emergere in loro.
    - Un secondo compito sarebbe quello di aiutare la generazione in crescita a costruirsi un progetto di vita autenticamente umano, e ad acquisire gli atteggiamenti e le disposizioni corrispondenti per poterlo realizzare, anche quando l'uno e gli altri siano in contrasto con il quadro dei valori, coi progetti di vita e con gli atteggiamenti, veicolati dal sistema culturale dominante.
    - Infine l'educazione dovrebbe sviluppare, soprattutto negli adolescenti e nei giovani, l'aspirazione verso un mondo più umano, libero dalle molteplici oppressioni; un mondo che escluda i metodi della violenza, rispetti le persone, eviti le emarginazioni dei «poveri», ecc., orientandoli verso un impegno serio e realistico in favore di questo processo di liberazione e umanizzazione del mondo.
    Si deve tener presente tuttavia che nella prima fase dello sviluppo (infanzia e fanciullezza), l'educazione si identifica praticamente con quei processi di inculturazione, di cui dicevamo sopra, a causa dell'impossibilità di un pensiero logico-astratto (e quindi di una capacità critica) in queste prime età.
    Ciò che ne salverebbe tuttavia la specificità, anche in questo periodo, sarebbe la presenza di una capacità critica negli educatori e una loro autentica maturazione umana.

    In un orizzonte e in un clima di fede

    La nuova situazione in cui si trova l'educazione oggi, il nuovo modo di concepirla e le prospettive utopiche che suscita, tutto questo costituisce quel «segno dei tempi» che il pedagogista e gli educatori cristiani devono interpretare alla luce della Parola di Dio, confrontando questi «eventi», che sfidano la coscienza cristiana, con la totalità dell'economia della salvezza, per scoprirne il senso e determinare le concezioni e i comportamenti che si devono assumere di fronte ad essi.
    La fede allora eserciterà nei confronti delle prassi educative e delle teorie pedagogiche contemporanee una funzione critica, stimolatrice e integratrice. La prassi educativa che ne risulterà, le teorie pedagogiche che i cristiani inventeranno, potranno dirsi cristiane, proprio perché la fede ha offerto ad esse orizzonti di significato, motivi e impulsi sia alla criticità che alla creatività.
    Le dimensioni specificamente cristiane dell'educazione
    Siccome il processo di maturazione umano-cristiana è dal punto di vista esistenziale unico, l'educazione cristiana dovrà possedere necessariamente anche delle componenti specificamente cristiane.
    Dovrà pertanto aiutare il cristiano a realizzare le finalità specificamente cristiane che costituiscono la risposta dell'uomo all'amore salvifico di Dio in Cristo, specificandole in altrettanti obiettivi concreti, che potranno variare secondo le età e le culture.
    La «Dichiarazione sull'educazione» del Concilio Vaticano II elenca cinque finalità specificamente cristiane, da realizzarsi mediante l'educazione. La loro attuazione è affidata sia alla catechesi che alla pastorale giovanile nella loro dimensione educativa.
    Le ricordiamo brevemente:
    - iniziazione al mistero della salvezza;
    - iniziazione alla vita liturgico-sacramentale;
    - apprendimento di una vita morale autenticamente cristiana;
    - iniziazione all'apostolato ecclesiale;
    - iniziazione alla diaconia degli autentici valori umani per la società e una cultura più umana.

    Gradualità, duttilità al cambio e crescita continua

    Sono «leggi» assai evidenti per se stesse. Mi limito pertanto a presentare un esempio, un'applicazione all'iniziazione liturgico-sacramentale.
    Il passaggio dall'opzione globale di fede alla formulazione di un progetto cristiano di vita, che inglobi contemporaneamente anche le aspirazioni autenticamente umane del neoconvertito; così pure l'acquisizione di tutte quelle strutture dinamiche, particolarmente della creatività, che servono per poter tradurre nella prassi il progetto di vita: questi due processi non devono essere intesi come separati, ma piuttosto come le due facce di un unico itinerario, che si presenta assai faticoso, soprattutto agli inizi, ma che è necessario per la maturazione umano-cristiana del convertito.
    Non dimentichiamo però che questo itinerario deve essere compiuto da persone, le quali generalmente sono già cristiane, almeno anagraficamente: hanno ricevuto il battesimo nell'infanzia e altri sacramenti nella fanciullezza; hanno avuto una certa istruzione religiosa e continuano ad avere una qualche pratica religioso-cultuale. Ora si sarebbe tentati, una volta che essi hanno fatto il primo passo verso la conversione (hanno cioè abbozzato una prima opzione globale di fede), di reinserirli subito e pienamente nella pratica sacramentale: messa domenicale, confessione, comunione, ecc.
    Siamo convinti che una tale prassi pastorale sarebbe un errore, proprio dal punto di vista di quella «paedagogia Dei» che ha sempre rispettato i ritmi lenti e faticosi del processo di conversione.
    Si devono trovare altre soluzioni pastorali più adeguate, mettendo in opera appunto una certa «creatività». Lo studio di tali soluzioni potrebbe essere oggetto di nuove riflessioni.


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