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    Quale animazione di gruppo dopo i diciott'anni?


    Esperienza/dibattito

    a cura di Paolo Zuccari

    (NPG 1986-04-35)

    Diversamente dal solito, l'esperienza che presentiamo non intende offrire « soluzioni », ma prima di tutto « problemi ».
    Riflettendo a voce alta, Paolo Zuccari, uno dei responsabili della pastorale giovanile nella diocesi di Verona, si interroga su quel che sta succedendo nei gruppi giovanili ecclesiali dopo i diciott'anni. Serve ancora il gruppo? Se serve, come deve organizzarsi? È utile continuare a organizzare sempre nuove iniziative per « moltiplicare l'offerta » ai giovani? Non è arrendersi alla moda dell'effimero?
    Gli interrogativi nascono da un disagio percepito tra gli animatori. Ne risulta una certa difficoltà a continuare a fare gli animatori. Ma soprattutto la ricerca di che cosa vuol dire fare un'animazione quando la voglia adolescenziale di gruppo volge al termine.
    Sarebbe interessante aprire un dibattito fra i lettori. Non è facile dati i tempi lunghi di una rivista mensile. Le reazioni di qualche lettore potrebbero convincerci a dedicare al problema un intero «dossier». Rimaniamo in attesa.

    Una volta tanto al centro del discorso sono i giovani, intesi in senso ristretto come fascia di età dai 17-18 anni in su.
    Il discorso verte su un problema cruciale: quale animazione con i giovani (e dunque non gli adolescenti) e quale figura di animatore?
    Gli interrogativi che poniamo non sono astratti. Sono nati da una riflessione sul come procede l'animazione dei giovani nella diocesi di Verona.
    I problemi, relativi al modello di animazione da utilizzare e al compito dell'animatore, sono di tre ordini o fattori.

    IL DISAGIO DEGLI ANIMATORI DAVANTI ALLA FRAMMENTAZIONE GIOVANILE

    Sono molti gli animatori di gruppi giovanili a rimpiangere il periodo felice in cui il gruppo era ancora costituito da 14-15 enni esuberanti e simpatici. La vita di gruppo era vivace, soprattutto nei momenti di festa. Agli incontri di zona o di diocesi accorrevano numerosi e ben disposti. Ai campi-scuola non mancavano mai.
    Ora invece... Intanto molti di quegli adolescenti sono scomparsi dalla circolazione. Non si vedono più al gruppo o si limitano a comparse veloci. Ad un animatore questo non fa molto piacere. Perché se ne vanno? Cosa non ha funzionato? Perché ora guardano il gruppo con aria di sufficienza?
    Ma neppure con quelli che sono rimasti è facile. Manifestano una miriade di difficoltà.
    Certamente è cresciuta in loro la scelta di una maggior autonomia e responsabilità, come pure, nell'insieme, la capacità di utilizzare intelligenza, volontà e affettività.
    Il raggiungimento della maturità legale a 18 anni, la conclusione dell'esperienza scolastica, la scelta di una facoltà universitaria, l'ingresso nel mondo del lavoro, la disoccupazione che fa sentire sempre più opprimente il suo carico perché diventa limite alla libertà personale e alla realizzazione di progetti di vita, il servizio militare, l'esperienza affettiva più stabile, la capacità di assumere responsabilità educative, il diritto-dovere del voto politico...
    Sono elementi che danno una prima immagine della ricchezza di esperienze che il giovane incontra.
    Ricchezza che rischia di andare dispersa e sprecata se non riceve una direzione, una buona utilizzazione. Tanto più quanto più ognuno dei fatti appena descritti è vissuto dal giovane spesso in modo slegato, non ordinato, frammentato.
    Proprio la frammentazione sembra il denominatore comune della situazione giovani. le. Con quel che comporta in termini di capacità di far convivere al proprio interno scelte ed esperienze discordanti tra loro a livello di orientamento esistenziale, atteggiamento verso la società, comportamento in campo affettivo e sessuale, appartenenza ecclesiale con riserva di giudizio autonomo su tutto, intimità commossa nella preghiera e discreta indifferenza ai problemi dell'emarginazione.
    E con tutto quel che comporta in termini di sofferenza e disagio dell'animatore che non sa con quale atteggiamento reagire nei diversi momenti, dato che la pazienza e l'accoglienza rischiano di diventare accondiscenza , la chiarezza e la presa di posizione rischiano di diventare moralismo e paternalismo. Con un immagine un poco rude: non paga la politica del bastone, ma non paga neppure quella della carota!
    La tendenza giovanile alla frammentazione comporta un altro problema determinante per l'animatore: i giovani, al contrario degli adolescenti, tendono a fare del gruppo un punto di riferimento occasionale, periferico rispetto alla loro esistenza quotidiana. Spesso anzi c'è un rifiuto vero e proprio del fare gruppo. A molti sembra una esperienza da superare e abbandonare. Lo stillicidio dal gruppo è continuo, genera una forte ansia nell'animatore e segna spesso il declino, a volte lento a volte rapido e traumatico, dello stesso gruppo.
    L'animatore si rende conto che le difficoltà dei giovani nascono non tanto dal fare più o meno bene animazione, quanto proprio da una sorta di bisogno di nuovo esodo dai gruppi, un secondo esodo dopo quello già che era avvenuto al termine della scuola media. Se allora, dopo un momento di calma, si era trovato modo di dare vita ad un nuovo tipo di gruppo, il gruppo degli adolescenti di cui si parlava all'inizio, ora invece diventa difficile prospettare delle soluzioni a livello di gruppo.

    LA PAURA DEGLI ANIMATORI DI FRONTE AL CAMMINO

    A questo disagio degli animatori dovuto alla frammentazione dei giovani, va aggiunto quel che viene loro dal compito che vorrebbero realizzare. Fin che si tratta di stare con i giovani, parlare con loro, organizzare qualche attività ogni tanto, va bene. Quando però, per esempio, un animatore partecipa ad una corso di formazione e si sente presentare il mondo dell'animazione in tutta la sua ricchezza e un itinerario di educazione alla fede che parte proprio dalla frammentarietà giovanile, allora comincia ad avere paura delle proprie responsabilità.
    Anzitutto perché si rende sempre più conto che ha poco da offrire ai giovani. Pensandoci bene, che cosa può dare un giovane ad un altro giovane? Come definirsi animatore, lui che ha quasi la stessa età, gli stessi problemi? Ci vogliono persone più qualificate, se proprio è necessario. Ci vogliono adulti in funzione di consulenti gratuiti a cui ricorrere a seconda delle necessità, e ci vogliono preti (e suore). Non è forse vero che un gruppo giovanile funziona, non per la presenza di giovani animatori, ma se c'è un prete che fa «formazione»?
    Ma al di là della sfiducia sulle cose da scambiare personalmente con i giovani, la paura di continuare a fare l'animatore nasce soprattutto dalla consapevolezza della complessità dell'itinerario educativo e pastorale.
    Qualche riflessione, proprio sulla pastorale giovanile e sulla educazione alla fede, può chiarire.
    Fare pastorale giovanile domanda di conoscere, di accettare e di partire da ogni possibile « frammento » in cui il giovane cerca la vita, per collocare dentro di esso la proposta più ampia e possibilmente completa di vita umana e cristiana. È l'impegno di partire da ogni « frammento » per costruirvi dentro il senso profondo della vita, per cui quel frammento non sia più parziale, ma si apra alla pienezza della vita e perciò al Dio della vita.
    Non ci vuole molto a intuire la complessità del cammino di educazione alla fede. Come garantire di essere contemporaneamente un intelligente conoscitore del mondo giovanile, un attento educatore, un buon catechista, un discreto organizzatore? E come capire a che punto del cammino di fede sono i giovani? Del resto, negli ambienti giovanili ecclesiali, sono presenti giovani di tutte le tappe del cammino di fede.

    QUALE ANIMATORE E PER QUALE ANIMAZIONE?

    A questo punto gli interrogativi si rivolgono più da vicino all'animazione per verificare quale animazione si svolge e come l'animatore si inserisce in questo lavoro.
    Si è già accennato alla difficoltà di fare gruppo con una certa continuità. L'impressione, se si dà uno sguardo in giro, è che non siano molti i gruppi, a livello di giovani, con una partecipazione regolare, con tanto di progetto e con uno o più animatori che sollecitano il cammino educativo.
    Più che di gruppi si potrebbe parlare di una moltiplicazione delle offerte, per rispondere ai diversi interessi e alle diverse attese dei giovani.
    L'animazione non viene svolta in parrocchia come in diocesi, per aiutare i giovani a vivere in modo coinvolgente e responsabile una esperienza di gruppo, ma piuttosto per proporre loro, come singoli e come piccoli gruppi occasionali, di partecipare alla marcia della pace o a una festa di zona, a un camposcuola, a un convegno sulla emarginazione giovanile o sul problema del primo lavoro e della disoccupazione.
    Bisogna dire che, in questa offerta di attività da svolgere insieme, la fantasia degli animatori è tanta, le iniziative si susseguono e negli ambiti più diversi: incontri di preghiera, serate musicali, serie di dibattiti.
    Ma è vera animazione? Bastano questi appuntamenti occasionali, anche se intensi, per fare animazione? E bastano gli incontri settimanali di studio della bibbia o di preghiera, senza altri momenti di coinvolgimento?
    La figura dell'animatore viene di conseguenza a trasformarsi. Mentre prima era a servizio di un gruppo organico di adolescenti e aveva un rapporto soddisfacente di amicizia con i membri del gruppo, ora, a livello di giovani, è diventato una sorta di animatore dell'ambiente, dove di volta in volta collabora con chi c'è per mettere in piedi un'attività. Più che animatore di gruppo, è un animatore di ambiente.
    In genere emerge, in un dato centro giovanile, una sorta di nucleo degli animatori, dove il titolo viene riconosciuto a tutti quelli che svolgono un servizio nell'ambiente e hanno una competenza da mettere in gioco a livello organizzativo. Non esiste più la figura del singolo animatore con un suo gruppo, ma piuttosto un insieme di persone (diverse senza esperienza di animazione di gruppo e spesso senza una vera sensibilità educativa) che animano l'ambiente.
    Del resto, si dice, come potrebbe un singolo animatore far fronte alle richieste dei giovani? Non avrebbe mai le competenze necessarie. E poi è meglio che il giovane si identifichi in un ambiente dove circolano diverse immagini di animatori.
    Un ruolo particolare viene ad assumere il sacerdote, dove è disponibile. Egli si limita ad animare questo gruppo di responsabili del centro giovanile, per dare spazio ad un rapporto personale con i singoli giovani, attraverso forme di direzione spirituale. Il prete, anche perché i problemi dei giovani sono ormai complessi, torna in scena, ma togliendo spazio ulteriore ai laici animatori. La sua figura ed il suo ruolo si impongono nuovamente, mentre la funzione formativa delle altre figure sembra ridursi ad una specie di realizzare organizzativa delle intuizioni pastorali.

    ALCUNI INTERROGATIVI PER UN CONFRONTO

    Le cose dette finora che del resto fanno riferimento ad alcune esperienze della zona di Verona, volevano solo servire per un confronto con altre nelle diocesi e nelle regioni d'Italia.
    Ci sarebbero degli interrogativi a proposito della lettura della condizione giovanile, dove ci sembra si ondeggi da parte degli educatori tra un rifiuto di comprendere ed una valutazione permissiva del comportamento dei giovani; come pure degli interrogativi rispetto all'itinerario di educazione alla fede, dove ci sembra si ondeggi tra un itinerario fortemente propositivo, e quindi selettivo, e una riduzione delle proposte di fede al punto che sembra avere niente di provocante da dire. Per motivo di spazio non lo facciamo.
    Vogliamo limitarci ad alcuni interrogativi più legati all'animazione.
    Il pìrimo interrogativo è: quale progetto di animazione con i giovani oltre i 18 anni? Quali i sentieri educativi da privilegiare? Il secondo interrogativo riguarda il « come » dell'animazione. Si è appena visto che, a livello giovanile, si punta più sulla moltiplicazione delle attività che sul fare gruppo. Cosa dire in proposito? Ha ancora senso puntare sul gruppo dopo i 18 anni? Se sì, quali connotazioni dovrebbe avere questo gruppo? In che cosa si diversifica dal fare gruppo in età adolescenziale? Il terzo interrogativo riguarda la figura ed il ruolo dell'animatore. Date le competenze richieste, ha ancora senso parlare di « giovani per i giovani »? Non sarebbe meglio che gli animatori dei giovani fossero degli adulti o dei preti (suore)? In ogni caso, qual'è il loro ruolo? Più centrato sulla relazione con il gruppo o più centrato sulla organizzazione delle attività? E del resto è proprio necessario un animatore? Visto chye sono giovani, non è preferibile puntare sull'autogestione?
    Il quarto interrogativo riguarda ancora l'animatore per chiedersi: ha sempre senso l'affermazione: « a ogni gruppo il suo animatore »? Non è preferibile parlare di un ambiente di animazione in cui sono presenti diversi animatori? Non è meglio suddividere anche tra gli animatori i pesi e le responsabilità? Non sarebbe più facile, in questo modo, assicurare nell'ambiente giovanile le forze necessarie per sviluppare l'intero progetto di animazione?
    Non ci sono conclusioni di altro genere a questo articolo. È stato scritto utilizzando molti punti interrogativi, buttati sul tappeto ripensando a esperienze in atto, con tutte le ricchezze e i limiti che presentano. Le molte domande non esprimono scetticismo, ma dicono il desiderio di comunicare dei pensieri perché siano discussi, chiariti e verificati da altre esperienze.


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