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    Materiale per un'indagine su giovani e religione


    Ricerca nel territorio

    Vito Orlando - Marianna Pacucci

    (NPG 1986-08-65)


    Il rapporto giovani-religione costituisce indubbiamente un tema di grande interesse ed attualità, in un periodo storico come questo, nel quale le dinamiche culturali sono attraversate da varie trasformazioni e da una tensione complessiva fra valori materiali e valori «postmaterialisti».
    Spesso questo rapporto, nelle sue diverse e anche contraddittorie manifestazioni, suscita sorprese negli operatori pastorali e negli stessi animatori di gruppo. In questo contributo vogliamo offrire qualche prospettiva di comprensione e di operatività che possa contribuire a verificare la situazione ambientale su questo argomento.

    L'ESPERIENZA DEL SACRO

    I giovani degli anni '80 appaiono e, probabilmente, saranno sempre più impegnati in un movimento di rivalutazione degli aspetti trascendenti della vita, data la provvisorietà e l'inadeguatezza con cui la vita quotidiana risolve e realizza le aspirazioni umane più profonde.
    Per questo si parla diffusamente, a livello di interpretazione sociologica, di una rinascita del senso del sacro fra le nuove generazioni, anche se questo si manifesta con forme inusuali per le categorie culturali tradizionali e presenta non pochi dati problematici.
    Nonostante le varie differenziazioni ed ipoteche analitiche, resta abbastanza condivisa la percezione e la verifica di una inversione di marcia: rispetto ai giovani degli anni '70, complessivamente disincantati verso la dimensione religiosa della vita, le nuove generazioni avvertono un «fascino» della trascendenza, anche se lo esprimono in forme differenziate e non conformiste, rispetto alla tradizione religiosa del paese.
    Data la diversità degli atteggiamenti e di comportamenti, è opportuno inquadrare, anche se sinteticamente, le attuali coordinate in cui si iscrivono le diverse manifestazioni religiose giovanili, per poter delineare il senso complessivo che le nuove generazioni attribuiscono a questa dimensione della vita.
    La realtà attuale evidenzia, in molte sfaccettature, quanto meno tre tipi di esperienza del sacro.

    Il sacro come «consumo»

    Al primo livello, probabilmente il più diffuso, corrisponde un atteggiamento emozionale, una apertura indifferenziata e superficiale, una accettazione acritica del patrimonio religioso tradizionale della cultura italiana. Esso viene utilizzato soprattutto come riferimento per la pratica religiosa, o meglio, per il consumo di «sacralità».
    Sul piano socio-culturale questa esperienza dice continuità nella identità culturale con le precedenti generazioni; quindi dimostra sostanzialmente la riproduttività di determinate immagini e rappresentazioni simboliche, l'utilizzo stereotipato di consolidati codici etici a livello comportamentale, la persistenza di soluzioni tradizionali ai problemi più profondi a livello esistenziale.
    Sul piano oggettivo, questa impostazione evidenzia il bisogno di securizzazione, di mantenere dei punti di riferimento solidi grazie ai quali superare il travaglio delle trasformazioni socioculturali, uscendo indenni a livello di sistema di valori e norme comportamentali.
    Il sacro costituisce, in questa prospettiva, un aggancio della mutevolezza storica ad una dimensione più profonda, che non è suscettibile di modificazioni. Questa esperienza sembra appartenere soprattutto a quei giovani che avvertono come minacciata la propria integrazione sociale e si sentono disarmati nell'affrontare la complessità e le trasformazioni dell'organizzazione socioculturale del territorio in cui vivono.

    Il sacro come ricerca di senso

    Il secondo livello di esperienza religiosa giovanile è riconducibile ad una tensione verso il sacro che nasce dal bisogno di ride-finire la propria identità personale e di reperire delle categorie culturali utilizzabili per decodificare ed orientare i dinamismi della realtà sociale.
    In questa ottica, l'esperienza sacrale non è tanto affidata al momento della pratica (cioè della pubblicizzazione culturale di un atteggiamento religioso), quanto alla creazione di una mentalità e di un comportamento che incentivano i valori più profondi della persona umana e che la valorizzano in rapporto alle possibilità e tensioni della vita collettiva.
    L'identità religiosa è data primariamente dall'adesione profonda ad una visione sacrale della vita e si esprime nella condivisione comunitaria di particolari valori, piuttosto che di obiettivi comportamentali. Questa prospettiva di esperienza emerge come una caratteristica che fonda e contraddistingue la «nuova» identità giovanile degli anni '80. La sua rilevanza è qualitativa più che quantitativa; essa segna il passaggio ad una consapevolezza più matura delle problematiche espresse dal sistema sociale e delle tensioni per una sistemazione culturale dei bisogni e della qualità della vita.
    È evidente che tale impostazione è condivisa soprattutto da quei giovani che dispongono di una maggiore «attrezzatura» culturale, attraverso cui recepire e dominare gli eventi della realtà sociale e i dinamismi della crescita personale.

    Il sacro come «spazio di protagonismo»

    Anche se minoritaria rispetto alle altre, tra i giovani è possibile evidenziare una esperienza religiosa intesa come itinerario di liberazione umana e spazio di protagonismo socio-culturale.
    Questa emergenza, apparsa già negli anni '70 in forma contestativa verso l'organizzazione ordinaria delle dinamiche religiose, sembra aver recuperato negli ultimi anni una carica di dialogo con i processi di istituzionalizzazione del sacro, rendendo più condiviso e operativo il coinvolgimento e l'esperienza religiosa delle nuove generazioni.
    Queste nuove caratteristiche hanno consentito all'esperienza religiosa di espandersi, cogliendo nelle fasce giovanili una notevole tensione verso il protagonismo e l'appropriazione dei processi educativi e di socializzazione ambientale, ed orientandola su un preciso codice di valori sintetizzati nelle indicazioni del Vaticano II e nelle più recenti elaborazioni del magistero ecclesiastico. Questa prospettiva di fede come «impegno storico» è possibile, ovviamente, soprattutto in quei contesti e per quei soggetti che effettivamente riescono a maturare, sul piano umano prima che su quello religioso, una disponibilità/possibilità di coinvolgimento attivo nei dinamismi connessi alla vita della comunità locale (sia civile che ecclesiale).

    L'AREA DEL RIFIUTO E DELL'INDIFFERENZA

    Le varie analisi sulla religiosità giovanile, se ribadiscono e articolano ulteriormente le esperienze giovanili, non tacciono però sul fatto che, quantitativamente, è comunque estesa la fascia di coloro che restano estranei al confronto e alla accettazione della dimensione religiosa come parte integrante dell'esperienza quotidiana.
    Questo atteggiamento, indubbiamente, presenta un minore «conformismo» rispetto agli anni passati, evidenziando come questo esito non costituisca più una moda o una conclusione scontata della evoluzione personale e socioculturale delle nuove generazioni. Esso si propone con uguale problematicità, tuttavia, anche perché sono mutati i contenuti di questa esperienza. Negli anni '60 i giovani rifiutavano solo alcuni aspetti etico-comportamentali della religione, condividendone però l'orizzonte di significato e valori ultimi; nel decennio seguente essi esprimevano un confronto polemico teso alla rifondazione dei criteri teologici su cui si basava l'identità della fede cristiana; nell'uno e nell'altro caso era presente però una tensione a recuperare, innovandoli, i dinamismi religiosi, adeguandoli all'esperienza personale e collettiva.
    Il rifiuto dei giovani degli anni '80 esprime piuttosto una sostanziale indifferenza verso questa dimensione, la mancanza di comprensione, prima ancora che di accettazione, verso le forme e verso lo stesso bisogno che l'uomo ha di trascendere la propria esperienza. In questo senso tale atteggiamento esprime soprattutto una tendenza all'emarginazione del religioso dall'orizzonte della vita umana, in favore di altri valori di vipo materialistico, che sembrano poter soddisfare integralmente le varie esigenze di realizzazione umana.
    La diffusione di questo fenomeno, sia fra le fasce giovanili più «garantite» che tra coloro che sono particolarmente minacciati dai processi di crisi produttiva, sociale e culturale, lascia comprendere come le matrici di questo comportamento non riguardino solo la condizione di vita che ognuno realizza, ma investano l'orizzonte complessivo dei valori e delle rappresentazioni collettive sulla vita umana.

    ESPERIENZA DI APERTURA ALLA TRASCENDENZA

    L'apertura al sacro, nei giovani, ha dunque esiti diversificati che non sono riconducibili unitariamente a un solo ordine di fattori.

    Le variabili soggettive: il bisogno di sacro e la sua identificazione concettuale

    Indubbiamente, il tipo di esperienza e di rapporto con la religione che le nuove generazioni realizzano, è ricollegabile alla identificazione dei bisogni più profondi connessi alla realizzazione della vita umana; si potrebbe pensare, come qualcuno ha detto, che i giovani stanno dando «risposte religiose a bisogni non religiosi», e questo potrebbe spiegare perché appaia piuttosto carente una domanda esplicita di religione. Anche l'attribuzione dei significati al termine «fede» può evidenziare i dinamismi psicologici e culturali che concorrono a formare la disponibilità e l'identità religiosa di ogni soggetto.
    L'atteggiamento di ricerca di sicurezza o di costruzione di significati esistenziali, o di saldatura del confronto/relazione ambientale, costituiscono criteri paralleli e spesso divergenti, che possono orientare o disincentivare una esperienza religiosa.

    I dinamismi sociali e la funzione della religione nell'esperienza della convivenza umana

    Oltre a quanto abbiamo detto precedentemente, vi è tutta la serie di fattori interpretativo-casuali connessi al tipo di valorizzazione che il sistema sociale assicura alle dinamiche legate alla sacralità e alla trascendenza. In questa problematica non rivestono importanza solo gli orientamenti culturali specifici del sistema ambientale, ma anche il tipo di soluzione che ordinariamente esso adotta per risolvere le sue tensioni e rinnovare la propria fisionomia.
    In altri termini: non è importante solo stabilire quale ruolo la società riconosca alla dimensione religiosa e quale incentivo/disincentivo metta in atto al riguardo, ma anche in che misura e con quali contenuti essa ricorra all'aspetto religioso per garantire la propria sussistenza o per risolvere i conflitti che si scatenano al suo interno.
    La funzione sociale della religione è divenuta negli ultimi anni un criterio fondante per la legittimazione della sacralità nell'orizzonte di vita personale e comunitaria, e per l'efficacia delle scelte e comportamenti socio-politici ad essa ispirati.
    In particolare, per i giovani, la religione può costituire un elemento del processo di integrazione sociale e di adeguamento delle proprie disponibilità e attese rispetto agli spazi che il sistema sociale garantisce.

    I dinamismi culturali e le rappresentazioni simboliche collettive

    Infine, vanno anche tenuti presenti i fattori legati ai dinamismi culturali, espressi a livello di rappresentazioni simboliche collettive.
    L'apertura al mistero, la relativizzazione della vita quotidiana, le concezioni del bene e del male, la casualità e il finalismo storico, costituiscono alcune delle tessere su cui si organizza il mosaico delle proiezioni culturali con cui un sistema sociale visibilizza e tematizza i propri problemi e speranze.
    Non è un caso che la disponibilità alla dimensione religiosa sia un fenomeno più esteso della adesione alla fede cristiana, e che questa non possa essere ridotta al dinamismo del credere, della pratica, del comportamento quotidiano.
    Il sentimento religioso dei giovani è piuttosto l'esito di un itinerario educativo complessivo che sa valorizzare i bisogni di creatività e di alterità insiti nella personalità umana, ponendoli all'apice del processo di maturazione personale. Se tale orizzonte non appartiene all'esperienza educativa corrente, è evidente che esso può venire ricuperato dai giovani, ma con molte difficoltà e forse contraddizioni.

    UNA PROSPETTIVA DI VERIFICA INTERPRETATIVA E OPERATIVA

    Partendo dall'ultimo rilievo fatto, vogliamo ora avviare una riflessione analitica che potrà illuminare la stessa proposta operativa. Volutamente restringiamo la nostra attenzione al problema della socializzazione religiosa, per consentire a gruppi e animatori di pastorale giovanile una più immediata fruibilità delle nostre analisi e proposte operative.
    Il ruolo delle offerte e degli itinerari che orientano l'esperienza religiosa dei giovani può costituire un criterio di verifica e di riformulazione di come i bisogni individuali e sociali connessi alla dimensione del sacro riescano ad emergere e ad essere soddisfatti all'interno di una particolare compagine socio-culturale. Se infatti l'analisi sociologica mette in evidenza la continuità ed
    omogeneità dei dinamismi personali e sociali individuati alla base dell'esperienza religiosa, è molto probabile che gli esiti concreti varino, a seconda delle occasioni educative di cui un sistema sociale dispone per rispondere a tali esigenze.
    Se è vero che il bisogno struttura le offerte, in campo sociale può essere altrettanto vero che le offerte stimolino o inibiscano l'esplicitazione dei bisogni, rendendoli pubblicizzabili o condivisibili a livello collettivo.
    Nel caso specifico del rapporto giovani-religione, vanno problematizzati il ruolo, i contenuti, le funzioni della socializzazione religiosa primaria e secondaria, a partire dalla quale l'universo giovanile esprime le proprie istanze di trascendenza o le emargina di fronte ad altre urgenze della vita quotidiana.

    La socializzazione religiosa primaria: il ruolo della famiglia

    Il primo nodo cruciale è dato dal tipo di educazione religiosa veicolato attraverso la famiglia. Il bambino prima, il giovane successivamente, ricevono per lo più, attraverso i genitori, la stimolazione ad una esperienza religiosa minimale , di tipo culturale-sacramentale, che salvaguarda i referenti sociologici della identità religiosa, piuttosto che le componenti della personalizzazione e dell'impegno di fede. A volte, nella socializzazione primaria, i giovani non si incontrano affatto con il religioso, perché ormai numerose famiglie non definiscono più se stesse a partire dal religioso. Anche quando i giovani ricevono una stimolazione familiare in campo religioso, essa non è accompagnata da testimonianza esperenziale , che saldi la dinamica religiosa ai problemi e alle prospettive della vita quotidiana. In buona misura, quindi, il patrimonio religioso che un ragazzo acquisisce a livello familiare gli consente di fruire di un generico e indifferenziato bagaglio culturale, piuttosto che offrirgli un sistema di significati esistenziali, utile a decodificare e a gestire i vari problemi della sua incipiente esperienza.
    Questo tipo di socializzazione religiosa primaria è alla base dell'esperienza religiosa giovanile, ridotta al consumo di sacro, o dell'atteggiamento di rifiuto verso un patrimonio culturale non efficace per illuminare le varie dimensioni della vita quotidiana.

    La qualità delle offerte ecclesiali

    Lo stile dell'educazione religiosa familiare è spesso replicato nell'itinerario della educazione della fede attuato da molte comunità ecclesiali. La pastorale della sacramentalizzazione di massa orientata ai fanciulli non riesce, in genere, ad operare dei correttivi radicali alla impostazione ideologica e comportamentale offerta dai genitori.
    Ciò conferma la maggior parte dei giovani in atteggiamenti di infantilismo e di superficialità religiosa o il distacco/emarginazione della fede dalla vita quotidiana. Le offerte ecclesiali orientate agli adolescenti e ai giovani, invece, tendono ad esprimere logiche diverse, puntando sia alla costruzione di un sistema di significati vitali, che alla maturazione delle capacità di responsabilizzazione e di protagonismo. Per i giovani che si sintonizzano su tali opportunità, più che un approfondimento dell'itinerario religioso, si manifesta un vero e proprio processo di riformulazione della esperienza religiosa precedente, che giunge ad opporre le nuove alle vecchie generazioni realizzando una frattura nella trasmissione dei contenuti della fede, piuttosto che una innovazione nella continuità della tradizione. È evidente però che la quota di ragazzi captata da questa offerta (che non sempre però è strutturata in modo corretto e coerente) costituisce una porzione piuttosto ristretta ed elitaria dell'universo giovanile, che realizza una esperienza molto differente per contenuti rispetto alla qualità complessiva delle dinamiche religiose presenti in un certo ambiente sociale.

    Un'ipotesi di lavoro

    Se ciò che abbiamo detto corrisponde globalmente a verità, è possibile avanzare una ipotesi di lavoro, che va verificata attraverso la rilettura critica dei dati empirici già disponibili nella letteratura sociologica.
    Il campo religioso costituirebbe attualmente, nel mondo giovanile, un fattore di differenziazione degli itinerari educativi e di socializzazione; la discriminazione però non passerebbe attraverso la dicotomia «accettazione/rifiuto» della fede, quanto nella diversa qualità con cui vengono esplicitati i dinamismi religiosi.
    La qualità dei processi di socializzazione familiare, e ancor più di quelli istituzionali ecclesiali, rappresenta dunque un orizzonte problematico per la interrogazione complessiva dell'esperienza religiosa dei giovani, ma anche un potenziale fattore di incentivazione , di rinnovamento, di canalizzazione delle esigenze di sacralità entro una prospettiva storicizzabile e condivisibile di maturazione e di esplicitazione della fede. E' necessario pertanto puntualizzare meglio la funzione educativa delle agenzie religiose e gli esiti dei loro impegno in questo campo.
    Il contesto sociale non sembra concedere molti altri spazi per la valorizzazione delle dinamiche religiose, al di fuori dell'ambito familiare e di quello ecclesiale. La stessa formazione scolastica va rendendo più marginale l'insegnamento religioso, che può essere comunque produttivo, ma non può far vivere direttamente un'esperienza di fede.
    Dunque, la socializzazione religiosa dei fanciulli e dei giovani, tendenzialmente, resta confinata ad un orizzonte privato di vita, che solo a posteriori» viene esplicitato e rapportato alla realtà relazionale e sociale.
    Questo primo handicap segna la qualità complessiva del processo educativo-religioso, orientando i suoi contenuti verso una definizione preconciliare della esperienza religiosa.
    La famiglia, tranne la minoranza di adulti che consapevolmente ha maturato un rinnovamento della mentalità di fede e della «militanza» ecclesiale, è per lo più ferma, per carenza di autoformazione, su questo livello di concezioni e pratica. Le stesse comunità ecclesiali, in buona misura, non riescono a rinnovare radicalmente la propria prospettiva catechistica e di animazione.
    Per la gran massa dei giovani, sia la socializzazione religiosa primaria che quella secondaria si conclude con la riproposizione dei modelli preconciliari , acquisiti in un orizzonte culturale ed esperenziale che comunque rende anacronistici e poco significativi tali modelli.
    Non a caso la trasmissione religiosa sembra costituire l'area di maggiore continuità, pur in presenza di un marcato processo di differenziazione fra le generazioni dei padri e quelle dei figli.
    Questa larga fascia di giovani ha davanti a sé due esiti possibili: rifiutare progressivamente la dimensione del sacro (o quanto meno la sua identificazione istituzionale cattolica), a mano a mano che prende coscienza della incoerenza e inutilità di questo argomento nella propria formazione umana; oppure utilizzarlo come risorsa residuale per un cammino religioso che resta parallelo, e quindi estraneo, alle vicende della vita quotidiana.
    Una quota più ristretta di giovani, o per vissuto familiare o perché incontra una strutturazione diversa delle offerte religiose in ambito ecclesiale, riesce quanto meno a confrontarsi con una proposta conciliare di fede e di esperienza comunitaria. In buona misura questi giovani, se le qualità complessive della testimonianza ecclesiale e la recettività della cultura ambientale lo consentono, riescono a «ricostruirsi» la propria formazione religiosa, orientandola verso l'esperienza di maturazione globale personale e/o verso le forme di presenza e di impegno ecclesiale e civile.
    È evidente però che in questo caso avviene un vero e proprio salto di qualità, che oppone l'opzione di fede e il cammino di approfondimento della stessa alle precedenti sollecitazioni educative. La prova di questa rottura e riformulazione della prospettiva religiosa è data da due elementi: una tendenza a rovesciare gli esiti religiosi familiari (il ragazzo militante/praticante sempre più ha alle spalle una famiglia poco sensibile alle tematiche religiose) e la saldatura del rapporto pubblico/privato, che privilegia proprio l'esperienza religioso/ecclesiale come canale di riconversione e di impegno. Dunque l'ipotesi interpretativa complessiva che può costituire il punto di partenza per una verifica empirica della situazione in atto, può essere questa: quale rapporto esiste fra le offerte ecclesiali e le logiche educative che le varie agenzie ambientali mettono in atto in tema di formazione dei ragazzi e dei giovani?
    L'analisi empirica prima, e l'impegno operativo successivamente, possono muovere dal la tipologizzazione indicata nella tavola che segue.
    La tipologia, verificata attraverso variabili e indicatori più specifici, può aiutare a cogliere la prospettiva ecclesiale come parte integrante del sistema educativo globale presente nell'ambiente.
    In questo modo non conta soltanto l'analisi del rapporto fra bisogno religioso giovanile e canalizzazione istituzionale di questo bisogno entro l'area cattolica, ma diventa significativo, come orizzonte interpretativo e progettuale, anche il tipo di influenza e la funzione che la religione assolve nella vita quotidiana dei giovani e nel loro processo di maturazione personale e di socializzazio-
    ne ambientale.
    Data la particolare prospettiva analitico-interpretativa che abbiamo scelto, in questo contributo non proponiamo lo schema operativo per giungere alla costruzione del questionario.
    Coloro che ritenessero opportuno verificare i rapporti tra offerte ecclesiali e logiche educative ambientali (anche a livello quantitativo) dovrebbero fare un'attenta ricerca di indicatori capaci di consentire la verifica sui vari tipi di rapporto presentati, considerando gli stessi come ipotesi o parti di ipotesi di ricerca.
    Bisogna inoltre tenere presente che i quattro tipi di rapporto presentati possono essere prevalenti ma non esclusivi; quindi si deve tendere a cogliere la loro compresenza e le contraddizioni che questa compre-senza spesso provoca.

    ESEMPLIFICAZIONI OPERATIVE: LETTURA DI TABELLE E GRAFICI

    Nei contributi precedenti abbiamo offerto alcune esemplificazioni a livello operativo. Esse erano piuttosto legate all'impostazione di una eventuale ricerca e al «che cosa fare» anche di fronte ai dati raccolti.
    Supponendo di avere già raccolto i dati e di averli elaborati e rappresentati in tabelle e/o in grafici, vogliamo offrire alcune indicazioni circa la loro lettura e interpretazione.
    Per consentire una ulteriore verifica sull'argomento di questo contributo «giovani e religione», riportiamo e leggiamo alcune tabelle che riguardano opinioni e atteggiamenti religiosi dei giovani.

    1986-8 0001

    Tabella su «importanza della fede nella vita»

    Ricaviamo la tabella di pag. 72 dalla ricerca di Vito Orlando, Identità giovanile e situazioni socio-ambientali (Potenza, 1983). Per leggere il contenuto della tabella bisogna portare l'attenzione sulla colonna dei totali. Le percentuali rappresentano le frequenze di ciascuna alternativa. In una tabella a doppia entrata, le frequenze sono la media delle risposte dei soggetti rientranti in ciascuna fascia d'età. Si leggono le percentuali di ciascuna alternativa o possibilità di risposta prevista. Nel nostro caso 1'83,8% dei giovani intervistati afferma che «è importante avere fede», il 9,5% esprime invece una opinione contraria.
    Nella tabella le risposte sono distribuite in base all'età. Il totale dell'ultima riga è formato dalle percentuali di ciascuna fascia d'età rispetto al campione; esse esprimono la consistenza (quindi la proporzione) di ciascuna fascia d'età nel campione. Osservando le colonne corrispondenti ai singoli anni possiamo renderci conto di come varia l'orientamento di risposta dei soggetti in base all'età. Le percentuali che esprimono il riconoscimento dell'importanza o della non importanza variano con l'età: con l'avanzare dell'età, diminuiscono le percentuali che esprimono l'importanza della fede e crescono quelle che esprimono la valutazione contraria. Si può inoltre osservare che in tutte e due le serie di percentuali, intorno ai sedici anni, si produce un cambiamento piuttosto significativo nelle opinioni dei giovani: la percentuale dei diciassettenni che riconoscono l'importanza della fede è significativamente inferiore, e cresce anche l'esplicita affermazione della non importanza della fede.

    1986-8 72-1

    Tabella su «dimensioni delle definizioni di fede»

    Le definizioni di fede espresse dai giovani evidenziano dimensioni diverse: religiose, non religiose, ed altre piuttosto ambivalenti. La tabella che riportiamo (da Giancarlo Milanesi, Oggi credono così, vol. I, Torino 1981) consente di cogliere queste dimensioni diverse nelle definizioni date da ragazzi e ragazze che hanno meno di 20 anni o dai 20 anni in su. (La tabella è stata da noi semplificata e riporta soltanto i dati del campione dei giovani aggregati).
    Guardando sempre alla colonna dei totali, (le medie delle risposte sia rispetto al sesso che all'età), troviamo gli orientamenti di risposta: poco più di un terzo dà una definizione di fede in cui emerge chiaramente una dimensione religiosa, il 10% circa pen sa alla fede come a qualcosa di non religioso e poco più di un quarto ha una visione comprensiva di aspetti religiosi e non .
    Nella tabella non si può non rilevare la notevole presenza di «non risposte». Questo ci consente di fare una piccola notazione: non è detto che l'inserimento di molte domande libere nei questionari permetta di raccogliere maggiori e più significative informazioni. Sempre più costatiamo la difficoltà che incontrano i giovani a dare risposte che esprimono le opinioni personali su argomenti particolari, forse perché la riflessione non è un'abitudine ordinaria nell'esperienza giovanile.
    Torniamo alla tabella e vediamo come arricchire le nostre informazioni in base alle differenze di sesso e di età. Le ragazze esprimono definizioni religiose in maggior numero rispetto ai coetanei; mentre non vi è nessuna differenza circa le risposte che contengono entrambe le dimensioni, ed è poco significativa la differenza circa le definizioni a contenuto non religioso.
    In riferimento all'età, si può osservare che con l'avanzare dell'età diminuiscono le definizioni che contengono dimensioni specificamente religiose, e crescono un po' quelle che le contengono entrambe. Nell'insieme, tuttavia, le differenze rispetto all'età non sono molto accentuate.

    1986-8 72-2
    Le tabelle che abbiamo presentato sono relativamente semplici, e la loro analisi non causa dispersione e frammentazione. Tuttavia, al termine dell'analisi delle tabelle, conviene cogliere l'andamento generale delle informazioni che esse contengono, per giungere a prospettive sintetiche di interpretazione.
    Di fronte alle nostre tabelle, potremmo dire che sia l'età che il sesso appaiono fattori differenzianti delle valutazioni e delle definizioni del religioso: i maschi e i più grandi sono più lontani dal religioso.
    I dati racchiusi in tabelle possono trovare anche una rappresentazione diversa nei grafici. I grafici più semplici sono istogrammi e diagrammi: la diversa grandezza delle colonnine e l'andamento della linea aiutano a crearsi un'idea immediata delle differenze di opinioni.
    L'analisi delle tabelle ha solo un valore esemplificativo e vuole stimolare l'attenzione ai dati che esse offrono per saperne cogliere le informazioni.
    Le informazioni vanno chiaramente verificate e rapportate al contesto in cui si è svolta la ricerca, per vedere come esse stimolano comprensioni e richiedono atteggiamenti diversi in coloro che operano in questi contesti. Se non si verifica tutto questo, una eventuale ricerca va soltanto ad accrescere il numero delle «iniziative» che si fanno.


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