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    Il preadolescente nella società italiana: un «ambiente» che non forma



    Piero Lucisano

    (NPG 1986-01-66)

    È difficile parlare di una cultura dei preadolescenti, dato il breve arco di età che è compreso da questa definizione ed il rapido cambiamento che caratterizza le proposte che raggiungono questi ragazzi. Si tratta di una fase di vita in cui la maturazione fisiologica e l'esperienza sociale si intrecciano in modo complesso, tanto da rendere difficile parlare di un'unica preadolescenza, e piuttosto preferibile parlare di tante preadolescenze in relazione all'ambiente socioculturale ed al contesto territoriale.
    Mentre appare più significativo dal punto di vista della ricerca analizzare alcuni percorsi specifici: il PA che vive rinchiuso in un palazzo del centro di una grande città o il PA che evade l'obbligo e lavora, ecc., è comunque possibile individuare alcuni tratti comuni molto generali.

    LA FAMIGLIA MONONUCLEARE

    La preadolescenza è collegata alla crisi di presa di coscienza della propria identità, alla separazione psicologica dal nucleo familiare, che avviene in forme e secondo percorsi diversi in relazione al tipo di rapporti tra genitori e tra genitori e figli. In effetti esistono cambiamenti nella struttura familiare che sembrano incidere in modo sensibile nelle dinamiche di questi rapporti.
    Il preadolescente contemporaneo vive in una famiglia che va sempre più acquisendo connotazioni nuove. La famiglia della società postindustriale viene comunemente definita famiglia mononucleare (composta cioè dalla coppia dei genitori e dai loro figli), in opposizione alla famiglia patriarcale che vedeva la convivenza di più generazioni sotto lo stesso tetto.
    La famiglia patriarcale svolgeva le funzioni di luogo di produzione sia dal punto di vista economico che culturale. Era in casa che si imparava il mestiere, fosse quello del contadino, dell'artigiano, dell'azzeccagarbugli. In famiglia si apprendevano i fatti della vita attraverso l'esperienza degli anziani. In famiglia si svolgevano i fatti centrali dell'esperienza umana dalla nascita alla morte.
    La famiglia mononucleare invece presenta una situazione sostanzialmente diversa. I genitori hanno perso alcune caratteristiche tipiche del loro ruolo: non sono più in grado di istruire i figli (ci pensa la scuola), né di avviarli al lavoro; non sono più depositari di informazioni (i media offrono tutto a tutti e in modo più qualificato). Numerose ricerche hanno verificato la tendenza dei genitori a delegare la stessa funzione educativa e di riferimento morale ad altre agenzie (sacerdoti, educatori, psicologi, ecc). Gli anziani, che hanno perso tutto il loro prestigio, vivono generalmente lontano dal nucleo familiare. Anche la nascita e la morte avvengono fuori della famiglia in ambienti appositamente adibiti.
    Alla famiglia rimarrebbero dunque gli spazi degli affetti, del tempo libero e del consumo.
    In un rilevante numero di casi la famiglia finisce per aver perso anche queste caratteristiche. Le famiglie composte dai due genitori più i figli sono in Italia il 47% . Sono un milione e mezzo le situazioni in cui il nucleo familiare è costituito da uno solo dei genitori e dai figli (sono le madri nel 71% dei casi ad occuparsi dei figli) (Fonte ISTAT 1983). Sono molte inoltre le situazioni in cui le esigenze di carriera dei due coniugi fanno dell'appartamento un crocevia dove il traffico è tale che incontri e scontri non trovano mai tempo sufficiente per essere vissuti in senso pieno.
    Gli adulti stessi sono provocati ad un uso del tempo «diverso» da quello dedicato alla famiglia. Spesso la pressione culturale sembra suggerire che il tempo libero ed il tempo della famiglia siano tempi diversi, e la morale individualista suggerisce di sacrificare il secondo al primo.
    I genitori di oggi non sono anagraficamente più giovani di quelli di trent'anni fa, ma psicologicamente vivono in una dimensione diversa. Il prolungarsi della vita e le condizioni di relativo benessere nella nostra società fanno sì che, a quaranta o cinquant'anni, si possa ancora vivere in una dimensione di progettualità personale un tempo sconosciuta. A cinquant'anni è lecito pensare di avere una vita davanti per ricominciare da capo. I figli non di rado, in questa situazione, vengono percepiti come una fastidiosa appendice.
    La forte riduzione delle nascite (dal 1964 al 1984 si è passati in Italia da 2.6 a 1.5 figli per coppia) inoltre pone il preadolescente in una situazione di difficoltà, per la sempre più probabile mancanza di fratelli.
    La casa luogo di ritrovo è spesso troppo piccola per la famiglia che la abita, e questo accentua dinamiche di aggressività e di evasione.
    In conclusione, la famiglia finisce per essere, nella maggior parte dei casi, solo unità di consumo, e non riesce ad offrire al preadolescente spazi di confronto e di verifica, mentre si offre talvolta come dura disillusione alle sue più sensibili capacità di percepire e comprendere la realtà.

    IL RITMO DI VITA ACCELERATO

    La assenza di una struttura familiare di riferimento porta ad un attenuarsi della spinta alla autonomia che è talvolta sostituita, senza la tradizionale ambivalenza, dalla ricerca di modelli o di sostegno affettivo.
    In generale il ritmo di vita è più intenso e molte sono le attività proposte ai preadolescenti per «occupare» il tempo «libero». I preadolescenti vivono la difficoltà di costruirsi una dimensione temporale autonoma. La necessità di una forte programmazione del tempo da parte della maggioranza delle famiglie porta i ragazzi a percepire la dimensione del tempo come importante e a sentire che il tempo «manca». Il tempo che «manca» è il tempo da scegliere, il tempo per fare ciò che vuoi.
    Per contro bisogna trovare tempo per una serie di attività utili per la vita. Così la consistente domanda delle famiglie di avere spazi sicuri per l'intrattenimento dei figli, meglio se funzionali alla loro formazione in vista di un inserimento sociale, ha prodotto una miriade di interventi «formativi» da parte di enti locali e/o privati.
    Questi interventi sono «formativi» nel senso che nella maggior parte dei casi riproducono quelle dinamiche tipiche della scuola: rapporti tra pari limitati, primato dello scopo sulle persone, frammentarietà dell'intervento. Così i preadolescenti possono scegliere fra nuoto, inglese, flauto dolce, palestra, scuola di mimo.
    L'associazionismo a carattere educativo rimane ancora un fenomeno d'élite nel senso che riesce a raggiungere un numero assai limitato di ragazzi. Una larga parte della popolazione preadolescente, non raggiunta da nessuna offerta, rimane legata alla strada o alle sole offerte di consumo. Molteplici sono le attività che vengono proposte ai ragazzi, e da questi consumate senza che venga offerta loro la possibilità di viverle da protagonisti. Queste attività, che seguono le logiche del consumo rapido, dell'intrattenimento fine a se stesso, sembrano toccare tutti i preadolescenti senza distinzione di classe sociale. Il pesante condizionamento della pubblicità impone mode non solo nel vestire ma nello stesso stare insieme e giocare.

    IL PENSIERO TELEDIPENDENTE

    Quante ore passano i ragazzi davanti al video?
    Le ricerche si inseguono nel dare risposte sempre più preoccupanti a questa domanda.
    Possiamo dire che i ragazzi passano da 3 a 6 ore al giorno tra radio e televisione. (La ricerca COSPES documenta che nel corso dell'età aumentano le ore trascorse davanti al televisore da parte dei preadolescenti. A 14 anni oltre il 60% dei soggetti asserisce di dedicare alla TV due o più ore al giorno). Lo fanno in una situazione di media fortemente dipendenti da un merca to, in cui lo Stato ha rinunciato, mancando ad un compito istituzionale, il controllo delle emittenti televisive private. Lo fanno in tutte le ore del giorno, evadendo la programmazione specifica che la RAI prevede in limitate fasce orarie. Lo fanno dovendo subire un bombardamento pubblicitario che è stato limitato, in spregio del telespettatore, da una legge che fissa margini così ampi che superano di gran lunga quelli che il mercato fissa come margini di tollerabilità.
    La struttura del pensiero, ancora in formazione, subisce pesantemente l'impronta della logica dei media, non lineare ma analogica, fatta di immagini, di impressioni.
    I media, che sono certamente un portato positivo per chi ha dalla sua una esperienza della realtà tale da consentire un uso delle informazioni che veicolano, finiscono dunque per trasformarsi in oppio. Del resto la quantità di informazioni è tale da realizzare piuttosto un effetto narcotizzante, che contribuire alla costruzione di una visione propria del mondo.
    I computer non hanno ancora raggiunto il grosso pubblico dei preadolescenti se non nella forma dei videogiochi. È difficile dunque ipotizzare gli effetti dell'impatto di questa «nuova cultura» sui ragazzi. Certo i computer sembrano favorire una maggiore organizzazione nelle forme del pensiero, anche se tuttora si avvalgono di forme logiche molto elementari.
    Un dato sul quale riflettere è che la cultura dei computer sembra ridurre notevolmente i requisiti necessari per l'inserimento nel mercato del lavoro con i compiti di «esecutivo intelligente», che i ragazzi sembrano acquisire facilmente i nuovi linguaggi e che dunque, presto, il conflitto tra disoccupati e occupati coinvolgerà anche fasce più basse del mondo giovanile.

    LA SCUOLA CONFUSA E RINUNCIATARIA

    La stessa proposta culturale della scuola appare molto frammentaria.
    Sono fin troppo evidenti le omissioni gravissime di cui è responsabile principale il governo che si è però avvalso in questo della benevola complicità di tutte le componenti politiche. L'esempio più vicino al nostro argomento è la questione della riforma della secondaria e dell'estensione dell'obbligo.
    Gli insegnanti, da parte loro, stanno cercando una identità professionale che sembra volersi sganciare dall'impegno educativo per assumere sempre più l'aspetto di «istruttori» capaci di una buona programmazione curricolare, provvisti di una discreta competenza docimologica. L'aspirazione ad una professionalità più qualificata porta gli insegnanti elementari ad anticipare contenuti delle scuole medie, quelli delle medie ad anticipare contenuti delle superiori, e così via. Il risultato è che manca quasi del tutto l'attenzione alle abilità di base.
    Al tempo stesso le mode «culturali» raggiungono la scuola attraverso gli insegnamenti disciplinari senza le adeguate mediazioni pedagogiche. Si pensi, ad esempio, a quante diverse impostazioni linguistiche hanno attraversato i libri di testo in questi ultimi anni.
    Il prodotto scuola rimane estremamente basso. La maggior parte delle ricerche confermano che ad imparare sono solo i Pierini del dottore e che le Lettere ad una professoressa di Don Milani non perdono un briciolo della loro attualità. Le competenze che la scuola fornisce nelle stesse abilità di base del leggere, scrivere e far di conto, non sono tali da essere sufficienti ad un inserimento attivo nella società.
    Al tempo stesso il rapporto tra scuola e vita, tra scuola e società rimane mortificato. Compiono 15 anni, ad esempio, le proposte di legge per l'educazione sessuale nelle scuole, mentre è recente un provvedimento che impedisce la collaborazione tra operatori dei comuni e scuole. La vita a scuola rimane noiosa: due ore di educazione fisica alla settimana e poi circa 5 ore al giorno seduti sui banchi. L'attività manua-
    le è stata ulteriormente ridotta da una cattiva interpretazione della «Educazione tecnica» (un tempo applicazioni tecniche) che ora è una disciplina teorica in cui si studiano i processi produttivi, l'importanza del petrolio e cose analoghe, naturalmente sui libri.
    Molte esperienze, inoltre, sembrano indicare che il tempo pieno non riesce a decollare verso una impostazione diversa. I compiti a casa rimangono un peso costante e tale da impegnare diverse ore del pomeriggio dei ragazzi, non pochi sono costretti a ricorrere a lezioni private. Del resto la selezione scolastica rimane elevatissima. Così molti ragazzi vengono espulsi, di fatto, precocemente dai circuiti informativi, e spinti precocemente nel mercato del lavoro, dove vivono in condizioni illegali e di sfruttamento.
    L'atteggiamento dei ragazzi nei confronti della scuola è oggi di maggiore coscienza dell'importanza che questa gioca nel fornire loro un passaporto più o meno valido al mondo del lavoro. Da considerazioni di questo ordine, assieme alla delusione per una esperienza frustrante negli organismi rappresentativi, stanno emergendo nuove forme di contestazione, di cui per ora è solo possibile segnalare la caratterizzazione preideologica (che, per chi ha buona memoria, avevano agli inizi anche quelle degli anni sessanta).

    TENSIONE ALLA CRESCITA

    La dilatazione dell'adolescenza presso alcuni strati sociali fa sì che la tensione alla crescita risulti al tempo stesso stimolata e frenata.
    Da un lato infatti la forte discontinuità culturale che caratterizza il passaggio dall'infanzia alla condizione adulta, mentre permette aí ricercatori di operare sottili distinzioni tra preadolescenza, adolescenza, giovinezza e post-giovinezza, colloca i ragazzi in una condizione di mancanza di stimoli, in particolare per quanto riguarda l'assunzione di responsabilità, l'impegno, la possibilità di rendersi e percepirsi utili sia nella famiglia che negli altri ambienti. Non è raro, così, assistere alla assunzione di atteggiamenti regressivi o al diffondersi di mode di evasione.
    Dall'altro lato la percezione della difficoltà ad accedere al mondo del lavoro porta i ragazzi ad accentuare l'identificazione in modelli adulti di successo, caratterizzati da professionalità, competenza, senso del dovere, conformismo. È a quest'età, infatti, che la progressiva accentuazione della sensibilità ai problemi sociali comporta anche l'insorgere delle prime preoccupazioni relative alla vita attuale e a quella futura.

    LA VITA DI GRUPPO

    La vita di gruppo rimane un bisogno fondamentale di quest'arco di età.
    La soddisfazione di questo bisogno è fortemente legata al contesto in cui il ragazzo si trova a vivere. Il preadolescente di grande città, ad esempio, ha maggiori difficoltà di incontrare amici a causa dei problemi di spostamenti e di spazio. In questi contesti sono più frequenti coppie di amici, che mancano di un riferimento ad un gruppo più ampio.
    Mancano possibilità di aggregazioni con spazi autonomi. Parimenti difficile appare la situazione dei preadolescenti che vivono in campagna, nelle valli montane, in piccoli paesi, dove l'emigrazione ed il calo demografico finiscono per determinare vere e proprie situazioni di isolamento.
    Negli altri contesti rimane difficile per i ragazzi disporre di riferimenti ambientali che non siano la strada, il bar. Negli spazi istituzionalmente lasciati ai giovani: oratori, locali comunali, impianti sportivi, rimane determinante la mediazione dell'adulto educatore.
    È dunque difficile frequentare gruppi con caratterizzazioni di tipo primario: la banda resiste solo in contesti di devianza. Negli altri casi l'identificazione, l'apprendimento di regole, il confronto e lo scontro vengono appresi dalla televisione, che rimane l'unica porta aperta per uscire, per vivere avventure, per provare emozioni.
    Dal punto di vista dei rapporti tra i sessi crescono le situazioni in cui ragazzi e ragazze convivono senza che a questa compresenza venga dato un significato educativo. Per i motivi ambientali elencati, spesso manca la stessa mediazione del gruppo dei
    pari che a quest'età tendeva alla separazione spontanea dei sessi.
    Per quanto riguarda l'attività sessuale, mentre continua a vivere i problemi di identità dovuti alla maturazione fisica, il preadolescente viene esposto ad un bombardamento di messaggi relativi alla sessualità che sembrano non favorire una maggiore consapevolezza sessuale, quanto piuttosto una sorta di desensibilizzazione. Le esperienze sessuali precoci appaiono più frequenti e probabilmente hanno un minore rilievo psicologico. È evidente che molte esperienze raggiungono, in questo senso, il preadolescente prima ancora che siano innestati quei processi di maturazione che producono la riflessione su se stessi e la ricerca di significati. Ciò non toglie che queste possano produrre successivamente crisi notevoli dovute alla difficoltà di costruirsi un sistema di valori di riferimento.

    LA NECESSITÀ DI AMBIENTI EDUCATIVI

    Abbiamo detto all'inizio che la preadolescenza è un'età di transizione, e che si tratta di una transizione breve. La maturazione fisica porta necessariamente in tempi brevi a quell'adolescenza che rischia invece di diventare «condizione».
    Questa transizione è legata ad uno stato di fragilità psicologica che risulta oggi accentuato da un contesto in cui il preadolescente appare più fragile ed indifeso, privo di riferimenti adulti, e quindi più esposto all'angoscia.
    La possibilità di aiutare i ragazzi non sta tanto in una accentuazione dell'intervento di supporto personale, ma nella creazione di ambienti e condizioni diverse, in cui vengano offerte possibilità di esperienze positive, cioè di costruzione di un continuum di esperienze che siano a un tempo il luogo dove si scoprono e si realizzano le capacità di progettare e fare.


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