Documento redazionale
(NPG 1986-06-4)
1. LA NOSTRA PROSPETTIVA: DALLA PARTE DELLA CHIESA «UNIVERSALE SACRAMENTO DI SALVEZZA»
1.1. Un approccio «limitato» ma «corretto»
Il termine «lontani» è ambivalente. Viene utilizzato solo per convenzione. Dire «lontano» è sempre un riferimento relativo: dipende dal punto di osservazione.
D'altra parte il problema esiste. La ricerca non può risultare né vaga né evasiva.
Di qui la doppia necessità di:
- precisare il campo di analisi e di progettazione, definendo una criteriologia capace di descrivere, interpretare e elaborare il fenomeno;
- procedere attraverso approcci successivi, privilegiando le realtà prioritarie su quelle più discutibili, le più concrete e verificabili su quelle più sfuggenti.
1.2. Dalla parte della comunità ecclesiale
Noi ci collochiamo in un ambito pastorale. Analizziamo il fenomeno dei «lontani» dalla parte di una comunità ecclesiale che si autocomprende come «universale sacramento di salvezza»: esiste perché «tutti» la possano cogliere come «appello di Dio» ad una decisione personale per il suo progetto di vita (= la salvezza).
Costatando l'esistenza di «lontani», la comunità ecclesiale è sollecitata a verificare la sua capacità di offrire un evangelo come «buona notizia» e di sostenere in esso una reale esperienza di fede. Essa è spinta a chiedersi: perché il suo annuncio non è considerato da molti giovani come significativo, come capace di saturare le domande che essi hanno? E perché molti giovani sembrano non avere nessuna domanda rispetto ad una dimensione dell'esistenza (come è quella «religiosa» ) certamente decisiva?
1.3. Fuori da ogni visione ecclesiocentrica
Questa coscienza sacramentale spinge la comunità ecclesiale a superare la tentazione di misurare la vicinanza/lontananza da sé come se fosse vicinanza/lontananza dalla salvezza di Dio. Si sente «al servizio» di un progetto più grande. Sa che l'accoglienza della salvezza nel profondo dell'esistenza è sempre più ampia e misteriosa di quello che essa è in grado di costatare.
Per questo analizza il «fatto» senza ansie e crisi.
La comunità ecclesiale riconosce infatti di operare per la salvezza solo in una logica di «mediazione sacramentale»: un segno che rende presente e nasconde, nello stesso tempo e nella stessa realtà..
Non è la causa della salvezza e neppure è in grado di assicurarla in modo assoluto e definitivo.
D'altra parte, la sua pretesa di essere «universale sacramento», la spinge a verificare continuamente il suo modo di porsi nei confronti della salvezza di Dio e degli uomini. Chi opera per la salvezza in modo sacramentale sa, infatti, che il segno potrebbe risultare tanto opaco rispetto al mistero, da chiudere l'accesso ad esso, invece di aprirlo. Per questo analizza con responsabilità il fenomeno della lontananza anche da sé: essa sa che la sua mediazione può rendere trasparente o opaca la forza di «buona novella» che essa è e annuncia.
2. CI SONO LONTANI
Anche se è difficile procedere per identificazioni rigide e schematiche, salta agli occhi il fenomeno: possiamo parlare a ragion veduta di «lontani».
Almeno a tre livelli che coinvolgono tutta la comunità ecclesiale, anche se con modalità diverse.
- Nei confronti di alcune evidenze etiche. L'educatore ha un suo progetto sull'uomo; non lo stima né assoluto né immodificabile, perché lo riconosce molto legato alla cultura del suo ambiente. Sa però che qualcosa di permanente attraversa ogni modalità culturale. Quando costata l'assenza di queste «evidenze», è spinto a definire «lontano» dalle sue attese la persona che vive così.
L'esemplificazione non è facile. Si pensi alla scelta della violenza, allo sfruttamento e all'egoismo, alla capacità di produrre morte...
Chi vive così è «lontano» dall'autenticità e dalla maturità umana.
- Nei confronti della «domanda religiosa». Si possono definire come «lontani» quei giovani che vivono, più o meno riflessamente, assenti o indifferenti rispetto ad ogni esperienza e domanda religiosa. Sono «lontani» coloro che non si pongono nessun problema su Dio e sui grandi interrogativi della vita.
- Ci sono poi «lontani» rispetto alla realtà della proposta ecclesiale.
Qui entra in campo l'accoglienza/rifiuto della funzione della Chiesa in ordine alla salvezza e alla dimensione religiosa dell'esistenza. Entra anche in campo l'accoglienza/rifiuto del progetto della Chiesa. Alcuni di questi giovani «lontani» lo sono anche soggettivamente; altri invece non si considerano assolutamente lontani, perché valutano con un modello diverso da quello ufficiale le esigenze dottrinali, istituzionali ed etiche.
La riflessione approfondita sul problema e sulle sue ragioni porta ad una conclusione che è importante sottolineare per la sua portata di provocazione pastorale. Nel nostro contesto culturale, «tutti» i giovani sono dei potenziali lontani, perché esiste una certa distanza culturale tra giovani e Chiesa e, di conseguenza, molti giovani possono, presto o tardi, prendere in qualche modo le distanze dall'istituzione ecclesiale e dalla sua proposta.
3. PER UNA INTERPRETAZIONE RIFLESSA DEL FENOMENO
Procedendo con approssimazioni successive verso una comprensione matura del fenomeno, sembra possibile descriverlo a tre differenti livelli.
3.1. Vicinanza/lontananza nel mistero di Dio
La parabola del fariseo e del pubblicano ci aiuta a penetrare nelle insondabili pieghe del mistero di Dio: si può essere «lontani» e considerarsi vicini; o essere vicini, perché ci si confessa «lontani».
In Gesù di Nazareth Dio si è fatto vicino ad ogni uomo, come proposta alla sua libertà e responsabilità: come dono che sostiene la possibilità di dare una risposta.
La decisione di accogliere/rifiutare questo dono attraversa il mistero della libertà di ogni uomo.
La risposta è sempre comunque inadeguata rispetto alla forza interpellante della proposta. Per questo tutti siamo «lontani» e tutti siamo in cammino verso un amore che ci ha già afferrati e ha già reso «vicini» quelli che la legge aveva identificato come «lontani». A nessuno comunque compete il diritto di interpretare fatti che restano indicibili.
3.2. Dal punto di vista della comunità ecclesiale
La comunità ecclesiale riconosce di non poter affrontare e definire il problema dei «lontani» utilizzando parametri valutativi precisi e sicuri. Essa intende rispettare pienamente il «mistero» d'amore e di libertà, in cui si scrive la vicinanza/lontananza da Dio e della salvezza.
La comunità ecclesiale non può però rinunciare alla sua funzione di mediazione sacramentale. Per questo, le compete il diritto e il dovere di «giudicare» il fatto della vicinanza/lontananza da sé.
Usa la criteriologia che è in grado di elaborare: strumentale e incerta, da una parte; concreta, ponderabile e di corretta approssimazione, dall'altra.
Alla ricerca di una criteriologia per interpretare il fatto, la comunità ecclesiale può utilizzare per esempio la seguente:
- verifica del livello di «appartenenza», in base a parametri oggettivi (sono «lontani» quelli che non esprimono domande religiose, quelli che non frequentano gli atti di culto, quelli che assumono comportamenti etici devianti) e a parametri soggettivi (percezione di una appartenenza piena, relativa, selettiva...);
- verifica del livello di «differenza» per verificare se essa è di tipo radicale (inconciliabile) oppure solo «culturale» oppure solo congiunturale;
- verifica del livello di «ortodossia» e di consapevolezza tematica con cui viene, espresso l'assenso di fede. L'assenso di fede, infatti, è sempre una espressione soggettiva, segnata dal limite di ogni affermazione che ha il soggetto come protagonista; questa decisione soggettiva deve però tendere a coincidere con la coscienza veritativa che la Chiesa possiede, soprattutto attraverso il «controllo» dei documenti e dei testimoni autorevoli. In questo senso è possibile e doveroso verificare l'ortodossia delle affermazioni di fede, pur rispettandone l'espressione sempre soggettiva. L'assenso di fede può essere espresso con gradi tematici diversi: dall'implicito e non ancora tematizzato all'esplicito e riflesso. Per questo è possibile anche verificare se la vita personale si muove in un orizzonte di fede (anche se in modo solo germinale) oppure se ne risulta lontana.
3.3. Dal punto di vista dei giovani
E importante costruire una tipologia di situazioni giovanili
Il fatto della «lontananza» può essere motivato su ragioni molto diverse. Gli interventi educativi e pastorali, finalizzati al suo superamento, vanno commisurati su queste differenti ragioni.
Pensando al nostro contesto culturale, proponiamo una tipologia costruita su queste posizioni.
- Ci sono dei «lontani» solo momentanei: si tratta di quei fenomeni, di natura prevalentemente psicologica, che caratterizzano l'adolescenza e prima giovinezza. Una certa «lontananza» è reale; ma facilmente superabile in presenza di condizioni educative e pastorali favorevoli. Può diventare patologica, al contrario, quando queste condizioni risultano latenti.
- Ci sono «lontani» perché sono stati «allontanati». Non si tratta certamente di allontanamento fisico e impositivo. Spesso è solo reattivo. Ci si allontana dalla istituzione ecclesiale e dalla sua funzione di attendibilità, perché si costata l'insignificanza pratica rispetto alla propria vita e alla relativa gestione di significati.
- Ci sono «lontani» di fatto perché si tratta di giovani «mai» socializzati nella istituzione ecclesiale. A differenza di quello che si poteva costatare fino a qualche decennio fa, molti giovani realizzano la socializzazione primaria e secondaria senza avere contatti significativi con l'istituzione ecclesiale. In questo caso, la lontananza è strutturale e non congiunturale.
- Ci sono «lontani» perché «indifferenti». Molti giovani di oggi vivono in questa situazione: sono concentrati su interessi e esprimono domande, lontane da quelle su cui è possibile ricostruire una esperienza religiosa integrata.
- Ci sono infine «lontani» per scelta positiva. Sono quei giovani che costatano riflessamente la distanza comunicativa tra le loro (eventuali) domande esistenziali e le risposte offerte (o presunte tali) della comunità ecclesiale.
Spesso la comunicazione risulta «senza messaggio», in tutte e due le direzioni perché i codici culturali sono molto diversi. Altre volte il rifiuto nasce dalla costatazione della poca (o troppo opaca) ortoprassi rispetto alla proclamata ortodossia.
4. CHE FARE?
Le «prospettive di soluzione» sono collocabili a due livelli: alcune riguardano il modo di essere della comunità ecclesiale; altre interessano i suoi progetti operativi.
4.1. Come condizione pregiudiziale
Per allacciare un dialogo tra Chiesa e giovani «lontani», è indispensabile verificare l'esistenza di una «domanda di comunicazione» anche da parte del potenziale interlocutore. Qui è il punto.
Esiste una domanda di comunicazione da parte dei «lontani» verso la Chiesa: verso l'istituzione in genere o verso «piccole» strutture? E se esiste, qual è il suo contenuto? C'è sintonia tra questo eventuale contenuto e quello che la comunità ecclesiale pensa praticabile?
Certamente non possiamo ridurre la soluzione del grave problema ad un modello di tipo solo lineare e responsoriale: se c'è domanda, ci può essere anche risposta; se domanda non c'è, non esiste possibilità di risposta.
Questo modello è inadeguato e scorretto.
Non basta però utilizzare metodi «forti»: proposte senza domanda. Nella normale situazione si allarga la distanza tra interlocutori. Si tratta invece di «verificare» quale domanda esista, come sia possibile accoglierla e eventualmente ampliarla.
Come si nota, è in causa una preoccupazione «educativa» irrinunciabile, nel gioco domanda - educazione della domanda - risposta: coinvolge i due interlocutori (giovani e Chiesa) in un impegno di trasformazione reciproca.
4.2. Sul piano generale
- In primo luogo il fatto va ricompreso in una nuova visione globale del significato e della missione della Chiesa. Si tratta di decentrare la Chiesa verso la storia quotidiana. Entrano in questione almeno tre riferimenti:
- la sacramentalità (salvifica) dell'esistenza quotidiana. Per questo la Chiesa riconosce la sua struttura «mediativa» rispetto ad una salvezza che la supera e la misura;
- la condivisione «laica» della storia di tutti anche da parte della Chiesa. Suo compito, in ordine al Regno di Dio, è il consolidamento e la costruzione di una speranza oltre ogni speranza, da costruire nella condivisione delle «gioie, tristezze, dolori e attese» di ogni uomo;
- la definizione dei compiti della evangelizzazione come manifestazione del significato più profondo della vita personale e della storia collettiva, nell'incontro definitivo con il Signore.
- Si richiede poi una rivisitazione della «struttura» delle concrete comunità ecclesiali. Almeno da due prospettive: quella culturale (per riesprimere l'evangelo in sintonia con l'esistenza quotidiana dei giovani d'oggi: tra profezia e sostegno alla speranza); quella prassica (per restituire alle concrete comunità ecclesiali quella «credibilità» spesso perduta).
- Un problema di fondo è quello dell'esito. «Dopo» aver avvicinato eventualmente i «lontani», cosa offriamo e chiediamo loro? Per quale progetto di esistenza cristiana sollecitiamo la loro decisione? Non possiamo ignorare che il cristiano oggi è chiamato a vivere in una società pluralista e complessa. Molti giovani non sanno dove sbattere la testa, quando cercano un modello vivibile di esistenza cristiana. Spesso sembra restare aperta solo l'alternativa: marginalità o integriamo.
- Se la situazione di «lontananza» attraversa e investe almeno potenzialmente tutta l'attuale condizione giovanile, per ragioni culturali e strutturali, il tema che stiamo affrontando richiede una soluzione globale. Una pastorale dei «lontani» è in ultima analisi un modo rinnovato di fare pastorale giovanile?
4.3. A livello operativo
Abbiamo raccolto indicazioni di principio: sono preziose per orientare il lavoro pastorale concreto; ma restano insufficienti. Devono essere tradotte in esperienze e metodologie.
Qui la ricerca resta veramente tutta aperta. Possiamo suggerire solo dei riferimenti attorno cui organizzarla ed elaborare proposte.
4.3.1. Il soggetto agente
Abbiamo studiato il problema dei «lontani» dalla parte della comunità ecclesiale per restituire ad essa la responsabilità prioritaria e irrinunciabile.
Questa scelta pone problemi concreti:
- la comunità ecclesiale attuale, come istituzione concreta (parrocchia, diocesi, movimenti e associazioni) ha le risorse sufficienti per tentare un dialogo con i lontani?
- questo impegno deve essere invece demandato ad alcuni operatori più liberi e mobili (movimenti di particolare sensibilità, sacerdoti che operano in situazioni di frontiera, i giovani per i giovani...)?
- come si raccordano questi «operatori di frontiera» con l'istituzione ecclesiale?
- è immaginabile il dialogo con i «lontani» governato da «liberi battitori»?
Suggeriamo alcune prospettive di azione.
- La comunità ecclesiale nel suo insieme reale è il vero ed unico soggetto. Ma non sembra avere attualmente le risorse sufficienti per un dialogo coni lontani. L'azione pastorale, in generale, è ancora molto «impacciata» da troppi limiti e condizionamenti.
Si richiede di conseguenza una doppia attenzione: riqualificazione della comunità nel suo insieme e considerazione degli «operatori di frontiera», come espressione in prima linea della comunità stessa.
- Un contributo importante può essere offerto dai movimenti e dalle associazioni: non sul criterio di una lottizzazione di compiti, ma sul versante di una reale missionarietà, progressivamente allargata a tutta la comunità.
- Tempi e luoghi di incontro e confronto con i «profeti», attraverso il ministero di discernimento del vescovo, per mettere tutta la comunità in situazione di «turbamento» missionario.
- «Inventare» luoghi di incontro e di ascolto con i «lontani» (spesso basta stare con loro, dove essi sono di fatto...), per esprimere «ascolto», accoglienza incondizionata, confronto. Luogo ideale sono le iniziative comuni «a favore dell'uomo»: volontariato, impegni comuni, progetti di intervento.
- Risultano importanti e riaffermati i luoghi tradizionali del servizio ecclesiale ai giovani (per esempio: oratori e centri giovanili) come spazi dove i «lontani» si fanno già vicini e dove si opera sugli interessi quotidiani e «laici» dei giovani, per la loro maturazione umana e cristiana.
4.3.2. Il soggetto destinatario
La ricerca va condotta tenendo conto di alcune variabili come:
- i soggetti «singoli»: la vicinanza/lontananza è un fatto che attraversa il gioco misterioso della libertà e responsabilità di ogni persona; resta quindi un problema individuale?
- esistono delle «categorie» sociali e/o culturali «lontane» per definizione? Quali sono oggi?
- nell'arco dell'esistenza di un uomo ci sono dei tempi privilegiati per scatenare fenomeni di allontanamento (il passaggio dell'adolescenza alla giovinezza?) e di avvicinamento (i primi passi della vita a coppia?)
- possiamo considerare questi dati come «strutturali», oppure in un tempo come il nostro è meglio non generalizzare?
Sembrano praticabili le seguenti attenzioni:
- Incontro e confronto attorno a «evidenze etiche» fondamentali e agli spazi di esistenza dove queste evidenze si esprimono o entrano in crisi (lavoro, sicurezza, affettività, pace, servizio ai poveri...).
- Esistono innegabili «situazioni privilegiate» nella vita di un giovane: in esse il contatto con il religioso è facilitato quasi strutturalmente. Rappresentano un momento speciale di incontri, contatto, proposta. Sono per esempio: il fidanzamento, la «festa dei 18 anni», preparazione al matrimonio, servizio militare o civile, il volontariato, tempi di malattia, di dolore, l'incontro con la morte, fatti di larga risonanza provocatoria...
- È importante la funzione dell'educatore nelle attività di tempo libero (sport...).
- Non si può dimenticare la funzione importante della famiglia e della scuola.
- Il gruppo giovanile è, come sempre, momento e strumento privilegiato.
- Una riflessione concreta e operativa non può dimenticare coloro che sono «lontani» per situazione strutturale: i giovani emarginati (drogati, carcerati, ad alto rischio) e i giovani che provengono da situazioni esistenziali anomale (zingari, emigrati). Per questi «lontani» si richiedono attenzioni e interventi speciali.