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    I linguaggi non verbali nel rapporto preadolescenti/genitori




    Marianna Pacucci

    (NPG 1986-09-70)


    Nell'era della razionalità, in cui i vari codici di comunicazione interpersonale sembrano obbedire a criteri di efficacia, economicità, universalità, l'analisi dei linguaggi non verbali, circoscritti all'ambito familiare ed al rapporto genitori/figli preadolescenti, può costituire una verifica sulle possibilità che almeno le esperienze affettivamente significative possano trovare canali espressivi più ricchi e suscettibili di una interpretazione personale liberatoria.

    LA PROSPETTIVA COMPLESSIVA

    Questa ipotesi va completata con una integrazione: in molti casi questa esperienza costituisce un'oasi, entro l'irrigidimento delle forme di interscambio, e contribuisce quindi ad evidenziare la frattura ed il parallelismo fra pubblico e privato, fra codici comportamentali ascrittivi ed acquisitivi.
    Lo scambio affettivo, in questo senso, non aiuterebbe a valorizzare e migliorare le altre forme di rapporto ed apertura agli altri che ogni persona vive, oltre le quotidiane relazioni familiari.
    È questa la prospettiva complessiva attra-
    verso cui leggere i pochi dati forniti dalla ricerca sui preadolescenti dell'ACR barese (1), i cui obiettivi conoscitivi sono in realtà orientati su altre valenze critiche.

    L'ORIZZONTE DELLA RELAZIONE GENITORI/FIGLI

    Per apprezzare meglio queste emergenze, è necessario ricostruire sinteticamente il contesto complessivo attraverso cui gentiori e figli esprimono i propri rapporti quotidiani, e quale tipo di attese maturino reciprocamente.
    Fra i ragazzi ed i loro genitori sussiste, in generale, un nesso abbastanza sereno e rassicurante, anche se non privo di tensioni:
    - gli adulti mirano a responsabilizzare i figli e questi a conquistare una propria autonomia: le due prospettive appaiono però spesso sfasate, nei tempi e nelle realizzazioni concrete;
    - la strategia per raggiungere questo obiettivo è per lo più quella del dialogo. Mentre però i genitori se ne servono in modo strumentale (come canale attraverso cui veicolare i contenuti educativi), i preadolescenti rivendicano una maggiore espressività, la possibilità di un incontro faccia-a faccia altamente personalizzato;
    - in generale, è presente una tensione alla integrazione e alla continuità della trasmissione educativa, che utilizza l'interazione positiva, relegando il conflitto a modalità occasionale di messa a punto di contenuti innovativi su cui attuare il processo di socializzazione delle nuove generazioni. A questi tre rilievi va aggiunto un dato di sfondo, che taglia trasversalmente le varie esperienze di rapporto. Raramente i genitori si pongono come coppia educante di fronte ai figli, ma tendono a spartirsi i compiti e a settorializzare l'intervento educativo, a seconda che si tratti di figli maschi o femmine.
    Il criterio dell'affinità sessuale segmenta gli atteggiamenti e i comportamenti, evidenziando come (stante il primato della madre nella quantità delle interazioni con i ragazzi) la qualità della comunicazione effettuata tenda a differenziarsi e a concentrarsi laddove si realizzi l'analogia padre/figlio e madre/figlia.
    In positivo ed in negativo, la riproduzione dei ruoli maschili e femminili costituisce il segno più evidente della continuità dei modelli della socializzazione familiare ed ambientale, e diventa pervasiva non solo del processo educativo, ma anche dello scambio affettivo.

    L'AFFETTIVITÀ DOMESTICA

    In questo orizzonte di contenuti e finalità della relazione educativa, la dimensione affettiva sembra essere piuttosto secondaria rispetto alla preoccupazione di «attrezzare» i ragazzi con un bagaglio di abilità, che sia utilizzabile in modo strumentale per il loro inserimento sociale.
    Per questo, alcuni aspetti problematici non sono neanche percepiti come tali.
    In generale, sia i genitori che i figli non fanno facilmente ricorso alle varie manifestazioni che esprimono l'affetto reciproco o, se questo accade, il tutto resta confinato all'assunzione di gesti consueti, poco arricchito in modo libero e fantasioso.
    L'affettività domestica sembra costituire una vena sotterranea, che non sempre trova canali adeguati per emergere. Ciò avviene soprattutto, paradossalmente, quando i ragazzi si trovano, nella loro crescita, nella delicata fase di transizione fra la perdita della acquisizione scontata e rassicurante della solidarietà vincolata al rapporto di sangue, e l'acerba emergenza di un rapporto più paritario, che richiede maggiore impegno per ricevere la fiducia degli adulti.
    Non a caso, più si cresce e più il ricorso alla immediatezza della espressione affettiva non verbale diventa «una cosa da bambini», qualcosa da cui liberarsi per affermare la propria autonomia dai modelli relazionali infantili precedentemente utilizzati.
    In questo meccanismo, poi, è importante ancora notare come i maschi, particolarmente, tendano a rigettare l'uso dei codici non verbali, percepiti in stridente contrasto rispetto allo stereotipo della mascolinità che il padre stesso evidenzia, veicolando una immagine culturale tuttora vincente all'interno della realtà ambientale.

    UNO SGUARDO AI DATI DISPONIBILI

    Le affermazioni ora espresse trovano riscontro in alcuni risultati derivanti dalla ricerca realizzata.

    Le manifestazioni di affetto

    Circa il 70% dei genitori è disponibile ad un rapporto «democratico» con i propri figli, richiedendo loro il parere su varie questioni e sollecitando l'espressione di bisogni ed esperienze.
    Solo 2 genitori su 5 usano però sorridere quando comunicano con i propri ragazzi, ed appena un quinto ed un sesto rispettivamente li baciano e accarezzano.
    I codici affettivi non verbali dei genitori tendono ad essere contratti gradualmente, a favore di forme comunicative legate al dialogo e all'interscambio paritario. Una maggiore permanenza degli atteggiamenti di tenerezza si registra nei confronti delle ragazze, verso le quali la famiglia manifesta un comportamento più protezionistico, anche a livello di apertura sociale.
    A questa impostazione dei genitori corrisponde il comportamento dei preadolescenti.
    I 3/5 dei ragazzi salutano al rientro da scuola ed i 2/3 di essi raccontano come è andata la gioranata, mostrando disponibilità a condividere la propria esperienza scolastica, anche perchè i genitori sono insistenti nella richiesta di informazioni.
    Solo un intervistato su cinque arriva ad un contatto affettivo più intenso, scambiando un bacio con i genitori.
    I preadolescenti sembrano dunque condividere l'idea che le effusioni d'affetto vadano ridimensionate, soprattutto se si è più avanti negli anni o se si appartiene al sesso maschile.
    Un dato curioso, nell'atteggiamento dei ragazzi, è invece rappresentato dal fatto che verso il padre si manifesti, in generale, una maggiore preferenza per l'interscambio affettivo. Da notare che verso questo genitore è più facile che i preadolescenti evidenzino sentimenti di indifferenza e/o di conflitto.
    Più che costituire un recupero delle tensioni in atto, il ricorso ad un rapporto espressivo sembra significare la difficoltà di impostare una relazione paritaria basata sul dialogo.
    In questo senso, questa utilizzazione del codice affettivo non è gratificante per nessuno, ma esprime una regressione o staticità verso modelli comportamentali infantili, che non vengono tematizzati e reimpostati in funzione della crescita dei ragazzi.
    Inoltre, va tenuta presente la spartizione funzionale fra padri e madri. La madre, più presente nella vita dei figli, esercita un ruolo di assistenza e controllo, «non ha tempo» per giocare con i figli e per scambi affettivi. Il padre è invece deputato a condividere il tempo libero dei figli, e sembra meno dominato da preoccupazioni educative e costrittive. Per questo può meglio assolvere alla funzione di assorbire la carica affettiva dei propri figli.

    Lo scambio dei doni

    La stereotipizzazione dei ruoli maschili e femminili, sia a livello adulto che fra i preadolescenti, è ugualmente presente nella logica che presiede allo scambio dei doni.
    Se i 3/4 degli intervistati sono soddisfatti dei regali che ricevono dai propri genitori, va detto però che per una metà del campione il dono ha la funzione di fornire al ragazzo di beni necessari (vestiario e materiale scolastico); per lo più esso è contrattato e/o rivendicato: talora deve controbilanciare la mancanza di attenzioni che molti genitori manifestano verso i ragazzi; spesso è un mezzo per far sentire i figli a proprio agio nel confronto con i coetanei e per esprimere le possibilità di consumo della famiglia. Nonostante questi limiti, il regalo fatto dai genitori ai figli è un modo di esprimere il loro amore, correggendo i disturbi di comunicazione che spesso impoveriscono il rapporto affettivo.
    I preadolescenti, anche in questo coerenti rispetto all'atteggiamento degli adulti, appaiono largamente disponibili (circa il 60%) a valorizzare quesa istanza, utilizzando abbracci e baci come risposte di gratitudine per il dono.
    Non facilmente però ricambiano il gesto, regalando a loro volta qualcosa. Ciò non solo è legato alla mancanza di autonomia economica, ma sembra esprimere la con-
    vinzione che lo scambio affettivo attraverso il dono debba rimanere asimmetrico. D'altro canto i ragazzi fanno dei regali ai propri genitori su scadenze formali: un terzo per compleanni ed onomastici, uno su cinque per la festa della mamma e del papà. Evidenziano, così, la loro incapacità di elaborare in proprio una strategia del dono come comunicazione affettiva, affidandosi a ciò che la cultura ambientale e la diffusione dei modelli consumistici hanno già codificato.
    Ancora una volta, i maschi ed i più grandi sembrano i meno propensi a condividere la comunicazione affettiva che i genitori affidano ad un regalo. Essi sono infatti più protesi a monetizzare e rivendicare i propri diritti; più critici verso ciò che gli adulti offrono; meno disponibili alla riconoscenza e comunque a ritenere il regalo un gesto di amore; più pronti a smascherare la funzione compensativa che un dono può comportare, quando vi sono delle tensioni relazionali.

    ALCUNE NOTE AGGIUNTIVE

    Le prospettive interpretative utilizzate nel commento ai dati riportati trovano conferma in altri atteggiamenti e comportamenti che i ragazzi ed i loro genitori mettono in atto.
    Tutto il sistema di aspettative reciproco evidenzia la volontà di liberarsi da modelli comportamentali infantili, per assumere una logica di interscambio intellettivo e razionale. I comportamenti dei ragazzi verso i valori della vita, nel rapporto con altre persone della famiglia, nell'esperienza di utilizzo dei mass media, confermano come la proiezione dell'adulto sia, per i preadolescenti di oggi, quella di una persona capace di ragionare, riflettere, esprimere opinioni; molto meno fare, agire.
    Questa immagine è tanto più forte quanto più la famiglia esprime e media i valori della «modernizzazione» ambientale; essa diventa un punto di riferimento costante per garantirsi la integrazione sociale, in un contesto culturale che emargina le forme della espressività.
    L'unica differenziazione sembra afferire al livello socio-culturale delle famiglie di appartenenza. Mentre nei gruppi più elevati
    c'è comunque un certo spazio per la libera interpretazione dei ruoli e delle funzioni parentali, nei ceti inferiori e in quelli medi l'adeguamento ai modelli sociali appare più vincolato, più rigido.
    Nel primo caso c'è cioè una tensione a recuperare l'affettività domestica e a separarla dall'itinerario della socializzazione complessiva, misurata sui codici culturali ambientali.
    Nel secondo caso, invece, è più difficile uscire dagli stereotipi: non solo per minore educazione critica, quanto soprattutto per non pregiudicare l'itinerario della integrazione ambientale, che la famiglia deve sforzarsi di incentivare, anche a costo di rinunciare alla propria libertà espressiva.
    È ovvio che da queste osservazioni non si può assolutamente concludere che i preadolescenti degli anni Ottanta siano affettivamente più poveri delle generazioni precedenti.
    La qualità ed intensità complessiva del rapporto affettivo fra genitori e figli non è in questo senso tematizzabile.
    È evidente però che il minore ricorso alla espressione dei sentimenti personali è un dato problematico, che tendenzialmente crea una sfasatura fra l'orizzonte affettivo interiore e l'esternalizzazione dei bisogni e delle disponibilità.
    Essenzialmente ciò può accadere perchè la riduzione dei comportamenti affettivi non rappresenta una scelta dei ragazzi, o un limite soggettivo della loro crescita, quanto una forma di autocontrollo indotta dai genitori a nome di tutto l'ambiente sociale.
    Se la logica della relazione affettiva viene impostata sull'adattamento acritico verso modelli esterni, è molto probabile che anche le altre dimensioni della socializzazione siano improntate allo stesso criterio.
    Questo è forse il dato più problematico che la ricerca lascia trasparire. La «saggezza» dei preadolescenti intervistati nell'accettare la continuità della tradizione educativa piuttosto che nell'incentivare conflitti e rivendicare autonomia, è forse il segno di una società statica, che brucia i germi del cambiamento impedendo loro di estendersi e proporsi all'intera collettività?

    NOTE

    (1) ORLANDO V. - PACUCCI M., Preadolescenti e famiglia. Inchiesta tra gli iscritti dell'ACR, in Responsabilità educatori ACR, n.5, febbraio 1986, pp. 16-53.


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