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    Fare ricerca nel territorio di animazione: come e perché /1


     

    Ricerca nel territorio

    Vito Orlando - Marianna Pacucci

    (NPG 1986-02-50)


    Ogni prassi pastorale si confronta con un'esigenza irrinunciabile: la conoscenza della situazione e della realtà specifica di coloro per i quali e con i quali si svolge.
    Questa esigenza di conoscenza ha fatto un po' la fortuna delle scienze sociali nell'ambito ecclesiale e ha moltiplicato le ricerche e le indagini, come passo previo ad ogni impostazione pastorale.
    Spesso, tuttavia, abbiamo visto spegnersi il fervore iniziale e morire per strada ricerche ben avviate: il volontarismo su cui si fondavano è apparso insufficiente e un po' velleitario. Altre volte la tenacia degli esecutori ha portato ad una serie di percentuali che non si sapeva bene quale luce potessero apportare alla realtà. Quando invece sono intervenuti i tecnici, le conclusioni del loro lavoro sono apparse piuttosto incomprensibili e, nel caso migliore, il lavoro ha portato a qualche libro in più per le biblioteche.
    Vi sono varie spiegazioni di questo stato di cose. Anzitutto l'autosufficienza, che si traduce nella rudimentalità degli strumenti di lavoro e nelle scelte tecniche inadeguate, e la poca valutazione dell'effettivo lavoro richiesto da una ricerca: tutto ciò fa spesso intraprendere iniziative destinate al fallimento o che risultano comunque incapaci di produrre una conoscenza valida.
    Vi è poi quell'insieme di pregiudizi e riserve mentali che relegano le discipline e le conoscenze sociali a un ruolo puramente strumentale, e che rendono ancora piuttosto arduo realizzare una vera integrazione tra ricerca e operatività pastorale: basta vedere la difficoltà di un confronto o di un lavoro in équipe tra pastoralisti, teologi e scienziati sociali.

    PERCHÉ SI FA RICERCA? CONOSCENZA E OPERATIVITÀ NELL'ORIZZONTE DELL'ANIMAZIONE

    Se questa è la situazione, il problema di fondo non è quello di imparare soltanto a fare ricerche (cosa che pure è importante), ma di mettere in chiaro lo strettissimo rapporto reciproco che, in ogni attività pastorale ed educativa, vi è tra «conoscenza» e «operatività» o, se si vuole, pur con terminologia inadeguata, tra momento «teorico» e momento «pratico».
    Probabilmente l'animatore interessato immediatamente alla pratica riterrà astratto tutto questo discorso: non ci meraviglia allora quella miopia e ristrettezza di vedute che spesso si rimprovera, al di là delle rette intenzioni, a chi «lavora sul campo».
    Riteniamo importanti e preliminari i seguenti tre argomenti.

    Il momento «conoscitivo»: significato, importanza, condizioni

    Il ruolo incerto della conoscenza e gli atteggiamenti problematici nei suoi confronti in ambito ecclesiale esigono che venga offerta una prospettiva di comprensione del significato e delle condizioni della conoscenza. La conoscenza sociologica, di cui intendiamo parlare, stimola l'operatore pastorale a calarsi nella realtà e ad assumere l'ottica del bisogno come risposta alla provocazione concreta che gli rivolge la stessa realtà: bisogno inquadrato in un contesto più ampio di condizioni di vita, che possono favorire o ostacolare la maturazione individuale e l'integrazione nella comunità ambientale.
    Tale ottica porta l'animatore a «fare centro» sull'esperienza quotidiana e sulle coordinate della stessa, per avviare una riflessione nella quale ciò che si conosce diventi stimolo per l'intervento pastorale, e questo a sua volta costituisca un contenuto di ricerca e di approfondimento culturale. Viezie così evidenziato il nesso tra bisogni conoscitivi e bisogni operativi, nell'individuazione di una identità comune che consente di creare una partecipazione allargata all'esperienza socio-religiosa.
    Ma a quali condizioni si può realizzare una conoscenza capace di far maturare scelte pastorali efficaci?
    Ne indichiamo alcuni.
    Anzitutto l'umiltà conoscitiva. Essa sa fare tesoro di quanto esiste già, senza rinunciare alla specificità del proprio approccio e delle proprie categorie culturali; rende disponibili al confronto e alla verifica.
    In secondo luogo: imparare a porsi le domande giuste. Tale sensibilità conoscitiva può essere affinata in vari modi:
    - cercando di non settorializzare mai l'unitarietà con cui ci si offre una certa esperienza. Se la condizione giovanile è un caleidoscopio di situazioni e problemi, essi sono però strettamente legati fra loro. Si può richiamare in primo piano un tema di particolare interesse, ma sempre ricercando i nessi che esso ha con le altre sfaccettature della situazione di vita dei giovani;
    - andando al di là delle ovvietà e delle apparenze, sforzandosi di risalire sempre alle possibili cause di particolari fenomeni e alle motivazioni più profonde dei vari atteggiamenti;
    - sforzandosi di lasciar emergere tutte le sfumature presenti in un certo comportamento, facendo attenzione ai nodi problematici della condizione giovanile, ma anche recuperando le risorse potenziali, magari latenti, mediante le quali i giovani possono diventare protagonisti innovativi della loro esperienza;
    - evitando infine di porsi immediatamente il problema di giudicare concezioni e comportamenti. La conoscenza deve precedere e prescindere dal piano delle valutazioni etiche, se non vuole forzosamente essere incanalata e divenire così inefficace.
    Ciò non vuol dire che lo sforzo conoscitivo sia moralmente neutro e asettico; significa invece che nell'analisi di una situazione occorre molto realismo e molta passione allo stesso tempo, per poter rispettare l'oggetto della propria conoscenza.
    In ultimo: sentirsi parte dell'universo conoscitivo. L'animatore di un gruppo di giovani non è esterno e estraneo all'esperienza dei giovani stessi. Per questo è giusto che metta in gioco se stesso come parte integrante di quel sistema vitale che si sta sforzando di conoscere. La realtà giovanile non è infatti qualcosa di statico; i suoi dinamismi sono provocati anche dal tipo di reazione che i giovani manifestano di fronte agli stimoli più svariati a loro indirizzati.

    Quale rapporto tra operatività e conoscenza?

    Il punto di partenza per la conoscenza di una realtà - nel nostro caso la condizione giovanile - è dunque dato dai bisogni dei giovani, che un attento operatore ecclesiale deve saper cogliere per organizzare corrette risposte ed offerte pastorali.
    Affermare questo vuol dire sancire che la conoscenza della situazione deve divenire una parte integrante e permanente della progettazione e dell'intervento pastorale.
    Più semplicemente, la conoscenza è già una forma di servizio, proprio perché contribuisce a qualificare l'offerta ecclesiale per una promozione più autentica della personalità dei giovani.
    Per questo è necessario che il lavoro conoscitivo venga effettuato secondo uno schema logico «circolare», che saldi i bisogni conoscitivi ed operativi e li renda interdipendenti (cf pagina seguente).

    Le dimensioni dello schema

    La rappresentazione schematica del modello logico circolare sul rapporto tra bisogni conoscitivi ed operativi, evidenzia l'intersecarsi di due dimensioni, sovrapposte sulla situazione ambientale nella quale si opera.
    La dimensione conoscitiva assicura, entro questo spazio, la possibilità di porsi di fronte all'oggetto da studiare avendo a disposizione:
    - le impostazioni teoriche più corrette ed adeguate rispetto al problema che occorre analizzare;
    - una metodologia rigorosa, per l'individuazione, la quantificazione e la qualificazione dei vari fenomeni;
    - la possibilità di contestualizzare i vari aspetti di una situazione, in modo da cogliere i nessi fra le diverse manifestazioni con cui si esprime la condizione giovanile. Attraverso queste caratteristiche, l'impegno pastorale può essere impostato ed organizzato a partire da un solido retroterra di motivazioni, e con la prospettiva di poter prevedere e verificare l'esito delle varie scelte ed azioni.
    La dimensione operativa invece consente di:
    - individuare la priorità logiche e/o problematiche su cui gerarchizzare i diversi momenti della conoscenza;
    - scegliere le diverse strategie attraverso cui rendere efficace l'impegno conoscitivo per tutti coloro che ne sono protagonisti o destinatari.
    In questa maniera è possibile assicurare una immediata pubblicizzazione e fruibilità dei contenuti delle varie analisi, oltre che una democratizzazione del processo conoscitivo.

    Alcuni aspetti meno evidenti dello schema

    Ai margini della relazione di circolarità vi sono le scritte «organizzazione territoriale» e «comunità ecclesiale locale». Sono collocate in una posizione contrapposta perché di solito esse sono percepite in contrapposizione.

    1986 0001
    Nel modello di circolarità si vuole evidenziare lo sforzo di collegare l'aspetto ecclesiale con quello civile.
    Oltre al gioco di interazione tra momento conoscitivo e operativo, va notato come la rappresentazione dello schema comporti alcuni altri aspetti utili per l'impostazione del lavoro concreto.
    Il ricorso al simbolo circolare nella raffigurazione grafica ha un valore piuttosto preciso. Innanzitutto esso evidenzia come non esista una priorità fra momento di studio e intervento pastorale; le due realtà si sostengono e si stimolano a vicenda.
    Le frecce più esterne indicano la circolarità dinamica tra la dimensione conoscitiva e quella operativa; quelle più interne precisano che l'interdipendenza si realizza concretamente fra i diversi aspetti dei due momenti.
    La sintesi dei due momenti, inoltre, suppone che possa realizzarsi quanto meno un efficace interscambio fra ruoli pastorali e ruoli di ricerca.
    Non sempre è possibile che queste due funzioni di servizio coincidano in termini di persone; spesso infatti il ricorso ad «esperti» può apparire inevitabile. E' importante però che chi interpreta l'uno o l'altro ruolo non si senta estraneo ai problemi dell'altro, ma cerchi di lavorare in sintonia.

    Per integrare conoscenza e intervento: la dimensione del territorio

    La schematizzazione del rapporto tra conoscenza e intervento pastorale presuppone infine che vi sia una base comune di confronto e di impegno non solo fra queste due funzioni, quanto soprattutto fra protagonisti e destinatari dell'animazione giovanile. Se l'ambizione è quella di voler analizzare - per poter poi incontrare - l'intero arco della condizione giovanile, e non solo quella porzione ristretta di giovani che consapevolmente scelgono di fare un'esperienza di aggregazione ecclesiale, è necessario allora trovare una identità comune minimale nella quale possano avere spazio fisionomie giovanili.
    Ed è anche importante cogliere le varie articolazioni dell'esperienza quotidiana, che si realizzano proprio a partire dalle possibilità ambientali. Il rapporto con il lavoro, lo studio, la costruzione di una rete di relazio-
    ni amicali, sono tutti momenti che il giovane può vivere a partire dalle condizioni strutturali e culturali del proprio contesto di vita. Tutto il processo di integrazione sociale, che unifica i vari itinerari giovanili, presuppone la esistenza e la vitalità dell'ambiente.
    Passando da questo concetto generico ad uno più specifico e storicizzabile, si può dire che il territorio costituisce il terreno concreto e la categoria logica su cui innescare questa sintetizzazione.
    La dimensione del territorio è infatti particolarmente significativa per cogliere gli orientamenti principali dell'esperienza giovanile. Perché la realtà ambientale è:
    - il luogo in cui si esplicitano i comportamenti dei giovani, anche se in modo frammentario e differenziato, attraverso la utilizzazione dei vari canali ed itinerari che la società locale offre per l'integrazione delle nuove generazioni;
    - la fucina culturale che crea orientamenti per la formazione di concezioni e di atteggiamenti, sia di tipo conservativo, sia di tipo innovativo: il confronto con gli adulti, l'assimilazione della loro memoria storica, il conflitto intergenerazionale, sono tutti momenti particolari (e non solo privati) attraverso cui il giovane cerca di reimpostare il proprio rapporto con l'ambiente e di adattarsi ad esso;
    - la rete su cui si intersecano i nessi fra condizione giovanile e caratteristiche complessive del sistema socio-culturale ambientale; esse strutturano infatti l'orizzonte degli spazi e delle possibilità al cui interno il giovane può conquistare un suo ruolo sociale.
    Rispetto ai giovani, il territorio è infine il campo su cui si realizzano le molteplici relazioni fra collettività civile e comunità religiosa, di cui l'animazione giovanile costituisce un ambito specifico di interscambio. Partire dal territorio significa, allora, per l'analisi conoscitiva, poter leggere la specificità ed allo stesso tempo la complessità della condizione giovanile in rapporto ad altre dimensioni dell'organizzazione socioculturale; per l'intervento operativo invece costituisce il metro di misura per centrare l'obiettivo della fedeltà all'uomo, parte integrante di una corretta azione di evangelizzazione.

    COME SI FA RICERCA

    Veniamo ora, dopo queste prime pagine che riteniamo bagaglio teorico (ma non troppo teorico) per l'animatore, a quella che più propriamente viene considerata la metodologia pratica, che in genere si ritiene più utile.
    Nel fervore attuale delle ricerche, il problema del «come», del «metodo» sembra piuttosto svalutato. O perché si pensa che basti preparare qualche domanda da fare ad un certo numero di persone per ottenere quello che si vuole; o perché si mettono in campo apparati mastodontici, pensando che ciò sia sufficiente per ottenere una conoscenza scientifica.
    Il problema del metodo è un po' «croce e delizia» non solo per i «volontariati ingenui» della conoscenza sociale, ma per gli stessi sociologi di professione.
    Non vogliamo addentrarci nei labirinti delle problematiche metodologiche. Il nostro intento è quello di offrire delle indicazioni utili a coloro che, non essendo specialisti e non avendo possibilità di far ricorso ad essi, decidano di mettere in campo una piccola ricerca, magari solo a livello locale o settoriale.

    Qualche avvertenza preliminare

    La ricerca è un processo di conoscenza (analisi e riflessione) che riguarda un problema o un fenomeno sociale, colto nel contesto della sua manifestazione.
    Ma chi la avvia, non si limita alla semplice conoscenza né può fermarsi ad essa: vi è un indiscindibile legame con la dimensione operativa, cioè quella di intervenire sulla realtà, forse anche di cambiarla.
    Così, un gruppo di animatori (o un animatore con il suo gruppo) che decide di fare ricerca, deve tenere presente che la ricerca lo porta:
    - a vedere in modo nuovo la realtà;
    - a diventare attore nella realtà, entrando in interazione con essa;
    - a rendersi più consapevole della propria posizione e delle possibilità operative che si offrono a partire dalla propria posizione nella realtà.
    Gli animatori allora avranno chiaro il significato di quello che si apprestano a fare. La ricerca:
    - non è solo un servizio per qualcuno;
    - non è solo una conoscenza che fa rimanere spettatori;
    - provoca invece a diventare protagonisti dell'innovazione, cominciando col cambiare se stessi.
    Capire questi significati e queste motivazioni non è irrilevante per la realizzazione della stessa ricerca.
    Cominciamo ad esemplificare.
    Studiare la realtà giovanile vuol dire non solo occuparsi di tutta quanta la condizione dei giovani in un certo ambiente, ma anche valorizzare, a livello conoscitivo, tutte le possibili forme di interscambio fra i giovani e le comunità. Il lavoro degli animatori diventa in tal modo parte integrante delle riflessioni interpretative sui giovani.
    In questo modo la lettura della situazione può cogliere una realtà dinamica di dialogo e/o di conflitto.
    Indubbiamente questa prospettiva è molto più interessante rispetto alla scelta di guardare all'universo giovanile come una realtà statica ed indifferente alle stimolazioni delle varie agenzie sociali presenti nell'ambiente.
    Anche se, molto probabilmente, rende più complessa la formulazione di un piano di ricerca e problematico l'impegno operativo.

    LE PRIME FASI DI UNA RICERCA

    Ciò che abbiamo detto finora fa già parte del metodo. Serve infatti a creare mentalità e modalità di approccio alla realtà a livello di atteggiamento.
    Ora, tuttavia, vogliamo illustrare meglio le fasi fondamentali di una ricerca sociale, chiarendone soprattutto il significato e le modalità del passaggio da una all'altra, pur offrendo soltanto indicazioni generali e regole fondamentali di metodo.
    Il tutto, nella prospettiva di una integrazione fra momento conoscitivo e operativo, che vede l'impegno degli animatori come soggetto e oggetto allo stesso tempo delle analisi realizzabili.

    Precisare il «che cosa»

    Di fronte a certe proposte di ricerca, spesso non si può fare a meno di restare strabiliati. Con facilità estrema si fanno enunciazioni di tematiche che richiamano una vastità enorme di argomenti.
    L'oggetto della ricerca, il «che cosa», va precisato, delimitato, concretizzato. Deve cioè essere chiaro, rientrare in confini precisi e essere facilmente osservabile in fatti concreti. Anche quando si partisse da un aspetto tematico teorico, questo deve essere ricondotto a dimensioni concrete e osservabili.
    All'interno del gruppo, la precisazione dell'oggetto ha già un valore importante, perché consente di rendersi conto del problema, dei suoi aspetti, delle modalità di espressione e di approccio. Serve a creare maggiore sensibilità al problema e al significato che può avere l'affrontarlo. In questo confronto si verificano anche gli atteggiamenti, gli interessi, le motivazioni presenti nei singoli.
    Poniamo, per esempio, che si voglia studiare la dimensione della amicizia dentro l'esperienza quotidiana dei ragazzi.

    1986 0002
    Una possibile sequenza per delimitarne il contenuto, centrando l'oggetto ma senza estrapolarlo dal suo contesto tematico, potrebbe essere il seguente.
    Il riferimento contestuale deve stimolare anzitutto la comprensione dell'attenzione e del significato che assume l'amicizia nell'educazione di base. Partendo dalla prospettiva più globale (processo educativo) e passando per l'itinerario di socializzazione (quello messo in atto nel contesto), bisogna cogliere le aspettative dell'ambiente a partire dalla disponibilità all'amicizia realizzata nella crescita. L'esperienza di amicizia infatti è relativa all'educazione e alle caratteristiche della stessa nell'ambiente.
    L'attenzione all'oggetto immediato parte dall'esperienza quotidiana e con successivi approfondimenti verifica le motivazioni e i valori che possono essere contenuti nella stessa esperienza.
    L'uno e l'altro aspetto dovrebbero condurre alla ricostruzione dell'itinerario finale che tende a modificare l'educazione di base, le motivazioni e i valori che guidano l'esperienza immediata.
    Una sequenza di questo tipo consente di leggere una particolare realtà (l'amicizia) nelle sue espressioni fattuali e come atteggiamento culturale-ideale. Simultaneamente, attraverso le esperienze e le motivazioni, è possibile inquadrare le aspettative/disponibilità affettive e relazionali, cogliendo le implicazioni che questa dimensione comporta nel processo educativo e di socializzazione.
    All'interno del gruppo degli animatori responsabili di questo momento conoscitivo, dovrebbe essere possibile, data questa chiarificazione sugli eventuali contenuti dell'oggetto proposto e sui suoi riferimenti di contesto, evidenziare quali aspetti privilegiare nell'analisi empirica e come ricondurli ad un quadro interpretativo corretto.

    Informazioni e individuazione di prospettive interpretative

    La sola precisazione dell'oggetto non basta per avviare la ricerca sul campo. Se lo si facesse subito, esso apporterebbe soltanto una raccolta di dati che non si saprebbe come valorizzare.
    E' più logico, più corretto e più efficace chiedersi, dopo la chiarificazione dell'oggetto, che cosa esista già su di esso; quali studi, quali ricerche esistano, anche se riferite ad altri contesti.
    Questo è anche un atteggiamento di umiltà conoscitiva, in quanto la conoscenza non comincia con noi...
    ^ La raccolta di informazioni sull'oggetto (consultando fonti e, se proprio non ne esistano, colloquiando con testimoni significativi) deve facilitare la sua comprensione, il confronto con le interpretazioni date, l'accostamento di queste alla situazione e al contesto in cui opereremo.
    Materiale disponibile sulle varie componenti dell'esperienza giovanile italiana ce n'è in gran quantità. Pensando anche solo alle fonti scritte, facilmente rintracciabili in libreria o in biblioteca, è possibile ricostruire sinteticamente le caratteristiche tipologiche, mediante cui rendere più agevole il confronto preliminare con la proprio ricerca. Un criterio approssimativo ma utile per catalogare questo materiale può essere il seguente (cf a fondo pagina).

    1986 0003
    Fra tutte le fonti recuperabili, vanno ovviamente prese in particolare considerazione quelle più vicine nel tempo e nello spazio rispetto al proprio lavoro di ricerca; quelle per le quali più è evidenziabile un nesso fra il tema scelto e gli altri aspetti su cui si articola il contenuto dello studio.
    ^ Tutto questo lavoro di accurata informazione, riflessione e confronto deve portare alla formulazione di ipotesi di lavoro che indichino la prospettiva di interpretazione del valore, del significato, della stessa situazione del problema che ci si è posto.
    Non è inutile spendere ancora qualche parola su questa fase della ricerca, data la sua importanza. Da essa infatti dipende tutto ciò che segue. Se si individua bene la strada per capire come stanno le cose, si guadagna tempo e si hanno garanzie di validità e di efficacia. L'ipotesi è questa strada; è un'anticipazione di come potrebbe essere spiegata la situazione; senza di essa tutto potrebbe risultare quasi inutile.
    L'ipotesi può essere punto di partenza, ma può essere anche la conclusione a cui giunge una ricerca.
    Vi sono delle indagini che hanno un carattere esplorativo, in quanto non si hanno fonti, o esse non sono significative per l'ambiente. Si può allora decidere di fare una ricerca per raccogliere queste informazioni, esplorando la realtà e riflettendo sui dati, per giungere almeno a ipotizzare i motivi di certe situazioni e fenomeni. A volte questi sondaggi sono previ ad una vera e propria ricerca e servono da supporto alla individuazione delle ipotesi.
    Conviene ancora sottolineare che in una ricerca vi possono essere anche più ipotesi: una generale e altre particolari; oppure ipotesi diverse, tra loro correlate, in riferimento alle varie dimensioni dell'oggetto in esame.
    Ciò che conta è che ogni ipotesi risulti il più chiara possibile, sia nei termini che nei concetti; che sia racchiusa in una frase semplice in cui l'oggetto di conoscenza e la soluzione individuata risultino in rapporto di interdipendenza; che sia verificabile a livello empirico.
    Un esempio sul tema già accennato, giovani e amicizia.
    Ipotesi generale: «Oltre che a motivi di ordine psicologico, l'esigenza di avere amici corrisponde, nel giovane, al bisogno di realizzare in forme più immediate ed espressive un processo di integrazione sociale, che per altri aspetti risulta piuttosto controverso e non sempre positivo».
    In questa ipotesi si fa riferimento ad alcune categorie interpretative che devono esser ben chiare: bisogno, integrazione sociale. Solo dopo aver preliminarmente compreso queste, è possibile sviluppare alcune ipotesi particolari, tipo:
    - «Il bisogno di amici è più forte nelle categorie giovanili "deboli" (ragazze, giovani avviati precocemente al lavoro, giovani con bassa scolarità...), e per le quali è più difficile inserirsi nella società con ruoli apprezzabili».
    - «Il valore dell'amicizia è più sentito in quei contesti socioculturali nei quali il giovane ha meno opportunità di integrazione».
    - «Le motivazioni a fare esperienze di amicizia aumentano quanto più nell'ambiente è svilito il rispetto della persona». Come si può notare, le varie ipotesi elencate non solo contribuiscono a chiarire alcuni aspetti del rapporto giovane/amicizia, ma in qualche modo raccordano l'oggetto immediato della ricerca con i suoi riferimenti contestuali.
    A conclusione di queste prime fasi, diciamo che un oggetto concreto deve trovare modalità empiriche di analisi e di interpretazione.


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