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    Cultura e comunicazione



    Dizionario dell'animazione /6

    Mario Pollo

    (NPG 1986-04-62)


    L'uomo è fatto, è intessuto dalla comunicazione.
    Il suo essere è costituito, fondato, dalla comunicazione.
    L'assenza di comunicazione è assenza di uomo.
    L'uomo, infatti, vive scambiando materia, energia e informazione, con l'ambiente naturale e sociale.
    Quando si nutre, quando agisce, quando pensa, di fatto comunica con la natura, con gli altri e con se stesso.
    La comunicazione non è solo quella delle informazioni, ossia delle parole e degli altri tipi di segno.
    La comunicazione è anche quella dello scambio di materia, ovvero di beni e di servizi che è oggetto dell'economia.
    Allo stesso modo è comunicazione anche quella che avviene nell'amore attraverso la sessualità e la procreazione.
    La comunicazione nelle sue tre forme (economica, genetica e informativa) è, tra l'altro, anche l'esclusivo tessuto connettivo della vita sociale.
    Si può addirittura affermare che la vita sociale, al pari di quella individuale, senza una sola di queste forme di comunicazione non potrebbe esistere, nemmeno come ipotesi.
    Queste tre forme di comunicazione sono il segno del vivente.
    Tutto il vivente esiste all'interno di queste tre forme di comunicazione.
    L'uomo si differenzia dalle altre forme del vivente perché possiede, unico, oltre ad un modo di comunicare informazioni del tutto particolare, il linguaggio simbolico, un «qualcosa» che, addirittura, organizza e ordina tutti e tre i tipi di comunicazione.

    L'UOMO E LA CULTURA

    Negli animali, come ancor più nei vegetali, le tre forme di comunicazione sono collegate da un principio ordinatore che ha sede solo nel patrimonio genetico ereditario dell'individuo, in un programma rigido, biologicamente determinato.
    Nell'uomo la situazione è differente.
    Egli, infatti, possiede una sorta di grammatica a cui tutte e tre le forme di comunicazione (economica, genetica e informativa) rispondono. Questa grammatica è la cultura.
    Come ho avuto più volte modo di affermare, la parola cultura designa una sorta di codice che consente alle persone che vivono all'interno di un dato gruppo sociale di comunicare con se stesso, con la società e la natura.
    In altre parole questo significa che la cultura può essere pensata come un complesso di regole e di modelli che consente agli individui umani di produrre comportamenti, manufatti, idee e valori. Qualche semiologo ha paragonato la cultura ad una sorta di intelligenza collettiva, ad un sistema cioè per la produzione di quei tre tipi di scambio che sono alla base di ogni vita sociale. La cultura condiziona, perché fornisce le regole ed i modelli, i comportamenti sociali di ogni individuo.
    Nell'uomo, quindi, non è il codice biologico, ma la cultura ad ordinare e regolare la sua attività comunicativa.
    Si può allora affermare che la comunicazione non è che la cultura in atto.
    Ogni comunicazione è l'inverarsi concreto della cultura in un dato luogo ed in un dato momento storico.
    Rimanendo all'interno di questa logica si può definire la cultura anche come l'insieme di tutte le forme di comunicazione, potenzialmente possibili, in un certo gruppo sociale.

    IL LINGUAGGIO SIMBOLICO

    La cultura è l'elemento specifico della vita umana anche perché utilizza, per strutturarsi e divenire cosciente a se stessa, la forma di comunicazione che è lo specifico per eccellenza della vita umana: il linguaggio simbolico. Questo linguaggio ha la sua massima espressione nella lingua strutturata intorno al miracolo della parola. Il linguaggio simbolico, come ho più volte avuto modo di dire, è quello che utilizza dei segni che hanno un significato che non è determinato dalla loro forma materiale. Tra il suono, o la forma grafica, della parola acqua, ad esempio, ed il suo significato,non vi è alcun legame che non sia quello di una convenzione sociale. In più il linguaggio simbolico non può che essere appreso da altri uomini. Non può cioè essere trasmesso per via ereditaria a livello genetico, come avviene negli animali per il loro linguaggio (non simbolico) Infine, il linguaggio simbolico non si limita a fare da nomenclatore, a indicare convenzionalmente degli oggetti attraverso i segni. Esso costruisce anche dei significati, cioè delle vere e proprie esperienze culturali che vengono generate dal suono delle parole o da altri segni.
    La parola mela non indica solo la classe degli oggetti mele, ma anche l'esperienza del gruppo sociale e della persona che parla di quell'oggetto, la mela appunto.
    Comunicazione, cultura e linguaggio simbolico sono, insieme, l'ordito che fissa l'ambito del comportamento, dell'azione e del pensiero degli esseri umani.
    La cultura è un organismo dinamico e non uno statico deposito di cose e informazioni, per cui essa è soggetta a processi che la trasformano.
    Questi processi possono essere sia evolutivi che involutivi, possono cioè far crescere e maturare la cultura, come farla regredire verso livelli più primitivi.
    Essendo la comunicazione la cultura in atto, i processi che modificano la cultura
    sono quelli legati ai singoli atti comunicativi dei membri di una data cultura sociale. Ogni comunicazione, anche quella che avviene nel più sperduto e remoto luogo della società, modifica, magari di poco, la cultura. Occorre però dire che ci sono modificazioni della cultura che non la cambiano se non nell'apparenza.
    Molte comunicazioni servono a conservare la cultura identica a se stessa.
    Può rientrare qui il detto: «più si cambia e più è la stessa cosa». Ogni persona è un piccolo ma significativo protagonista della vita della cultura. C'è chi con i suoi comportamenti comunicativi dà un contributo in senso evolutivo, chi lo dà in senso involutivo e chi, più semplicemente, in senso conservativo.
    Modificando la cultura le persone modificano anche se stesse. Non si può, infatti, pensare che una persona che contribuisce a far regredire la cultura non subisca essa stessa una regressione a livello personale. Se l'uomo è intessuto di comunicazione allora le comunicazioni di tipo regressivo non possono che avere effetti negativi sulla sua persona.

    L'ANIMAZIONE È ANIMAZIONE CULTURALE

    Da quanto finora detto non risulta difficile comprendere perché si parla di animazione culturale e non semplicemente di animazione. Qualsiasi progetto, che abbia l'intenzione di occuparsi della formazione della persona nella sua globalità, non può non tenere conto del fatto che le trasformazioni dell'individuo sono interrelate con quelle della cultura.
    Infatti, modificando la cultura si modificano profondamente le relazioni che le persone hanno con se stesse, l'ambiente naturale e la società.
    Allo stesso modo, modificando i processi di comunicazione che le persone sviluppano, si cambia la cultura.
    Quindi, operando l'animazione sui gruppi, che non sono altro che complessi sistemi di comunicazione tra le persone, non si può prescindere in alcun modo dalla cultura. L'animazione mette al centro della sua azione una persona che è designata, mentre allo stesso tempo la disegna, dalla cultura in un processo permanente.
    Una persona, cioè, che vive un precario ma creatore equilibrio tra la propria dimensione individuale della personalità e quella collettiva della cultura.
    Dove l'esperienza collettiva non distrugge l'individualità ma, anzi, la rinforza e dove, nello stesso istante, l'esperienza individuale contribuisce alla creazione di una più evoluta e libera vita sociale. L'animazione mette al centro della sua azione la costruzione di questo equilibrio tra individuale e collettivo, perché sa che solo il suo raggiungimento rende possibili tutti quei processi necessari alla realizzazione degli obiettivi dell'animazione.

    LA CULTURA TRA SALUTE E MALATTIA

    La cultura, come tutte le cose di questo mondo, può essere sia un bene che un male per le persone che la abitano. Tutto dipende dalla sua configurazione, da ciò che è e da ciò che può divenire.
    La cultura può ammalarsi, divenire fonte di patologie e, quindi, di distruttività per gli individui.
    Può, ad esempio, impedire la loro emancipazione individuale, può farli soggiacere a perverse logiche di potere, può indurli a distruggere la propria vita mettendo al centro delle loro aspirazioni obiettivi che, con un termine metafisico, possono essere definiti del male. È forse in considerazione di queste patologie possibili, e più frequenti di quanto si pensi, che qualche profeta contemporaneo ha visto nella cultura umana uno dei luoghi della manifestazione della presenza nel mondo dell'anticristo.
    Tuttavia questa demonizzazione è eccessiva, perché comporta la negazione di ogni forma di cultura e, quindi, della possibilità della vita umana nel mondo, almeno così come la conosciamo.
    Partendo dalla constatazione delle patologie della cultura, emerge invece la necessità di elaborare una critica della cultura e dei processi di comunicazione, che metta le persone in grado di difendere il loro diritto ad una vita libera, autonoma, emancipata e dotata di senso anche deviando dalla cultura dominante
    Occorre abituare i giovani a considerare sempre ogni cultura umana come imperfetta, a individuare in ognuna gli aspetti che favoriscono la crescita delle persone, e quindi in generale la vita, distinguendoli da quelli della morte, che impediscono la manifestazione della pienezza della vita personale all'interno di quella sociale.
    L'animazione afferma perciò che la cultura è necessaria, ma che questa necessità è aperta sia alla crescita che alla distruzione della vita umana.

    I conflitti dentro la cultura

    Il lavoro dell'uomo che sceglie la libertà cosciente nel segno dell'autonomia, ma anche nell'intima solidarietà con gli altri uomini, deve essere primariamente rivolto alla liberazione della cultura. Occorre ricordare, infatti, che ogni uomo maturo, pur essendo fatto dalla cultura in cui vive, può, attraverso complessi ma reali meccanismi individuali e di gruppo, sviluppare una devianza rispetto alla stessa cultura. L'uomo, per fortuna, non è un passivo assimilatore di cultura.
    Egli seleziona la cultura in cui vive accettandone una parte e rifiutandone un'altra. Questo solo se non è troppo massificato. Questo atteggiamento critico nei confronti della cultura, nelle società complesse come la nostra, è reso possibile dal fatto che in essa esistono vari sotto-sistemi che possono addirittura essere in competizione e conflitto tra di loro.
    L'unitarietà che ogni cultura possiede, infatti, non significa affatto che in essa non vi siano conflitti, tensioni e anche rotture. Significa semplicemente che alla fine le tensioni ed i conflitti vengono integrati.
    È questa complessità che consente alle persone di riconoscersi in una parte della cultura e di rifiutarne un'altra parte, senza per questo mettere in crisi la loro integrazione nel gruppo sociale.
    Tuttavia occorre sottolineare che, se si guarda un po' a fondo, anche le parti della cultura in conflitto tra di loro condividono alcuni valori comuni.
    Le differenze ed i conflitti sono perciò sempre relativi.

    La devianza della cultura

    Un po' diverso è invece il caso della devianza. Ogni cultura sociale consente al proprio interno un'area più o meno vasta di devianza che rende possibile il formarsi, allo stato nascente, di culture alternative. È possibile perciò che alcune persone, una minoranza necessariamente, scelga di appartenere ad una controcultura e di rifiutare quella dominante.
    Se nelle società più semplici ed in quelle autoritarie questa scelta è eminentemente individuale, nelle società più complesse è anch'essa un fenomeno collettivo.
    Essa riguarda, cioè, gruppi sociali, movimenti, associazioni, partiti, ecc., essendo una dinamica essenziale del sistema sociale.
    Una cultura complessa contiene, in altre parole, anche la propria alternativa, almeno a livello di possibilità potenziale.
    Tutto questo può apparire quasi mostruoso, perché descrive delle culture così totalizzanti da essere alternative a se stesse e quindi, di fatto, di essere negatrici di qualsiasi possibilità, di ribellione vera e ogni libera emancipazione individuale.
    Per fortuna questo è vero solo in parte.
    È vero solo per quelle persone che non godono di una sufficiente libertà ed autonomia individuale e che sono, quindi, dipendenti quasi totalmente dalla cultura sociale, anche quando appartengono a una sottocultura alternativa.
    Quanti oppositori alla cultura dominante sono, di fatto, delle persone teleguidate? Di solito non poche.
    Vi è poi il caso delle controculture che solo apparentemente sono alternative, perché esse, anche se in modo mascherato, condividono gli stessi valori di fondo della cultura dominante
    Queste controculture sono lo strumento attraverso cui la cultura dominante può estendere il suo dominio anche sulle persone «devianti».
    È forse questo carattere luciferino di molte culture attuali che fa nascere, in alcune persone molto sensibili, un certo pessimismo sulla possibilità di redenzione del mondo. Vediamo come quel che è stato detto finora interessa da vicino l'animazione.

    ANIMAZIONE E LIBERAZIONE DELLA CULTURA

    Uno degli scopi dell'animazione è anche quello di riuscire a liberare la «devianza culturale» dallo stato di soggezione e di servitù alla cultura dominante.

    Il ruolo liberante di una coscienza religiosa

    In questa azione è fondamentale il ruolo che la crescita di una coscienza profondamente intrisa dalla fede religiosa può giocare. Ogni negazione della libertà in nome del potere, infatti, può essere sconfitta dall'antidoto dell'esperienza assoluta dell'amore.
    L'autonomia, la libertà critica che permette di svincolarsi dalle patologie della cultura, appartiene, come ricaduta immediata, all'obiettivo dell'animazione che persegue l'apertura della persona all'esperienza del trascendente.
    Senza trascendenza, anche solo ideale e non necessariamente religiosa, non può esistere capacità di critica vera della cultura. Un esempio chiarirà questo concetto. Oggi viviamo un'epoca di rapide trasformazioni: stiamo infatti lasciando, o abbiamo già lasciato, le tradizionali culture locali per approdare ad una nuova cultura postindustriale caratterizzata dall'universalismo, dalla razionalità tecnico-scientifica, dalla comunicazione di massa, dalla ricerca del piacere confuso con la felicità, ecc... Questa nuova (ma quanto vecchia!) cultura rappresenta il pieno dominio dell'economico su tutte le altre dimensioni della vita sociale. Una cultura, cioè, strutturata lungo l'asse di quella forma di comunicazione costituita dallo scambio di beni e dei servizi. Tutto questo nella logica particolare affinata all'interno delle società industriali in questi anni.
    Questa cultura sta intervenendo pesantemente nel modificare il rapporto che le persone hanno con la loro vita e, quindi, con il loro orizzonte di senso.
    Queste modificazioni stanno conquistando i linguaggi della vita quotidiana.
    Si tende, ad esempio, sempre meno a parlare del rispetto della natura e dell'ambiente come rispetto della vita, in senso religioso, filosofico od estetico come avveniva sino a non molto tempo fa. Si tende invece ad affermare che l'ambiente naturale deve essere rispettato in quanto è un bene irriproducibile.
    Questo può anche voler dire che l'economia può violare il vivente se questi può venire riprodotto.
    Al di là delle forzature e delle polemiche, resta il fatto che questa espressione, oggi molto diffusa, segnala l'espandersi della logica dall'economico anche in campi che sono stati, anche in un recente passato, dominio di altri linguaggi culturali.
    L'esempio più facile è quello che attribuisce il prestigio sociale alle persone sulla base del loro ruolo all'interno dello scambio economico.
    Allo stesso modo, oggi, un qualsiasi oggetto esprime il suo valore non per ciò che è in sé, ma per la valutazione che riceve nello scambio del mercato economico.
    È chiaro che l'unica vera concezione alternativa può nascere solo nelle persone che hanno conquistato il senso trascendente della propria esistenza.
    La logica marxista, ad esempio, è inefficace perché postula anch'essa il primato dell'economico sulle altre forme di comunicazione umana.

    L'impegno dell'animazione

    Ora, l'elaborazione di processi alternativi che modifichino questa nuova cultura che si sta formando, è nelle mani delle nuove generazioni, oltre che nella responsabilità educativa degli adulti.
    L'animazione deve quindi mettere al centro della propria azione questo obiettivo. È però necessario che gli adulti educatori e, quindi, gli animatori comprendano che non è sufficiente proporre una sorta di pregiudiziale rifiuto della nuova cultura ai giovani.
    Se si facesse così, si negherebbe di fatto il futuro ai giovani. L'animazione deve aiutare il giovane a costruire una sintesi culturale che sia più evoluta ma, nello stesso tempo, inglobi questa cultura emergente.
    Per fare questo è necessario che si rimetta in collegamento il giovane con la tradizione, costituita dalle vecchie e disprezzate culture locali.
    Questa nuova sintesi, infatti, può nascere solo se la tradizione, scontrandosi con il nuovo, perde la propria inadeguatezza e, nello stesso tempo, il nuovo, scontrandosi con la tradizione, decanta la propria potenziale distruttività aprendosi alle più antiche dimensioni di senso dell'esistenza umana. Questo compito è possibile perché si vive una transizione culturale che è ancora aperta nel suo esito, nonostante i tentativi del potere dominante di chiuderla.
    Sono i giovani, come in ogni epoca di transizione, che possono produrre i germi di una sintesi originale e feconda. L'animazione può essere il laboratorio sperimentale di questa sintesi. Non è un compito facile, ma certamente è un compito affascinante per un animatore.


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