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    Una corretta relazione educativa da parte dei genitori esige di rischiarsi in un rapporto, accettare di non essere onnipotenti, creare condizioni per l'autorealizzazione dei figli.

    Claudio Bucciarelli

    (NPG 1985-01-36)

    «Io con mio padre e mia madre ci litigo spesso; niente di veramente serio, beninteso, però non mi piacciono certe loro pretese e statici convincimenti...». Questa è una delle tante affermazioni che, fatte le debite variazioni di frequenza, si possono sentire dalla viva voce di adolescenti. Tali affermazioni mettono in evidenza, di solito, l'ambiguità di cui è spesso caratterizzata la relazione educativa tra genitori e figli: o prevale il modello autoritario o prevale il modello permissivo.
    Nel primo caso, per non pochi genitori educare significa «trasmettere» tout-court modelli culturali, idee, valori ai figli, affinché questi siano contagiati da «quel» modo di pensare o di fare che i genitori decidono per il bene dei figli. Nel secondo caso, invece, educare significa... «lasciar fare» fino al caso limite, oggi assai attuale, di impressionarci del modo con cui i genitori... «obbediscono» ai figli.
    Intendiamoci, non è che si voglia negare che anche in questi atteggiamenti vi sono segni di verità; né mettere in dubbio la buona intenzione dei genitori; ciò che sembra assolutamente fallimentare, invece, è il modo con cui essi, spesso, credono di voler bene o di fare il bene dei figli. L'educazione non è né plagio, né sperimentalismo selvaggio, né permissivismo acritico, ma costante ricerca di un rapporto interpersonale in cui ogni persona abbia il modo di essere protetta, sviluppata, espansa. In tale rapporto intenzionale, è evidente che sono sempre possibili le «violenze» non solo da parte dei genitori, ma anche da parte dei figli, ma in queste annotazioni vorremmo ricordare alcuni presupposti educativi soprattutto ai genitori.
    Genitori si diventa e non si è per grazia infusa. Certo, lo «status» di genitore ha in sé potenziali germi educativi, ma essi vanno sviluppati e razionalizzati secondo una certa logica per rendere autentica la relazione educativa. Soprattutto a proposito del rapporto genitori e figli-adolescenti vorrei perciò ricordare tre opzioni fondamentali:
    1. Educare non significa tanto «dare» qualcosa, sacrificarsi o mortificarsi per. qualcuno, ma «rischiarsi in un rapporto» con la sincera volontà di entrambi i soggetti di volersi modificare. Poco importa se uno è più adulto e l'altro è più giovane, la cosa che veramente conta è che ciascuno, nella fedeltà alla propria originalità e alle proprie possibilità, deve essere «permeabile» (e non impermeabile) a se stesso.
    Un genitore, quindi, se vuole essere una persona «vivente», non «vissuta» una volta per sempre, deve senz'altro darsi da fare per vedere cambiamenti in meglio nei propri figli, ma tale cambiamento va fatto con loro e non al posto loro;
    2. Se la verità educativa non è, allora, una specie di corpo contundente da spaccare sulla testa dei figli, né una latitanza irresponsabile, è pur sempre vero che da un punto di vista educativo è deleterio quell'atteggiamento per cui i genitori anche davanti ai figli adolescenti si sentono sempre «in funzione di...», senza mai rimettere in discussione i loro modi di pensare e di fare.
    Combattere questa modalità di sentirsi «onnipotenti» e «salvatori» dinanzi ai figli e accettare invece una certa «impotenza educativa» significa per i genitori trovare il modo vero per aiutare là dove la libertà di ognuno - anche quella dei figli - ha diritto al suo spazio e al suo posto;
    3. Infine, parafrasando una frase evangelica, occorre non dimenticare che come non si vive di solo pane, così... non si vive di solo figlio; se da una parte, perciò è logico e naturale voler bene ai propri figli, certamente non si fa loro del bene scegliendo la strada dell'autoritarismo o del permissivismo con l'intenzione di essere d'aiuto nella costruzione della loro identità esistenziale e culturale.
    È sbagliato pretendere di voler trasmettere le proprie convinzioni ai figli, come se si trattasse di travasare da un contenitore ad un altro il contenuto che si desidera. Il problema vero è quello di saper creare condizioni autentiche perché il figlio possa realizzare lui stesso in prima persona, pur con l'aiuto e l'interesse autoritativo (e non autoritario) dei genitori, la sua propria identità originale.
    Il trovare l'equilibrio educativo tra l'essere e il poter essere non è solo questione di buona volontà, ma occorre essere profondamente convinti che «nessuno educa nessuno e neppure se stesso, ci si educa insieme in mediazione con il mondo» (Freire).
    Camminare e saper camminare «con» i figli e non al posto loro, tappa per tappa durante la loro fase evolutiva, è la premessa indispensabile per il successo educativo. Il passaggio però dal figlio «oggetto manipolato» al figlio «soggetto protagonista», ha il suo prezzo, che i genitori devono saper pagare sulla loro pelle.
    Per saper educare, soprattutto nella società attuale, non è certo sufficiente essere genitori alla moda, moderni, «aperti» come si suol dire: aperti va bene, ma attenti che, per eccesso o per difetto d'autorità, il cervello non caschi per terra.


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