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    Nodi problematici nella crisi religiosa degli adolescenti



    Vincenzo Lucarini

    (NPG 1985-10-16)


    L'obiettivo principale della ricerca era rilevare gli elementi significativi, emergenti dal racconto dei soggetti, relativamente all'itinerario che li aveva portati all'abbandono della religiosità.
    In questa ottica, ciò che è venuto particolarmente evidenziandosi è, anzitutto, l'originalità delle singole storie di vita, e la loro irriducibilità a schemi e a ipotesi prefissate. Il rifiuto della religiosità ha assunto in effetti significati diversi in ognuno dei soggetti intervistati.
    Questi risultati, evidentemente, non si accordano con quelle posizioni concettuali che pretendono di spiegare la condotta dell'uomo facendo riferimento ai soli condizionamenti ai quali sarebbe sottoposto (biologici, psicologi, sociali).
    Benché questi condizionamenti siano reali e ben più estesi di quanto comunemente si pensi, è presente uno spazio, pur limitato, di libertà. Quest'ultima potrebbe essere definita come coscienza del ventaglio di possibilità che, di volta in volta, l'uomo si trova davanti al momento della scelta, essendo così «libero» di dirigersi verso itinerari di crescita imprevedibili, non preventivabili rifacendosi alla sola azione dei vari condizionamenti.
    Quanto ora affermato permette di inquadrare in modo più organico le problematiche relative alla religiosità e al suo rifiuto. Il pericolo, infatti, è cadere in riduzionismi semplicistici, considerando, a seconda della propria posizione, il credere oppure il non credere come sintomo di immaturità e di uno sviluppo emotivo-affettivo non completamente maturato. Questa posizione viene magari giustificata facendo riferimento a bisogni inconsci, a motivazioni di cui i soggetti non sarebbero pienamente consapevoli e che li porterebbe, ad esempio, ad assumere in modo coercitivo la religiosità o l'ateismo.
    Ciò ci porta a concludere che, anche nel rifiuto di assumere valori e atteggiamenti religiosi come elementi centrali e strutturanti della personalità, è da ritenere presente, tra gli altri elementi, uno spazio di libertà nel determinare il proprio itinerario di vita.

    LE VERIFICHE CHE SI ATTENDEVANO

    L'analisi delle storie di vita ha evidenziato la singolarità e l'originalità del modo in cui ognuno è arrivato al rifiuto della religiosità nei suoi valori, credenze e comportamenti.
    Ma ha anche permesso di rilevare elementi comuni che si sono presentati in modo costante nelle varie biografie. La verifica dell'ipotesi esplorativa era appunto legata alla possibilità di rilevare tali costanti.
    In effetti, dalle storie di vita prese in esame, l'adolescenza risulta un momento cruciale per l'abbandono della religiosità. In particolare si è potuto notare una stretta relazione tra questo abbandono e la riorganizzazione della personalità su una base di maggiore autonomia e di un più adeguato rapporto con il reale, compito del resto di questo delicato momento evolutivo.
    Erano tre gli aspetti comuni che ci aspettavamo di rilevare per considerare verificata l'ipotesi.

    Il ruolo della religiosità assunta acriticamente

    Ci si attendeva, in primo luogo, di verificare se la religiosità prima dell'adolescenza fosse stata assunta acriticamente, sotto la spinta di condizionamenti esterni ed interni.
    Si è potuto effettivamente constatare che durante l'infanzia, la fanciullezza e la preadolescenza i soggetti si sono appropriati di credenze e di comportamenti religiosi, sotto la spinta dell'ambiente educativo e di determinate esigenze personali, sia intrapsichiche che relazionali.
    La religiosità delle fasi precedenti all'adolescenza è venuta configurandosi così con una scarsa consapevolezza e autonomia personale.
    Tra le esigenze e i bisogni particolarmente attivi, che premevano cioè per un loro soddisfacimento nell'ambito della religiosità, si possono sottolineare in primo luogo il desiderio di ricevere l'attenzione e l'affetto delle figure significative, soprattutto quelle parentali, e in secondo luogo la possibilità di elaborare, tramite le informazioni e le credenze religiose, le modalità cognitive legate alle strutturazioni psichiche di quei periodi come l'egocentrismo, l'animismo, la precausalità.
    Appare evidente quindi la profonda funzionalità che la religiosità riveste in queste fasi dello sviluppo affettivo e cognitivo.
    Si è potuto notare, inoltre, che anche l'intensificarsi dell'interesse religioso nell'adolescenza può assumere un forte valore funzionale.
    Ciò può essere attribuibile ad una serie di motivi che sorgono dall'intrecciarsi delle problematiche adolescenziali.
    Un primo motivo è la forte valenza positiva che la vita di gruppo riveste nell'adolescenza, con particolare riferimento ai gruppi parrocchiali che spesso, soprattutto nei paesi, rappresentano l'unica possibilità di esperienze di socializzazione con i coetanei e al di fuori della famiglia.
    Il partecipare attivamente alla vita di gruppo permette all'adolescente di affrontare, e trovare quindi uno sbocco, alle sue esigenze affettive, relazionali, cognitive. Il gruppo soddisfa anzitutto il bisogno di inclusione, di sentirsi cioè parte di un insieme che aiuta il singolo a far fronte alle sue paure e alle sue angosce di solitudine.
    Il contatto con i coetanei permette inoltre di conoscere e di sperimentare più a fondo se stessi, finalmente in modo autonomo e senza il controllo e le direttive dei genitori. Il gruppo agisce, ancora, ad un ulteriore livello, per mezzo della pressione alla conformità alla quale vengono sottoposti i membri. Il gruppo opera affinché i membri assumano le sue norme. Questo fatto dà ai partecipanti il senso di appartenenza. Nella nostra ricerca le norme riguardano in gran parte le credenze, gli atteggiamenti, i comportamenti e i valori religiosi, che vengono assunti, in modo per lo più inconsapevole, dai membri del gruppo.
    In ultimo, l'assunzione della religiosità basata sulla pressione alla conformità del gruppo, permette di soddisfare un'ulteriore esigenza, quella fondamentale a quest'età, cioè la ricerca di una propria identità. Le storie di vita esaminate evidenziano che i soggetti, soprattutto nelle prime fasi dell'adolescenza, prendono a prestito le caratteristiche, le norme e la mentalità di gruppo per definire le proprie caratteristiche e quindi una propria identità. L'adolescente può dire: «Ecco, il gruppo ha queste caratteristiche e io, rifacendomi a queste, riesco a definire meglio chi sono, cosa voglio, a cosa aspiro». Nel momento però in cui comincia a maturare una propria e più personalizzata identità, l'adolescente si distacca dall'identità di gruppo e assume un atteggiamento più critico.
    Il gruppo fornisce allora un'identità nel frattempo che il soggetto si sforza di costruirsene una più personalizzata. Anche in questa fase l'assunzione o l'intensificarsi dell'interesse verso la religiosità hanno un ruolo funzionale, in quanto essa viene utilizzata come mezzo per la risoluzione delle problematiche personali.
    In alcuni adolescenti la religiosità può servire come strumento al quale ricorrere per eliminare, ridurre o tenere a bada le tensioni psichiche relative soprattutto ai sensi di colpa che insorgono con l'esplorazione, in senso autoerotico, della sessualità. La religione, infatti, per mezzo della confessione, delle preghiere e della comunione, fornisce all'adolescente degli strumenti che eliminano i sensi di colpa e funzionano come elemento omeostatico per ristabilire un livello accettabile di tensione intrapsichica.
    Solo in modo molto limitato invece gli adolescenti si rivolgono alla religione mossi dal desiderio di trovare qualcosa di buono per costruire un progetto di sé. L'atteggiamento più unito a questo desiderio è quello di un certo disincanto e incredulità, maturati durante il processo di socializzazione religiosa nelle varie agenzie (scuola, parrocchia, famiglia).

    I segni della riorganizzazione della personalità nell'adolescente

    Il secondo elemento costante che ci si aspettava di trovare nelle storie di vita, era l'intensificarsi, durante l'adolescenza, del processo di riorganizzazione della personalità.
    Le interviste hanno effettivamente provato l'esistenza di questo processo nel doppio binario di una maggiore autonomia affettiva e di un rapporto più adeguato con il reale, grazie allo sviluppo delle capacità di pensiero logico-formale.
    I sintomi o segni di questa riorganizzazione della personalità sono vari e si presentano con una certa costanza nei soggetti intervistati. Un primo sintomo può essere rilevato nel voler fare a meno dell'appoggio e del controllo dei genitori. In precedenza questo desiderio veniva ostacolato da quello opposto, che tendeva a perpetuare il controllo e l'appoggio a causa delle paure e delle insicurezze nelle proprie capacità. Adesso invece si nota l'intenzione di superare il conflitto tra dipendenza e autonomia, per assumere in modo responsabile i rischi e i pericoli dell'agire e dello scegliere autonomo. Ciò comporta la capacità di passare attraverso momenti più o meno intensi di conflittualità proprio con i genitori, i quali tendono a bloccare il distacco e la differenziazione dei figli.
    Un secondo sintomo di cammino verso la maturità può essere considerato il desiderio di affrancarsi dal clima fusionale del gruppo parrocchiale, ponendosi al di fuori della sua pressione alla conformità. Questa spinta, risultante dall'interazione delle dinamiche relazionali nel gruppo, aveva portato finora gli adolescenti ad assumere acriticamente credenze, comportamenti e valori religiosi, facendo anche leva su alcune esigenze e bisogni psicosociali. Un terzo sintomo è la crescente accettazione della propria sessualità, nel tentativo di assumerla come parte del sé e non più come qualcosa di angosciante come nel passato, quando la sua esplorazione comportava l'insorgere di intensi sensi di colpa.
    Infine, si evidenzia a livello cognitivo il venir meno di modalità egocentriche nell'elaborazione delle informazioni provenienti dal reale e dalla propria esperienza. L'egocentrismo cognitivo si spiegava, oltre che con l'incompleto sviluppo cognitivo, anche con un meccanismo di riaggiustamento difensivo di queste informazioni nel tentativo di tenere lontano dalla coscienza elementi ritenuti potenzialmente pericolosi per il sé.

    La relazione tra rifiuto della religiosità e riorganizzazione della personalità

    L'ultimo elemento costante, che ci si attendeva nelle storie di vita, era teso a verificare se nell'abbandono della religiosità durante l'adolescenza esistesse qualche tipo di relazione tra maturazione della personalità e rifiuto della religione, e in ultimo di che tipo di relazione eventualmente si trattasse.
    Dall'analisi delle biografie si è potuto rilevare un duplice tipo di relazione.
    Una prima modalità è caratterizzata dal fatto che c'è una riorganizzazione della personalità che fa da base e permette l'abbandono di comportamenti, credenze e valori religiosi. Nell'adolescenza il soggetto viene ad assumere un modo originale di porsi di fronte al mondo, a se stesso, agli altri. In effetti comincia a strutturare, in modo sempre più sistematico, un progetto di sé che comporta il vaglio critico di quanto, soprattutto in campo religioso, era stato finora assunto acriticamente. Il rifiuto religioso avviene allora sulla base di valutazioni personali che giudicano come non confacenti al progetto di sé quanto offerto dalla religione.
    In questa modalità l'adolescente mette prima in atto una crescita globale della personalità, che comporta poi, in vista di una maggiore personalizzazione, la revisione delle proprie credenze e dei propri valori, compresi quelli religiosi.
    Nella seconda modalità, invece, il rifiuto della religiosità si pone come momento iniziale che apre la strada ad una riorganizzazione più articolata dei valori, credenze e atteggiamenti. In questo caso è come se la religiosità, fino a quel momento, avesse avuto un ruolo di freno e di blocco della riorganizzazione della personalità. Tanto è vero che una evoluzione in senso più maturo e più adeguato comincia a verificarsi proprio dal momento dell'abbandono religioso.

    IL NODO CENTRALE: L'USO FUNZIONALE DELLA RELIGIONE

    Un altro elemento risultato dalle storie di vita è il ruolo funzionale delle credenze e dei comportamenti religiosi nello psichismo del soggetto, in quanto, in modo più o meno consapevole, permettono di soddisfare determinati bisogni e risolvere particolari tensioni emotive. L'atteggiamento funzionale riguarda sia l'assunzione acritica della religione nella fanciullezza che il suo abbandono nell'adolescenza. In tutti e due i casi ciò che emerge è proprio l'uso della religione in funzione del sé.

    L'uso funzionale della religione nella socializzazione religiosa

    Negli intervistati c'è anzitutto la sensazione che la loro socializzazione religiosa è avvenuta utilizzando in modo ambiguo alcuni bisogni personali, in quanto la religione era stata implicitamente presentata loro come risposta a questi bisogni. La religione era funzionale ai loro bisogni. Con la conseguenza di inquinare da una parte l'esperienza religiosa, e dall'altra di non sperimentare una risposta adeguata a quei bisogni.
    Volendo schematizzare, i bisogni a cui le credenze e esperienze religiose permettevano una risoluzione possono essere raccolti in due gruppi.
    In un primo gruppo si possono raccogliere i bisogni psicosociali, in particolare il bisogno di inclusione, che spinge il soggetto ad evitare l'insorgere di angosce e di paure; il bisogno di identità, incanalato nel clima caldo e spesso fusionale del gruppo; il bisogno di mantenere, tramite queste credenze, un rapporto reale o immaginario con i genitori.
    Questi bisogni sono stati definiti psicosociali proprio perché, per essere soddisfatti, comportano o si rivolgono alle relazioni interpersonali.
    In un secondo gruppo si possono raccogliere i bisogni intrapsichici, cioè quei bisogni non legati, nel loro soddisfacimento, a relazioni interpersonali, né reali né immaginarie.
    In particolare emergono il bisogno di tenere, quasi magicamente, tramite queste credenze religiose, il dolore e la sofferenza al di fuori della propria esperienza; il voler riproporre la religiosità e l'atmosfera magica e spensierata della fanciullezza e dell'infanzia; il voler ricorrere a Dio e alla religione per trovare una spiegazione a fenomeni incomprensibili o di cui non si conosce la causa; l'utilizzazione della religiosità per eliminare o cancellare i sensi di colpa conseguenti all'esplorazione della propria sessualità in modo autoerotico.
    Ovviamente ogni soggetto ha evidenziato maggiormente alcuni di questi bisogni e il loro soddisfacimento tramite la religione. Al di là di questo, in tutti si è verificato un processo di abbandono progressivo della religione, man mano che si evidenziava che quei bisogni erano risolvibili in altri modi e che quindi la religione diventava «inutile».
    Tutti i soggetti, guardando al passato, vedono il momento dell'abbandono religioso nel momento in cui si sono resi consapevoli del ruolo prevalentemente o totalmente funzionale del loro passato religioso.
    E la conclusione, più o meno velata, a cui tutti arrivano è che la religione in genere si esplica quasi completamente nel soddisfare questi bisogni.

    L'uso funzionale del rifiuto della religione nell'adolescenza

    Oltre al rilievo che la religiosità può facilmente assumere connotati di funzionalità rispetto alle esigenze personali, c'è da evidenziare che lo stesso rifiuto della religiosità può svolgere un ruolo funzionale, in quanto permette il soddisfacimento di determinati bisogni.
    Il rifiuto della religiosità non si configura sempre come un segno di una raggiunta maturità e autonomia. Tale rifiuto a volte viene infatti giustificato con il voler esprimere esigenze personali fino ad allora contrastate dal credo religioso. Con una certa semplificazione si può dire che per soddisfare liberamente i bisogni si abbandona la fede.
    Si deve aggiungere che questa situazione, pur essendo sicuramente molto limitata, di fatto in alcuni adolescenti sembra essersi verificata.
    La precisazione è necessaria anche per evitare schematizzazioni semplicistiche, per cui l'essere areligioso sarebbe il segno di una raggiunta maturità, mentre, al contrario, la religiosità sarebbe sinonimo di infantilismo e di scarso sviluppo verso la fase adulta.

    IL RUOLO DEL MESSAGGIO RELIGIOSO NELL'ABBANDONO

    Appare evidente che non si può parlare dell'abbandono della religiosità facendo solamente riferimento a dati genetici ed evolutivi, come se il messaggio o i contenuti religiosi con il quale il soggetto entra in contatto non abbiano alcuna importanza. In ultima analisi, il rifiuto avviene proprio sul tipo di messaggio religioso che è stato trasmesso e con il quale il soggetto è entrato in contatto.
    Si è cercato di analizzare il messaggio religioso, che gli intervistati dicono di aver ricevuto, sotto due aspetti: l'insieme dei contenuti e la loro organizzazione; le modalità con le quali le agenzie religiose hanno trasmesso il messaggio.

    Le modalità educative: il ruolo dei genitori

    Esaminando per ora le modalità educative, si deve anzitutto parlare dei genitori. Gli intervistati denunciano due modalità educative negative, a seconda del tipo di atteggiamento o di interesse che questi hanno nei riguardi della religione.
    Il genitore che sembra essere più significativamente rivestito del ruolo di educatore religioso è la madre. Il modo di trasmettere la religione dipende in gran parte dal suo atteggiamento. Il padre, invece, appare pochissimo in questo processo. È come se ci fosse stata una divisione implicita dei ruoli, divisione sicuramente basata su norme e tradizioni sociali.
    Più da vicino possiamo osservare che da una parte ci sono le madri con un positivo interesse per la religione e che tendono a farla assimilare in modo più o meno costrittivo ai figli. Dalle storie di vita analizzate, emergono dei tentativi veri e propri di costrizione, o tentativi di far passare la religione basandosi sul rapporto di dipendenza che lega loro i figli. Molto spesso in effetti si intravede l'uso più o meno sofisticato di meccanismi di ricatto affettivo.
    Dall'altra parte ci sono invece le madri che hanno uno scarso o nullo interesse nei riguardi della religione, e si limitano a far sì che i figli accedano ai sacramenti della comunione e della cresima. Ritengono finito il loro compito quando ciò è avvenuto. Appare chiara la presenza di motivazioni di tipo conformista, sotto la pressione di norme e di tradizioni sociali.

    Le modalità educative: il ruolo del catechismo e dell'insegnamento di religione

    Venendo ora alle altre agenzie di educazione religiosa, si deve riconoscere che dalle interviste emerge che esse non sembrano affatto aver favorito negli adolescenti una ricerca autonoma, creativa e soprattutto personalizzata dei valori sui quali impostare la propria esistenza.
    L'educazione religiosa sembra tendere invece ad un indottrinamento, al fine di ottenere un consenso, mettendo in atto strategie per raggirare e circuire le persone.
    Si rivela paradigmatica la trasmissione della religione al catechismo e a scuola.
    Da tutti il catechismo viene ricordato in modo negativo, con vissuti di costrizione nel senso di dover fare per forza cose verso le quali provavano uno scarsissimo interesse. La cosa più negativa è risultata il dover memorizzare informazioni, formule e preghiere di cui, per lo più, non si riusciva a capire nemmeno il significato.
    Per quanto riguarda l'insegnamento di religione a scuola, i soggetti hanno avuto la consapevolezza di un duplice canale di trasmissione.
    Un primo canale è quello esplicito nelle ore prestabilite. Durante le scuole medie si nota un subire ciò che viene ritenuto come noioso e poco interessante. Alle superiori, invece, questo atteggiamento si muta in aperto disinteresse, accompagnato da un complementare atteggiamento lassista degli insegnanti (tutti sacerdoti).
    Il rapporto con gli insegnanti viene vissuto in modo poco positivo, in quanto vengono avvertiti come debolmente accoglienti e sensibili dal punto di vista umano, pronti invece ad assumere posizioni dogmatiche che poco spazio lasciano ai dubbi, alle domande e alla elaborazione delle persone. C'è quindi, da parte di questi sacerdoti, il tentativo di riproporre una verità chiara e ben definita, verso la quale gli allievi avvertono soggezione ed estraneità.
    Un secondo canale di trasmissione della religiosità, molto meno esplicito, e avvertito in modo consapevole dagli intervistati solo al termine della scuola, è il tentativo di far passare una visione religiosa delle cose, del mondo e della vita attraverso la spiegazione e l'approfondimento di altre materie da parte di altri insegnanti che non era quello di religione. Gli intervistati a volte denunciano un tentativo di raggiramento, in quanto tale visione della vita veniva presentata come oggettiva e assoluta.

    Lo scarso peso dei contenuti religiosi

    Dopo aver esaminato le modalità educative, possiamo esaminare i contenuti religiosi trasmessi.
    Il primo elemento evidente è la particolare povertà della cultura religiosa trasmessa e l'altrettanta povertà di interiorizzazione personale.
    Ai giovani intervistati è sembrato che gli educatori religiosi abbiano operato una selezione quasi automatica e inconsapevole dei contenuti, a favore di quanto poteva essere utilizzato in modo ideologico per sviluppare una visione della vita e del cristianesimo di tipo rigido e moraleggiante. L'educazione religiosa presenta un modello di cristianesimo chiuso e già confezionato, al quale i giovani dovrebbero rispondere solo con l'accettazione e il consumo, senza alcun appello ad una partecipazione personale di tipo creativo.
    I soggetti intervistati affermano di aver captato un atteggiamento quasi manipolatorio, e questo non soltanto nell'analisi retrospettiva delle fasi evolutive precedenti, ma fin dal momento stesso in cui erano destinatari passivi di tali interventi educativi. Non appare affatto casuale, quindi, la instabilità e la precarietà di questo processo conformizzante, soprattutto quando, durante il periodo adolescenziale, il soggetto è chiamato a operare un vaglio maggiormente critico e sistematico di quanto la religione gli offre in risposta alle sue esigenze.

    I NODI PROBLEMATICI AL MOMENTO DEL RIFIUTO DELLA SCELTA RELIGIOSA

    Come si è visto, gli adolescenti abbandonano la religione man mano che avvertono l'uso funzionale che ne facevano in precedenza rispetto ai propri bisogni, e si formano la convinzione, più o meno esplicita, che questa esaurisca il proprio discorso a questo unico livello.
    L'abbandono religioso non si basa tuttavia solamente sul superamento di questo rapporto ambiguo tra bisogni personali e religione. Esso viene ulteriormente rafforzato dall'analisi critica del messaggio religioso ricevuto. Il rifiuto, anzi, trova il suo momento cruciale quando l'adolescente opera un confronto tra quanto finora gli è stato trasmesso dal punto di vista religioso e il progetto di sé che va costruendosi e personalizzandosi a partire dai propri vissuti e esperienze.
    Questo confronto porta al rifiuto della religiosità soprattutto perché avvertita come incapace di fare propri e rispondere agli interrogativi fondamentali relativi a problematiche ritenute da questi giovani di particolare importanza.

    Le aree dei problemi

    Una prima area problematica riguarda la sessualità.
    I soggetti, verso questa area delicata e fondamentale, avvertono l'esigenza di viverla in modo sereno e consapevole, e di considerarla come parte positiva di sé, che non deve essere assolutamente alienata. Ora essi sono consapevoli, in modo più o meno intenso, che la sessualità è condizionata dall'intervento moraleggiante e negativo ricevuto fin da piccoli dalle agenzie educative.
    Specialmente le ragazze avvertono il peso di questo condizionamento, che non permette loro di vivere serenamente la sessualità nemmeno con la persona amata. Questo atteggiamento persiste nelle ragazze anche dopo aver operato un rifiuto della religiosità. I maschi invece sembrano aver operato per erigere un controllo di questi condizionamenti negativi e ritagliarsi uno spazio personale ben difeso. Però è sempre presente la sensazione di avere a che fare con qualcosa di non lecito, di evocatore di sensi di colpa che costringe a vivere la sessualità di nascosto e con sotterfugi.
    I soggetti individuano nella chiesa la responsabile di questo modo di intendere e di educare a vivere la sessualità. Per poter allora esprimere senza alienazione la sessualità, reputano necessario l'abbandono della religiosità.
    Una seconda area di problemi la si nota attorno all'esigenza di vivere in modo pieno e completo la propria esperienza terrena. Questa esigenza appare molto sentita, ad ulteriore testimonianza della perdita di valenza positiva che i discorsi sull'aldilà hanno accusato negli ultimi decenni.
    I soggetti sentono che, per poter realizzare completamente se stessi, è fondamentale immergersi nell'attuale esperienza, facendosi carico delle difficoltà e delle contraddittorietà del presente col fine di migliorarlo.
    L'amore al presente appare contrastante con il messaggio religioso ricevuto, il quale, secondo loro, porta a guardare troppo avanti, con il rischio di dimenticare le difficoltà, i problemi e le responsabilità che urgentemente interpellano ogni giorno. Compare una esigenza di quotidianità, di qualcosa di ben saldamente piantato e fondato sull'oggi, mentre i discorsi religiosi vengono percepiti come astratti, astorici e troppo distanti dalla realtà. Il non vedere realizzata e concretizzata nella religione questa esigenza porta, di conseguenza, a dirigere il proprio sguardo altrove.
    Una terza area di problemi la si scorge attorno alla ricerca di un atteggiamento non passivo nei riguardi della vita in genere.
    L'esigenza è di fare in modo che il destino dell'uomo, a livello individuale e a livello collettivo, venga posto sempre più nelle sue mani. Questo tipo di esigenza si pone in contrasto, secondo gli intervistati, con l'atteggiamento al quale educa la religione, giudicato troppo passivo, in quanto spingerebbe a tenere in poco conto le possibilità di intervenire attivamente nei problemi e nelle difficoltà personali e sociali, per rifarsi invece alla speranza di interventi ultraterreni.
    Una quarta area riguarda la chiarezza e la coerenza politica della chiesa.
    La chiarezza viene richiesta soprattutto per quanto riguarda i rapporti con il partito della Democrazia Cristiana. Se da una parte si prende atto che la chiesa si dichiara al di sopra delle parti, dall'altra viene notato un movimento nascosto tendente a convincere e a circuire, facendo a volte implicito riferimento allo spauracchio del peccato.
    Una quinta ed ultima area di problemi che spingono ad una crisi religiosa, è relativa alla esigenza, avvertita soprattutto dalle donne, di maggiore rispetto, di maggiore valorizzazione e di maggiore accoglienza come persone. Spesso gli ambienti ecclesiali sono portatori di sospetto e di debole attenzione proprio verso le donne. Questi atteggiamenti, anche se non pienamente espliciti, concorrono a creare un'atmosfera negativa, percepita dalle dirette interessate, che comporta delle difficoltà a rendersi pienamente presenti e partecipi della vita ecclesiale.

    L'imbarazzo delle istituzioni ecclesiali

    In ultima analisi i giovani intervistati avvertono che le loro esigenze soggettive non vengono pienamente accolte dalle istituzioni ecclesiali.
    Ora, proprio queste esigenze e i dubbi che alimentano, pongono sotto accusa il modello sottostante di educazione alla fede, creando una situazione di grosso imbarazzo negli educatori degli adolescenti. Essi reagiscono, da una parte con un atteggiamento lassista, poco propenso alla ricerca di vie sicuramente più ardue ed impegnative; dall'altra con il tentativo di riproporre in modo rigido, autoritario e anacronistico verità chiuse e prefabbricate che poco si conciliano con i dubbi, la frammentarietà e il disincanto dei giovani di oggi.
    In ambedue i casi i giovani non riescono a trovare nella religione opportunità per indirizzare e realizzare le loro domande di senso e di vita, e proposte adeguate per elaborare risposte religiose significative.


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