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    Gruppi, movimenti e associazioni nella pastorale delle diocesi



    Domenico Sigalini

    (NPG 1984-08-21)


    Il problema dei rapporti tra aggregazioni giovanili associate di movimento e spontanee (che chiameremo brevemente g.m.a. = gruppi, movimenti, associazioni) e pastorale diocesana è abbastanza nuovo anche se non nuovissimo, sia per l'emergere di molteplici forme aggregative, sia per il progressivo costituirsi nelle diocesi italiane di uffici per la pastorale giovanile diversamente intitolati, ma tutti con lo scopo di favorire lo sviluppo dell'azione pastorale della Chiesa verso i giovani. Questi rudimenti di approccio partono da una serie di flash storico-esperienziali per aiutare la comprensione del problema e per censire tentativi e strade seguite in questi anni.
    Si passano in rassegna in seguito le attuali impostazioni diocesane per poi giungere alla proposta di alcune prospettive e puntualizzazione di problemi.

    BREVI CENNI SULL'EVOLUZIONE DEL PROBLEMA

    Prima degli anni '60

    Sono gli anni dell'associazionismo capillare, strettamente collegato, attivo e efficace. Le associazioni (ACI, Scout, ACLI e derivate) erano cinghia di trasmissione di un mondo ecclesiastico o ecclesiale ideologicamente e teologicamente compatto e quindi pastoralmente uniforme. Il Vescovo, i massimi responsabili della diocesi in simbiosi stretta con l'Azione Cattolica guidavano ogni attività pastorale. Il Vescovo, spesso in episcopio, riuniva la giunta dell'A.C. periodicamente e in questa sede si gestiva e si organizzava l'attività di formazione, di qualificazione dei responsabili (= quadri dirigenti) e si proponevano le «campagne».
    C'era un tipo di collaborazione laici-gerarchia abbastanza stretto, di carattere esecutivo, ma con discreta complementarietà e interazione, cioè non esistevano dubbi su chi doveva decidere, ma la decisione maturava su un confronto serio. La pastorale giovanile è dentro nella pastorale della Chiesa, se ne distacca solo perché è attuata in ambienti appositi o perché è imperniata sulla preparazione ai sacramenti e su alcune attenzioni per l'età evolutiva.

    Dagli anni '60 agli anni '70

    Sono gli anni dell'«illuminismo pastorale», cioè della abolizione di ogni mediazione. L'essere Chiesa è tra le mani. Il Vescovo è spesso riferimento diretto anche del gruppo spontaneo più piccolo. Con le associazioni vanno in crisi anche i centri (o oratori) giovanili
    Non si parla di pastorale, ma di esperienza di Chiesa, di rinnovamento. Il livello diocesano è assolutamente carente, è centro di controllo, di vigilanza, di interventi ai ferri corti, è centro di «stupore».
    Lo svuotamento di significato di ogni istituzione educativa e delle associazioni lascia tanti vuoti sia nell'educazione alla fede che nella prassi pastorale.
    Fioriscono genialità, innovazioni, avventure, esperienze pilota.

    Dagli anni '70 agli '80

    Sono gli anni della «cometa» dei movimenti. Il punto di partenza è un messianismo palingenetico, in cui sono coinvolti gruppi, sacerdoti, operatori e livelli diocesani. Nei primi anni '70 potremmo parlare del livello diocesano 'come del livello dell'avventura', l'aggregarsi al carro vincente. Sono gli anni però in cui si cominciano a fare analisi sociologiche, tentativi di progetti, ristrutturazione di uffici e commissioni; i catechismi sono la risposta più generale e di livello più globale. La pastorale giovanile è condotta dalla catechesi o dall'organizzazione degli oratori o da esperienze pilota di centri giovanili.
    Sono gli anni in cui sulla scia di riunioni di massa si vivacizzano associazioni spente (per l'A.C.: le feste giovanissimi) all'interno delle diocesi si fanno riunioni faticose per cercare accordi con tutti i g.m.a. fermandosi sulla parolina per ore intere, arrivando a comunicati insipidi.
    Prevale in genere la legge del più forte. Le tipologie di gruppo sono molto nette, la ricerca dello specifico non è un -modo per servire meglio, ma per difendersi di più. La diocesi è un po' espropriata e vi comincerà a configurarsi una autonomia che si organizza indipendentemente dai movimenti e associazioni classiche.

    Gli anni '80

    Ormai la parola d'ordine è coordinamento: inizia con un ufficio e un tavolo, con iniziative e servizi non sempre con un piano pastorale. Alcune associazioni ala- fica arretrano a rango di collaborazione anziché di protagonismo, di coordinamento e di stimolo.

    LE ESPERIENZE DI PASTORALE GIOVANILE DIOCESANA

    In questi anni, come si diceva sopra, molte diocesi hanno intrapreso una progettazione della pastorale giovanile. Ci si è giunti talora sull'ala dell'entusiasmo, altre volte per eccessivo giovanilismo, spesso per disperazione.
    Non esistono modelli proposti autorevolmente, ma tradizioni locali che a mano a mano vengono codificate, esperienze mutuate da sensibilità di movimenti, traduzioni di indicazioni dell' episcopato locale. L'influsso di centri di pastorale giovanile nazionali, di riviste, di movimenti giovanili associativi, di insegnamenti universitari ha portato lentamente a conformare in strutture più o meno adeguate l'attenzione pastorale al mondo giovanile.
    Ne vediamo alcuni modelli.

    I centri di pastorale giovanile.
    Il centro in genere è costituito da:
    - una struttura (ambiente autosufficiente per incontri residenziali e non);
    - un gruppo di preti, suore e laici;
    - alcune iniziative in loco e proposte diocesane;
    - convergenza di tutti i gruppi, movimenti e associazioni (eccetto alcuni di difficile coinvolgimento);
    - sussidi.

    Le consulte giovanili o le commissioni (anche zonali).
    La consulta è composta da:
    - un sacerdote responsabile;
    - rappresentanti del mondo giovanile;
    - collaborazione per iniziative;
    - un programma di studio e sensibilizzazione;
    - piccolo parlamento facilmente «manovrabile» dal prete incaricato.

    Gli uffici diocesani, che gravitano o su una età, o sulla catechesi o su iniziative di interesse giovanile (oratorio, ANSPI), che coordinano e promuovono a partire dalla struttura che rappresentano.
    Danno voce soprattutto alle aggregazioni «invisibili».
    Hanno carattere di «universalità» senza essere specifici di una associazione.

    Una parrocchia vivace che fa scuola e che allarga attraverso il prete e il gruppo un servizio a tutti i giovani.

    L'Azione Cattolica che viene posta al servizio di un piano generalmente già stabilito.
    Rende evidenti due limiti: la mancanza di autonomia laicale dell'A.C. e l'assunzione di rappresentatività generale del mondo giovanile anche non associato.

    Coalizioni di associazioni per omogeneità culturale e ecclesiale (ACI, ACLI, AGESCI...).
    È un centro a più luoghi di riconoscimento con faticosa collaborazione.

    Gestione di servizi e iniziative di massa affidata a un ufficio curiale e elaborazione e impostazione di programmi affidata a associazioni.
    Una specie di segreteria politica che elabora dei criteri di pastorale giovanile, una consulta, delle équipe diverse per esperienze tipiche diverse. Queste realtà non conducono in prima persona la pastorale giovanile ma fanno opera di stimolo per chi vive a contatto diretto con i giovani nei vari momenti della vita.
    La collocazione della pastorale giovanile dentro una commissione diocesana (es.: la famiglia) per aiutarne lo sviluppo organico in sintonia con tutta la vita ecclesiale.

    INDICAZIONI

    Non esiste un assetto istituzionale che oggi si impone per efficacia particolare o perché risponde positivamente a tutte le istanze di una pastorale ecclesiale.
    Tutte le esperienze oggi presenti hanno difficoltà o di collegamento o di collocazione o di vivacità propositiva, o di rapporto promozionale con la base.
    Si possono allora, a partire da alcune scelte previe, dare alcune semplici indicazioni.
    Le ipotesi di partenza sono le seguenti.
    - Nella pastorale giovanile bisogna fare la scelta privilegiata della aggregazione di base giovanile. La si chiami gruppo o movimento o club è indifferente, basta che si configuri come una esperienza di fede e di chiesa, luogo di vita, di esperienza che si fa messaggio, vivibile in rapporti faccia a faccia.
    Oggi il gruppo è ancora una mediazione necessaria, nonostante limiti e problemi che crea.
    - Il pluralismo aggregativo non è un minor male tollerato, ma una proposta di cui si fa carico la pastorale giovanile diocesana, ricercando criteri e garanzie Questa scelta è meno selettiva, è più fedele alla Chiesa, è capace di risignificare attraverso identificazioni diverse la vita dei giovani. Se queste ipotesi si verificano allora ne seguono alcune proposte indicative.
    - La pastorale giovanile diocesana, comunque venga a formularsi strutturalmente, deve essere ben identificabile in un modello teologico-pastorale e in un piano proposto esplicitamente alla Chiesa diocesana.
    Questo significa fare scelte di fondo, esplicitare una concezione corretta di Chiesa e ,un conseguente rapporto chiesa-mondo, dare indicazioni sul come si atteggia nei rapporti con la cultura del luogo...
    Solo così diventa termine di confronto e punto di convergenza esplicito. Deve elaborare un piano prima che dei servizi pastorali.
    - La pastorale giovanile diocesana non può decidere a tavolino le scelte pastorali. Non c'è una pastorale diocesana prestabilita a cui tutti si devono attenere, ma un contributo comune sollecitato e coordinato da tutti e fatto proprio dal consiglio pastorale diocesano.
    - La comunità diocesana non affitta la pastorale giovanile a nessun gruppo o associazione sia nei piani che nei responsabili. È bene tenere distinti gli ambiti se non è possibile per le persone.
    - La pastorale giovanile stimola la risposta vocazionale di ogni gruppo, associazione e movimento, facendo loro anche i conti in tasca in termini autorevoli.
    - È compito della pastorale giovanile diocesana mantenere il raccordo con la pastorale globale, perché nella comunità soltanto trova piena espressione la pastorale giovanile.

    ELENCO DI PROBLEMI

    Queste semplici indicazioni lasciano aperti molti problemi. Ne elenchiamo sinteticamente alcuni.
    - La partecipazione del laicato all'azione pastorale è spesso ridotta al tango di esecuzione delle vedute dei preti.
    - Il rapporto tra aggregazioni di base giovanili non associati e i gruppi associati a livello diocesano manca di un serio canale di comunicazione.
    La rappresentatività negli organismi di comunione o di programmazione è sempre «falsa» e non tiene conto dei vari livelli.
    - L'educazione degli animatori è la fase più delicata sia per la pastorale giovanile diocesana, sia per la vita associativa. Tutto sommato è affidata in prima persona agli animatori la vitalità del mondo giovanile. Ci sono esigenze di preparazione omogenea, ma anche di sviluppo delle diverse vocazioni, di garanzia educativa e di identità associativa.
    - La collocazione dell'Azione Cattolica. In questi anni molti assistenti del settore giovanile di A.C. sono stati incaricati di coordinare la pastorale giovanile diocesana.
    Il servizio e la mentalità ecclesiale maturata in questi gruppi li ha qualificati per questo compito. Ciò non toglie che esista:11 problema del rapporto tra Azione Cattolica e pastorale diocesana. -
    A questo riguardo ci sono almeno due indicazioni di soluzione:
    - la prima: l'A.C. è come il seminario per il laico, prepara i laici all'apostolato ecclesiale;
    - la seconda: l'A.C. è una mediazione che filtra l'esperienza dei gruppi in rapporto alla comunità locale.
    Secondo me l'A.C. deve essere collocata nella pastorale diocesana come tutte le associazioni e non può rappresentare che se stessa, con sue attività, punti di vista e secondo la sua vocazione.
    È però capace di offrire una mentalità di comunione, di progettazione, di elaborazione al servizio della globalità di una azione pastorale. Se si realizza in questa sua specificità trova anche una collocazione originale nella pastorale diocesana. Praticamente, non esiste una situazione di privilegio, ma un modo di essere che nella misura in cui è qualificato la colloca da protagonista nel servizio come nell'impostazione di una pastorale diocesana.

    LA RICERCA DI GRUPPO

    Se le relazioni sono il punto della situazione, la ricerca di gruppo parte da qui. Le valuta, le sviluppa, le carica della esperienza e dell'intuizione personale.
    Emergono immediatamente alcune indicazioni o punti di non ritorno che stanno alla base della pastorale giovanile diocesana:
    - consapevolezza che la Chiesa è in stato di missione per tutti i giovani; questo permette di non essere catturati da nessun gruppo o movimento nè da luoghi o strutture;
    - nel pluralismo delle aggregazioni si concretizza la scelta delle mediazioni dell'esperienza di Chiesa, necessarie oggi per i giovani;
    - la pastorale diocesana deve avere un primo livello di dignità: un piano di pastorale e non delle iniziative;
    - prima che nelle strutture la pastorale trova unità e collegamento nella comunione delle persone.
    Esistono però anche problemi precisi cui si danno soluzioni e sviluppi.

    II problema dello sbocco

    Una mentalità soltanto può risolvere questo problema:
    - l'autocoscienza del gruppo di essere Chiesa e di coniugare una esperienza di comunità cristiana che va oltre i confini della propria appartenenza sociologica;
    - l'esistenza di un progetto educativo di cui il gruppo giovanile è una attuazione limitata nel tempo.
    Da questi due punti di vista sono avvantaggiati i gruppi riferiti a associazioni di respiro nazionale.
    Allora se è vero il principio che la pastorale giovanile diocesana non dev'essere affittata a nessun gruppo, è necessario che si faccia carico di questi due livelli nel suo piano pastorale e nella sua attività di coordinamento.
    Lo sbocco fondamentale è' il territorio storico in cui si vive, la vita normale e la professione, il vivere da cristiani adulti, senza cercare ad ogni costo la vocazione speciale o l'eroismo o lo sbocco geniale, tutti possibili, ma frutti di chiamate personali.
    Da qui due interrogativi:
    - la comunità cristiana che spazio dà, che accoglienza riserva ai giovani che provengono da esperienze di Chiesa articolate in gruppi, movimenti e associazioni?
    - quali sono i contatti tra pastorale giovanile a ogni livello e le realtà civili territoriali?
    Questi interrogativi portano all'urgenza di creare pastorale giovanile diocesana dentro una pastorale generale ripensata, o per lo meno di porla in collegamento con tutte le altre espressioni del servizio pastorale diocesano. Il luogo comunque in cui si rompe l'accerchiamento o la privatizzazione è la comunità locale di base: la parrocchia.
    C'è spazio allora per la normalità, per la fantasia, per alcuni campi nuovi: cooperative di assistenza, di produzione, conduzione di mass-media, gruppi di famiglie.

    Il problema della selettività

    Esistono vari tipi di selettività.
    Un primo tipo: la selettività dovuta a una risposta libera a una proposta di fede ed è una selettività positiva che garantisce serietà alla vita di ciascuno. Anche se qui si deve fare attenzione al fatto che la selettività sia operazione che si fa di fronte alla fede e non al rivestimento culturale di essa. Da qui i problemi tipici dell'evangelizzazione, catechesi, partenza dalle domande, ecc.
    Esiste però una responsabilità nell'impostazione della pastorale giovanile diocesana quando questa seleziona ancor prima di annunciare.
    Un secondo tipo: la selettività dovuta all'attenzione, linguaggio, proposta che privilegia gli studenti. Questa è negativa. Linee di soluzione sono:
    - la proposta di tipologie articolate di gruppi con livelli diversi di ecclesialità (sport, strada, teatro...) con operazioni a cerchi concentrici;
    - la preoccupazione della pastorale giovanile diocesana di operare una qualificazione diversa negli operatori di pastorale (preti, suore, animatori);
    - il favorire alcune associazioni (tipo ACLI) che su questo versante hanno una ricchezza di esperienza;
    - interazione tra pastorale giovanile diocesana e altre specializzazioni della pastorale.
    Un terzo tipo: la selettività nei confronti di chi si emargina per debolezza o carenza di «umanità»: i poveri.
    Qui bisogna intervenire a livelli di criteri e quindi di animatori come primi responsabili di una pastorale giovanile diocesana corretta.
    Restano ancora problemi di comunione con gruppi, movimenti e associazioni. I livelli di agibilità tornano ad essere:
    - la coscienza del credente che è prima della comunione visibile;
    - la convergenza in comunità e problemi a misura d'uomo o microcomprensori, i programmi concreti.

    CONCLUSIONI

    Operare un cambiamento di prospettiva nel rapporto con gruppi, movimenti e associazioni. Non sono nemici da combattere o gente da imbrigliare, ma vocazioni da entusiasmare per l'unico Signore.
    - Oggi la pastorale giovanile ha forza propositiva di innovazione per la pazienza e la serietà che bisogna continuare ad avere.
    - Il lato da cui porsi è sempre quello del giovane e non del quadro strutturale che diventa una sottile forma di potere.
    - La tesi del gruppo-mediazione va inserita nel contesto della vita globale di un cristiano arricchita di livelli diversi, ma resta una tesi di pastorale giovanile convincente.


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