Attesi dal suo amore
    Proposta pastorale 2024-25 

    MGS 24 triennio

    Materiali di approfondimento


    Letti 
    & apprezzati


    Il numero di NPG
    luglio-agosto 2024
    600 cop 2024 2


    Il numero di NPG
    speciale sussidio 2024
    600 cop 2024 2


    Newsletter
    luglio-agosto 2024
    LUGLIO AGOSTO 2024


    Newsletter
    SPECIALE 2024
    SPECIALE SUSSIDIO 2024


    P. Pino Puglisi
    e NPG
    PPP e NPG


    Pensieri, parole
    ed emozioni


    Post it

    • On line il numero di LUGLIO-AGOSTO di NPG sul tema degli IRC, e quello SPECIALE con gli approfondimenti della proposta pastorale.  E qui le corrispondenti NEWSLETTER: luglio-agostospeciale.
    • Attivate nel sito (colonna di destra "Terza paginA") varie nuove rubriche per il 2024.
    • Linkati tutti i DOSSIER del 2020 col corrispettivo PDF.
    • Messa on line l'ANNATA 2020: 118 articoli usufruibili per la lettura, lo studio, la pratica, la diffusione (citando gentilmente la fonte).
    • Due nuove rubriche on line: RECENSIONI E SEGNALAZIONI. I libri recenti più interessanti e utili per l'operatore pastorale, e PENSIERI, PAROLE

    Le ANNATE di NPG 
    1967-2024 


    I DOSSIER di NPG 
    (dall'ultimo ai primi) 


    Le RUBRICHE NPG 
    (in ordine alfabetico
    e cronologico)
     


    Gli AUTORI di NPG
    ieri e oggi


    Gli EDITORIALI NPG 
    1967-2024 


    VOCI TEMATICHE 
    di NPG
    (in ordine alfabetico) 


    I LIBRI di NPG 
    Giovani e ragazzi,
    educazione, pastorale

     


    I SEMPREVERDI
    I migliori DOSSIER NPG
    fino al 2000 


    Animazione,
    animatori, sussidi


    Un giorno di maggio 
    La canzone del sito
    Margherita Pirri 


    WEB TV


    NPG Facebook

    x 2024 400


    NPG X

    x 2024 400



    Note di pastorale giovanile
    via Giacomo Costamagna 6
    00181 Roma

    Telefono
    06 4940442

    Email

    Fare «direzione spirituale» nella pastorale giovanile



    Antonio Martinelli

    (NPG 1984-5-3)


    Alcuni temi fondamentali della vita di un credente tornano puntualmente nei momenti di crisi e rinnovamento. Hanno bisogno di essere ripensati per una riformulazione che si adatti alle nuove esigenze, ricuperando la memoria di cui sono portatori e i semi fecondi da far sviluppare. Così per la «direzione spirituale»: nella storia della chiesa e nell'itinerario di crescita personale ha rappresentato un riferimento essenziale. L'Incarnazione, come evento e come criterio, ci ha resi coscienti che nessuno può dire ad un altro: «Io non ho bisogno di te!». Anzi l'orientamento e il sostegno nella fede dei fratelli vennero affidati ad altri fratelli. Nacquero così i «maestri spirituali».
    Seguendo le esperienze vissute dalle comunità cristiane si nota una altalena tra la prospettiva sociale e la prospettiva personale, nell'uso della «direzione spirituale». I due poli sono ancora oggi presenti. Alcuni richiamano principalmente il servizio alla singola persona, altri sottolineano la necessità di orientare l'insieme, i gruppi, le comunità. In questi ultimi tempi la prevalenza è a favore della direzione «personale», anche per il forte richiamo (in una società sempre più burocratica, tecnocratica e ultimamente anonima) alla nostalgia dell'interpersonalità, dell'intimismo quasi e del rifugio amicale. Ma i grandi «maestri spirituali» furono inizialmente orientati all'educazione e alla crescita cristiana della comunità. Non solo. La prima é più ricercata «maestra nello Spirito» fu la stessa comunità dei credenti.
    Nel dossier si tenta una riformulazione dell'esperienza educativa e religiosa che è la «direzione spirituale». Si noterà come il discorso, in modo non diretto, cerchi di rispondere a due interrogativi. Il primo: «Il servizio dell'orientamento e sostegno nella fede è compito solo del sacerdote nella comunità cristiana?». La risposta negativa allarga le responsabilità a tutti i credenti e agli adulti. Il secondo: «Il servizio dell'orientamento e sostegno nella fede è realizzato solo nella relazione e comunicazione interpersonale?». La risposta negativa impegna le comunità cristiane a scoprire e inventare tempi, strutture e modalità nuove per la crescita nella fede delle nuove generazioni. Un compito non dilazionabile e non demandabile soltanto ad alcuni. I quattro articoli del dossier ripercorrono il cammino della «direzione spirituale» per farne uno strumento educativo a vantaggio dei giovani. Partendo dalla «domanda reale/confusa di. direzione spirituale» che pare di scorgere nei giovani d'oggi (primo articolo), si conclude alla necessità di rifondare il rapporto tra i due termini in questione: giovani e direzione. Il secondo articolo rappresenta la parte centrale della riflessione e della proposta. È centrato sulla necessità di abilitare alla decisione personale e a vivere la realtà di ogni giorno con senso religioso: è la descrizione dell'obiettivo. Come? e con quali tappe concrete? e con quali modalità? Nell'insieme degli strumenti per orientare e sostenere la fede, viene esaminato solo il dialogo educativo-spirituale (terzo articolo). E tra le forme pratiche sono presentate la Revisione di Vita, e il discernimento spirituale. Infine, a modo di conclusione, tutto il tema viene ripensato dalla parte della «guida cristiana» (quarto articolo).

    1. Direzione spirituale e giovani: un rapporto da rifondare

    È un fatto la cui riprova ciascuno ha sotto i propri occhi: sono in atto una svalutazione e un abbandono progressivi di molti metodi da secoli utilizzati per educare e conservare la vita spirituale. Tra questi la «direzione spirituale».
    La svalutazione investe simultaneamente il «direttore spirituale», la persona che chiede guida nella fede, e lo stile di rapporto che si stabilisce tra i due.
    Non comporta però che si rinunzi ad un insieme di pratiche e di attività che sostituiscono, in qualche modo, interventi formativi precedenti; così la direzione spirituale viene sostituita con il counseling, la preghiera con yoga, la mortificazione ascetica con il lavoro trasformante del mondo.
    Queste pratiche mostrano che anche l'uomo contemporaneo cerca di raggiungere un centro, in cui ritrovarsi e ritrovare la vita.
    La svalutazione e l'abbandono manifestano poi il «sospetto» che le pratiche religiose tradizionali non significhino nulla per la vita oggi; sembrano anzi avere una certa complicità con le forze di alienazione operanti nella nostra società.

    ALCUNI SOSPETTI GENERALI

    «Sospetto» perché?
    Con riferimento alla «direzione spirituale» le motivazioni più frequenti sono le seguenti.

    Il rifiuto del rapporto padre-figlio

    La riproduzione «padre-figlio» non è facilmente accolta dalla nostra generazione. Gravano molti sospetti su questo tipo di rapporto, che non si desidera riproporre sul piano religioso.
    Sospetti di manipolazione e di ricatto affettivo; una sorta di colonialismo spirituale, anche se rivestito di modalità e calore familiari; una struttura di autorità che privilegia l'obbedienza di fronte alla creatività, la sottomissione nei confronti della autodeterminazione; un crescere all'ombra di altri che poco spazio lasciano alla propria identità, che resta pur sempre l'obiettivo dell'impegno giovanile.
    Nessuno può essere il tutto di un altro.
    Perciò la relazione che si ricerca è un rapporto raffigurabile come adulto-adulto, in cui il rispetto e il sostegno vicendevoli rassicurano dell'esito positivo.

    Il rifiuto del quadro concettuale sottostante la «direzione spirituale»

    Le espressioni «direzione delle anime», «salvezza dell'anima» e simili, non sembrano attente alle emergenze culturali contemporanee.
    La rigida distinzione tra anima e corpo che ha dominato per tanto tempo non solo le formulazioni dottrinali della chiesa, ma ha anche orientato le sue scelte sul piano morale e spirituale, si trova in dissonanza con la sensibilità odierna. Il linguaggio ecclesiastico è debitore, per tanta parte, ad una antropologia di ispirazione platonica: ne è nato il timore di uno spiritualismo disincarnato, di una ricerca di identità cristiana fuori del contesto della cultura di oggi. Da qui all'abbandono di iniziative ed attività tradizionali il passo è breve.
    Non bisogna accontentarsi di parlare di «direzione delle anime», ma è necessario cercare quale dovrà essere l'anima della direzione da proporre, e perciò la cultura in cui inserirsi e vivere.

    Il rifiuto di una opposizione tra temporale e spirituale

    Continuo la precedente distinzione e ne allargo l'ambito.
    Per lungo tempo i due termini «temporale / spirituale» sono stati usati come contraddittori, con la conseguenza di creare due sfere di attività contrapposte, affidate a due soggetti diversi: le cose «temporali» all'uomo e le cose «spirituali» al credente.
    In realtà, «temporale» si oppone ad «eterno» e «spirituale» a «materiale».
    La direzione spirituale si riferisce perciò insieme a cose temporali e spirituali, senza preclusioni e false riduzioni, perché cerca il riferimento alla vita dell'uomo.
    Le cose temporali sono materiali e spirituali.
    Le cose spirituali sono temporali ed eterne.

    Il rifiuto di un compimento meccanico della volontà di Dio

    Il comune linguaggio dei cristiani si riporta con frequenza e facilità all'espressione «fare la volontà di Dio», oppure «è volontà di Dio che...».
    Tutto è ricondotto così ad una volontà di Dio che sovrasta e richiede esecuzione cieca ed immediata.
    Accettare le realtà più varie (dal cattivo tempo ad una riuscita nella professione), fare proprie le situazioni più disparate (da un lutto ad una gioia non programmata), eseguire senza reticenze e tentennamenti le indicazioni più diverse (dall'osservanza dei comandamenti di Dio ai desideri dei propri genitori), tutto viene incluso nella categoria della volontà di Dio.
    Ci si rende conto oggi di quanto un atteggiamento del genere riduca l'impegno e lo sforzo personale; e come è difficile trovare criteri che aiutino a separare il necessario dal superfluo, l'utile dal dannoso, l'iscritto nella realtà delle cose dal capriccio degli uomini, l'uso dall'abuso del ricorso alla volontà di Dio.
    Non è un elenco esaustivo di «sospetti». È sufficiente però per concludere che ci troviamo dinanzi ad una situazione culturale che richiede di riformulare le esigenze della «direzione spirituale» con un ascolto dell'oggi, capace di aprire ed inaugurare possibilità nuove nell'educazione e nella crescita della fede.

    UNA DOMANDA REALE/CONFUSA DI «DIREZIONE SPIRITUALE»

    La sfida che il contesto giovanile lancia alla vita cristiana e alla sua capacità di adattarsi senza perdere la identità, e di influire sui giovani, non può lasciare indifferenti.
    È possibile parlare di direzione spirituale? ha ancora spazio nell'educazione e crescita dei giovani alla fede? quali prospettive ha di incidere sul corso della storia giovanile? quali orientamenti assumerà?
    Non sono interrogativi vuoti e superflui, se si considera il concreto problema che ci sta dinanzi: da una parte la caduta d'impegno per «offrire una direzione» spirituale da adulti educatori e pastori; dall'altra, forse un'ambigua richiesta di sicurezza e di sostegno da parte dei giovani.
    È vera l'affermazione di Vladimir Truhlar: «Per una tale via verso l'interiorità siamo di solito ben poco istruiti. Nell'ordinaria azione spirituale-pastorale della Chiesa finora non c'è nessuna funzione regolare e costante con questo indirizzo.
    C'erano e ci sono, sì, delle singole istituzioni che in qualche modo di fatto includono un'iniziazione all'esperienza interiore... Ma tutto ciò non esprime una funzione pastorale abituale, generale, indirizzata a tutti i cristiani» (Vladimir Truhlar, I concetti fondamentali della teologia spirituale, Queriniana, p. 79).
    Non preparati ad un compito da svolgere, gli adulti si sono trovati o superati dalla nuova situazione culturale e giovanile, non riuscendo a comprenderla o ad inserirvisi oppure rinunciatari nella trasmissione dell'esperienza cristiana, non avendo parole adatte e proposte significative.
    D'altro canto i giovani non hanno rinunciato a cercare «vie d'uscita» e soluzioni alternative all'irrinunciabile esigenza di identità cristiana personale.
    Nella loro prassi quotidiana è possibile scorgere una domanda diffusa di «direzione spirituale».
    Ma quale risposta viene data dai giovani e dagli adulti?
    Esamino due prospettive, due esiti abituali che la prassi giovanile fa emergere; e due soluzioni che gli adulti normalmente offrono nel loro impegno educativo con i giovani.

    PRASSI GIOVANILE

    Dal protagonismo operativo alla proiezione mistica

    È la prima strada scelta dai giovani, anche in modo non consapevole.
    La via mistica, come ricerca e conquista dell'assoluto, come fame di esperienza, risponde alla ricerca di identità e di costruzione di sé.
    È fame di piccole cose: trascorrere bene le ferie, vedere un bel programma alla TV, sentire un concerto, leggere un libro, contemplare un quadro o fare la conoscenza di qualcuno.
    Ma in tutto questo l'interesse è rivolto alla vita nel suo insieme...
    Questa fame di esperienza si riferisce a qualcosa che potremmo chiamare con il nome di «Dio» o «problema di Dio».
    Sembra evidente un certo ripiegamento dall'impegno sociale e politico sul terreno dell'individuale.
    E sul versante «spirituale» la ricerca si orienta sugli aspetti espressamente religiosi.
    La via mistica si presenta più facile e per certi versi anche più gratificante.
    Un modo di accostare la Parola di Dio che privilegia la dimensione del dono senza il seguito dell'impegno operativo; un sentire il rapporto chiesa-mondo che è più vicino al collateralismo che al servizio; un vivere il momento dell'incontro con Dio nella preghiera come rassicurazione di fronte ai conflitti della vita quotidiana, sembrano avvallare un atteggiamento di «fuga».
    La direzione spirituale è funzionale se è collocata all'interno di un progetto comunitario che aiuta a crescere nella risposta al dono ricevuto; altrimenti si carica di tanta ambiguità e perde la sua forza educativa. L'ambiguità principale è nella preoccupazione della felicità individuale.
    Sarà ancora possibile, in un contesto individualistico, una direzione spirituale efficace?

    Dall'autocoscienza collettiva alla relazione duale

    Lo spostamento di interessi e l'emergenza di bisogni legati alla vita quotidiana, alla ricerca dell'identità, alla crescita e alla realizzazione di sé, sono elementi della nuova situazione giovanile.
    La molteplicità di proposte, il pluralismo ideologico e comportamentale, il rischio del relativismo e del naufragio nell'esuberanza delle possibilità, rendono più attenti e rischiosi i processi personali.
    La voglia di riuscire ed insieme la paura di restare isolati e marginali fanno ricercare sicurezza e conferma.
    Si avverte il bisogno di relazioni molto strette, di un rapporto duale.
    Terminata la stagione del «collettivismo», sembra che si corra verso quella dell'individualismo.
    Non è l'unico esito della relazione duale.
    Mi interessa però richiamare gli aspetti di rischi di una relazione costruita prevalentemente sul «tu a tu».
    È un chiamare per nome i pericoli per saperli evitare.
    Ogni forma di isolamento introduce nel campo dell'immaginario, facendo perdere il contatto con la realtà concreta e quotidiana. Si scatenano allora desideri e ricerca di sé che si trovano in opposizione con l'obiettivo della direzione spirituale. Se ci si chiude nella relazione duale si perde l'impegno della personale responsabilità, perché si è preoccupati solo nella dimensione narcisistica della propria vita, e soprattutto si lascia ad altri il peso della propria esistenza.
    Non bisogna nascondersi i rischi del transfert, del lasciarsi prendere in modo poco critico dai modi di pensare e dalle proposte dell'altro.
    Un sereno contatto con la realtà e il riconoscimento della finitudine propria sono indispensabili.
    Quando l'abbandonarsi all'altro significa perdere il senso del proprio limite e acquistare la certezza che tutto diventa possibile e realizzabile; quando l'affidarsi all'altro comporta il trasferire sulle sue spalle il peso della prova e della difficoltà, per assumere su di sé solo le conclusioni e gli orientamenti operativi; quando ci si appoggia ad un altro per averne gratuitamente trasparenza, armonia, pienezza e integrità, senza familiarizzare con l'esperienza delle personali contraddizioni e della povertà nelle conquiste quotidiane, l'alienazione e la chiusura nel piccolo mondo individuale riducono la forza innovativa dell'incontro e del dialogo con l'altra persona.

    UNA PRASSI EDUCATIVO-SPIRITUALE INSUFFICIENTE

    La pastorale giovanile in questi anni, consapevole della necessità di una «guida all'esperienza personale di fede», ha elaborato due proposte operative.
    La prima centrata sul gruppo: l'ambiente materiale e il luogo educativo dove è possibile far nascere e maturare la fede, dove si fa esperienza della efficacia della testimonianza personale e collettiva, dove si rielaborano progetti ed itinerari è il gruppo
    La seconda centrata sul dialogo interpersonale: il contatto «a tu per tu», l'intervento misurato sulla singola persona, l'esigenza di personalizzare la risposta di fede richiedono di incontrare ciascuno in modo singolare.
    Le due proposte, prese separatamente ed assolutizzate, mi sembrano insufficienti.

    I limiti della fiducia incondizionata nel gruppo

    Non soddisfa anzitutto la fiducia incondizionata nel gruppo come via all'esperienza personale di fede. Porto le mie riflessioni sul «gruppo giovanile» visto non nella teorizzazione del suo ruolo educativo, ma nella concreta azione pastorale.
    Una certezza, che condivido, sostiene questa prassi educativa: mai potrà venir meno il rapporto alla comunità nel cammino di maturazione personale di fede.
    L'affermazione supera qualunque limitazione di fascia di età, interessando giovani e adulti.
    Per quanti si aprono alla fede, la comunità costituisce l'ambiente nel quale essa trova il suo nutrimento; a quanti cercano la fede, la comunità trasmette l'annuncio attraverso la parola di chi catechizza e attraverso la vita stessa dei fratelli; a quanti crescono nella fede, la comunità comunica la forza illuminante e persuasiva della testimonianza; a quanti, invece, sono minacciati dalla fede, la comunità trasmette la consapevolezza di sentirsi aiutati e sostenuti, e crea attraverso la correzione fraterna, l'atmosfera propizia alla conversione.
    La comunità è sempre dentro il discorso di fede, anche quando interessa un solo credente.
    Importanza particolare acquista questa certezza quando ci si riferisce a giovani.
    L'appartenenza ad un gruppo risulta essere la variabile più significativa ed efficace nella maturazione religiosa del giovane.
    Ci si riporti alle osservazioni fatte da Giancarlo Milanesi a proposito dell'inchiesta, da lui diretta, sulla religiosità giovanile oggi in Italia.
    L'esperienza dei gruppi porta ad una seconda riflessione.
    Non sono pochi coloro che pensano al gruppo come ad una realtà assoluta, non bisognosa di rapporti e di apertura verso altre istituzioni ed esperienze.
    «Quando un gruppo fagocita la libertà e la decisionalità dei suoi membri, essi non sentono affatto l'esigenza di decentrarsi verso altre istituzioni: il gruppo è così rassicurante e involvente, che si teme appassionatamente di uscirne. Il gruppo diventa totalizzante e autoescludente» (R. Tonelli, Gruppi giovanili e esperienza di chiesa, Las Roma, p. 82).
    Una simile convinzione paralizza la ricerca e la maturazione dell'identità personale, in quanto le dinamiche che si scatenano all'interno avranno come obiettivo o lo stesso gruppo o l'efficienza della sua immagine esteriore.
    Nell'uno e nell'altro caso la persona non viene presa in considerazione, ma ricacciata nell'anonimato.

    I limiti della fiducia nella «buona parola» a-tu-per-tu

    L'immagine più comune di «direzione spirituale» si connota con tre caratteristiche particolari.
    La prima. È soprattutto un incontro tra due persone. Viene così sottolineata la dimensione del «tu per tu».
    È il recupero della centralità della persona rispetto a tutto il resto.
    La seconda. È l'applicazione dei grandi orientamenti della vita cristiana al singolo. I principi e i criteri che dirigono la risposta del credente ai doni di Dio sono calati nella storia di ciascuno.
    Non in forma di dialogo ermeneutico tra i principi generali e bisogni e attese del singolo, ma come adattamento del singolo ai contenuti della fede.
    Questa applicazione viene istituzionalizzata nella chiesa. Per cui si assiste frequentemente alla riduzione della direzione spirituale al sacramento della penitenza, e del direttore spirituale al sacerdote.
    La sovrapposizione tra direzione spirituale e confessione rende l'autorità del direttore partecipe di quella giurisdizionale del presbitero: la fa di tipo forte, distorcendo così, inevitabilmente, il senso di «direzione spirituale».
    Inoltre la sovrapposizione tra direttore spirituale e sacerdote confina la direzione nell'ambito riservato ad una élite.
    La terza. L'interiorizzazione dei valori cristiani perseguita dalla direzione spirituale ha indotto alla conclusione che nella opposizione tra rinnovamento delle strutture e rinnovamento del cuore la realtà da privilegiare fosse quella interiore.
    Mi rendo conto che ho esasperato alcune situazioni: volevo richiamare con vigore alcuni problemi connessi con la direzione spirituale.
    Riconosco che per molti casi, i più significativi nella storia della chiesa, non si può applicare l'immagine descritta. È da riconoscere però che varie esperienze fatte sono vicine a questa immagine.
    L'aspetto negativo del modello non è la ricerca del conforto e dell'incontro: sono esigenze irrinunciabili; ma la rinuncia immatura, da parte di chi lo pratica, nello spendere energie per modificare quanto Il primo fatto di cui prendere coscienza è non è accettabile nelle strutture ed istituzioni la nuova situazione giovanile.

    RIFORMULAZIONE DI UNA RISORSA EDUCATIVA?

    Domanda diffusa ed implicita di «direzione spirituale» e risposte insufficienti esigono una riformulazione globale.
    La «direzione spirituale» presenta una complessa operazione di illuminazione e di interpretazione, in vista di una nuova sintesi operativa.
    Parlare di «illuminazione» è riferirsi alla singola persona.
    Porta al giovane la rivelazione di quelle realtà che sono presenti ed operanti in lui, ma che lui da solo, spontaneamente, senza alcun aiuto dall'esterno non riuscirebbe a conoscere né ad afferrare.
    Parlare di «interpretazione» è riferirsi ad un contesto comunitario.
    Risponde ad un'esigenza profonda.
    Il giovane infatti ha dentro di sé stati d'animo, tendenze, interessi, vaghi e disordinati, per cui a volte si domanda: «Che cosa sono, da dove vengo, perché ci sono?». E chiede che qualcuno interpreti le voci che lo abitano, che lo aiuti a dare loro un nome, che orienti l'impegno per una risposta responsabile ed efficace.
    Parlare di «sintesi operativa» è riportare tutto il processo di educazione e crescita nella fede dentro la persona che vive una storia ed una cultura.
    Si tratta di costruire un progetto di personalità lungo la via del tempo e della terra.
    Da dove prendere l'avvio per una nuova ed efficace ripresa della «direzione spirituale»?
    Due mi sembrano i riferimenti necessari: il contesto in cui si è chiamati ad operare e i rischi pratici che si incontrano nel fare opera di educazione alla fede.

    La situazione giovanile

    La «direzione» non può essere un impegno astorico.
    Per essere efficace è necessario collocarla nel contesto della vita contemporanea.
    Non è mio compito descrivere questa situazione in modo dettagliato.
    Tento di presentare le emergenze tipiche che potranno avere un rapporto con la «direzione spirituale».

    Senza memoria e senza avvenire

    C'è tutta una ricca letteratura che descrive la condizione dei giovani con un'immagine: il «rizoma», pianta senza radici e senza fusto. (I. Mancini, Cultura giovanile: dalla crisi dell'epoca nuova al pensiero negativo, in Regno Attualità, 1981, n. 14, pp. 323-334).
    I giovani senza memoria storica e culturale hanno vissuto una stagione di grandi avventure ideologiche ed operative.
    Creatori, nel desiderio, hanno poi scoperto la difficoltà del vivere quotidiano.
    Oggi si può dire che alla mancanza di memoria si aggiunge la mancanza di avvenire. Tendono cioè a vivere senza continuità, senza creatività, senza slancio.
    Per essi l'avvenire è diventato una scelta, nel senso che la cultura contemporanea non li aiuta a proiettarsi negli anni che verranno, e nel senso che la paura è tale da far pensare alla propria vita come ad una via senza uscita.
    Vivono in altre parole l'esperienza di una dislocazione storica.
    Nasce da tutto questo uno stato di paralisi. L'uomo può nutrire speranza o disperazione solo quando si sente responsabile del futuro; ma quando si considera vittima di una burocrazia tecnologica complessa, egli sente che la sua motivazione vacilla e comincia ad andare alla deriva, riducendo la vita a una lunga teoria di incidenti e di accidenti incatenati dal caso.

    La caduta delle grandi narrazioni e la tolleranza che cerca un senso

    Molte volte si è parlato in Note di pastorale giovanile di questi temi presentando la situazione giovanile.
    Così è riferiti spesso alla frammentazione oggettiva e al modo soggettivo di vivere
    frammentato, allo scarso interesse al cambio sociale e politico, alla scarsa progettualità personale. Rimando a quelle analisi e tiro alcune conclusioni per quel che riguarda il nostro dossier.
    Le conseguenze sono varie, in numero e qualità.
    Per esempio: si vive facilmente di frammenti; la vita non ha un'unica prospettiva, un'unica idea, un solo sistema e schema di riferimento; si sperimentano situazioni paradossali, nel senso della loro intima contraddizione; si vive il momento e nel posto in cui ci si viene a trovare; l'arte principale è quella del collage.
    Da quest'insieme di realtà deriva la forza della tolleranza, che se dice l'impossibilità a diventare fanatici e disposti ad immolarsi per un'idea, esprime anche la ricerca di un senso in tutto.
    La diversità non è vista ed accettata come un dato di cui non si può fare a meno, ma come un arricchimento di cui non privarsi.
    Quest'atteggiamento fa permeabili a tutto, ad ogni messaggio e ad ogni insinuazione dei mezzi della comunicazione di massa.

    L'uomo senza qualità

    Vorrei chiarire fin dall'inizio che «l'uomo senza qualità» è, nel contesto, l'uomo che non lascia orma di sé nella vita.
    È l'uomo non creativo, che non si sente abbastanza sospinto a trascendere le proprie limitazioni.
    È l'essere incapace di pensarsi sopravvivente in esseri e cose che hanno in qualche modo origine da lui e dalle sue scelte. Mi riferisco, per esempio, allo sforzo e all'impegno di sognare un mondo diverso, più giusto e più rispettoso di ciascuno.
    Com'è possibile un pensiero del genere quando manca la prospettiva dell'avvenire?
    Perché? ci si potrà domandare.
    C'è una minaccia che incombe: la perdita del senso dell'immortalità.
    Ciò che dà unità e direzione nella vita è il futuro.
    Quando si è presi dal presente, tirati a destra e a sinistra dalle varie correnti, non si può avere la forza e la lucidità di scegliere la rotta definitiva. Tutto diventa appiattito e senza rilievo. Mancano le «passioni», nel significato più semplice della parola. Non ci sono conflitti, non c'è depressione, non ci sono ansietà. E, d'altra parte, mancano tutte le motivazioni per operare con soddisfazione e contentezza.
    Derivano e insorgono indifferenza e noia, incertezza e nichilismo: la paralisi, in povere parole.
    L'attesa degli eventi é agli antipodi della coscienza della propria onnipotenza.
    Ma nell'epoca nucleare, diversamente dall'epoca tecnologica ed industriale, ci si rende conto quanto l'effettiva possibilità d'intervenire a modificare il corso della storia sia concentrata in poche mani.
    La storia quotidiana della propria impotenza convince a non lasciar segni di sé.
    «La credenza di un al di là come può costituire una risposta alla ricerca di immortalità, quando praticamente non esiste credenza nel qua ?». Il panorama della nostra storia e dell'esistenza dell'uomo è cambiato molto in questi ultimi anni (cf Giovani e cultura davanti all'al di là, Documento redazionale, NPG 3/1983, pp. 49). Non è una valutazione, ma solo un'affermazione.
    Richiamo una conseguenza importante. La mancanza di radici e la privazione dell'avvenire sfociano nell'assenza di qualsiasi "centro". Non si può parlare facilmente di identità di sé.

    I rischi nell'educazione alla fede

    È il secondo punto di riferimento che va considerato nella riformulazione della direzione spirituale.
    Non riprendo da principio la descrizione dei rischi presentata nei due paragrafi:
    - una domanda reale/confusa di direzione spirituale;
    - una prassi educativo-spirituale insufficiente.
    Se non si offre un modello nuovo di guida cristiana non si potrà essere efficaci o si ripresenteranno le difficoltà di sempre che non daranno respiro alla crescita della fede nel contesto contemporaneo.
    La proposta che verrò formulando terrà perciò presenti i fatti fin qui descritti, alla ricerca di un modello educativo-spirituale che si faccia propositivo, tanto sul fronte della prassi dei giovani, perché non si distacchino dalla vita concreta e non si chiudano in se stessi (o nel piccolo gruppo), quanto sul fronte della prassi degli adulti, perché non assolutizzino formule e strumenti che a lungo termine risultano inefficaci.

    2. Per un servizio di orientamento e sostegno nella fede

    I testi classici che affrontano l'argomento usano le seguenti espressioni: accompagnamento spirituale, orientamento spirituale, mediazione, condiscepolato, sostegno nella crescita cristiana, dialogo spirituale, guida cristiana, ecc. Intendo parlare di direzione spirituale come di un «servizio di orientamento e sostegno nella fede».
    È importante nel mutamento verbale evitare due scogli: il primo legato all'allargamento senza confini dell'ambito in cui operare, il secondo legato cambio della parola conservando intatto la precedente realtà.
    Il primo scoglio è il «genericismo».
    Orientamento e sostegno nella fede sarebbe una realtà evanescente, che non impegna le persone e non fa evolvere le situazioni per una crescita nella fede.
    Il secondo invece è continuare in quell'opera di supplenza di responsabilità, che riduce le persone a semplici esecutori di volontà altrui, mentre lo scopo della direzione spirituale è la crescita nella maturità e nella fede, cioè nell'autonomia personale.
    Questa libertà personale quindi sta al centro del rapporto e non può essere confusa con il libertinaggio.
    Il soggetto è di fatto legato (o deve imparare a legarsi) alla sua «bussola interna», alla sua esperienza, all'opera dello Spirito in lui. Un comportamento direttivo impedisce questa crescita. Al raggiungimento di questo obiettivo tende il servizio di orientamento e sostegno nella fede.
    Indichiamo, uno dopo l'altro:
    - l'obiettivo;
    - l'itinerario;
    - quattro modi per raggiungere l'obiettivo.

    L'OBIETTIVO DEL SERVIZIO DI ORIENTAMENTO E SOSTEGNO NELLA FEDE

    La direzione spirituale non può essere separata dal contesto più ampio della pastorale giovanile: ne assume l'obiettivo generale e al di dentro di questo offre un suo particolare contributo.
    L'educazione alla fede nella passione per la vita definisce l'obiettivo della pastorale giovanile ed è il luogo in cui si operano gli interventi di orientamento e sostegno nella fede.
    Determinare, anche in modo rapido, gli elementi e la sequenza degli obiettivi intermedi che danno concretezza all'impegno pastorale non rientra direttamente nel tema che sto trattando.
    Mi domando qual è lo specifico del servizio di orientamento e sostegno nella fede.
    Rispondo con due proposizioni.

    Orientare ad una decisione personale da credente

    Innanzitutto orientare alla decisione personale da credente.
    Ogni decisione comporta cambi da una parte, e consolidamenti dall'altra. Si tratta di orientare e di sostenere la capacità di assumere nuovi atteggiamenti diversi da quelli che fino ad ora si sono avuti, di operare una reale conversione sul piano interiore e comportamentale, di essere attento e docile ai segni che la vita offre. Si tratta poi di consolidare le scelte compiute, perché diventino abilità.
    Con altre parole: orientare verso la decisione.
    Decidere è far crescere la persona, è puntare sulla formazione della coscienza e della responsabilità, è rendere critici sulle decisioni che frequentemente vengono indotte, è aiutare a ritrovare il senso e la forza della solitudine personale.
    Qui solamente è possibile quel processo di personalizzazione e di interiorizzazione dei valori e delle proposte cristiane che devono diventare il riferimento continuo delle scelte. Qui ancora valori e proposte possono diventare significativi, cioè mostrare la forza di risposta alle proprie attese ed essere integrati nel personale sistema di significato.
    Nessuno può violare la solitudine dell'altro, anche se tutti sono chiamati e tenuti a sostenerla.
    Vorrei trarre dall'indicazione offerta alcune conseguenze.
    In coerenza si dovrà affermare la diversità tra sacramento della riconciliazione e servizio di orientamento e sostegno nella fede.
    Proprio in ragione della diversità dell'obiettivo.
    Il sacramento vuole celebrare la misericordia di Dio nei piccoli passi della conversione che realizzo.
    Il ministero dell'orientamento e sostegno vuole orientare verso decisione nella personale solitudine.
    La diversità non significa l'incomunicabilità e la vicendevole noncuranza.
    Non legato al sacramento della riconciliazione, il servizio di orientamento e sostegno nella fede manifesta la sua fondamentale caratteristica laica.
    Difendere questa affermazione significa espandere la responsabilità all'intera comunità e non riservarla unicamente al sacerdote.
    C'è qui ampio spazio per valorizzare i doni degli educatori, dei e delle religiose, di quanti hanno un carisma particolare: c'è anche da affermare che non è possibile inventarsi orientatori e sostenitori nella fede.

    Sostenere nel vivere il quotidiano da credenti

    Riprendo la descrizione dell'obiettivo nella formulazione della seconda parte: sostenere nel vivere la realtà di ogni giorno con senso religioso.
    Il bisogno di mistagogia, alla scoperta del senso religioso diffuso tra i giovani, s'incontra efficacemente con la prospettiva segnalata.
    Da sempre, e la storia ne fa fede, si è praticata una qualche iniziazione alla scoperta dei livelli profondi dell'esistenza umano-religiosa.
    Non può perciò essere abbandonata una pratica che rivela una esigenza non mai completamente soddisfatta.
    L'orientamento e sostegno nella fede è un ruolo decisivo per imparare a vivere la realtà di ogni giorno con senso religioso.
    La vita religiosa autentica non è un piano costruito al di sopra della realtà vitale abituale, ma costituisce il quadro portante di tutta l'esistenza.
    Per questo non può esistere orientamento e sostegno alla fede senza l'attenzione a tutto ciò che c'è nella vita.
    Sostenere comporterà da parte dell'adulto nella fede un insieme di attenzioni ed interventi che esporrò nell'itinerario.
    È evidente il ruolo della sua persona e della sua vita, come anche il peso dello stile e delle modalità che utilizzerà, nel sostenere il cammino dei giovani verso la maturità della fede.

    L'ITINERARIO DELL'ESPERIENZA PERSONALE DEL CREDENTE

    La direzione spirituale come «orientamento e sostegno» evidenzia la sua dimensione di servizio educativo che si inserisce nel vivo del cammino di fede delle persone che costituiscono i gruppi e la comunità.
    Cammino, itinerario, sviluppo sottolineano la dimensione storica della crescita e della maturazione della fede.
    Storica nei due significati: nel senso di adeguamento ai «processi personali» e di adattamento alle «circostanze esterne».
    La proposta che presento va letta in armonia con un'altra scelta tipica della rivista Note di pastorale giovanile: l'animazione.
    I quaderni dell'animatore 5 e 6 descrivono gli obiettivi dell'animazione culturale. Dentro questi mi colloco per riformulare le tappe di un itinerario attento alla decisione personale e all'apertura al trascendente.
    Ecco i movimenti progressivi dell'itinerario:
    - la costruzione di un centro personale, dell'io che manifesta la propria identità entrando in rapporto con ciò che è fuori di sé;
    - la comprensione profonda delle cose che circondano l'io, il ritrovare il senso delle cose;
    - la capacità di aprirsi alla comunione degli altri; non solo vedere e comprendere, ma condividere;
    - la confessione e l'incontro con Dio nella scoperta delle propria «vocazione» e nell'accettazione del Dio vivo presente nella vita.

    1. Dalla dispersione al centro esistenziale

    L'animazione può essere assimilata ad una azione che crea nello spazio caotico, illimitato e indifferenziato in cui si dice il desiderio e in cui risuonano gli istinti e le più paurose ferinità arcaiche, un microcosmo organizzato dotato di un centro nel quale il giovane può tanto conoscere e controllare i propri inferi (l'inconscio individuale e collettivo), quanto entrare in contatto con il cielo (i valori e la fede), rimanendo però ben radicato sulla terra (la coscienza, la razionalità umana e la dialettica).
    Può essere infatti interessante rielaborare il simbolismo del centro in chiave educativa moderna, proponendolo non più come centro sacro ma bensì come centro esistenziale.
    Come luogo che consente alla persona una più approfondita ricerca di sé e del senso della propria esistenza.
    È interessante vedere come attorno a questo centro si organizzano tempo e spazio, si organizza in altri termini la vita, perché l'uomo visto nella sua concretezza è inserito in un determinato spazio, fa parte di un tempo particolare.
    Tale organizzazione comporta che il soggetto impari a «controllare» gli eventi e quindi a dar loro un senso di volta in volta originale. Un esempio: il magnete che dispone attorno a sé secondo un disegno di forze, la polvere di ferro.
    Comporta inoltre rendere consapevoli che il conferimento di senso non è un'attività puramente soggettiva, ma è, insieme, scoperta e accoglienza di un senso oggettivo diffuso.
    Fare animazione è aiutare il senso-già-dato a livello ultimo o penultimo.
    Comporta ancora condurre a scoprire che dare senso è un'attività soggettiva completa in cui si incrociano il conferire il senso e lo scoprire il senso a livello individuale e a livello collettivo, riconoscendo e conferendo ad alcuni eventi personali e comunitari maggior rilievo, in quanto in loro emerge con maggior intensità e forza evocativa il senso complessivo della vita.
    Comporta infine rendere consapevoli che lo spazio-tempo organizzato dal singolo ` in qualche modo diverso da quello degli altri, e proprio per questo richiede insieme sempre maggiore identità e maggiore apertura (cf NPG, Q5, passim canovaccio p. 87 (31) 88 (32).

    2. Dal centro esistenziale al senso della realtà

    Il centro non va ridotto ad esperienza psicologica. Esso ha anzitutto a che fare con il senso della realtà.
    Vediamo come.
    L'esperienza manifesta che l'incontro con il proprio essere interiore ingenera, in un primo momento, una grande confusione: non si riesce a distinguere attorno a sé il perché e l'orientamento delle cose. C'è bisogno di luce e di chiarezza.
    Chiarezza è fornire i mezzi con cui la gente possa entrare nelle proprie esperienze e trovare le nicchie in cui Dio possa annidarsi tenacemente.
    Il saper dare nome alle cose è già per buona parte aver superata la difficoltà di integrarle nella propria vita.
    Tanta parte di pigrizia e di accidia, di paralisi interiore e di abbandono dell'impegno, è legata alla mancanza di chiarezza.
    La capacità contemplativa, come simpatia verso le cose e accoglienza del senso che si portano dentro, anche quando è povero e bisognoso di essere aiutato a crescere, rende la natura intera amichevole e nulla di ciò che è umano risulterà straniero: né la gioia né il dolore, né il vivere né il morire.
    Chiarezza è portare alla ribalta la bellezza concreta dell'uomo e del suo mondo sempre diverso, sempre affascinante, sempre nuovo.
    In altre parole è condurre la gente fuori dalla terra della confusione in quella della speranza.
    Arrivare al senso della realtà comporta non lasciarsi assorbire dall'urgenza e dall'immediato, ma accordare alle cose un lungo e sereno sguardo interiore. Nascono allora una serie di domande.
    Chi mi può svelare il significato del mondo e della vita, o anche soltanto dire che un significato esiste? Chi mi può annunciare che la vita è buona, e questa bontà può permeare i miei rapporti con tutto quanto mi circonda: uomini e cose, natura e storia, spazio e tempo?
    La vita quotidiana, in cui matura la domanda del senso, non sa dare da sola una risposta.

    3. Dal senso della realtà alla compagnia

    Non solo vedere e scrutare, ma saper condividere e fare compagnia.
    Come?
    Una compagnia capace di dare rilevanza al tempo e allo spazio come dimensioni dell'uomo: ritrovando le radici comuni nella storia che si vive e insieme si costruisce, e riscoprendo i segni dell'amore di Dio, i simboli della sua presenza nello spazio che siamo chiamati a popolare.
    Compagnia come attesa. Non c'è motivo di vivere se non c'è nessuno per cui vivere. L'attesa è alla base della speranza, della meraviglia, della novità, del desiderio, della vita.
    Quando niente e nessuno ci aspetta, non c'è speranza di sopravvivenza nella battaglia per la vita.
    «Ti aspetto» va oltre la morte ed è la più profonda espressione del fatto che la fede e speranza possono passare, mentre l'amore rimarrà per sempre.
    «Ti aspetto» è un'espressione di solidarietà che infrange le catene della morte.
    Nessun uomo può rimanere in vita se nessuno lo aspetta.
    Chiunque torni da un viaggio lungo e difficile cerca qualcuno che lo aspetti alla stazione o all'aeroporto. Ognuno vuole raccontare le sue vicende e condividere i momenti di dolore e di gioia con chi è rimasto a casa ad aspettarlo.
    Compagnia come liberazione. Soprattutto dalla paura, dalla sicurezza fondata sulle proprie e uniche forze, dal chiudersi nel proprio piccolo mondo che immediatamente invecchia.
    Compagnia che libera e che ci libera.
    Da quando Dio si é fatto uomo, è l'uomo che ha il potere di guidare il fratello alla libertà.
    È questo un atto d'amore grande.

    4. Dalla compagnia alla trascendenza

    Il cammino iniziato tende a Dio.
    Non è da pensare che si possa fare a meno delle mediazioni umane sempre necessarie dal momento in cui l'Incarnazione ha indicato la via dell'incontro con Dio.
    L'unica via che a noi è data di percorrere.
    Però né la singola persona né il gruppo che mediano l'incontro con Dio hanno il diritto di fermare il cammino nella compiaciuta soddisfazione del servizio che svolgono.
    Pedagogicamente e teologicamente bisogna aiutare ad andare «oltre».
    Che cosa significa questo «oltre» e che cosa comporta?
    «Oltre» è dopotutto l'accettazione di una conversione che presenta i caratteri della totalità, e per questo rimanda ad una realtà che trascende la stessa esistenza.
    Conversione totale che consiste nel riconoscimento di Dio e della sua assoluta trascendenza; e nell'armonizzazione delle proprie scelte, della vita nei suoi fondamenti, della volontà personale nelle prospettive di realizzazione con il disegno della volontà di Dio.
    Non ci si limita ad aspetti parziali della propria esistenza che potrebbero trovare giustificazioni sufficienti anche in realtà intra-mondane, ma si investe la totalità dell'essere e dell'agire che in Dio solo trova motivi e forza.
    «Oltre» è scoprire la propria vocazione personale. Non intendo introdurre una riflessione completa sul tema della vocazione, se non per la parte che riguarda l'esigenza, nel servizio di orientamento e sostegno, di sospingere verso Dio.
    Vocazione è la percezione della storia della salvezza che si compie nel contributo responsabile di tutti.
    Vocazione è la gioiosa scoperta del dono originale che Dio fa a ciascuno perché possa rispondere alla chiamata del Signore e dei fratelli.
    Vocazione è sperimentare, nelle esigenze del prossimo e nelle attese di tutti i fratelli, Dio che cerca cooperatori al suo intervento (cf 1 Cor 3,9; 1 Tess 3,2).

    QUATTRO MODI PER RAGGIUNGERE L'OBIETTIVO

    Mi domando: come comunicare l'esperienza cristiana? Come raggiungere l'obiettivo specifico dell'orientamento e sostegno nella fede? Ovviamente l'esperienza cristiana non è comunicabile unicamente attraverso il servizio di orientamento e sostegno: questa risorsa è da considerare una tra le forme comunicative della fede.
    La sua specificità è data dal riferimento al vissuto «personale» cristiano.
    Essendo una delle forme, ricerca un collegamento e un complemento con altre strutture comunicative ed educative. L'osservazione potrà sembrare semplicistica, ma le conseguenze sono tante e non piccole.
    Ne richiamo qualcuna.
    È necessaria innanzitutto una articolazione di forme di comunicazione nella comunità cristiana.
    Il soggetto ultimo responsabile è la comunità credente.
    Non può essere ridotto ad un affare privato la maturazione della fede nei giovani. È necessaria quindi una molteplicità di soggetti: ordinati e laici.
    Si richiede una molteplicità di momenti: individualizzati e comunitari.
    Per rispondere all'interrogativo iniziale tento di analizzare come si può entrare in comunicazione con gli altri, quando è in gioco la comunicazione dell'esperienza cristiana.
    Ciascuno entra con il proprio peso di autorevolezza vivendo un particolare ruolo e privilegiando alcuni aspetti per lui più importanti ed efficaci in vista dell'obiettivo. Così nella direzione spirituale una particolare modalità di pensare alla comunicazione della fede offre un modo diverso di intendere lo stesso servizio.
    Credo si possa raccogliere attorno a quattro modelli fondamentali l'esperienza di ieri e di oggi in materia.

    Il modello dogmatico o autoritario

    Autoritario nel senso che c'è un insieme di verità da cui si deducono in modo logico e consequenziale gli atteggiamenti sia da parte di chi dà sia da parte di chi riceve l'aiuto. La sequenza allora sarà dalla verità all'intervento magisteriale che propone, spiega, collega tra loro i contenuti cognitivi ed indica in modo chiaro l'itinerario da percorrere.
    La comunicazione della fede si serve dell'autorità come canale di trasmissione e delle strutture di governo come strumenti privilegiati.
    Non resta altro da fare di fronte a tale comunicazione che obbedire! Il processo è a senso unico. C'è chi parla e chi ascolta. Chi propone e chi esegue. La relazione che si stabilisce è di dipendenza e di accettazione incondizionata. L'unica possibilità che resta è di ricercare il come adattarsi e adattare la propria vita ai principi da cui si è presa il via.

    Il modello esperienziale

    Il secondo modello chiamato esperienziale mitiga alquanto gli aspetti angolosi del primo.
    Il punto di partenza non è dato da un insieme di verità. Si parte dalle radici delle verità: cioè dalla esperienza, quella contenuta nella parola di Dio e nella storia del Popolo di Dio. Essa ha in sé la capacità di dare risposte adeguate a tutti gli interrogativi che l'uomo può avvertire nella sua esistenza. Di fronte ai fatti che la vita riserba l'unico problema è quello di saperli interpretare alla luce della parola di Dio.
    Attraverso una giusta interpretazione ci si può appropriare in modo soggettivo dei dati oggettivi salvifici.
    Lo sforzo più impegnativo da compiere è quello di saper fermarsi, di saper approfondire in modo cosciente e riflesso i dati della rivelazione, della parola di Dio.
    Ne deriverà certamente una personale adesione: interpellati dalla parola di Dio e interpellando la sua rivelazione, non si può né restare indifferenti, né delusi.

    Il modello misterico

    Il terzo modello lo denomino misterico. Si fa un ulteriore passo in avanti, in cui il deduttivismo si riduce, e diminuisce anche la parte riservata alla pura razionalità dei comportamenti.
    Si evidenzia con questo maggiormente l'aspetto di partecipazione vitale, in quanto ci si sente inseriti in modo diretto e personale nella storia della salvezza, che si sperimenta attraverso quelli che chiamo i «simboli della fede».
    Sono gli avvenimenti salvifici, sono i segni sacramentali della grazia, sono le parole cariche di memoria del mistero di Cristo. La storia della salvezza è di fronte a ciascun uomo.
    Parteciparvi comporta essere iniziati.

    Il modello educativo

    Infine c'è un quarto modello che definisco educativo.
    Le caratteristiche principali riguardano il punto di partenza e il processo che si instaura tra obiettivo, strumenti e modalità d'intervento.
    Diversamente dagli altri modelli, quello educativo con sensibilità ermeneutica parte dal basso, dai problemi, dalla vita quotidiana. Tutta questa realtà non è accostata in modo neutro, senza valenze particolari, senza precomprensioni di fede. Alla luce della salvezza si ricerca e si scopre nel quotidiano il senso che si porta dentro.
    Il processo che ne deriva è attento al dialogo continuo con le situazioni di vita, per stabilire in modo circolare gli apporti, l'orientamento e il sostegno vicendevoli.
    Gli aspetti che compongono i modelli precedenti vengono qui ricompresi e integrati. Le esperienze in comunità capaci di dialogo tendono ad abilitare alla decisione personale di fronte a quel quotidiano che si ritrova all'inizio e alla conclusione di tutto il processo educativo.
    La scelta personale cade sul quarto modello, e lo analizzo più da vicino.
    Il punto di partenza è la comunicabilità della fede. È comunicabile in modo vario, perché è legata alla storia non solo dei contenuti approfonditi a livello personale e comunitario, ma anche alle varie esperienze cristiane di cui sono portatori coloro che annunciano e coloro che ascoltano.
    La comunicabilità introduce il tema delle mediazioni necessarie. L'esperienza cristiana più che esperienza dell'oggetto è esperienza del modo di rapportarsi agli oggetti, modo del tutto personale. Più precisamente è lo strutturarsi della persona che scopre la presenza di Dio e di conseguenza prende consistenza dell'unificazione della vita sotto l'azione di Dio stesso.
    La parola, l'azione, la testimonianza, l'attenzione ai segni del Dio presente, i criteri orientatori dell'esistenza, l'organizzazione del quotidiano, le scelte concrete, la relazione diventano mediazione dell'esperienza personale cristiana. In una parola è il vissuto cristiano che cerca mediazioni per la comunicazione, ma è anche l'obiettivo della medesima.

    3. Uno strumento privilegiato: il "dialogo" educativo-spirituale

    Parlo del dialogo sia nel suo aspetto interpersonale, che istituisce una relazione «a tu per tu», sia nel suo aspetto comunitario.

    LE FUNZIONI DEL DIALOGO EDUCATIVO-SPIRITUALE

    Considero prevalentemente le funzioni del dialogo educativo-spirituale.

    La funzione di accoglienza reciproca

    Il dialogo ha una funzione mediatrice insostituibile.
    Un dialogo che si fa ragionevole nell'accoglienza e nell'ascolto vicendevole.
    L'accoglienza ha una sua intelaiatura, composta di calda accettazione dell'altro, di sintonia sulla stessa lunghezza d'onda e d'interessi, rispetto pieno e continuamente rinnovato della libertà dell'altro, assenza di ogni giudizio che tolga la possibilità d'appello e di interpretazione adeguata alle circostanze.
    «Il dialogo spirituale non è solo problema di sincerità, ma anche di autenticità, in modo che l'io che parla non perda contatto con le sue radici più profonde. La riformulazione paritaria di quanto è stato ascoltato favorisce questa più vasta percezione di se stessi» (José Garcìa-Monge, Il dialogo spirituale e la terapia, in Concilium, 1974/9, pag. 75).
    Un'accoglienza così costruita aiuta ad evitare tanto una forma di spiritualismo che razionalizza in modo angelico ogni rapporto, quanto la possibilità di fondere e confondere i due soggetti in questione.
    Una familiarità di amicizia incapace di assumere la situazione vitale dell'altro non riuscirà a stabilire nessun dialogo, ma si ridurrà ad un monologo.
    È evidente anche che in proporzione dell'accoglienza che ciascuno riserba all'altro cresce la superficie di esperienza umana che si espone al rischio della comunicazione.
    Oltre che ragionevole il dialogo spirituale si fa anche ragionato.
    Prende in considerazione i bisogni che tutti avvertono (il bisogno di sicurezza, di autonomia, di amare e di sentirsi amati, di comprendere e di riuscire), considera le attese che le circostanze, la situazione personale, il dialogo stesso suscitano, perché illuminati dall'esigenza educativa, costantemente riportati alle indicazioni evangeliche, ci si orienti nelle scelte della vita e negli impegni quotidiani.

    La funzione di illuminazione vicendevole

    Il dialogo spirituale cerca di collocarsi lucidamente nel «qui e ora» del rapporto. È una delicata funzione di svelamento. Si tratta di prendere coscienza, in modo sempre più chiaro, del proprio mondo interiore.
    Per questo il rapporto che si instaura nel dialogo spirituale non può essere abbandonato alla spontaneità. Richiede che continuamente si cerchi di far luce sul reale. E questa luce è tanto più urgente quanto più si comprende che attraverso il rapporto umano emergono molti aspetti della struttura personale della fede.
    Per un chiarimento efficace, è necessario che il rapporto trovi una base di sicurezza e diventi un punto di riferimento e di confronto.
    Bisognerà frequentemente ritornare sui seguenti elementi da chiarire ed eventualmente purificare:
    - mi so collocare dal punto di vista dell'altro per comprendere che cosa rappresento per lui?
    - mi rendo conto delle immagini che più frequentemente e in modo preferenziale tendo a risvegliare nell'altro?
    - che cosa interferisce nel rapporto e perciò nel reale ascolto dell'altro, perché non diventi un ascolto in funzione delle proprie necessità, conflitti e strutture interiori?
    Un problema particolare è presentato dalla traslazione ( transfert).
    Non entro in merito direttamente; ma un esito felice del dialogo spirituale non potrà ignorare i rischi legati ad una dipendenza psicologica ed effettiva contraria alla maturità personale e alla crescita nella fede.

    La funzione di testimonianza

    Il dialogo spirituale assolve a una terza funzione: quella della testimonianza.
    Il qualificare il dialogo con i termini «educativo-spirituale» evidenzia due caratteristiche importanti, in particolare quando si tratta dell'orientamento e sostegno nella fede dei giovani.
    È anzitutto un dialogo asimmetrico, perché si fa propositivo ed inquietante. Non si accontenta di rilevare le situazioni ed accettarle in modo passivo, ma apre alla novità e all'imprevisto.
    La fede, non dimentichiamolo, è dono.
    Perciò è proposta, è offerta, è novità, è dato.
    C'è subito da aggiungere una seconda caratteristica: si tratta di una asimmetria provvisoria.
    Non cerca la dipendenza. Non vuole la sottomissione. Non si ferma alla ripetizione degli atteggiamenti.
    È un rapporto che cresce, liberando.
    E libera perché il dialogo diventa propositivo.
    Le modalità che può utilizzare sono su due versanti: su quello della vita e sull'altro della parola.
    Sul versante della vita si chiamerà «testimonianza».
    Il dialogo spirituale ha bisogno di nutrirsi della testimonianza di valori, i fondamentali valori cristiani, che sottostanno anche al nascere del rapporto e al suo svilupparsi
    Il dialogo spirituale, inoltre, senza necessariamente diventare magistero, si fa anche annuncio dei valori che per tutti i credenti sono orientamento e stimolo.
    Testimonianza ed annuncio hanno due obiettivi concreti nel dialogo spirituale.
    Il primo. Aiutare ad una forte presa di coscienza del Signore come fonte e luce della vita. Si testimonia il Signore come il Signore della propria vita.
    Il secondo. Attraverso la parola annunciata abilitarsi a valutare l'esperienza umana per conoscere, di fronte a Dio, «ogni pienezza dei tempi» nella piccola storia personale di salvezza.

    La funzione di discernimento

    Mi interessa richiamare l'esigenza che il dialogo educativo-spirituale sia vissuto come aiuto al discernimento e come introduzione alla preghiera.
    - Il dialogo educativo-spirituale e il discernimento.
    Discernimento non è una tecnica da imparare da libri, ma un'educazione del giudizio, cioè una lenta educazione che unifica la persona in una scala di valori. Discernimento è una ricerca, non una semplice attesa, del compimento del disegno di Dio sulla vita personale o del gruppo; una ricerca fatta «qui e adesso» allo scopo di scegliere evangelicamente e crescere secondo il piano di Dio.
    Il dialogo è certamente una parte significativa e determinante della ricerca: ne è parte costitutiva.
    - Il dialogo educativo-spirituale e la preghiera.
    Il dialogo che apre al discernimento immette nella preghiera. Una preghiera non di formula, di pratiche, di parole, ma una preghiera legata alla scoperta del Signore che opera nella grande storia che salva, nella piccola personale storia di salvezza.
    Una preghiera che cerca la vita, che dà senso al quotidiano, che fa prendere coscienza della propria realtà di figlio di Dio, partecipe della costruzione del Regno di Dio. Certamente un interessante capitolo dell'orientamento e sostegno dei giovani nella fede è questa educazione alla preghiera.

    FORME PRATICHE DI ORIENTAMENTO E SOSTEGNO NELLA FEDE

    Nel presente paragrafo offrirò i riferimenti principali e le problematiche sottostanti alle forme concrete di orientamento e sostegno dei giovani nella fede. Non pretendo di essere completo.

    La «direzione spirituale» classica

    La chiamo classica perché più conosciuta, quella a cui si è fatto ricorso fino ad alcuni anni fa e che oggi è entrata in crisi.
    Qui desidero solamente riaffermare l'Utilità e per alcuni versi la necessità, della direzione spirituale personale. L'accento cade sul «personale».
    I motivi che giustificano tra le altre forme anche quella «personale» possono essere raccolti e presentati come segue.
    - Gli spazi personali sono «insostituibili»: varieranno con l'età e con la maturazione progressiva, ma non potranno essere pienamente cancellati.
    La fede si riporta sempre e definitivamente alla persona e alla sua coscienza.
    C'è da essere attenti perché lo spazio «personale» non si trasformi in spazio «individuale», quindi in chiusura di fronte alla necessità dell'inserimento nel popolo di Dio.
    - Proprio lo spazio «personale» risulta essere, in alcuni momenti, l'unica possibilità per introdurre «cambi» di comportamento e assicurare consolidamento a scelte appena germinate.
    La conversione è sempre anche conversione all'altro, ma non si dà mai nella fede una conversione «per procura» o per «sostituzione di persona».
    O siamo di fronte ad una conversione personale oppure manca ogni forma di conversione.
    - L'esigenza oggi avvertita di un processo di personalizzazione dei valori e dei comportamenti cerca di necessità un «tu a tu».
    La storicità della fede, come riformulazione della propria identità nel contesto di una cultura e perciò di una identità collettiva, chiama in causa la responsabilità del singolo.
    - La situazione così particolare della cultura contemporanea, dominata dal sospetto, dallo scetticismo, dalla paura e dalla illusione, necessità un recupero che è insieme psicologico e culturale della individualità personale, per non lasciarsi catturare in modo acritico dalle correnti di pensiero dominanti.
    Quando si offusca il senso e il valore della persona è facile anche ogni forma di oppressione.
    - La dimensione educativa prevalente nel rapporto con dei giovani esige che si curi l'incontro interpersonale.
    È una fase che bisogna considerare di passaggio, ma ciò non toglie nulla alla necessità di utilizzarla in tutte le sue potenzialità.
    Perché non venga assolutizzata c'è da affermare che un rapporto a dimensione «tu a tu» risulta efficace se è una tra le altre forme di orientamento e sostegno.
    Dovrebbe, infine, risultare evidente che dove manchino altri rapporti, questa modalità si assumerebbe il compito di supplire, con notevoli rischi, la carenza non altrimenti colmabile.

    Il gruppo «sacramento» di chiesa per i giovani

    La sottolineatura e lo spazio materiale riservati a questo aspetto sono in ragione dell'importanza che riveste oggi, per i giovani e per l'educazione alla fede, il gruppo.
    L'aspetto comunitario della «direzione spirituale» è stata la prima forma vissuta e realizzata nella chiesa.
    In seguito, per una serie di motivazioni storiche, particolarmente nell'occidente cristiano scaduta la forma comunitaria, si è incrementata quella personale.
    Oggi, nella sensibilità particolarmente giovanile, si fa ricorso alla revisione di vita, al discernimento spirituale, alla lettura continuata della parola di Dio e ad altre forme comunitarie di «direzione spirituale».
    La loro fondazione teologica e metodologica è nella comprensione del gruppo giovanile come «sacramento» di chiesa come luogo perciò formativo.
    Il gruppo non può essere considerato come semplice occasione offerta ai giovani per incontrarsi, e per trovare un rifugio sicuro alla loro insicurezza, un ambiente caldo di fronte alla difficoltà di inserimento nella società, una sostituzione alla responsabilità in un momento in cui il coraggio non è sempre facile per affrontare il quotidiano.
    Per i giovani il gruppo offre una vera esperienza di chiesa, essendo esso stesso «sacramento di chiesa».
    Non è la chiesa, ma è chiesa.
    In seno al gruppo oggi i giovani trovano il modello di identificazione, la forza per il cambiamento, perché accolti e sostenuti dalla comunità: e la capacità di consolidamento delle scelte attraverso la circolazione dei valori che il gruppo facilita.
    Il gruppo non usurpa ad altre istituzioni un compito che non gli spetta, e che perciò dovrebbe smettere il giorno in cui la comunità più vasta, cosciente delle proprie responsabilità di fronte ai giovani, toglierà spazio ad esso.
    Parlando di giovani, il gruppo rappresenterà sempre uno strumento e una realtà educativa privilegiata.
    Infatti si presenta come il riformulatore di tutti gli altri strumenti formativi.
    Questo comporta apertura al di là del gruppo, attenzione ai movimenti della vita che crescono accanto, collegamenti costanti con altre agenzie educative, inserimento attivo e critico nel territorio e nella comunità ecclesiale, per trovare il necessario sbocco, quando al termine della crescita, il credente maturo dovrà responsabilmente entrare nella comunità più ampia.

    FORME PRATICHE UTILIZZATE NEI GRUPPI GIOVANILI

    Accenno brevemente alle forme pratiche più comuni di orientamento e sostegno nella fede che i gruppi giovanili utilizzano con evidenti vantaggio.
    Dico subito che non dovendo soffermarmi sulle diverse forme di lettura della parola di Dio.

    La revisione di vita (RdV)

    Molto si è scritto sul tema e tanta parte della formazione di gruppi giovanili, abitualmente definiti «impegnati», è legata alla revisione di vita.
    È una forma caratteristica di animazione spirituale.
    Essa è contemporaneamente tre cose:
    - un'educazione alla fede partendo dai fatti;
    - un cammino spirituale compiuto in gruppo;
    - un'illuminazione comunitaria derivata dal vangelo.
    In essa restano fondamentali tre momenti ben determinati:
    - il passaggio dal «concreto visibile» (un fatto successo, una situazione di vita) al «concreto invisibile» (il Signore della storia presente nel fatto e nella situazione);
    - il passaggio dal «concreto invisibile» (frutto della coscientizzazione attraverso la riflessione e l'azione) al «concreto vissuto» (l'impegno di collaborazione e di risposta alla chiamata di Dio che emerge della vita);
    - l'assunzione cosciente di un impegno cristiano nella chiesa e nel mondo mediata da una prolungata meditazione sui valori, perché non siano assunti in modo meccanico, ma interiorizzati responsabilmente.
    Vedere, giudicare, agire hanno segnato per molti anni la spiritualità dei giovani impegnati e militanti.
    Le poche battute descrittive di un metodo che intenzionalmente introduce ad una spiritualità, la spiritualità dell'azione, e si presenta come una originale pedagogia della coscientizzazione, non possono divenire il riferimento di un giudizio critico.
    Desidero tuttavia offrire alcuni spunti di valutazione.
    Primo. Per la proiezione al servizio e almeno con riferimento ad esso, la revisione di vita presenta vantaggi che la direzione spirituale tradizionale non può avere.
    Secondo. Ci si rende conto della vastità di orizzonte che la revisione di vita attinge. Entro il contesto del servizio e dell'impegno si presenta come strumento efficace per un triplice incontro:
    - con la realtà dell'ambiente, anche quello più lontano dagli insegnamenti evangelici;
    - con il soggetto cristiano, libero dalla paura e dalla psicologia dell'assedio;
    - con la parola di Dio, percepita in situazioni nuove, oppure vissute come tali.
    Terzo. Nel metodo della revisione di vita si può ben dire che l'azione è il «volàno» del processo formativo. Senza azione non c'è formazione né crescita.
    È una lezione preziosa dimenticata in alcuni ambienti.
    Quarto. Una attenzione speciale va posta nel modo di utilizzare la parola di Dio, per superare un doppio rischio.
    Innanzitutto il passaggio troppo immediato ed ingenuo dalle situazioni al vangelo. Si provocherebbe grossi errori di prospettiva con risultati deludenti e controproducenti nella vita.
    Inoltre, un certo distacco tra il momento dell'analisi e quello della valutazione, quando la riflessione sulla parola di Dio si sviluppa accanto ai fatti concreti e ai problemi da affrontare e risolvere.

    Il discernimento spirituale comunitario

    Il discernimento, in forma implicita, da sempre fa parte ed è alla base del comportamento del credente.
    In modo organico ed esplicito ha avuto sviluppo nel dopo-concilio.
    Non può essere considerata una forma molto diffusa a livello di gruppi giovanili, anche per una certa difficoltà che la pratica applicazione comporta.
    Il discernimento, in quanto percezione interiore e profonda dell'azione di Dio nella storia e nella vita, è assumere decisioni da credente, mossi cioè dalla maturità dell'uomo illuminato da Dio attraverso i segni che la cultura offre continuamente.
    È porsi di fronte agli interrogativi e alle domande con l'atteggiamento di chi sa che nell'avvenimento si nasconde un evento da ritrovare, un dono da accettare; ma insieme che l'evento suscita ed esige il frutto della propria operosità, della conquista responsabile.
    È, in altre parole, una ricerca faticosa per risolvere le indecisioni che nascono dal contesto circostante e dall'incertezza della soluzione più adeguata.
    Nel discernimento comunitario sono fondamentali tre atteggiamenti che esprimono la consapevolezza dell'accoglienza:
    - della povertà personale: la complessità delle situazioni, il mistero che circonda ogni realtà, l'incertezza in cui il pluralismo ideologico ed operativo immerge tutti, le esigenze tipiche delle beatitudini evangeliche, evidenziano la povertà della singola persona e fanno ricercare l'aiuto di luce e di sostengo presso la comunità;
    - del dono degli altri i: gli altri con la loro originalità sono ricchezza; l'accoglienza è complementarità; la diversità è dono, la convergenza è conversione per tutti. Cercare l'altro per una responsabilità condivisa è garanzia nelle decisioni concrete;
    - della presenza attiva di Dio: è una presenza «sacramentale» che abbisogna di perspicacia e disponibilità; la prima per leggere ed interpretare correttamente i segni del suo intervento; la seconda per prendere le decisioni in modo coerente, anche quando sono contrarie ai propri desideri e alle vedute personali; è una disponibilità da «esodo».
    Ricerca accoglienza, esodo descrivono le tre tappe del discernimento comunitario.
    Non sono da intendere però come se si ponessero in modo cronologico, lineare, susseguenti:. cioè l'una dopo l'altra.
    Richiedono, invece, che ogni momento sia vissuto come parte degli altri due.
    Non mancano oggi testi che aiutano, da un punto di vista metodologico e tecnico, all'uso di questo strumento di orientamento e sostegno nella fede.
    Prima di concludere, esprimo alcuni spunti di valutazione.
    Primo. L'orizzonte che il discernimento considera si presenta più vasto rispetto a quello tipico della revisione di vita.
    Il discernimento, privilegiando la prospettiva vocazionale, non esclude nessun aspetto della vita di un gruppo.
    Secondo. Nel discernimento non è previsto un momento specifico dedicato alla riflessione e alla meditazione della parola di Dio.
    Quello che si vuole, nei tre momenti della ricerca, dell'accoglienza e dell'esodo, è far riemergere dalla propria coscienza, dall'esperienza, dal «confronto» la mentalità di fede che è alla base della personalità cristiana dei membri e del gruppo.
    Terzo. L'intento principale del discernimento è partire dalla vita per ritornare alla vita, partire dalla indecisione per arrivare alla decisione. Non interessano al discernimento approfondimenti dottrinali, precisazioni concettuali, anche se rivolti ai contenuti della fede.
    Cerca e vuole concludere alle cose concrete dell'oggi, del qui, per noi.

    4. La fisionomia della guida spirituale

    Tutta la riflessione sull'orientamento e sostegno nella fede non può eludere quest'aspetto della «guida» spirituale.
    Come dovrà essere e che cosa dovrà fare? Indico un decalogo rispettoso dell'originalità delle persone.
    Nonostante il rischio di sembrare manualistico, giudico opportuno esprimermi con annotazioni immediate.
    1. Richiesto dai giovani di essere orientati: e sostenuti, l'adulto nella fede confermi in sé la certezza che si tratta di un servizio necessario più di quanto non appaia, particolarmente oggi, nel contesto culturale in cui viviamo.
    2. Per un servizio corretto l'adulto nella fede sappia collocarsi, al di là della risposta da esperto, in una dimensione di accoglienza e di fiducia.
    L'incontro diretto con le persone non è, anche ai fini delle organizzazioni, meno importante dell'impegno che si richiede per far funzionare delle strutture o per realizzare delle attività.
    3. La prima capacità da coltivare è imparare ad incontrare l'io reale dell'altro.
    È più facile dialogare con personaggi, con categorie, con ruoli e funzioni, con problemi e difficoltà, anziché con persone singole.
    L'impersonalismo da una parte e l'invadenza dall'altra sciupano occasioni uniche per la crescita nella fede.
    4. Scegliere di andare oltre la risposta dell'esperto è sentirsi coinvolti nella storia e nella vita dei giovani.
    Non si è «consulenti farmacisti», né «distaccati notai» dei processi interiori degli altri.
    Si è chiamati invece ad essere vicini senza farsi catturare, dentro senza sentirsi invischiati e deprivati della libertà d'azione: è la tipica presenza di un animatore.
    5. «Personalmente coinvolto» richiede alla guida di non contraddire con la testimonianza della vita il messaggio espresso con l'entusiasmo della parola.
    Il cammino diventa più difficile per il giovane se non è accompagnato lungo tutta l'esperienza cristiana, oppure se sperimenta l'impossibilità di arrivare alla meta nelle persone che l'orientano e lo sostengono.
    6. Non lasciarsi vincere dalla paura e dal complesso della propria incompetenza.
    L'orientamento e il sostegno hanno bisogno della «memoria della fede vissuta»
    Non ci si erige a maestri, ma si offre agli altri l'esperienza cristiana personale;
    Non ci si giudica perfetti, ma in cammino con tutti.
    La povertà personale non può essere un ostacolo alla comunicazione, bensì uno stimolo a qualificarsi.
    7. La serietà della proposta cristiana fa intraprendenti senza essere manipolatori.
    Quando si incontrano le persone ai livelli profondi di esperienza e disponibili ad accettare l'orientamento' e il sostegno nella fede, l'accoglienza che riceve la proposta evangelica risulta la gratificazione più attesa.
    Il rischio possibile è voler fare gli altri «a propria immagine e somiglianza», senza aver rispetto dei ritmi e delle vocazioni diverse. Il servizio di orientamento e sostegno degenera allora in atteggiamenti di dipendenza e di oppressione.
    8. Nella vita cristiana non ci sono da una parte coloro che danno sempre e dall'altra coloro che ricevono tutto.
    Ciascuno, invece, è ricco e povero: si genera così uno scambio vicendevole di doni, si verifica un arricchimento reciproco nella comunione e nella condivisione, si diventa discepoli l'uno dell'altro e insieme dell'unico Maestro e Signore.
    La coscienza del dare e ricevere è a fondamento dell'attenzione e della gratitudine verso tutti, anche verso i piccoli.
    9. L'adulto incontra il giovane al punto in cui si trova la maturazione della sua coscienza e della fede per orientarlo e sostenerlo nella crescita.
    Non ci si può accontentare del già raggiunto: bisogna comunicare il gusto di quello che attende oltre.
    Il silenzio è necessario come luogo in cui ognuno si appropria delle motivazioni dell'agire e del vivere: non diventi perciò mancanza di proposta.
    Il rispetto della diversità è indispensabile elemento di vita secondo il vangelo: non potrà mai significare però la rinuncia al proprio ruolo di adulto in una comunità di giovani.
    10. Una guida spirituale grande fa crescere una personalità cristiana grande.
    Chi invece mantiene bambini gli altri non merita di essere chiamato guida.
    Se il giovane crescendo non impara a diventare autonomo e se non si attrezza per diventare a sua volta guida di altri più piccoli, non ha ancora raggiunto la sua maturità.
    E non tema l'adulto di restare solo e di dove ricominciare daccapo se i «suoi» giovani, seguendo il loro dono, si allontanano per la scelta definitiva della loro esistenza.


    T e r z a
    p a g i n A


    NOVITÀ 2024


    Saper essere
    Competenze trasversali


    L'umano
    nella letteratura


    I sogni dei giovani x
    una Chiesa sinodale


    Strumenti e metodi
    per formare ancora


    Per una
    "buona" politica


    Sport e
    vita cristiana
    rubrica sport


    PROSEGUE DAL 2023


    Assetati d'eterno 
    Nostalgia di Dio e arte


    Abitare la Parola
    Incontrare Gesù


    Dove incontrare
    oggi il Signore


    PG: apprendistato
    alla vita cristiana


    Passeggiate nel
    mondo contemporaneo
     


    NOVITÀ ON LINE


    Di felicità, d'amore,
    di morte e altro
    (Dio compreso)
    Chiara e don Massimo


    Vent'anni di vantaggio
    Universitari in ricerca
    rubrica studio


    Storie di volontari
    A cura del SxS


    Voci dal
    mondo interiore
    A cura dei giovani MGS

    MGS-interiore


    Quello in cui crediamo
    Giovani e ricerca

    Rivista "Testimonianze"


    Universitari in ricerca
    Riflessioni e testimonianze FUCI


    Un "canone" letterario
    per i giovani oggi


    Sguardi in sala
    Tra cinema e teatro

    A cura del CGS


    Recensioni  
    e SEGNALAZIONI

    invetrina2

    Etty Hillesum
    una spiritualità
    per i giovani
     Etty


    Semi e cammini 
    di spiritualità
    Il senso nei frammenti
    spighe


    Ritratti di adolescenti
    A cura del MGS


     

    Main Menu