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    Narrazione: il punto di arrivo di NPG




    a cura di Giancarlo De Nicolò

    (NPG 1983-10-7)

    La rivista Note di pastorale giovanile ha più volte, soprattutto negli ultimi anni, affrontato il tema della narrazione, individuando in essa, magari inconsciamente, un nucleo di problematiche e un timido inizio di soluzione. Lo ha fatto attraverso svariati interventi a diversi livelli.
    Presentiamo qui uno schema, per forza di cose abbastanza ristretto e condensato, di quanto finora elaborato e suggerito dalla rivista stessa, rimandando per ulteriori approfondimenti alla bibliografia degli articoli apparsi.

    Dall'abuso della parola alla scoperta della narrazione

    Se è vero che l'evento di Dio si rende comunicabile all'uomo solo attraverso le parole umane che lo esprimono, finora, sotto l'impulso della scienza esatta, del rigore logico e metodologico, anche nella pastorale è stata privilegiata la parola «dotta» i discorsi epistemologicamente ben fondati, magari sul tipo del «chiaro e distinto» cartesiano, che tendono a lasciare lontano sentimenti ed emozioni, come possibili fattori di turbamento della logica razionale del discorso.
    Ma la stessa scienza ha scoperto la «povertà» o la unilateralità, rispetto alla vita, di ciò che sembra puramente logico e razionale, la sua globale incapacità di suscitare risonanze profonde in chi ascolta, di essere veicolo di contenuti coinvolgenti.
    Tanto più che, come rivelano certe filosofie odierne, la parola ha finito col far dimenticare il contenuto, il referente, e quindi l'essere. Anche nella pastorale il modello della trasmissione sistematica della «parola dotta», come rilevato precedentemente, ha finito col giocare un brutto scherzo alla globalità dell'esperienza cristiana, col ributtare i giovani nella soggettività estrema sradicata dalla tradizione ed esperienza comunitaria.
    Il tentativo di un superamento dei limiti della comunicazione intravisti nella «parola dotta», ha costretto a ripensare i termini della comunicazione stessa, di ritrovare una categoria attraverso la quale interpretare ed uscire dalla crisi.
    La «narrazione», come modello di comunicazione, di interpretazione e rappresentazione della realtà non in termini di esattezza formale, di distanza oggettivante, ma in termini di coinvolgimento personale, è sembrata l'opzione più sicura.
    Essa si compie infatti nel campo dei rapporti tra gli uomini, il cui processo conoscitivo si compie attraverso l'apertura, la fiducia, l'impegno. Essa non è di genere concettuale (formalizzante, astratta, che elimina l'individualità), non è dedotta, ma è vissuta, legata alle situazioni concrete, storiche, individuali.
    Dovunque vi sia qualcuno che racconta, nasce una situazione che unisce.
    Quanto vale in genere per la globalità dell'esperienza e dei rapporti umani, a maggior ragione vale per la relazione educativa, e quindi anche pastorale.
    Se l'assunzione critica della tradizione da parte del giovane è una delle condizioni più importanti per la costruzione della sua personale identità, e per il suo riconnettersi ad una comunità, ad una cultura, ad una storia, allora la comunicazione di ciò non avviene soltanto, né può avvenire, a livello di comunicazione scientifica, ma attraverso moduli che permettano di incorporare l'esperienza al di fuori del soggetto. E cioè attraverso moduli di tipo simbolico che si portano dietro risonanze affettivo-emotive ed evocazioni particolari. È quindi un'apertura della soggettività al di fuori di se stessa, un'accoglienza della differenza, della diversità, della vicinanza anche nel conflitto.
    Quanto alla teologia, è da sottolineare che essa stessa si è sviluppata soltanto attraverso i racconti di esperienze salvifiche; e d'altra parte è soltanto attraverso una narrazione esistenzialmente significativa che può dirsi compiutamente la tradizione, l'esperienza di Cristo e della Chiesa, ricollocate in un orizzonte di senso che risignifica l'esperienza umana concreta.

    Segni linguistici e condizioni per una narrazione efficace

    Il nuovo linguaggio vede l'uso prevalente dei simboli e dei miti, cioè è un linguaggio che mostra, disvela, evoca, apre, allude alimentando la creatività.
    Il simbolo è «una struttura di significazione in cui un senso diretto, primario, letterale, designa per sovrappiù un altro senso, indiretto, secondario, figurato che può essere appreso solo attraverso il primo» (Ricoeur). Esso ha come caratteristica essenziale un'apertura conoscitivo-relazionale: è radicamento dell'uomo nella natura arcaica e profonda (l'inconscio individuale e collettivo, la memoria delle radici bio-psicologiche dell'individuo), ed è apertura ad un diverso rapporto dell'uomo con sé, con gli altri, con la natura, con il divino.
    Esso è inoltre deposito di significati esistenziali, legati all'esperienza storica di una comunità e di individui, e letti a vari livelli di profondità (personale, culturale, storico, archetipo).
    Il mito è parola narrativa (ogni mito contiene un racconto) che offre un'interpretazione del mondo e dell'esistenza, e contiene il principio e il paradigma dell'agire dell'uomo (Eliade); è categoria complementare del «logos», accentuando la funzione evocativa e performativa del discorso rispetto a quella informativa; è presente anche nelle dimensioni non propriamente mitiche dell'esperienza e del pensiero, e unico può esprimere le fondamentali manifestazioni dell'esistenza umana, come la fiducia e l'amore (Kolakowski).
    Tuttavia, soltanto la complementarietà di mito e logos possono esprimere la totalità dell'esperienza umana, pena la caduta o nel razionalismo scientista o nell'irrazionalismo emotivo e spontaneista.
    Una narrazione che presuma di essere efficace deve presentare almeno le seguenti caratteristiche:
    - deve essere una produzione di realtà, secondo dimensioni possibili;
    - deve produrre ciò che significa, cioè deve avere efficacia salvatrice;
    - deve esprimere un linguaggio di tipo performativo, che sollecita ad assumersi responsabilità;
    - deve avere una chiara coscienza ermeneutica, nella convinzione della relatività (e insieme della necessità) di ogni parola che è insieme evento e cultura;
    - deve coinvolgere le esperienze diverse del narratore, del contenuto della narrazione, dell'ascoltatore nell'unico «racconto».
    Nell'esperienza cristiana, inoltre, il soggetto deve essere la comunità ecclesiale che si assume la responsabilità della crescita dei giovani, attraverso il racconto della storia di Gesù e della propria storia, come evento salvifico e interpellante.

    Problemi aperti

    Un primo problema riguarda la scelta dei simboli che siano esistenzialmente significativi (e quindi adeguati all'orizzonte culturale di oggi).
    Questo richiama il problema delle caratteristiche delle storie «vere» rispetto a quelle «false», e il senso della «demitologizzazione»: demitologizzare può significare, nel migliore dei casi, «interpretare il mito come mito, ossia ricondurlo a se stesso»: cioè mettere in luce le categorie e le strutture antropologiche che si celano nei racconti mitici, e rivelare la trascendenza che penetra e oltrepassa ogni realtà (Halbfas).
    Il ricupero della dimensione mitologica, al dire di Ricoeur, non può però avvenire se non dopo la demitologizzazione, cioè soltanto attraverso un'ermeneutica fondata su scienze come la storia delle religioni, la psicoanalisi, la sociologia della conoscenza, l'esegesi, e nella certezza di dover «pensare a partire dai simboli e non più nei simboli»; in una parola il mito deve essere riguadagnato nella sua presenza, e non come storia.
    A questi problemi filosofici, se ne aggiungono altri di tipo più pastorale che verranno accennati nel corso del dossier, e che richiedono di essere affrontati.

    BIBLIOGRAFIA IN NPG

    AA.VV., Educazione come processo di comunicazione, 10/81, p. 3-36
    CAPRETTINI, G.P., I meccanismi della cultura e della comunicazione, 10/81, p. 7-14
    MOLARI, C., Il futuro della fede tra esperienze salvifiche e «nuove narrazioni» di Dio e della vita, 7/82, p. 23-29
    PIANA, G., Cultura nichilista e annuncio cristiano, 5/82, p. 10-16
    POLLO, M., Narrazione e linguaggio simbolico nella evangelizzazione, 5/81, p. 29-38
    POLLO, M., Un progetto di animazione culturale per superare la crisi del linguaggio giovanile, 10/81, p. 22-30
    POLLO, M., Le sette piaghe della comunicazione umana contemporanea, 10/81, p. 4-6
    POLLO, M., Alle radici del nichilismo per trovare una via di uscita, 5/82, p. 16-21
    POLLO, M., Iniziazione al mito e al simbolo come luogo di frontiera dell'educazione alla responsabilità, 8/82, p. 39-52
    POLLO, M., L'asimmetria educativa e l'adulto come limite nella crescita morale del giovane, 8/82, p. 52-56
    TONELLI, R., Un itinerario per educare alla fede i giovani di oggi, 2/81, in particolare p. 13-16 e p. 46-56
    TONELLI, R., Le sfide dei giovani alla comunità ecclesiale: nodi problematici per l'azione pastorale, 7/82, p. 6-16


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