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    L'antropologia dei temi generatori



    Carlo Nanni

    (NPG 1983-1-13)

    UN CLIMA DIVERSO?

    A prima vista, parlare di temi generatori in questi anni ottanta potrebbe apparire a qualcuno fuori tempo: come se il vento della crisi che ha sballottato un po' tutti in questi anni non ci fosse stato per nulla.
    A qualcun altro forse farà venire il sospetto di esser presi dai postumi di un inveterato e incallito spirito sessantottino.
    Infatti la pretesa stessa di pensare a temi generatori - così come porsi in una prospettiva di pedagogia liberatrice - sembra per tanti versi oggi quasi impossibile, soprattutto se si intende essere aderenti simultaneamente alle indicazioni di P. Freire e alle stimolazioni del nostro ambiente culturale occidentale attuale. Rispetto all'ambiente e al tempo in cui P. Freire prospettò la metodologia dei temi generatori nella sua pedagogia degli oppressi, nella nostra vita sociale, per tanti versi pensabile come post-industriale, sembrano essere venuti meno tutta una serie di presupposti che invece soggiacevano a tali intuizioni ed affermazioni.
    Ne vorrei evidenziare alcuni, perché è certo che la riproposizione della ricerca dei temi generatori in questo nostro clima attuale, passa previamente per il vaglio critico di tali presupposti in massima parte di natura antropologica.

    La caduta della fede comune nel cambio

    In primo luogo vorrei rifarmi all'idea stessa di liberazione, legata alla «corrente calda» (Bloch) della possibilità e della praticabilità di un cambio radicale delle strutture e delle forme dell'esistenza comunitaria.
    Oggi questa fede comune non c'è più. Il «sol dell'avvenire» non brilla più alto nel cielo. L'idea di un'«epoca nuova» che muove gli animi a unirsi per rompere gli argini dell'esistente e delle sue molteplici forme di oppressione, alienazione, espropriazione, mercificazione o massificazione, individuale e collettiva, sembra essere irrimediabilmente e irrevocabilmente caduta.
    Ora la pedagogia dei temi generatori riposa sulla presupposizione che nella situazione-limite possano essere individuate le possibilità ancora inedite di azione:[1] e quindi si muove ultimamente su questa «speranza di futuro».

    L'interrogativo sulla capacità di progettualità storica

    Ma più profondamente - e questo è il secondo ordine di considerazioni che vorrei sottolineare - la pedagogia dei temi generatori si muove sul presupposto, dato per indiscusso, di una continuità e sviluppo della storia umana[2] e cioè, tutto sommato, l'ammissione di una razionalità immanente alla molteplicità contraddittoria dei fatti e degli eventi. Importa meno in questo momento il fatto di come ciò giunga a livelli di coscienza: se cioè essa sia interpretabile nelle forme lucide della · dialettica logica e spiritualista dell'idealismo o in quelle della dialettica scientifica e materialista del marxismo; o se invece essa risulti da un faticoso processo di ermeneutica storica o di un razionalismo critico, che non esime dall'impegno etico per dare spazio alle ragioni di un modello di sviluppo sociale democratico, «ragionevolmente» opposto alla violenza, alle spinte del settarismo, dell'imperialismo che pure sono presenti nella storia. E neppure è ultimamente necessario - almeno per il nostro tipo di discorso - che questa continuità e razionalità storica sia di natura «provvidenziale», abbia cioè il conforto di un fondamento religioso, cristiano, biblico.
    Quel che qui maggiormente interessa è il fatto che su tali presupposti è resa possibile una progettualità storica che permette agli uomini di prendere posizione di fronte alla loro situazione esistenziale, rende possibile di assumere compiti storici, e eleva l'azione umana comune al rango di prassi, in senso stretto.
    In questa linea sono visti i temi generatori, da Freire chiamati appunto così «perché contengono in sé la possibilità di sdoppiarsi in altrettanti temi, che a loro volta provocano nuovi compiti che devono essere realizzati, a qualunque livello siano intesi e qualunque sia l'azione da essi provocata».[3]
    Essi esplicitano esigenze storiche, attestanti un divenire che richiede un cambiamento.
    «Dobbiamo convincerci che le aspirazioni, i motivi, gli obiettivi che si trovano impliciti nella tematica significativa, sono aspirazioni, obiettivi, motivi umani. Per questo non si trovano lì, in un certo spazio, come cose pietrificate, ma sono-in-divenire. Sono storici tanto quanto gli uomini...».[4]
    Ora per un verso lo strutturalismo e per altro verso il cosiddetto pensiero negativo del nichilismo vengono a negare queste che finora sembravano evidenze solari.
    Non si dà storia, dicono gli strutturalisti, ma al massimo solo processi in cui l'uomo non è che una appendice insignificante. Non si dà progettualità, dicono gli autori del nichilismo: la vicenda umana è radicalmente attraversata dal nulla, dall'assurdità, dal non senso; e l'uomo è come una mosca dentro una bottiglia o come un pesce dentro la rete, che invano si dibattono per uscir fuori.
    Ma prima ancora che queste asserzioni teoretiche, non è forse la crisi, che ogni giorno scopriamo sulla nostra pelle, a proclamare a chiare note la vanità fondamentale degli sforzi umani di costruire un mondo «a misura d'uomo» e strutture sociali «dal volto umano»?
    Non è questa in fondo l'esperienza cocente che i giovani sperimentano a loro totale carico, quando incominciano a muovere i primi passi nel mondo adulto?
    Di fronte alla realtà, gli ideali e i progetti di vita non sono forse messi in fuga, come la nebbia di un mattino estivo dopo le prime ore di sole?

    La crisi della razionalità

    Ma prima ancora che questa razionalità «oggettiva» degli eventi, è la razionalità «soggettiva» ad essere investita dalla burrasca che infrange le imbarcazioni leggere e porta al naufragio coloro che vi erano imbarcati. Nessuno più confida sulla limpidità delle grandi sistemazioni di pensiero scientifico o ideologiche che siano. Sarebbe temerità o stoltezza. I grandi «miti», le grandi narrazioni, che davano ragione della vicenda individuale e collettiva; i grandi quadri di valore che, come stella polare facevano da illuminante quadro di riferimento alla rotta della prassi umana; le ideologie forti, che componevano e significavano globalmente la presenza umana nel mondo, penetrando finanche nei vani dell'interiorità e della vita privata: tutto oggi è posto in questione.
    Non si tratta più solo, come nel momento irruente della contestazione sessantottesca, di bollare la scienza e la cultura esistente come scienza borghese e cultura di classe. Un tragico vento livellatore sembra pervadere ogni forma di sistemazione razionale.
    Anche i recenti sviluppi della psicoanalisi in Francia hanno considerato eccessive le pretese della psicoanalisi classica di portare all'ordine della coscienza (dell'Io, in termine tecnico) le spinte impulsive del sub-conscio (dell'Es in termine tecnico).
    La psicoanalisi può al massimo lasciare espandere liberamente e moltiplicare spontaneamente i bisogni e i desideri inconsci, diventando come si dice «schizoanalisi».
    In tal senso, mai come oggi vale quanto diceva Musil per l'uomo contemporaneo in genere, che secondo lui era «fuori della totalità», senza la sicurezza e l'avvallo veritativo della ragione.
    Ebbene la ricerca dei temi generatori ha senz'ombra di dubbio tale pretesa di mettere ordine, di comporre in un quadro orientativo e stimolante l'azione (anche se tale sistema non è esterno ma interno all'azione stessa): la «coscientizzazione» della propria situazione e delle possibilità storiche di uscire dall'oppressione verso la liberazione, poggia su una fondamentale fede nella razionalità umana e nelle sue capacità critiche. «Nel momento in cui comincia la percezione critica, nell'azione stessa, - dice Freire - si sviluppa un clima di speranza e di fiducia che porta gli uomini a impegnarsi nel superamento della situazione-limite».[5]
    E più oltre, esplicitamente dichiara:
    «La ricerca tematica diventa così uno sforzo comune di coscienza della realtà e di auto-coscienza, che ne fa il punto di partenza del processo educativo, o azione culturale con carattere di liberazione».[6]

    La frammentazione e la dispersione dell'esistenza

    La ricerca di temi generatori sembra inoltre far conto di una realtà super-individuale, oggi altamente problematica: e cioè l'esistenza, data per ovvia, di una realtà popolare.
    Il popolo - per quanto oppresso e immerso fino ai limiti della completa soggezione e del mutismo drammatico di fronte alla forza schiacciante delle situazioni-limite[7] - è il vero «soggetto» della ricerca dei temi generatori.
    «L'investigazione della tematica coinvolge l'investigazione del pensiero del popolo».[8]
    Si presuppone cioè una qualche realtà fondamentalmente unitaria e omogenea pur nella molteplicità e diversità. In qualche modo si afferma l'esistenza di comunità nazionali e locali. Ora sono appunto queste realtà che nella nostra attuale vicenda sociale sono di fatto molto problematiche.
    Ne sembrano indici negativi a livello collettivo non solo i fenomeni di corporativismo, di spirito di parte, di lottizzazione del potere sociale, ma anche l'andamento da «società complessa», che sembrano avere i processi della vita sociale, costituzionalmente policentrica sia orizzontalmente (centro-periferia) sia verticalmente (vertice-base) a tutti i livelli della convivenza collettiva: economicamente, politicamente, ideologicamente, culturalmente, religiosamente, ecc.
    E ancor più sentiti, per i riflessi sulla vita personale individuale, sono i fenomeni che i sociologi mettono sempre più in risalto, soprattutto in riferimento alla condizione giovanile attuale, quali:
    - la frammentazione della esistenza personale fino all'impossibilità di acquisire una qualche identità (o di perderla se mai la si fosse guadagnata);
    - la dispersione della vita nell'anonimato, fino all'impossibilità di condivisione sociale o di coscienza di appartenenza e partecipazione a progetti e compiti in qualche modo comunitari;
    - il riflusso dal pubblico al privato, dal politico al personale, di cui a livello di mentalità può essere espressione una tendenziale soggettivizzazione dei sistemi di significato e dei modelli o delle norme etiche di comportamento, ecc.

    LA LETTURA DEL PRESENTE E DEL VISSUTO

    È difficile negare questi fatti. Tuttavia è ammissione comune che essi non hanno unicamente valenza negativa, ma contengono in sé aspetti e movimenti tendenziali, degni di attenzione per gli elementi di novità che esprimono rispetto al passato e per gli sviluppi che stimolano.
    Molto più sicuramente sono da sottoporre al vaglio le interpretazioni e affermazioni che, sulla base di questi fatti, si sono spesso avanzate a livello teoretico (livello in cui, come dice il termine, ci si eleva alle visioni generali o si va a snodare le questioni di fondo, ricercando l'universale e il generale, qualche volta a scapito della molteplicità reale e delle contraddizioni particolari del concreto).

    Pensare dentro la crisi

    Ora, a voler cominciare da questo ambito, c'è da dire che la riflessione teoretica e culturale di questi ultimi anni, non solo ha smascherato le tigri di carta delle ideologie «forti» del recente passato (quelle che facevano il vento e la pioggia sia a livello culturale che a livello di vita comune e di quella soggettiva); non solo ha messo il dito sulle piaghe - più o meno volutamente nascoste - dei miti più celebrati dell'uomo moderno (spesso veramente fragili nella loro ostentata sicurezza razionale, nel loro conclamato antropocentrismo, nella loro ostinata chiusura immanentistica o nel loro greve storicismo e tendenziale materialismo economicistico), ma hanno dato voce e vigore a istanze piuttosto mortificate nel passato: quelle della soggettività individuale e dell'interiorità personale rispetto all'invadenza del pubblico, del politico o dell'oggettivismo scientifico; quelle del mondo emozionale e inconscio rispetto ad una rigida supremazia della coscienza, fonte e vittima allo stesso tempo di spinte autoritarie e antiemancipatorie.
    Oltre ai limiti dello sviluppo sono stati messi in luce i limiti del conoscere umano e le limitate possibilità di fare storia e cultura. Ma è vero che in ciò non l'uomo è stato ridimensionato ma piuttosto l'ubriacatura antropocentristica illuministica a riguardo dell'uomo.
    Ad essere messa in questione è quindi l'immagine dell'uomo cosiddetto «moderno», non tanto le potenzialità e le capacità dell'uomo per se stesso.

    Pensare oltre la crisi

    A sua volta queste ultime espressioni di pensiero, che proprio per questo sono dette «post-moderne», sembrano avere, rispetto al passato, un carattere puramente reattivo in più d'un caso: per contrapporsi ad esorbitanze del passato o a misconoscimenti del presente, cadono spesso in sbilanciamenti diametralmente opposti.
    Così pure, pur spiegando il reale, non spiegano tutto il reale. Lo sguardo fisso sulle urgenze del presente rischia di far perdere di vista l'insopprimibile dimensione di passato e di futuro pur esistenti nel presente vissuto.
    L'impietosa messa a nudo dei limiti umani porta a misconoscere le reali (per quanto si voglia ristrette) capacità e potenzialità delle libere decisioni volontarie, dei movimenti attivi dello spirito individuale e collettivo, della memoria del singolo e delle collettività, della fantasia progettuale e creatrice di ognuno e di tutti, della conoscenza veritativa e delle forze d'amore, che si rilevano ogni volta come serbatoi d'energie spesso in gran parte, alla prova dei fatti, risultanti superiori al previsto.
    A forza di dare «la parola alle cose» esistenti e non alle vane conclamazioni ideologiche, si finisce per negare anche i movimenti oltre l'esistente che pure si trovano nel reale, almeno a livello esigenziale.
    A forza di voler non essere «troppo umani», si tarpano le ali ai bisogni radicali, alle spinte del desiderio, alle intenzionalità soggettive e comunitarie, alle possibilità di libertà e di vita che sono al fondo degli uomini del nostro tempo e in particolare al fondo di quei «piccoli uomini» e quelle «piccole donne» che sono in condizione giovanile.

    Nuove vie di liberazione e di aggregazione

    È su queste basi antropologiche che vanno innestati i processi storici di progettazione e di educazione.
    D'altra parte essi sono da evidenziare lavorando sul vissuto, senza saltarlo a pie' pari in nome di idealità o di prospettive di valore tanto sublimi quanto vani, perché ultimamente astratti o distanti dell'umanità reale: quella vivente in concrete aggregazioni socialmente strutturate, geograficamente circostanziate, storicamente datate.
    Io vorrei provare a fare qualche tentativo di questa opera di evidenziazione di quelle che potrebbero dirsi le nuove vie di liberazione e le nuove forme di aggregazione, presenti nel nostro tempo, e di cui i temi generatori sarebbero come espressione linguistica coscientizzata al fine di portarli a effettiva realizzazione.
    La prima indicazione sporge più sul mondo soggettivo, la seconda invece su quello della convivenza sociale.
    Primo. In questi ultimi anni si è dato molto spazio al discorso dei bisogni radicali, di identità innanzitutto: oggi non sono meno forti quelli di riconoscimento, di relazionalità, di significanza di vita.
    Ma forse essi oggi sembrano andare a ricomporsi, insieme alle forze del desiderio, nella sfera più comprensiva dell'aspirazione e della volontà di felicità. Oltre ad una maggiore comprensività, essa per un verso sembra togliere al mondo esigenziale dei bisogni quella carica di aggressività e di impulsività cieca che sembra in loro insita e, per altro verso, sembra prospettare vie possibili di esaudimento al mondo dei desideri.
    La felicità «pacifica» e «umanizza» i bisogni, spinge a creatività e concretezza il desiderio.
    Secondo. Di fronte alla mercificazione del lavoro umano e al paventato disastro ecologico, negli anni passati si è proclamato l'esigenza di una diversa e migliore qualità della vita e i movimenti impegnati si sono incontrati sul terreno dei diritti civili, della liberazione della donna, della difesa della natura e delle forme alternative di energia.
    Oggi a me pare che è il movimento per la pace a portare la gente ad incontrarsi e ad impegnarsi. Anche in questo caso nella aspirazione di pace vengono a confluire i movimenti precedenti. Da questa confluenza viene loro un certo rasserenamento e una maggiore apertura al mondo personale, soggettivo, interiore.
    La pace si offre come vera realtà simbolica, nel senso etimologico della parola: cioè capace di mettere insieme realtà differenti, senza negare la loro diversità e alterità, e d'altra parte capace di offrire spazi al ciò che accomuna, affinché dall'incontro delle differenti convergenze sortisca qualcosa di nuovo vantaggioso per tutti. Sul fronte della felicità è possibile intravedere non solo un nuovo modo di essere della vita personale, ma anche della vita conoscitiva, non ridotta alla sola forma intellettiva razionale.
    E non c'è rischio di cadere nel mondo nebuloso delle idee o delle parole, avulse dalla realtà e valide solo per convenzione sociale (= nominalismo), perché l'attacco nel reale, e di conseguenza la forza veritativa del conoscere (per quanto limitata essa possa essere) è consentita dalla continuità tra vissuto - sentito - appreso - concettualizzato - verbalizzato - comunicato. Sul fronte della pace sembra spuntare un nuovo senso dell'aggregazione sociale e un nuovo modo di pensare e di dire il bene comune, oltre le stratificazioni e le contrapposizioni sociali e oltre le forze o le spinte particolaristiche.
    A sua volta felicità e pace sembrano incontrarsi sul terreno di una vita non decurtata o sezionata, ma in cui è possibile coniugare insieme soggettività e oggettività, interiorità e pubblicità, dato e valore, avere e essere, presente e futuro, affermazione e impegno.

    ALLA RICERCA DELLA TOTALITÀ DIFFUSA NEL FRAMMENTO

    La ricerca di temi generatori può essere vista come una metodologia pedagogica culturale, volta a suscitare il «massimo di coscienza possibile»[9] per un impegno di liberazione e per una assunzione dei compiti ad essa connessi. In tal senso potrebbe essere considerata anche una precisa strategia di educazione socio-politica oltre che uno stile generale di ogni forma di animazione, ponendosi come un servizio e uno stimolo ad una pienezza di vita, che vuole pace e felicità.

    Al fondo del vissuto particolare

    Ma quel che mi sembra appurato, dopo la precedente riflessione, è che una tale ricerca dovrà basarsi inderogabilmente sul vissuto personale e sociale che si sta vivendo e limitare le proprie pretese a quelle che sono le reali possibilità.
    In questo senso è da rovesciare la prospettiva di Freire che nel localizzare i temi generatori va dal generale al particolare (dai temi di epoca, a quelli di società, di aree e sotto-aree all'interno della società). Egli elenca così corrispettivamente i temi della liberazione, dello sviluppo per il terzo mondo, i temi nazionali, ecc.[10]
    Il nostro tempo invita decisamente a privilegiare il vissuto e a non bruciare troppo presto il particolare. Si tratta di andare al fondo del vissuto e del quotidiano, nei suoi luoghi concreti: l'amicizia, l'amore, l'incontro, il gruppo, il lavoro, lo studio, ma anche il privato, il soggettivo, l'intimo con tutte le sue speranze, desideri, angosce; con tutta la sua solitudine, la sua frammentazione, incoerenza, fragilità, limitatezza; e lì ritrovare e ricucire gli anelli interrotti della comunicazione, prima ancora che le grandi trame umane, che li attraversano, li fondano, li ispirano, li muovono .
    A questo livello primordiale il lavoro di coscientizzazione dovrà andare di pari passo con una sorta di lavoro quasi terapeutico, volto a ridare fiducia in se stessi e a rafforzare l'apertura personale all'ambiente, all'altro, al mondo, al futuro, a Dio, perché tante volte e in mille modi, oggi più che mai, almeno nella nostra società post-industriale, esse sono frustrate o distorte.

    Il linguaggio simbolico

    Allo stesso modo mi pare notevole l'analogia con ciò che Freire indica come il metodo della codificazione e rappresentazione:[11] disegni o fotografie di situazioni-limite, che permettono l'opera di coscientizzazione, se sono note agli interessati, se il nucleo tematico non è né troppo esplicito ma neppure troppo enigmatico, se pur riflettendo una situazione esistenziale costituisce oggettivamente una totalità e se pur riferendosi direttamente a necessità sentite, tuttavia si aprono e si collegano e richiamano altre situazioni e contraddizioni. In termini più generali si potrebbe dire che il senso della totalità, la motivazione ideale e valoriale sarà più facilmente appresa se potrà mostrarsi come «la ragione» dei bisogni personali e comunitari. Più in particolare, sul piano delle metodologie conoscitive e comunicative, saranno da privilegiare molto probabilmente le forme di linguaggio e di comunicazione simbolico-narrative, per la loro capacità di evocare, più che precisare, di suggerire più che definire, di mostrare più che dimostrare, perlomeno in complementarità e magari in supplenza di codificazioni concettuali-razionali o forse come via previa ad essi.

    Compagnia educativa e proposta di valore

    Vorrei infine segnalare un altro punto della metodologia di Freire, che mi pare degno di attenzione e di sviluppi nella nostra situazione.
    Nei casi in cui c'è da vincere il silenzio e l'indifferenza, in cui il gruppo è immerso, Freire prevede che i ricercatori intervengano con accorgimenti, quali la proiezione simultanea di varie situazioni possibili: si pone così in dialettica la situazione esistenziale del gruppo (codificazione essenziale) con altre dette «codificazioni ausiliarie».[12]
    Una rara abilità pedagogica credo che oggi è altrettanto necessaria nella nostra situazione. O per l'oppressione e la frustrazione o per la omogeneizzazione culturale, molti vanno a rasentare una cultura del silenzio o sperimentano in prima persona l'incapacità di dar parola al proprio vissuto o di contestualizzare e inquadrare la propria situazione.
    I temi generatori non si impongono. Sarebbe o propaganda o un peso in più. Ma per suscitarli si tratterà di coniugare da una parte una «compagnia» povera, rispettosa ai limiti del silenzio nei confronti del momento vissuto dai singoli e dal gruppo. E d'altra parte bisognerà, pur con tutta la delicatezza e l'intuizione del momento, avere il coraggio di «nominare i valori» cioè quegli assi portanti, quei fili conduttori che permettono di ritessere la trama e ricucire fili, che sembrano a prima vista fatalisticamente slegati. Non per indottrinare, ma per togliere dall'ignoranza, per liberare dal pregiudizio proprio o indotto, per offrire quelle conoscenze e quelle procedure che permettono ad ognuno e al gruppo di continuare il cammino improvvisamente interrotto. E come l'esperienza di questi anni ci insegna, più che attraverso l'insegnamento diretto, attraverso quell'insegnamento vitale che è la testimonianza personale o più ancora quella di comunità che «visualizzano» la possibilità di vivere una vita secondo valore, in una totalità significativa, idealmente ed esistenzialmente.

    CONCLUSIONE: COSCIENTIZZAZIONE E IMPEGNO

    Come scrive Freire le «possibilità ancora inedite di azione», che i temi generatori disvelano, diventano concrete nell'«appello ad agire» che prima non era percepito.[13]
    Oggi a rileggere Freire si è un po' disincantati. È difficile condividere quella vena di ottimismo che sembra far traboccare quasi automaticamente il momento della coscientizzazione in quello dell'azione.
    L'appello all'azione, come il recente passato ci ha insegnato, è spesso dolorosamente frustrato prima ancora che si produca nella realtà.
    Chi teme il cambiamento, nei movimenti in atto nella vicenda umana vedrà non un annuncio di vita, ma di morte. Non li negherà ma, non volendoli, tenterà di imprigionare la vita e di ridurla a schemi rigidi o di ucciderla, come lo stesso Freire ammette.[14]
    Oggi si è più che convinti che il momento della visione (della coscientizzazione) non annulla il momento della decisione (dell'impegno).
    Per dirla in termini tecnici il conoscitivo (lo gnoseologico) non fagocita il volitivo (l'etico).
    L'appello all'azione abbisogna della libera decisione volontaria che attua quanto è riconosciuto.
    Si vorrebbe anzi insinuare il reciproco: cioè la ricerca della totalità conoscitiva, qual è quella dei temi generatori, sarà resa possibile solo (o certamente più facilmente) da esperienze concrete di libertà.
    La pratica della libertà infatti permette di cogliere a livello vissuto prima e oltre che razionalmente, la totalità di teoria e pratica e la loro dialettica nella viva prassi umana: pur nella coscienza dei condizionamenti e dei limiti ad essa inerenti. Grazie alla crisi e agli sforzi teoretici ad essa connessi, prendiamo sempre più coscienza che sono finiti i giorni dell'onnipotenza. Ma pur attraverso una prassi povera, debole, dialogica, convinti che «nessuno si libera da solo», sperimentando l'impegno e l'invocazione, l'offerta e il dono, si fa storia e vita, seppure non con potenza illimitata.
    Ciò richiede una vera rivoluzione della vita quotidiana e una vigile cura del mondo personale.
    Per questa via passa la sfida dell'educazione agli anni ottanta. In essa - mi pare - si pone, come momento educativamente significativo, la ricerca dei temi generatori.


    NOTE

    [1] Cf P. Freire, La pedagogia degli oppressi, trad. it., Mondadori, Milano 1971, p. 124.
    [2] Ibidem, p. 122.
    [3] Ibidem, p. 123, nota 18.
    [4] Ibidem, p. 130.
    [5] Ibidem, p. 120.
    [6] Ibidem, p. 130.
    [7] Ibidem, p. 128.
    [8] Ibidem, p. 132.
    [9] Ibidem, p. 138.
    [10] Ibidem, p. 124-126.
    [11] Cfr. Ibidem, pp. 127-128 e poi pp. 139-152.
    [12] Ibidem, p. 143.
    [13] Cfr. Ibidem, p. 138.
    [14] Ibidem, p. 131.


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