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    Bibbia e temi generatori



    Cesare Bissoli

    (NPG 1983-1-26)


    UNA PROFONDA SIMPATIA CON LA VITA

    Trattare di «temi generatori» (= TG) dal punto di vista biblico, secondo il senso esposto in queste pagine, può apparire un anacronismo. Lo è, con tutte le conseguenze deleterie di strumentalizzazione della Bibbia, se si pretende da questa risposte tecniche a domande tecniche. Ma se si radicalizza la domanda che sottostà ai TG, vediamo in primo piano una umanissima domanda di vita: perché la vita possa realizzarsi secondo tutte le componenti che una condizione storica esige, dove la ragione, ma anche i sentimenti, la stabilità ed insieme il cambio, l'oggettività della istituzione e la partecipazione soggettiva possano integrarsi. TG sono tali perché, nella concretezza di ognuno, al di là o al di dentro di ogni difficile situazione, hanno la «grazia» di liberare per la vita, darne le ragioni e i mezzi, provocandone il coinvolgimento.
    Ebbene su questa linea di una vita che si cerca, anzi che si brama in una pienezza che possa raggiungere l'eterno, con una concretezza corposa che ha dell'inaudito per noi figli di Cartesio, la Bibbia (o meglio l'uomo della Bibbia che ivi codifica le sue esperienze) si presenta all'appuntamento con le nostre domande carico di affascinante attrazione, come chi conosce la passione di vivere. Egli ha nei patriarchi, i cui anni non finiscono mai, le proprie radici, e dunque possiede in proprio TG di stupefacente efficacia, se per venti secoli, all'interno delle memorie del Libro, e per altri venti secoli ormai, oltre il Libro, ma in rapporto ancora con esso, apre il suo «Credo» in un Dio creatore della vita e lo chiude con una vita eterna.
    La Bibbia come tale si offre quale TG. Così pensano i credenti che hanno in sorte la condivisione del senso ultimo della vita con il popolo della Bibbia. O meglio, dovrebbero poterlo fare. A questo scopo, come uomini in cerca di umanità ci sforziamo di entrare nel segreto della vitalità di un popolo, di ritrovare qualcuno dei loro TG, e chissà - proprio per la natura di un TG - di restarne coinvolti.
    Procederemo così: in una prima parte toccheremo tre momenti cruciali della storia del popolo di Dio leggendoli secondo l'ottica dei TG; in una seconda parte daremo unità al discorso sottolineando alcune «qualità» tipiche dei TG nella Bibbia.
    Ovviamente non arriveremo a determinazioni pedagogico-didattiche pronte all'uso, bensì a provare la sostanziale validità, e in certi casi la necessità di nutrire la fede attraverso TG, indicando insieme certe condizioni di autenticità ed efficacia.

    «VENIVA MENO LA LORO VITA» (Sal 107,5)

    I momenti della crisi sono momenti privilegiati di verità sulla vita, se questa debba sprofondare nel peggio, o cambiarsi nel meglio. È questo il tempo di TG, di «parole-fatti rigeneratori», ove più che mai è richiesta una interazione fra qualcosa da proporre mediante un modo adeguato a chi è dentro una certa situazione. Non quindi mediante una esposizione scrupolosa della teoria, ma semmai mostrando la verità oggettiva nella presa efficace di un frammento luminoso. Tutta la storia di Israele e delle prime comunità cristiane può definirsi una storia di crisi superate per una «parola» (che è insieme annuncio, memoria, fatto) di Dio. Il loro Credo, nella solennità ed immutabilità delle formule, è il prodotto prima, ed ora per sempre rimane l'approdo delle più svariate situazioni di vita illuminate dalla fede, situazioni sempre difficili, in questo esposte alla triplice tentazione-crisi per eccesso (benessere ateo), per difetto (la disperazione della sconfitta), nella normale fatica dell'esistenza (le prove e i conflitti). Queste tre universali tentazioni sono espresse emblematicamente in certi libri della Bibbia, tali da porsi più direttamente in dialogo con la nostra ricerca. E precisamente: il Deuteronomio, nel contesto profetico cui appartiene, va incontro alla crisi del benessere che si fa ateo; il Secondo Isaia, alla crisi di una disperata condizione di esilio; le lettere ai Tessalonicesi (ma avremmo potuto porre il vangelo di Luca, Ebrei, l'Apocalisse...), a comunità nel crogiolo delle persecuzioni e delle attese deluse.

    «Il vostro cuore non si lasci sedurre» (Deut 11,16)

    La situazione: il Deut nella sua finale redazione si rivolge a tutto un popolo che con profonda soddisfazione - poteva essere diversamente per dei seminomadi quali erano gli ebrei? - esercita il possesso della terra, stabilizzato nella istituzione monarchica. Ma ben presto si fanno sentire i disastrosi effetti, di cui i grandi profeti si fanno lucidi critici (Deut partecipa del solco profetico di Osea e Geremia), e cioè il culto magico degli idoli cananei della fecondità con il pullulare di santuari non regolamentati, e l'avidità delle ricchezze che si fa oppressione dei poveri. L'apostasia da Jahvè, in forza del benessere - noi diremmo il secolarismo o consumismo ateo - è un male che minaccia il popolo di Dio (cf Deut 13).
    L'intervento: si riferisce chiaramente ai punti sostanziali del Credo di Israele, ma non si compie come una tediosa rilettura di prescrizioni passate!
    - È evidente anzitutto la volontà di rendere attuale il passato, mediante lo stupefacente, continuo ritorno dell'avverbio oggi (5,1; 6,1-6...), anzi inventando il felicissimo, incomparabile anacronismo di Mosè stesso, il padre, la radice del popolo, che parla direttamente a questo (è a tutti nota la penetrante sequenza del tu-voi, con cui Mosè personalizza al massimo il rapporto con i suoi interlocutori, come in un'assemblea familiare), lasciandosi letteralmente morire e seppellire nel cuore del popolo (c. 34).
    - Ciò che Mosè instancabilmente richiama è un fatto: l'esodo, «l'uscita dal paese di schiavitù». Vengono focalizzati tre aspetti di immediata rilevanza: la gratuità della liberazione (è il ritornante motivo della elezione; 4,37), la quale manifesta che il possesso della terra è dono che Jahvè fa ad ogni generazione (8,7 - 9,6); il legame di amore preferenziale di Jahvè verso Israele (7,7 ss); la responsabilità che ne deriva.
    - La responsabilità di Israele si gioca sull'attualità; «oggi» Jahvè attende da Israele risposta di fedeltà (29,9-14), come scelta di amore per Jahvè unico Dio (6,1-13), come cura dell'orfano, della vedova e del forestiero (24,5-22), come attenzione vigile alla possibile apostasia e perdita di ogni cosa (c. 28).
    Non possiamo riconoscere l'esito immediato di questa appassionata perorazione. Ma ha certamente toccato il cuore di Israele, se quanto detto deve diventare «catechesi familiare» stabile (6,20-25), vero TG per ogni generazione che cresce nel rischio del benessere ateo.

    «Ecco, faccio una cosa nuova» (Is 43,19)

    La situazione: ora il popolo non vive più la seducente ebbrezza del benessere, ma l'amarezza sconfortante del «tutto è perduto». Siamo in esilio, «quando la fede degli uni è paralizzata e sono tentati di lasciarsi andare, mentre altri rigidi cultori del passato non sono più capaci di attendere il nuovo da parte di Dio» (C. Westermann). Le lamentazioni, come certi Salmi (es. 137), esprimono quale vertice abbia raggiunto l'angoscia, assieme - dobbiamo dirlo - ad una pericolosa assuefazione alla sconfitta, allo statu quo, una volta che gli esiliati poterono sistemarsi in Babilonia, con un pensiero di sfiducia sulla presenza efficace di Jahvè e di stima invece per le divinità babilonesi dei vincitori.
    L'intervento dell'anonimo, ma grandissimo profeta (Is 40-55) si caratterizza per un messaggio di fondo: la novità di un cambio positivo, di salvezza, che Jahvè realizza per il suo popolo.
    - Anzitutto l'affermazione di un avvenimento di salvezza, un fatto che si compie oggi: Ciro e il Servo di Jahvè sono, ciascuno a loro livello, gli operatori di questa salvezza (Is 43; 42; 49; 50; 52-53). Consiste nel superamento della schiavitù-peccato, del passaggio da Babilonia a Gerusalemme. Due verità particolarmente fondano ed esprimono la svolta: l'esodo, di cui il Deuteroisaia dona una insuperata attualizzazione, dove non più Mosè, ma Jahvè in prima persona fa da guida (40,1-11; 43,16-21); la creazione, intesa nel triplice senso di suprema potenza di Jahvè, di massimo segno di salvezza (una nuova creazione), di prova infallibile della invincibilità ed unicità di Jahvè (40,12-31; 44; 45,20-25).
    - Questo avvenimento di salvezza provoca gioia, giubilo, festa. «Consolate, consolate il mio popolo» in apertura (40,1) fa da stabile leit-motiv, e oltre ad Israele (4 1,16) abbraccia il mondo (42, 10-11) . Non è una gioia di appendice, ma è la qualità stessa dell'evento, un fattore intrinseco al messaggio annunciato: è vangelo, bella notizia.
    - È annuncio accentuatamente personalizzato, nel senso che intende toccare la sfera personale, entrare in dialogo con il lamento e le domande del singolo, pur dirigendosi il profeta al popolo come tale. «Non temere», «io sono con te», «io sono il tuo Dio», «io ti ho chiamato per nome»... sono abituali modi espressivi. Is 49,14-15 esprimono da soli in modo eccellente questo personale coinvolgimento: «Sion ha detto: "Il Signore mi ha abbandonato, il Signore mi ha dimenticato". Si dimentica forse una donna del suo bambino...? Anche se queste donne si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai». Questa volta i risultati dell'annuncio ci sono complessivamente noti: la rigenerazione di una comunità, secondo la splendida, commossa pagina di Neemia 8-9, i cui i motivi fondamentali detti sopra vengono riproposti al popolo e «reagiti» sotto forma di preghiera.

    «Nessuno si lasci turbare in queste tribolazioni» (1 Tess 3,3)

    La situazione: ci è nota la difficile condizione vissuta da tutte le comunità cristiane alle origini. Non è certamente quella dell'opulenza materialista, né tanto meno di interiore vergogna per una avvenuta smentita delle loro idealità di vita, tanto la risurrezione di Gesù le avvolge. Semmai è la morsa della tribolazione che crea problemi, perplessità, crisi. Le due Lettere ai Tessalonicesi, il primo testo scritto del NT, ce ne offre uno spaccato: dall'esterno, intimidazioni, anzi persecuzioni di correligionari, fratelli prima nella fede di Mosè ed ora diventati irriducibili avversari (1 Tess 2,14-16; Atti 17,1-9); all'interno, cosa ancora più tormentosa, l'apparente venir meno delle promesse del Signore, il quale non sembra arrivare a rinnovare il mondo, a dare la vita ai morti, con un inevitabile crollo della speranza, e quindi dell'impegno nel lavoro e negli altri obblighi di vita.
    L'intervento di Paolo non si produce certo né in puntigliose ripetizioni dottrinali, né in generiche assicurazioni di conforto.
    - Anzitutto introduce una relazione quanto mai personalizzata, da io a tu, a voi, con una volontà radicale di comprensione e di condivisione, affettivamente irresistibile. Lo dice già il fatto che non potendo fare altro, Paolo almeno scrive di sua mano (2 Tess 3,17); e poi le sue insuperate attestazioni di amore paterno, anzi materno (1 Tess 2,7-8.11); infine, quello che più conta forse, il riconoscimento delle qualità cristiane veramente esemplari della giovane comunità (1 Tess 1,8-9).
    - Il motivo radicale di conforto è la morte e risurrezione di Cristo. È sempre così nel NT: si tratta del ricordo di un avvenimento, certamente come faceva Israele, ma ormai legato indissolubilmente alla persona di Cristo. Evento quello di Pasqua - si badi - non come fatto esterno, ma come realtà con cui Cristo assume e risolve in sé sia i problemi e la morte sia i desideri di vita dei Tessalonicesi (1 Tess 4,13 - 5.11).
    - Paolo non solo parla, ma dà la sua mano, come colui che fa per primo ciò che chiede a loro (1 Tess 2,1-12).
    - Ciò che Paolo arreca è un insieme di rinnovata speranza, di fedeltà al proprio compito (l'impegno nel lavoro, 2 Tess 3,6-12), di accoglienza di un mistero di luce (1 Tess 5,1-11) e di vigilanza contro un serpeggiante «mistero dell'iniquità» (2 Tess 2,7).
    Non c'è da dubitare dell'esito dell'intervento di Paolo, se le sue due Lettere, soprattutto nel confronto che stabiliscono fra il freddo buio della morte e la luce della risurrezione di Cristo, ancor oggi risuonano con indubbia efficacia nella liturgia dei defunti.

    «TUTTO È VOSTRO! MA VOI SIETE Dl CRISTO» (1 Cor 3,22-23)

    Sviluppando adeguatamente i tre esempi fatti potremmo legittimamente definire la Bibbia come condensato di TG di un popolo nella propria storia. Facciamo ora il tentativo di riassumere quali siano tali TG maggiori, di dire perché lo sono e a quale condizioni .
    In un secondo momento, una parola conclusiva sugli stimoli che la Bibbia propone per chi evangelizza mediante TG.

    Quali TG

    Dai tre esempi portati vediamo emergere come TG:
    - l'esodo in primo luogo, affermazione dell'onnipotenza di Dio che vince la estrema impotenza dell'uomo, assicurazione del passaggio dalla morte alla vita, dalla schiavitù alla libertà, dal vecchio al nuovo;
    - la creazione: le cose appartengono ad un disegno di bontà e di vita, la vocazione dell'uomo al progresso del mondo ed insieme al radicale riconoscimento dell'«Assolutamente Altro»;
    - Gesù Cristo, la figura storica per cui creazione ed esodo si fanno possibilità di esperienza reale per ciascuno di noi.
    Attorno a questi tre pilastri, di cui abbiamo già visto la presa diretta, come facce del diamante, troviamo altri TG. Ad esempio:
    - i Padri, come prova che la promessa e la benedizione di Dio continuano e ci raggiungono oggi.
    - Il deserto: viene proposto dai profeti (Osea Geremia) come via alla rinascita quando la folla degli interessi è tale da ostacolare l'ascolto della Parola che conta. Esperienza della lotta, della scelta, ma anche dell'intimità. Questo della contemplazione o dell'esperienza del deserto oggi pare trovare a certi livelli, anche giovanili, una favorevole accoglienza.
    - La terra: fa parte dell'esodo come sacramento di libertà. È ciò per cui la vita è vita, è sicurezza, è godimento, è riposo, è progresso... Si sa della estrema efficacia nella storia del sionismo moderno. In permanente dialettica con il TG del deserto, il motivo biblico della terra tiene conto dell'homo faber.
    - Maria di Nazaret: è l'unica figura biblica, dopo Gesù Cristo, che da secoli possiede il fascino di essere sintesi compiuta dell'uomo che cammina con Dio, capace di suscitare «conversione».
    - Il futuro messianico: il più bello è quello che deve ancora capitare. Il mondo, la storia non sono naufragio, ma cammino sotto la guida di Dio verso l'approdo del mondo nuovo. È fondato avere speranza.

    Condizioni di autenticità

    Si possono ricavare certe componenti del modo di porsi dei TG biblici ora descritti, che valgono come condizioni di autenticità e così ulteriormente aiutano a delineare i TG secondo la Bibbia.
    - Anzitutto un fatto: il tema si fa generatore di vita perché qualcosa è capitato e capita e tu ne sei dentro. La creazione, l'esodo, Gesù Cristo sotto la penna dell'autore del Deut, del Secondo Isaia, di Paolo sono avvenimenti che incidono in senso positivo sul senso della vita e della storia avanti ogni personale prestazione.
    - Ma insieme il personale coinvolgimento. Il TG biblico non è mai una teoria, ma un appello al cuore, dove razionalità (motivazione), affettività (gusto e disgusto), operatività (esperienza) sono continuamente integrati. Noi conosciamo troppo poco la potenza che in questo senso possedeva l'estrema varietà delle forme del dire, ad es. nei profeti.
    - La festa: intorno ai grandi fatti sono nate le feste in Israele perché esse stesse diventano fatto, avvenimento di riattualizzazione, il kairós in cui il passato comincia ad accadere. Il clima, quando anche partisse dall'amarezza del peccato (come nelle celebrazioni penitenziali) sfocia nella gioia, anzi nell'allegria, si fa speranza. Leggiamo in Neemia a proposito dei superstiti dell'esilio rigenerati dalla Parola di Dio: «Tutto il popolo andò a mangiare, a bere, a mandare porzioni ai poveri e a far festa, perché avevano compreso le parole che erano state loro proclamate» (8,12).
    - La partecipazione del pastore: come garanzia di credibilità, toccata veramente con mano. I TG biblici non sono anonimi avvisi dall'alto, ma presentazione a te di ciò che per me ha raggiunto il livello di certezza. È un camminare insieme, pastore e popolo. Mosè, i profeti, Gesù, Paolo rimangono emblemi di come il mezzo si fa messaggio.
    - Il chiaro-oscuro del mistero: ciò che la Bibbia propone ha un suo preciso carattere responsoriale, di attenzione cioè a domande concrete di vita; però ultimamente rompe ogni tentativo di possesso e di immediata verifica facendo «camminare con Dio» in un gioco imprevedibile di libertà e di creatività, che non annulla affatto la novità della storia, la bellezza dell'avventura. Per questo suo carattere il TG della Bibbia è «pregato», viene accolto dall'uomo biblico nella invocazione, condiviso con la totalità dell'essere, ora nel lamento, ora nella lode, sempre nella fiduciosa speranza. I Salmi in questa prospettiva sono la raccolta più qualificata di TG della Bibbia.

    Stimoli operativi

    Ridire l'esperienza biblica nel moderno concetto di TG non è facile. Ad ogni modo questo suppone sempre una elaborazione pastorale-pedagogica e quindi un esercizio di mediazioni che rimane da fare oggi .
    Un problema ulteriore che fa parte inevitabilmente di un discorso come questo è
    l'attenzione alla psicologia del profondo. In che termini, ad es., il messaggio biblico, ieri come oggi, interferisce con i dinamismi della personalità? Si tentano oggi «analisi psicanalitiche» del vangelo, secondo questo o quell'autore. Divagazioni erudite? Direi di no, se si tiene conto di ciò che è in gioco e quello che si vuol far funzionare con i TG.
    Limitiamoci qui a raccogliere certe linee di fondo con cui la Bibbia si propone, in particolare a quanti ne condividono la fede:
    - L'uomo biblico ha vissuto momenti in cui ha ritrovato la fede, un senso nuovo della vita mediante parole-fatti impastati con le situazioni difficili, talora impossibili che andava provando. I luoghi fondamentali della Bibbia sono memoria codificata di ciò.
    - La preoccupazione, l'oggetto, lo scopo riguarda sempre la vita dell'uomo, perché l'uomo viva alla luce di Dio.
    Quelli della Bibbia non appaiono mai TG accademici, ma drammatici, sia agli inizi (la vittoria sul caos primordiale), sia durante (il superamento del mare come del sepolcro), sia alla fine (la conclusiva vittoria sul mistero dell'iniquità).
    - Abbiamo sopra individuato certe componenti di intervento. In sintesi possiamo dire che sull'area della vita di ogni uomo, sotto tutti i cieli e condizioni, sta la presenza di Dio, potente, buona, liberatrice, che in Gesù Cristo si è fatta incontro a noi in misura decisiva e che pone la promessa di un futuro di incalcolabile gioia per chi la vita sua viva, nonostante tutto, secondo queste certezze. Un'esistenza dunque nella speranza e nella operosa responsabilità.
    «Tutto è vostro. Il mondo, la vita, la morte, il presente, il futuro: tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio» (1 Cor 3,22-23).


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