(NPG 1982-01-44)
Da anni la rivista ha sollecitato gli operatori pastorali a un lavoro di riformulazione della spiritualità giovanile. Ricordiamo, in particolare, il dossier «Spiritualità per i giovani d'oggi» (1979/7), il dossier «Contemplazione nel quotidiano» (3/80) e quello sulla spiritualità mariana (4/79).
L'interesse per il tema nasce da un'esigenza che anche oggi, nonostante i giovani vivano un momento di intensa frammentarietà, è condiviso da molti educatori: elaborare un progetto di spiritualità alla luce delle parole di Paul Ricoeur, che scriveva: «Possono sopravvivere soltanto delle spiritualità che rendono conto della sopravvivenza dell'uomo, che danno un valore all'esistenza materiale, al mondo tecnico e, più in generale, alla storia. Dovranno morire le spiritualità di evasione, le spiritualità dualiste... In senso generale, io penso che le forme di spiritualità che non possono rendere conto della dimensione storica dell'uomo dovranno soccombere sotto la pressione della civiltà tecnica».
Anche per la sollecitazione della nostra rivista, i centri giovanili salesiani d'Italia, in collaborazione con i centri catechistici e pastorali, si sono incontrati più volte per elaborare un'immagine del giovane credente per gli anni '80, un progetto di spiritualità da proporre alla luce del carisma salesiano. Si sono tenuti due convegni nazionali (al secondo hanno preso parte anche un buon gruppo di giovani). Il materiale emerso è molto stimolante e lo offriamo, in una rielaborazione curata dal nostro Centro, a tutti i lettori, come provocazione per un analogo lavoro nelle diocesi, nei movimenti, nelle associazioni giovanili. Proprio perché nato in ambienti salesiani, abbiamo mantenuto il riferimento al vocabolario salesiano. Può essere uno stimolo per sollecitare a progetti di spiritualità incarnati nelle situazioni locali.
Rimandiamo al sussidio «Un manifesto per la spiritualità giovanile salesiana» (pdf).
Una collana di narrativa aperta ai giovani
L'attuale condizione giovanile è segnata per molti versi da una marcata crisi di memoria culturale. Il gap generazionale sembra sempre più incolmabile, anche se è già un passo rilevante l'essersi resi conto del problema nella sua crudezza. Il modello prevalente di socializzazione e di inculturazione è in effetti orizzontale, tra pari, senza grossi scambi di tipo verticale.
Il problema coinvolge tutti i processi di comunicazione tra generazioni e richiede che gli adulti escano dai miti in cui si sono riconosciuti in questi anni, dal progresso al consumismo, dall'impegno politico all'uomo che con le sue mani costruisce la felicità. E richiede che giovani ed adulti, insieme, lavorino per un nuovo modello culturale, per un nuovo stile di vita.
Come fare tutto questo? Del vasto problema sollevato, ci interessa, in questo contesto, svolgere un aspetto: la crisi di linguaggio.
Usciamo da anni in cui tutti, giovani e adulti, ci siamo reciprocamente coinvolti nella discussione, nell'analisi critica del reale, nell'arte del sospetto, nel tentativo di dimostrare oggettivamente le proprie ragioni.
Tutto questo se da una parte ci ha permesso di cogliere con maggior finezza i meccanismi che governano la società, dall'altra ha svuotato di contenuto esistenziale il dialogo tra giovani e adulti.
Oggi si sente l'urgenza di incamminarsi verso modelli di comunicazione generazionale ad un livello più profondo, e con un linguaggio diverso da quello scientifico-razionale, che si rivela non sufficiente a esprimere la ricchezza del vissuto.
Una soluzione alla crisi viene intravista da molti nella direzione di uno spazio maggiore al linguaggio narrativo, accompagnato evidentemente da altre scelte educative, soprattutto la testimonianza personale di nuovi valori. «Ciò che non si può dimostrare, lo si può narrare», ha scritto Umberto Eco nella prefazione al suo romanzo «Nel nome della rosa».
La narrazione non nega la complessità del mondo in cui viviamo e non è affatto una fuga dal reale. Narrare è cercare di penetrare la complessità attraverso il dialogo sulle esperienze e sul mostrarsi di un senso esistenziale man mano che la vicenda narrativa procede.
«La quinta stagione»
La narrazione coinvolge tutto il mondo dei rapporti che vanno dagli adulti ai giovani e trova diversi modi di esprimersi, compreso il «romanzo» che in questi anni richiama un sempre maggior numero di lettori.
La casa editrice SEI di Torino, accogliendo questo bisogno di narrazione, ha voluto qualificare il suo servizio proponendo una collana narrativa «La quinta stagione», originale per lo stile e per il destinatario.
«Questo titolo alternativo, scrive l'editrice nella presentazione della collana, è stato scelto non per il vizio di stupire il lettore al fine di catturarlo... Ci ha mosso il gusto del non ancora percorso, come di un sentiero inedito, non canonico, inconsueto, fuori dalla norma. Si è voluto intendere per «quinta stagione» soprattutto la stagione, irrazionale e non quotidiana, dell'invenzione, della fantasia, della dimensione creativa».
La SEI è da sempre una delle editrici più qualificate nel campo scolastico ed educativo. Era facile, quindi, nel preparare una collana di narrativa, pensare ad un pubblico giovanile, scegliendo testi adatti a loro. Con una intuizione pedagogica che qualifica la collana si è scelto invece di dedicarla ad un pubblico di grosso respiro che condividesse l'esigenza di ripensamento e «fantasia culturale». Non si sono selezionati quindi testi per i giovani,ma testi che fossero in grado di dire qualcosa anche ai giovani, proprio perché centrati sui problemi dell'uomo d'oggi. Se dunque questa collana può essere qualificata come giovanile lo è perché accetta l'esigenza giovanile di una narrativa seria e perché propone attraverso il metodo della narrazione e quindi della evocazione del vissuto, una serie di valori al centro dell'attenzione giovanile.
Non si tratta, in conclusione, di romanzi a scopo educativo con tesi prefissate, ma piuttosto di racconti che evidenziano la vita nella sua ricchezza e contraddizione. La vita in quanto tale si fa allora educativa. Il bene e il male, le situazioni positive e quelle sconcertanti impegnano chi legge ad un continuo dialogo tra il vissuto rappresentato dal romanzo ed il suo vissuto. In questo modo il romanzo arricchisce, trasforma, avvia a decisioni personali.
L'attenzione ai valori educativi ha portato ad escludere quei testi che non avessero un sottofondo antropologico sufficientemente ricco, aperto anche alla dimensione religiosa della vita, come dimensione con cui ogni uomo ha a che fare, anche se nella diversità delle culture. In quanto romanzi si impongono per i valori «laici» di cui sono portatori, ma proprio perché laici sono aperti senza pregiudizi ai problemi di senso che la vita continuamente solleva.