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    Quale nichilismo?



    Giannino Piana

    (NPG 1982-05-08)


    Il termine «nichilismo» sottende una pluralità di significati e di valenze storico- concrete difficilmente riducibili ad unità. Si tratta di un termine analogico, che può essere letto sotto prospettive diverse e a diversi livelli.

    Le diverse accezioni del termine

    L'uso più comune è senza dubbio connotato da un accento negativo e risale alla grande tradizione dell'esistenzialismo kierkegardiano: tradizione ripresa, tra le due ultime guerre, da un filone assai vasto ed interessante della filosofia europea. Il nichilismo è definibile, secondo questa tradizione, come una lettura radicalmente pessimistica della vita e della storia, una risposta negativa al problema del senso; in definitiva, come la proclamazione dell'assurdità dell'esistenza e della vanità di ogni umana tensione.
    Il primo a superare tale posizione, caricando il termine «nichilismo» di un significato non polemico e positivo è stato Nietzsche. Egli si serve di esso per qualificare la sua opposizione radicale ai valori morali tradizionali e alle tradizionali credenze metafisiche. «Il nichilismo - scrive - non è soltanto un insieme di considerazioni sul tema: Tutto è vano; non è solo la credenza che tutto merita di morire, ma consiste nel mettere la mano in pasta, nel distruggere... È lo stato degli spiriti forti e delle volontà forti cui non è possibile attenersi ad un giudizio negativo: la negazione attiva risponde meglio alla loro natura profonda» (F. Nietzsche, Wille zur Macht, ed. Króner, XV, § 24). Come tale la tendenza nichilista, lungi dal coincidere con la rassegnazione e la debolezza di chi non osa ribellarsi al conformismo imperante, è invece un atteggiamento attivo, mediante il quale ci si propone di abbattere ciò che ha solo l'apparenza della vita.

    La crisi delle grandi narrazioni e l'interpretazione della realtà come rappresentazione

    È difficile dire quale delle due connotazioni - peraltro legate a radici comuni - il nichilismo abbia assunto ai nostri giorni. Forse, pur conservando caratteristiche similari all'una e all'altra delle tendenze sopra esposte, esso si presenta come qualcosa di assolutamente nuovo ed inedito, qualificato da tratti specifici, che meritano di essere considerati.
    A livello di ricerca teoretica, il nichilismo sembra ricuperare, in un impasto ibrido e persino contraddittorio, dati di matrice diversa difficilmente assimilabili tra loro. La crisi delle grandi ideologie, e persino della dialettica, porta alla dissoluzione della storia e del tempo e alla loro sostituzione con un'interpretazione della realtà in termini di pura rappresentazione, in cui passato, presente e futuro si incontrano in un punto solo, in cui il soggetto si muove in un mondo di simboli, in cui non c'è più spazio per la progettualità e per il divenire.
    Alla tragicità del primo nichilismo, per il quale il «nulla» è l'angosciosa esperienza della dissoluzione ontologica, esso oppone una concezione più superficiale e meno sofferta, per la quale il «niente» (positivisticamente inteso) è semplicemente la coscienza gnoseologica della fine del senso ontologico delle grandi narrazioni emancipative, che avevano come supporto il lavoro, la dialettica, la memoria storica, il valore d'uso - e non solo di scambio - delle cose. Si tratta, come è facile intuire, di un nichilismo «debole» e di consumo, che alimenta stati di passività e di accettazione dello status quo, perché fondato sulla percezione dell'ineluttabilità del destino, dell'incorporazione della scienza alla tecnica, mediante il capitale, dell'implosione della storia.

    Le ambivalenze del nichilismo giovanile

    È arduo stabilire quanto questa forma di nichilismo - elaborata in Italia con abilità e suggestione da filosofi come Vattimo e Severino, i quali propugnano la necessità di non uscirne ma di viverla come ultima chance per diventare finalmente uomini - interpreti correttamente la coscienza contemporanea, soprattutto dei giovani. La realtà giovanile è così articolata e complessa da rendere difficile qualsiasi tentativo di definizione univoca, se non si vuole correre il rischio di tradirne lo spessore effettivo e i tratti più autentici. Non si può, d'altronde, negare che esistano oggi, nel mondo dei giovani, tendenze ampiamente diffuse, che sembrano evocare, sul terreno del vissuto, atteggiamenti nichilisti nel senso appena descritto: dal ricorso alla droga e alla violenza irrazionale, alla diffidenza verso le grandi concezioni dell'essere e della storia, mediate dalle ideologie tradizionali, fino all'abitudine a vivere senza certezze assolute, facendo unicamente appello ai rapporti quotidiani. Se tutto ciò è fonte di gravi pericoli - quali la crescita dell'angoscia e della disperazione, la perdita della memoria storica e del bisogno di progettualità, l'evasione mistica, l'affievolirsi dell'impegno sociale e politico e l'emergere di una visione frammentata della vita, nella quale prevalgono la attenzione alla soggettività individuale e alla quotidianità - è, tuttavia, nello stesso tempo, espressione di esigenze che non possono essere cancellate e che sono portatrici di innegabili valori, quali la ricerca della propria identità, lo smantellamento di sovrastrutture esteriori di carattere ideologico, che finivano per fare da schermo ai veri problemi umani, l'apertura a rapporti intersoggettivi autentici, e lo sviluppo di un senso sempre più profondo della tolleranza e della pietas, del dialogo senza preconcetti aprioristici e della possibilità della comunicazione umana.
    Questa forma di nichilismo pratico, che - almeno a livello quantitativo - appare caratterizzato più dall'accettazione che dal rifiuto tragico (violenza e droga, per quanto ancora diffuse, sembrano subire un processo di arresto) è allora ambivalente: produce l'orientamento a rifuggire dalle grandi questioni del senso e della totalità per aggrapparsi, in modo talora esclusivo, ai significati immediati della quotidianità, ma insieme abilita al superamento dei grandi progetti utopistici del cambiamento storico immediato, riportando l'attenzione sul soggetto e sulla sua realtà più profonda come luogo dal quale partire per la ricerca di una risposta alle questioni fondamentali della vita; ridimensiona, fine a vanificarlo, il bisogno di apertura al futuro e di programmazione, ma, nello stesso tempo, ripropone modalità nuove di socializzazione dal basso dei rapporti umani più rispettose dell'uomo reale e del suo mistero.
    Le antinomie, che contraddistinguono l'attuale condizione giovanile, non devono allarmarci; non sono del resto un fatto nuovo. Ogni periodo storico - e soprattutto quelli caratterizzati da grandi trapassi culturali o addirittura da svolte epocali come il nostro - è attraversato da «crisi» profonde, che fanno emergere elementi involutivi ed evolutivi; è cioè qualificato da tentazioni di riflusso e da spinte innovative, che aprono nuovi spazi alla creatività umana. L'importante è saper cogliere il nuovo che sboccia, non limitandosi a registrarlo, ma facendosene solidali, in un cammino di ricerca, che comporta anzitutto la passione del coinvolgimento e l'energia della speranza.


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