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    Obiettori di coscienza in servizio educativo


     

    Paolo Carlotti

    (NPG 1982-01-39)


    Da qualche tempo sono sempre più numerosi i giovani che, in collegamento con diversi enti, prestano il servizio civile sostitutivo in istituzioni educative.
    Ne abbiamo incontrato un gruppo della zona di Verona, coordinati dalla Ispettoria Salesiana san Zeno. Ci interessava conoscere la loro storia, le motivazioni che li hanno spinti a un impegno tra i giovani e non nel campo assistenziale o ecologico o dell'emarginazione, i problemi che incontrano nelle comunità educative.
    La testimonianza di questi obiettori, sia negli aspetti positivi che in quelli più problematici, ci sembra uno stimolo per una sensibilizzazione alla proposta del servizio civile, e allo stesso tempo una provocazione per chiedersi che significhi la presenza di obiettori nella comunità educativa e che significhi rispettare la loro identità e fare spazio alla loro sensibilità e competenza.

    Ci siamo incontrati attorno ad un tavolo in una casa di campagna.
    Sono arrivati alla spicciolata da diverse città del Veneto per un pomeriggio di scuola di animazione. Sono una decina di obiettori in servizio educativo» presso ambienti giovanili legati ai Salesiani della zona di Verona.
    La maggior parte lavora in oratori e centri giovanili, qualcuno in un centro di formazione professionale come animatore del tempo libero, uno tiene il collegamento interno e con altri gruppi simili in Italia. Tutti si ritrovano in una scelta precisa: fare gli animatori in ambienti educativi per realizzare in modo originale le motivazioni che li hanno condotti a fare gli obiettori.
    Una delle opzioni del gruppo, fin dal suo nascere, è di qualificarsi come animatori. Con periodicità mensile si trovano quindi, come nel pomeriggio che li abbiamo incontrati, per delle lezioni, discussioni, scambio di esperienze. All'ordine del giorno temi come l'obiezione di coscienza nelle sue motivazioni e nel suo futuro, la figura dell'animatore, il rapporto con le istituzioni, il riferimento religioso e l'ispirazione cristiana della loro scelta.
    Su questi temi che formano la loro scuola animatori li abbiamo voluti sentire anche noi. Anche perché il gruppo si è orientato verso scelte stimolanti per altre iniziative.

    Le motivazioni

    Fa meraviglia l'occasionalità con cui quasi tutti sono arrivati all'obiezione di coscienza. Qualcuno ha dovuto persino superare le barriere della diffidenza. «Mi sembrava una cosa molto strana - osserva Michele, ripensando al suo atteggiamento di pochi anni prima - quasi al limite della normalità. L'impressione era che fosse tutta gente particolare!». «Ho scoperto casualmente l'obiezione di coscienza - afferma Maurizio - e all'inizio non mi ha detto gran che...».
    Per la maggioranza prima che una scelta legata all'obiezione di coscienza, è stata una scelta di «volontariato».
    Daniele invece è partito direttamente dall'obiezione di coscienza: «A 16 anni ho partecipato ad una tre giorni sul servizio civile. Lì ho deciso, e da allora sono rimasto fedele alla mia decisione».
    Emergono con chiarezza alcuni valori.
    Per tutti è stato decisivo il rifiuto del mondo militare del quale si contesta soprattutto lo pseudo-pacifismo. Tuttavia più che l'antimilitarismo sembra aver influito nella loro decisione la scelta del volontariato. «Fare il militare - afferma Michele - non serve a niente, ed invece così dò qualcosa di mio agli altri». «Faccio l'obiettore - precisa Giovanni - non per un interesse antimilitarista. Semplicemente trovo insensato fare il militare. Mi sembra di essere più utile agli altri con il volontariato».
    Il volontariato vien presentato dai giovani obiettori come spazio di cambiamento sociale. La loro attenzione è alla maturazione delle persone, più che al cambio delle strutture. La loro preferenza è per il prepolitico, per il rinnovamento sociale e culturale. «Sono obiettore per una convinzione di fondo: - dichiara Palmarino - fare il militare non serve a niente. Meglio quindi un servizio per la pace, che consiste nell'abituarsi ad amare le persone, gli altri». Gigi, che ha maturato la scelta discutendone con la propria ragazza, esprime più degli altri un atteggiamento antimilitarista: «Siamo contrari da sempre all'esercito e a tutto ciò che l'esercito comporta. Occorre fare qualcosa per impedire che un certo ordine di idee attecchisca sempre di più. Se poi guardiamo la vita militare com'è adesso, non di rado i colori diventano ancora più foschi e tragici».
    La profondità delle, motivazioni raggiunge spesso livelli religiosi espliciti, fino ad affermare la necessità dell'obiezione per coerenza verso il vangelo. «Un cristiano - afferma con decisione Giordano - deve avere nella sua fede una dimensione sociopolitica e quindi mi sembra scontato non scegliere l'esercito, che è una istituzione per la guerra. Il silenzio e la politica del non sporcarsi le mani a questo punto non bastano. Bisogna scegliere positivamente qualcosa che renda impossibile la guerra e la violenza».
    Nei vari discorsi si intravede anche un'ammissione di comodo nella scelta dell'obiezione: la vicinanza a casa, la possibilità di rimanere nel giro degli amici di prima e nell'ambiente educativo in cui si è cresciuti e in cui si era animatori, la possibilità di stare vicino (ci perdoni Gigi!) alla ragazza...
    «Antimilitarismo sì - dice Francesco -, ma soprattutto mettersi a servizio degli altri, e visto che mi si è offerta questa occasione... Poi sono vicino al paese e questo mi permette di continuare a frequentare anche il gruppo giovanile di cui sono animatore».
    Come sono arrivati alla scelta, chi ha influito?
    Un ruolo determinante, secondo gli obiettori, è stato quello svolto dai vari centri educativi con cui erano collegati. Attraverso giornate di sensibilizzazione e attraverso la insistenza di alcuni educatori l'ipotesi di obiezione si è fatta sempre più consistente e praticabile.
    La scelta dell'obiezione è sempre personale, ma trova un terreno fertile nella vita di gruppo, nella pratica dell'animazione che coscientizza e responsabilizza verso il mondo giovanile, nella presenza di persone che provocano con la loro personalità e con la loro proposta. Solo in questo contesto il salto nel buio, come per certi versi rimane fare l'obiettore, è possibile. «La mia non è stata una scelta individualista - ha osservato Palmarino - ma è emersa da un lavoro di gruppo. C'è dietro la storia dell'ambiente che avevo frequentato, l'attività che avevo iniziato in mezzo ai giovani e che ho voluto continuare con il servizio civile».
    Un altro punto di riferimento per tutti sono stati i vari gruppi di obiettori della città e della provincia. Soprattutto prima di arrivare ad una scelta definitiva di servizio nel campo educativo, molti di loro si sono documentati sugli sbocchi offerti sia dalle leggi sia dai vari enti della zona che hanno il diritto di ammettere dei giovani al servizio civile sostitutivo.

    Il lavoro dell'obiettore

    Ma cosa fanno concretamente gli obiettori che lavorano nel settore educativo? Le attività del gruppo di Verona sono diversificate, ma omogenee.
    Il loro lavoro trova un denominatore comune nel fare animazione tra i giovani e i ragazzi. Le attività sono però abbastanza diverse. Qualcuno presta servizio nell'animazione sportiva, qualche altro nel campo del teatro e del linguaggio del corpo. Diversi hanno avuto in mano la organizzazione di settimane estive in montagna per ragazzi, di campi scuola con giovani animatori.
    Originale è l'iniziativa, sostenuta da altri gruppi oltre gli obiettori, del «Campo Casa» nella zona del Garda. Da diversi anni viene organizzata in collaborazione con gli enti pubblici della zona, una specie di «estate ragazzi» per le famiglie che credono nello sport, nella vita di gruppo, nell'educazione all'espressione e nella maturazione della fede dei loro figli.
    Gli obiettori e i loro amici hanno avuto in uso una scuola elementare e l'hanno attrezzata per il Campo Casa. Al mattino arrivano i ragazzi, chi con i propri mezzi, chi con il pullman dello stesso Campo. Durante il giorno si fa vita di gruppo; grandi spazi per giocare, preparare scenette, dialogare sui fatti della vita quotidiana.
    Il Campo finisce per coinvolgere non solo i ragazzi ma anche i loro genitori, con i quali si stabilisce un rapporto cordiale, e il paese che ospita l'iniziativa.
    Più sofferto è il caso di un obiettore che opera in un centro di formazione professionale. Partito con proposte di animazione nel campo culturale (incontro con i sindacati, sensibilizzazione alle problematiche dell'inserimento nel lavoro...), ricreativa e in genere parascolastica, ben presto si è trovato isolato e senza possibilità concrete di intervento educativo. C'è stato un periodo abbastanza difficile.
    Ora lavora come sostegno di un ragazzo in difficoltà, in collegamento con il Centro sociale di zona che glielo ha affidato. E, soprattutto, come bibliotecario del Centro di formazione professionale. Uno spazio più consono alle sue scelte lo ha trovato nel Campo Casa.
    L'inserimento nella comunità educativa e il rapporto con l'istituzione
    Delicato fin dagli inizi e suscettibile di più maturi sviluppi è stato in genere l'inserimento dell'obiettore nella comunità educativa ed il rapporto con l'istituzione in quanto tale.
    Una domanda aperta, su cui hanno insistito gli obiettori di Verona, riguarda il rapporto con l'istituzione: è l'obiettore ad offrire un servizio all'istituzione, oppure, ed in primo luogo, è l'istituzione che si pone al servizio del giovane obiettore e della sua maturazione umana?
    L'alternativa posta dalla domanda nasce da alcune situazioni concrete. In alcuni casi, per esempio, gli obiettori sembrano utilizzati non per quel che hanno di specifico, in quanto giovani e in quanto obiettori, ma per azioni di semplice tamponamento operativo in settori scoperti per la mancanza di educatori o in settori che momento per momento hanno bisogno di una mano. L'obiettore diventa così un «generico» dentro l'istituzione. Alcuni denunciano poi il rischio di essere strumentalizzati, non perché si chiede un lavoro generico, ma perché non si lasciano loro spazi in cui sviluppare, maturare, e far conoscere la loro scelta e le loro motivazioni.
    Quali spazi, per esempio, per affrontare con adolescenti e giovani il tema della non-violenza? Che fare per non rimanere sul semplice piano dell'informazione, ma dare luogo ad un itinerario educativo per tutti i giovani, in modo da maturare insieme scelte di non-violenza?
    Gli obiettori suggeriscono, anche con l'appoggio del centro salesiano di Verona a cui fanno riferimento, di proporre ai giovani degli ultimi anni delle scuole superiori un servizio sociale-educativo che li sensibilizzi ai temi della pace, del disarmo, della non-violenza, del servizio civile, del volontariato.
    Alcune difficoltà si sono avute nella comunità educativa all'arrivo degli obiettori. «La comunità in cui operavo era molto grossa e non tutti erano sufficientemente sensibilizzati... In quanto obiettore ero visto come uno che non aveva voglia di fare il militare. Questo disagio creava incomprensioni nell'azione educativa. Oggi va meglio, molte cose sono maturate» (Giordano).
    In altre comunità l'accoglienza è stata molto diversa e la collaborazione sempre cordiale. «Devo riconoscere che la familiarità dell'ambiente, ricorda Maurizio, ha permesso di sentirmi sempre appoggiato e considerato. Quando le cose stanno così, prendi coraggio e vai avanti con sicurezza. Naturalmente non mancano i momenti di tensione, come in ogni ambiente. In fondo anch'io ho dovuto vincere le perplessità di alcuni educatori nei confronti dell'obiezione di coscienza».

    La qualificazione dell'obiettore

    Il dialogo ritorna nuovamente, e con facilità, sul tema della qualificazione come animatori di gruppi giovanili.
    La scuola di formazione che gli obiettori di Verona hanno organizzato segue alcuni filoni. Il primo è il confronto tra le esperienze che gli obiettori stanno vivendo nei diversi ambienti. La verifica riguarda il tipo di animazione, la chiarificazione degli obiettivi e le strategie educative. Molto spazio, come è ovvio, viene dedicato al rapporto con l'ambiente. In questa direzione il gruppo ha compiuto uno studio attento del sistema preventivo di Don Bosco e del progetto educativo salesiano.
    Non si vuole tuttavia trasformare gli incontri mensili in classiche giornate di studio. Per qualcuno gli incontri devono avere il carattere di esperienza di solidarietà più che di studio. La qualificazione, a suo parere, nasce facendosi le ossa, direttamente sul campo. Per altri l'esigenza di un approfondimento teorico è più sentita. Tutti concordano su un altro punto: la riflessione sull'obiezione di coscienza e la individuazione di strategie per sensibilizzare altri giovani alla scelta della non violenza. Da questo punto di vista è sempre più forte il bisogno di confronto con obiettori di altre regioni d'Italia in servizio educativo presso centri giovanili di ispirazione cristiana. Servirebbe a consolidare le scelte e a delineare meglio l'immagine dell'obiettore come presenza specifica in un ambiente educativo.
    La scuola di animazione non è mai un momento riservato solo agli obiettori in servizio, ma è aperto ad altri giovani interessati alla stessa scelta. Per me è importante - osserva Palmarino - la possibilità di incontrarci con coloro che eventualmente potrebbero sostituirci nel nostro lavoro nel prossimo futuro. La continuità di mentalità e di stile favorisce infatti un rapporto più chiaro con l'istituzione in cui si presta servizio, il crearsi di una tradizione, il pensare la non-violenza come scelta di vita anche dopo il servizio civile.
    Io ritengo però - osserva Daniele - che l'incontro mensile sia insufficiente per una seria qualificazione. Un pomeriggio al mese serve solo per sentire qualche idea e scambiarci le impressioni. Nel futuro mi sembra utile arrivare ad una scuola di animazione vera e propria, con grossi spazi allo studio dell'obiezione di coscienza». Nella stessa direzione insiste qualche altro, osservando che per ora nella scuola non si sono toccati da vicino problemi di programmazione educativa, come invece sarebbe importante. Fra l'altro, aggiunge lo stesso obiettore, la scuola dovrebbe essere un'occasione per conoscersi meglio tra obiettori e salesiani, tra gruppo degli obiettori e comunità educative. Sarebbero facilitati l'inserimento nella vita delle scuole o dei centri giovanili, i quali con i loro ritmi faticosi, normalmente non riescono a trovare spazi e tempi per una verifica in comune di quello che si è fatto.

    Il futuro dell'obiezione

    Non poche difficoltà per il futuro sono dovute alla burocrazia militare, che spesso ritarda (e di molto) l'accettazione della domanda. In questo caso l'obiettore si trova in una situazione precaria, da cui nascono disagi, crisi delle motivazioni, difficoltà di inserimento nella struttura educativa, che non può permettersi di fare conto su obiettori che magari non ricevono il permesso che dopo mesi e mesi... L'impressione ultima è che la burocrazia militare non voglia favorire troppo l'inserimento degli obiettori in questo tipo di servizio.
    Ed il futuro, il dopo l'obiezione?
    Per la maggior parte non è un problema. Dalla obiezione molti ritorneranno al servizio volontario nei vari centri giovanili, e per di più con l'esperienza accumulata nel servizio civile e con il desiderio di sensibilizzare altri giovani all'obiezione e alla non-violenza.
    In questi mesi di grosso impegno in favore della pace la sensibilità dell'obiettore è un contributo originale al dibattito e alla mobilizzazione giovanile. Il pianeta volontariato è ancora molto vasto. C'è ancora molto da esplorare. Ho girato - conclude Maurizio - diverse e interessanti esperienze di volontariato che non finiscono con il periodo di leva... Conosco gente che, ormai sposata, perde ancora il suo tempo nell'animazione dei giovani».


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