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    Il volontario cristiano è un cittadino-credente



    Luciano Tavazza

    (NPG 1982-02-04)

    Sembrano utili alcuni orientamenti di base, nell'attuale confuso moltiplicarsi di definizioni, per inquadrare il volontario moderno, per giungere a definire con chiarezza la sua figura, quasi la sua carta di identità. Presentiamo perciò una serie di ipotesi da cui, dopo un decennio di studi, di ricerche, ma soprattutto di impegno operativo, è possibile muoversi.

    Prima ipotesi:
    IL VOLONTARIATO NON È UN MONOPOLIO DEL MONDO CATTOLICO, NÉ DEI CREDENTI

    Vi sono infatti motivazioni diverse e parimenti rispettabili che possono condurre ad una scelta di disponibilità per solidarizzare con tutti gli uomini che esprimano un bisogno di aiuto, sia esso materiale, spirituale, religioso. Abbiamo così storicamente - in Italia e nel mondo - manifestazioni di volontariato di natura filantropica, ideologica, di classe, di corporazione, ecclesiale, anarchica. L'attuale volontariato, nelle sue molteplici manifestazioni, ha così spesso alcuni ideali comuni (per es. il servizio dell'uomo, la lotta contro l'emarginazione, la difesa dei diritti civili, ecc.) e poi anche profonde diversificazioni, secondo la concezione dell'uomo che ogni volontario o movimento assume. Perciò è possibile fare molto lavoro in comune fra credenti e non credenti pur conservando ciascuno la propria identità. In Italia oggi è presente una realtà di volontariato ecclesiale nella misura del 60% (Caritas, Misericordie, CEIS, AVO, Equipaggi della Speranza, ecc.) e un volontariato laico (Soccorso Alpino, Donatori di Sangue, Movimento di Volontariato Italiano, Pubbliche Assistenze, ecc.) pari al 40%. Esistono inoltre migliaia di volontari non iscritti ad alcuna associazione. È questo «esercito di volontari», che secondo una definizione del quotidiano «La Repubblica» è intervenuto nel Friuli, nel Mezzogiorno durante le due ultime calamità nazionali.
    Quando affrontiamo all'interno della complessa realtà del volontariato quello di matrice ecclesiale, definiamo il volontario come un «cittadino-credente», volendo sottolineare - con questa espressione - la triplice radice della sua solidarietà con tutti gli uomini della comunità nazionale (fedeltà alla Costituzione), mondiale (fedeltà ai principi della convivenza internazionale) e con l'insegnamento del Magistero (fedeltà al messaggio evangelico). Non va d'altra parte dimenticato che oltre al volontariato che agisce sul territorio italiano ne esiste un altro di carattere internazionale, laico ed ecclesiale, che da anni testimonia una eccezionale presenza fra i popoli del terzo mondo, impegnandosi nel loro sviluppo (FOCSIV, COS, ICU, MLAL, LVIA, Mani Tese, ecc.).

    Seconda ipotesi:
    IL VOLONTARIATO AUTENTICO È COSTITUITO DA UNO «STILE GLOBALE DI VITA»

    Sono volontari, secondo questa ipotesi, coloro che agiscono disinteressatamente a servizio di tutti, privilegiando gli emarginati.
    Non è infatti autentico volontario chi dà qualche ora della sua vita per aiutare altri, agendo però con due divergenti costumi di vita: l'uno applicato nel professionale (massimo guadagno - logica del successo e della carriera senza riferimento a principi etici - oppressione - individualismo esasperato, ecc.), l'altro applicato in qualche attività marginale gratuita (assistenza, beneficenza, insegnamento, interventi eccezionali - magari per fini pubblicitari -, donazioni, ecc.) vivendo così una doppia morale, ipocrita. Tipo di ambiguità che, per un credente, assume la gravità di una controtestimonianza evangelica.
    È piuttosto volontario chi, assumendo uno stile unitario di disponibilità all'altro, adempie in tale chiave tutti i doveri di cittadino (civili, familiari, sindacali, politici, partitici, ecc.) e trova inoltre il modo di porre a disposizione disinteressata parte del suo tempo, della sua intelligenza, dei suoi mezzi (se ne ha) per il servizio della comunità territoriale in cui vive o di altre - nazionali od internazionali - che ne abbiano necessità.
    Il volontariato è dunque una ricchezza in più che la persona garantisce ai suoi simili, e non un rifugio per chi, sconfitto dalla durezza della vita e dalla sfida che essa pone ad ogni uomo, si ripara nel mondo delle opere buone, del «privato D. Egli abbandona così il suo impegno nel ((pubblico», laddove proprio la nostra eventuale assenza consente a strutture ingiuste di cancellare la libertà e la dignità dell'uomo, facendo sopra tutto violenza ai poveri ed agli umili. Il volontariato è opera disinteressata in quanto si rifiuta di farsi strumentalizzare, neppure ai fini di fede (pensiamo alla totale gratuità di Madre Teresa), per perseguire il suo obiettivo unico: testimonianza solidale a servizio della liberazione integrale dell'uomo.

    Terza ipotesi:
    IL VOLONTARIATO NON È AZIONE «PRIVATA»

    Infatti mentre il privato può lecitamente promuovere iniziative benefiche per la comunità (asili, cliniche, pensionati per anziani, consultori) anche a scopo di guadagno, il volontario invece agisce in spirito di gratuità personale. I suoi servizi sono aperti a tutti, quindi a vantaggio della comunità intera, senza discriminazione alcuna. Perciò egli dà vita ad una attività giuridica e sociale sostanzialmente diversa da quella meramente privata, operando piuttosto nel campo innovativo del privato- sociale.
    Inoltre con la sua azione egli non mira solo a fare un'opera filantropicamente giusta o un «atto di carità», azioni eticamente apprezzabili, ma non tali - se isolate - da mutare le strutture della società. Egli si prefigge di offrire un rapporto più radicale: contribuire cioè a rimuovere e superare i circuiti di povertà, di ingiustizia economica o morale, che generano l'emarginazione o rendono comunque disumana la qualità della vita. I suoi atti, il suo impegno intendono assumere una valenza politica (non partitica), che aiuti la trasformazione dell'attuale convivenza attraverso una dialettica democratica, usando quegli spazi di competizione non violenta, che sono garantiti dalla Costituzione. Per assumere questa efficacia innovativa l'azione del volontario non può essere spontaneistica, ma è normalmente organizzata attraverso la vita di movimenti o di associazioni; non è improvvisata ma programmata su progetti; non è discontinua né superficiale né epidermica, ma ha profonde motivazioni, continuità di intervento, perché i bisogni sono tali, le risorse limitate, le urgenze hanno il carattere della quotidianità.

    Quarta ipotesi:
    IL VOLONTARIATO È PRESENZA NORMALE E NON DI EMERGENZA NELLA SOCIETÀ

    Il volontario non è l'uomo che si prodiga solo nei terremoti, non nasce come un fungo in occasione delle inondazioni! Non è il benefattore o il superman dell'emergenza. Nessuno infatti può essere seriamente utile in un momento difficile e tragico se non si è preparato, addestrato, qualificato nei periodi di così detta «normalità». Periodi durante i quali basta però gettare uno sguardo, non superficiale, sulla realtà che ci circonda per scoprire subito che le necessità, i drammi nascosti, il bisogno di aiuto esistono sempre. Per accorgersi che i «diversi» da accogliere, quei «poveri che saranno sempre con noi» sono una verità evidente, che gli oppressi costituiscono ancor oggi un largo margine dell'umanità.
    Il volontario è colui che ha scoperto la necessità della sua presenza nella vita d'ogni giorno, quando è difficile che la sofferenza emerga, con tale vastità e imponenza, da richiamare l'attenzione e la commozione della grande opinione pubblica. La sua è una presenza normale; l'azione che svolge è un contributo alla umanizzazione dei rapporti fra gli uomini, uno spazio di libertà da difendere per tutti, specie per chi non ha né mezzi, né voce. Ed è questo allenamento a condividere situazioni difficili, problemi inaspettati, prove improvvise, l'incomprensione diffusa dei benpensanti, che lo prepara alle occasioni eccezionali, non solo tecnicamente, ma moralmente; lo matura cioè a saper sopportare le condizioni in cui versa larga parte della popolazione.
    Sono naturalmente le associazioni, i gruppi, i movimenti che nei periodi di relativa tranquillità devono collaborare permanentemente alla formazione dei propri membri, sia attraverso l'attività sul campo, sia attraverso corsi teorici, di aggiornamento, di preparazione. Ed i pubblici poteri devono aiutare, incentivare, promuovere, collaborare al migliore addestramento pratico e ad una adeguata cultura i cittadini che dichiarano la loro disponibilità per un servizio solidale.

    Quinta ipotesi:
    IL VOLONTARIATO NON FA CONCORRENZA ALL'AZIONE DEI PUBBLICI POTERI

    Il volontariato non fa concorrenza ai pubblici poteri; anzi desidera sperimentare una leale ed originale integrazione. Poiché il volontario, come abbiamo detto, si impegna nel campo del privato-sociale egli collabora con i rappresentanti politici legittimamente eletti dai cittadini, con i pubblici amministratori, con gli esponenti delle forze sociali. Egli sa che la sua funzione è quella di integrare, rendere capillare, efficiente, più umana, l'azione dei poteri locali, di stimolarli con una critica costruttiva ad adempiere i loro doveri istituzionali. Non basta; egli sa di dover spesso anticipare l'azione delle pubbliche autorità, sperimentando forme nuove di intervento, venendo incontro a bisogni emergenti con duttilità, tempestività, capacità inventiva.
    Solo quando i pubblici poteri, nonostante la sua dichiarata disponibilità al servizio, respingono il volontario, con l'errata pretesa di risolvere da soli le esigenze che i cittadini manifestano, in una visione egemonica del loro intervento nella società, il volontario riprende la sua libertà di azione. Azione non concorrenziale, non antagonista, il cui spazio è sancito e difeso dalla Costituzione Italiana in numerosi suoi articoli.
    Il credente che opera nel volontariato sa inoltre che esiste un diritto «originario» della Chiesa, proprio in ragione della sua natura, a promuovere opere di solidarietà fra gli umili, i diseredati, i sofferenti. Non ha quindi bisogno della concessione o del permesso di chicchessia per affermare il suo diritto e la sua libertà ad intervenire in difesa di ogni uomo, secondo quanto la coscienza gli detta dentro. Un diritto che ogni moderna democrazia rispetta e riconosce.
    Il volontario si augura che proprio in ragione dell'utilità pubblica della sua azione, del disinteresse che la contraddistingue, dell'apertura dimostrata a collaborare con l'opera dello Stato, delle Regioni, dei Comuni, delle circoscrizioni, si possa dar vita in un prossimo futuro a nuovi rapporti, a nuove intese. Ad un diverso modo di raccordarsi delle attività promosse dai volontari con quelle che sono diritto e dovere dei pubblici amministratori. Il volontariato desidera contribuire perché i servizi pubblici funzionino a pieno ritmo. Infatti proprio l'adempimento di tali doveri
    istituzionali chiarisce l'originalità e la diversità del suo ruolo.
    L'Italia si porrebbe così allo stesso livello culturale e giuridico degli altri paesi europei. La nascente legislazione nazionale (sui beni culturali, sulla protezione civile, sulla sanità, sull'assistenza, sui tossicodipendenti, ecc.) e quella regionale (che riguarda questi ed altri campi) lasciano sperare nuovi orizzonti.

    Sesta ipotesi:
    I CAMPI DEL VOLONTARIATO SONO FRA I PIÙ VASTI

    Le aree di presenza del volontariato non sono, secondo quanto ci conferma la tradizione europea e mondiale, facilmente definibili. Potrebbe cadere in grave errore chi, esaminando l'attuale situazione italiana, pensasse di restringere tali aree di intervento al solo settore socio-assistenziale o peggio, sanitario.
    L'odierna prevalenza, nel nostro Paese di attività di volontariato in questi ambiti ha radici storiche, sia nella tradizione caritativa della Chiesa, sia nel ritardo con il quale lo Stato ha assunto le sue responsabilità istituzionali di settore, sia infine nella fragilità economica di ampi strati popolari.
    Invece il volontariato presente negli altri paesi europei, che avvertono in modo assai meno drammatico del nostro i problemi della piena occupazione, è operante dovunque si manifesti la necessità di un generoso intervento sociale. Una scelta di dedizione che spesso implica il rischio della propria vita. Se si fruga del resto nelle pieghe della stessa nostra vita nazionale, ecco emergere il volontario del soccorso alpino, i gruppi di sommozzatori non professionisti, i vigili del fuoco volontari, gli archeologi marini, i volontari del soccorso a mare, gli operatori emergenza radio, i soccorritori delle Pubbliche Assistenze toscane, i fratelli delle Misericordie, i donatori di sangue e di organi, le cooperative per handicappati, le iniziative di comunità alloggio per dimessi dagli ospedali psichiatrici, per ragazze madri, per giovani disadattati, per drogati.
    Volontari sono presenti negli ospedali, nelle carceri, nei consultori familiari, nelle opere promosse a centinaia dalla Caritas Italiana, negli Oratori, nel campo educativo dove basterebbe citare ad esempio il lavoro degli Scout e dell'Azione Cattolica, infine nel recupero e difesa dei beni culturali, nella protezione civile, in quella ecologica.
    Siamo certi di aver trascurato altri molteplici e spesso affascinanti campi di presenza. Tuttavia il quadro di solidarietà concretamente emergente da questi dati pur sommari, denuncia la possibilità e l'opportunità che ciascuno di noi trovi un luogo, una occasione, uno spazio in cui spendere i suoi talenti per arricchire i rapporti di reciproca disponibilità all'interno sia della società civile che ecclesiale.
    Al credente il Vangelo ricorda: ((gratuitamente avete ricevuto, ora gratuitamente restituite» e San Paolo insiste: «siete stati comprati ad alto prezzo!». Se dunque tanto è stato pagato l'acquito di ciascuno di noi, la solidarietà che esprimiamo attraverso il volontariato, anche a servizio di coloro che si dichiarano non credenti o addirittura avversi alla dimensione religiosa dell'uomo, è la logica conseguenza del perseguire, oltre che un impegno civile di primaria importanza, anche il disegno salvifico di Cristo. Ed è questa visione specifica della vicenda dell'uomo, che appartiene secondo la nostra fede, a due destini: quello terreno e quello ultraterreno, a farci compagni di strada di chiunque esca dal suo egoismo, dai suoi interessi particolari, da ogni discriminazione, per farsi sostegno disinteressato all'altro.

    Settima ipotesi:
    IL VOLONTARIATO È UN FENOMENO DI SOLIDARIETÀ INTERGENERAZIONALE

    Non è vero che il volontariato è un fenomeno giovanile o peggio adolescenziale. Certo le nuove generazioni, nella ricerca di un autentico senso da dare alla loro vita, di una diversa qualità dei rapporti interpersonali, nel rifiuto di ogni strumentalizzazione, trovano nella gratuità e generosità del lavoro volontario spazi d'impegno concreto, immediato, disinteressato. Ma questo tipo di protagonismo si addice ad ogni età, per compiti diversi e reciprocamente integrantesi. Nessuno manderebbe un giovanissimo ad occuparsi di omosessuali, né un anziano a fare soccorso alpino, o recuperi subacquei, o a calarsi in un pozzo (si pensi a Vermicino). Tutti però secondo la diversa età, esperienza, condizione fisica, capacità professionale, sono nella possibilità di offrire un contributo specifico per la soluzione dei problemi che, al limite dell'umano, ripetutamente si presentano.
    Questo protagonismo richiede nel volontariato una chiara visione di ciò che si mette a disposizione dell'altro e di che cosa gli si chiede. Il volontario infatti non è qualcuno che dona qualcosa ad un altro, non è un benefattore nel senso tradizionale, né un assistente sociale. Non è il copione di un professionista. Se entra in un ospedale non farà il paramedico, o il portantino, o il dottore. Il suo è un compito diverso, di condivisione della condizione umana della persona che incontra perché essa esca dalla sua emarginazione, dalla solitudine, dalla povertà. Ciò è possibile solo se colui che si incontra è stimolato ad essere un comprotagonista, non un assistito, non un oggetto di iniziative passivizzanti, per preziose che siano! Il volontario ha il compito di volontarizzare chi è in stato di necessità e la comunità che con lui vive senza esser capace di accogliere le sue attese, o addirittura avendole cancellate, riducendo così una persona a soggetto incapace di autonomia e di dignità.
    Il protagonismo del volontario non è azione per altri ai quali è chiesto di lasciarsi assistere, indottrinare, colonizzare. È piuttosto una apertura di credito alle possibilità altrui, un accettare di vivere insieme, per quanto possibile, un momento difficile dell'esistenza, perché è proprio questa debolezza comune ad ogni esperienza di convivenza che ci fa «consorti della natura umana».
    In questo rapporto è respinto il dualismo fra donatore e assistito nello spirito di una messa in comune di energie umane e soprannaturali (per il credente), secondo un progetto di liberazione dagli ingiusti condizionamenti. Né il volontario si illude di risolvere tutti i casi o di spezzare tutti i circuiti che li generano. La sua aspirazione è un'altra: suddividere l'altrui peso e nel portarlo rendere giustizia puntando a trasformare le strutture. In questa a passione» l'impegno potrà andare dalla difesa di un orfano sfruttato al recupero di un reperto archeologico abbandonato dalla Sovraintendenza. Uomo e ambiente, persona e territorio, emarginato e strutture sono gli spazi della sua presenza umanizzante, creativa, progettuale.

    Ottava ipotesi:
    IL VOLONTARIATO È TENSIONE MORALE UNITARIA IN UNA DIVERSA GRADUALITA DI INTERVENTI

    Nella seconda ipotesi abbiamo voluto far la dovuta chiarezza sul senso autentico dell'espressione volontario che oggi rischia di essere inflazionato e talvolta distorto; si tratta ora di rispondere ad alcune domande che si sentono spesso ripetere da persone in dubbio sul loro ruolo. Sono io un volontario? Sono una persona veramente disinteressata? Quel poco che dò, perché non posso fare altrimenti, mi legittima a sentirmi volontario? È volontario a pieno titolo chi lavora nel civile o nell'ecclesiale? Oppure occorre essere presenti in tutti e due i campi?
    Non pensiamo certo di esaurire i casi, tutti i problemi, piuttosto di offrire orientamenti, lasciando poi a ciascuno una risposta di coscienza.

    Volontariato e retribuzione

    Nelle forme più totali di condivisione, come può essere, per esempio, in una comunità di vita fra sani ed handicappati, una cooperativa dello stesso tipo, una comunità alloggio, l'operatore volontario riceve un corrispettivo per la sua sussistenza.
    Ma è chiaro che è e rimane volontario a pieno titolo perché ciò che conta in questo impegno di condivisione non è la gratuità (che può eccezionalmente permettersi un ricco) ma il disinteresse.
    Il consumo emotivo, fisico, gli orari stressanti richiesti, la rinuncia ad un altro guadagno ben più facile e remunerativo, l'ambiente di vita particolarmente complesso, le limitazioni di libertà, ecco i veri prezzi e i valori autentici che definiscono un volontario. Altrimenti se questa attività dovesse essere gratuita, solo i ricchi potrebbero permettersela. L'azione volontaria diventerebbe inevitabilmente appannaggio della alta borghesia, quindi paternalistica e non quella mobilitazione comunitaria a cui aspiriamo!
    Così ad un operaio, o a un padre di famiglia numerosa, che ci offra ore della sua libertà per insegnare a giovani apprendisti, potremo chiedere la gratuità dell'insegnamento, ma non le spese vive della benzina se lo inviamo, per esempio, in un paese o in una cittadina vicina. A ciò dovrà provvedere l'associazione attraverso una convenzione con l'Ente Pubblico, o mediante entrate offerte da privati che non possono invece dare il loro tempo, per particolari situazioni di vita. Le legislazioni europee prevedono per i volontari la rifusione delle spese vive.

    Volontariato e tempo di collaborazione

    Le diverse nostre condizioni di vita consentono a qualcuno di offrire parecchie ore della sua giornata, ad altri forse qualche ora al mese.
    Sono volontari gli uni e gli altri? Certamente sì, ad un patto. Che le ore siano stabilite, programmate con anticipo, rispettate con assoluta serietà come se si trattasse di un lavoro professionale. Le opere di volontariato sono tali solo se esprimono una continuità, puntualità, e qualificazione di presenza. Ciò è possibile se molti collaborano anche poco (quantitativamente) ma in modo certo e competente (qualitativamente). Due ore di consulenza di una esperta madre di famiglia sono un bene prezioso. Non possiamo disperdere questo patrimonio civile.
    Il miglior volontario è colui che volontarizza il numero massimo di persone, non chi si assume la delega di incaricato della solidarietà. Tutta la comunità deve crescere a questa scuola. Lo stesso dicasi della parrocchia. Nessuno può essere esentato dall'impegno perché esiste un gruppo caritativo o di intervento sociale. Questo atteggiamento costituirebbe a livello laico una mancata educazione alla partecipazione, in chiave ecclesiale inoltre una non presenza alla «frazione del pane» intesa come simbolo di una conseguente «frazione dei beni».
    Non conta dunque per il volontariato quanto si dà, ma come si dà e con quali obiettivi. La singola «opera di carità» staccata da questo contesto comunitario, realizza un indubbio valore morale, ma ha un contenuto soltanto riparatorio non orientato alla trasformazione della società, alla riaffermazione delle esigenze di giustizia, intesa come primo gradino di un credibile amore.

    Volontariato nel civile e nell'ecclesiale

    Quando parliamo di presenza dell'azione volontaria nel civile intendiamo riferirci all'impegno del volontario nelle strutture anzitutto del territorio in cui abita, spazio non solo amministrativo ma antropologico della sua testimonianza di solidarietà. Ed è proprio questo sforzo di conoscere anzitutto i bisogni che vi si manifestano, le risorse di cui il pubblico e i privati dispongono, le risposte che vengono fornite, le esigenze che rimangono scoperte, le priorità da stabilire nell'intervento che danno piena cittadinanza al volontario. Gli conferiscono un crescente senso dello stato, una sorta di radar della società che lo circonda, del modo di vivere delle classi marginali. Se questo vale per qualsiasi laico che si ponga dinanzi alle urgenze del suo ambiente con motivazioni che traggono origine dal suo solidarismo, altre se ne aggiungono per il credente.
    Tutte le strutture civili, gli ambienti e i luoghi dove l'uomo lavora, vive, hanno bisogno di una profonda animazione cristiana, non intesa come «conquista del potere», ma piuttosto come costume di vita, presenza di valori, competenza professionale, servizio alla comunità, ascolto delle classi deboli e delle loro esigenze di partecipazione reale, bisogno di cultura, di crescita all'interno della comunità locale e nazionale. Questo è del resto secondo il Magistero conciliare (Gaudium et Spes) e post-conciliare (Octogesima adveniens, Evangelii Nuntiandi, Redemptor Hominis) lo specifico impegno del laicato, quello primario, così come è invece primaria preoccupazione per il religioso, per il sacerdote la crescita della comunità ecclesiale.
    La pastorale giovanile deve pertanto contribuire, per quanto le compete, alla formazione del cittadino-credente che si impegna nell'azione volontaria con dedizione e competenza. Non basta preparare dei «buoni ragazzi». Vi è piuttosto l'esigenza di attrezzarli per superare quella sfida di coerenza che è sempre la «questione morale» allorché ci si impegna nel pubblico servizio. Nasceranno così nuove indispensabili vocazioni, al politico, all'amministrativo, al sindacale che si affineranno attraverso il volontariato ed il suo radicarsi con la gente.
    Non è che con questo si sottovaluti il volontariato a servizio della comunità ecclesiale, cioè all'interno delle sue preoccupazioni di carattere formativo e più strettamente religioso. Occorre però avvertire che il processo di maturazione giovanile creerebbe una sorta di «Barone dimezzato» se puntassimo, per esempio, alla figura di un soggetto solo «catechista» o solo «animatore» delle attività parrocchiali sportive, o di «gruppi liturgici», senza stimolarlo a crescere contestualmente anche nella direzione della presenza sul territorio, realtà che va ben oltre quella ecclesiale dei credenti, degli amici, del gruppo. Essa è più «scomoda», meno gratificante, spesso deludente quanto a rapporti fra uomini, strutture, sindacati, partiti, forze sociali. Dice Mons. Agresti, Vescovo di Lucca, che spesso l'unico modo per mantenere la gente e i giovani in particolare sostanzialmente vicini alla comunità ecclesiale è quello di proiettarli lontani; sostenendoli naturalmente nel loro sforzo di acclimatamento e testimonianza, nell'impegno con le strutture civili.
    Una parrocchia che consumasse, solo al suo interno, il patrimonio dei laici migliori, dei giovani più vivi, sarebbe destinata ad essere presto cancellata nella storia degli uomini del territorio. Diventerebbe un rifugio e non un centro di animazione, una serra non un campo di messi e di frutti, la sede di una fede alienata ed alienante. Infatti le nuove generazioni spesso ci abbandonano non per opposizione alla dottrina, ma per un senso di perdita di tempo, di non impiego di forze vitali, di mentalità infantile, avulsa dei problemi della società, disagio che spesso avvertono nell'ambito parrocchiale. Avviare ad un equilibrato impegno nel civile e nell'ecclesiale, senza egemonia di nessuna delle due componenti, costituisce un contributo primario alla strutturazione della personalità, della moralità, del piano di vita delle forze giovanili.

    Nona ipotesi:
    IL VOLONTARIATO PREFERISCE L'INIZIATIVA DI GRUPPO

    I problemi che si presentano dinanzi ai volontari sono di una tale complessità che è facile, come singoli isolati, esser travolti dal loro spessore. Oppure essere strumentalizzati dalle altre componenti pubbliche o private che agiscono nei vari settori, data la scarsa capacità e forza di contrattazione del singolo. Non solo, ma la crescita della cultura del volontariato, le richieste di una attività che necessariamente coordina diverse persone, la utilità di un confronto su quanto si è operato, l'esigenza di garantire una continuità di intervento, tutto suggerisce di procedere ad una aggregazione, all'associazione del volontariato.
    Ogni gruppo dichiarerà così i suoi obiettivi, si raccoglierà attorno ad uno statuto sia pur minimo, eleggerà dei responsabili attraverso un metodo democratico, si collegherà con altri gruppi che abbiano finalità simili. Dinanzi a chiunque lo chieda presenterà una sua identità, il ruolo che gli compete perché il volontariato non vuole costituire un possibile alibi ad eventuali inadempienze della pubblica amministrazione, ai suoi compiti istituzionali. Al contrario ritiene essenziale al suo ruolo far applicare, trasferendoli continuamente nel politico, nel comunitario, i risultati della sua esperienza. Rifiuta quindi una missione consolatoria-riparatoria, e la sua marginalizzazione ai casi impossibili, impegnato come si sente alla ricerca e rimozione delle radici della emarginazione. Non accetta funzioni di «contenimento» delle contraddizioni sociali, logiche assistenziali obsolete, né di gestire per i pubblici poteri ciò che il dettato costituzionale attribuisce loro. Crede al pluralismo delle e nelle istituzioni, proprio delle esperienze europee.

    Decima ipotesi:
    CIÒ CHE CARATTERIZZA IL VOLONTARIATO CRISTIANO

    Come ha efficacemente scritto Don Pasini nel volume Volontariato, condivisione e liberazione, l'azione promossa dai credenti in questo campo assume oltre che una larga partecipazione agli ideali del mondo laico o talvolta laicista una sua precisa specificità. La sottolinea e illustra con chiarezza affermando: «La fede cristiana non garantisce per il volontariato né una migliore qualità, né una più sicura efficacia al servizio.
    Aggiunge però motivazioni specifiche, una visione originale della vita e della storia, il sostegno di sicure risorse spirituali. La fede offre anzitutto la risposta ad alcuni grandi «perché» che il volontariato prima o poi si deve porre: perché ogni uomo, anche l'ultimo emarginato ha eguale dignità? perché siamo responsabili gli uni degli altri? perché la storia è regolata dalla legge dell'amore?
    Di fronte a tanti interrogativi la fede ci ricorda la nostra origine: veniamo dalla Trinità, che è una comunità di persone, siamo tutti figli dello stesso Padre, membri della stessa famiglia, perciò chiamati a realizzarci insieme...
    Nella ricerca del come servire, la fede non propone regole minute né ricette a effetto sicuro.
    Presenta invece al volontario cristiano, come punto di riferimento e quadro di verifica la persona di Gesù. Egli ha espresso il suo amore come alleanza, come liberazione, come promozione umana integrale, come preferenza per gli ultimi.
    La fede ancora aiuta a valutare l'azione del volontariato con parametri che sfuggono alla mentalità corrente.
    Nella visione del Cristo centro della storia, che dà senso alle cose, acquista già un altro significato la questione dell'efficacia o meno dei gesti singolari di «carità», spesso derisi per la loro inconsistenza politica. Di fatto l'obolo della vedova nel tempio, evidenziato da Gesù, non serviva gran che alla riforma sociale e religiosa del suo tempo, ma era segno emblematico di una libertà del cuore e di una carica di umanizzazione, senza i quali risultano inefficaci i progetti di liberazione politica. E tuttavia resta intatta l'esigenza di superare il livello delle buone intenzioni, e di allargare l'impegno di liberazione alla dimensione sociale e strutturale, dove si annidano le conseguenze del male.
    Come pure è esigenza evangelica anche per il volontariato cristiano il muoversi insieme, in gruppo, per dare «densità» alla testimonianza e per indicare più visibilmente la comune vocazione comunitaria. Infine la prospettiva di camminare verso «cieli nuovi e terre nuove» suggerisce al volontariato cristiano l'esigenza della povertà, il distacco dai suoi progetti, la disponibilità a cambiare, il senso della provvisorietà; qualità tutte necessarie per tradurre nel concreto la convinzione che l'uomo è al centro e che le strutture tutte - istituzioni, leggi, iniziative, ecc., - sono solo in funzione della promozione delle persone.
    D'altronde la certezza di lavorare per un progetto che ci supera e che è garantito dalla presenza del Signore, offre al volontario cristiano il dono della speranza, della continua ripresa contro ogni scoraggiamento».


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