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    Coscienza, norme, cultura: per una rifondazione della morale in un tempo di desiderio



    Giannino Piana

    (NPG 1982-08-21)


    La costatazione della situazione di soggettivizzazione e di frammentazione del comportamento, oggi largamente diffusa specialmente nell'ambito del mondo giovanile, fa nascere l'interrogativo radicale circa la stessa possibilità di fondazione del discorso etico. Il riferimento a valori oggettivi, che interpretino la dimensione di socialità propria dell'esperienza umana e la capacità di investire l'esistenza in un progetto globale di ricerca di senso, sembrano, infatti, condizioni indispensabili per la costruzione dell'eticità.
    Ci si può, tuttavia, domandare, analizzando a fondo la situazione contemporanea, se tali istanze non siano presenti, in maniera sotterranea, anche al di dentro del vissuto attuale e se non sia, conseguentemente, possibile rifondare, in modo nuovo e creativo, a partire da tale vissuto la proposta morale, accordandola più autenticamente ai bisogni dell'uomo e della sua liberazione. La questione tocca - come è facile intuire - le radici ultime del fatto etico, la sua struttura profonda, ed esige di essere affrontata sul terreno squisitamente teoretico, chiamando in causa lo stesso impianto sul quale si regge la vita morale.
    E quanto si tenterà di fare in queste brevi note, nelle quali dopo un approccio descrittivo- fenomenologico all'attuale comportamento giovanile, inteso a far luce sulle cause che l'hanno provocato e sui nodi critici da esso derivati (prima parte), si affronta il problema di fondo che esso pone: quello cioè della fondazione e della elaborazione della norma etica (seconda parte).

    ETICA DELL'OBBLIGAZIONE E/O ETICA DELLA FELICITA?

    La rinascita della soggettività, nell'attuale contesto socio-culturale, deve essere collegata ad un insieme di fattori, che meritano di essere attentamente analizzati e valutati, al fine di ricavare da essi indicazioni e stimoli per la ridefinizione dello spazio etico come spazio dell'autentica crescita umana.
    Ci limiteremo a segnalare qui alcuni indici significativi della attuale situazione, che toccano più da vicino il versante della morale, senza la pretesa dell'esaustività.

    La rivolta del desiderio represso

    L'affermazione della centralità del soggetto, delle sue esigenze e dei suoi bisogni, va anzitutto interpretata come rifiuto di un modello etico rigidamente oggettivo e totalizzante, che finisce per alienare la persona, proiettandola al di fuori di sé e della storia concreta. Tale modello è di fatto soggiacente sia alle etiche naturalistiche, alle quali si è per lungo tempo ispirato il cristianesimo, sia a quelle ideologico- politiche, che hanno trovato nel marxismo la loro espressione più compiuta.

    Il rifiuto della mortificazione della soggettività

    Al di là delle profonde differenziazioni, sul terreno dei contenuti, ciò che unifica le due proposte, e ne costituisce il denominatore comune, è infatti la tendenza a mortificare la soggettività umana, riducendola ad una preesistente «natura» oppure sacrificandola totalmente ad un progetto di realizzazione futura.
    A ben guardare, in ambedue i casi, viene di fatto negato il carattere storico dell'esperienza umana, l'attenzione cioè al presente come ambito entro il quale l'uomo è chiamato ad esplicare le proprie potenzialità e a costruire la propria esistenza come esistenza liberata. Tanto l'assolutizzazione del passato, operata in nome di una sacralizzazione del dato naturale, quanto la mitizzazione del futuro, conseguenza di un'ipostatizzazione ideologica del destino umano, finiscono per eludere i bisogni reali del soggetto, quali emergono nel contesto della quotidianità. È facile pertanto comprendere come la rinascita della soggettività si coniughi con un'interpretazione frammentata del tempo, che riporta l'attenzione sui significati immediati della vita, con la naturale tendenza a negare qualsiasi forma di progettualità.

    La rivolta contro il potere autoritario

    Ma la ragione più profonda dell'attuale rivincita del soggetto va forse ricercata nella rivolta del desiderio represso nei confronti di un potere autoritario, che mira ad incanalare il comportamento umano entro schemi prefabbricati e normative imposte dall'esterno, le quali esigono obbedienza e sottomissione. La tendenza alla riappropriazione del corpo e del piacere, della felicità e della gioia di vivere coincide con la caduta delle etiche dell'obbligazione e del dovere, del sacrificio e dell'impegno, per tanto tempo dominanti, che estraniavano l'uomo da se stesso e dalla ricerca della propria autorealizzazione.
    La cultura occidentale è stata - sotto questo profilo - largamente segnata dall'influenza del pensiero kantiano. L'imperativo categorico come forma costitutiva del fatto morale è alla radice delle stesse proposte elaborate tanto dalla sinistra storica quanto dal mondo cattolico.
    La crisi che esse attraversano deve essere, in larga misura, addebitata all'incapacità di assumere il mondo dei sentimenti e dei desideri, della affettività e dell'eros, in una parola il mondo della soggettività, senza reprimerlo o sublimarlo, favorendone, invece, l'innesto creativo dentro l'orizzonte di una progettualità globale, nella quale «personale» e (apolitico» vengano dialetticamente e dinamicamente mediati.
    L'assenza di una nuova prospettiva culturale è il motivo principale del disagio in cui versano le forze politiche tradizionali di fronte all'emergere dei nuovi bisogni legati alla sfera della soggettività. L'arretratezza dell'ethos, soggiacente alle ipotesi di mutamento sociale da esse avanzate, è la ragione della progressiva disaffezione del mondo giovanile nei loro confronti. La rigida chiusura dentro gli schemi di un'etica tutta centrata sul dover-essere le ha rese totalmente estranee ed impermeabili alle nuove domande scaturenti dal vissuto.

    La reazione alla razionalità tecnologica

    Non si può, infine, dimenticare che la tendenza a ricuperare l'identità soggettiva è anche espressione di una diffusa ribellione, conscia o inconscia, verso il modello comportamentale pianificante e reazionario indotto dalla razionalità tecnologica. La destrutturazione del soggetto, messa in atto dai processi di massificazione sociale e di omologazione culturale, nonché da una lettura rigidamente positivistica dell'essere e dell'agire dell'uomo secondo lo schema interpretativo delle scienze umane, trova la sua definitiva codificazione e legittimazione nella riduzione della ragione a ragione strumentale. Il comportamento umano viene così radicalmente espropriato della sua originalità ed irrepetibilità, e ridotto alle dinamiche e ai meccanismi bio-psichici e socio-culturali; ma più ancora viene reso del tutto funzionale alle logiche del sistema dominante. La riemergenza dell'irrazionalità, e persino il ritorno del sacro, sono forme di naturale reazione nei confronti di tale oggettivazione; rappresentano, in altri termini, il tentativo di salvare l'uomo e la sua soggettività libera da una manipolazione totalitaria, che acquisisce ogni giorno nuove possibilità di attuazione.

    Le ambivalenze della situazione attuale

    La spinta al ricupero della soggettività, che abbiamo fin qui descritto nella sua genesi storico-culturale con particolare riferimento al terreno dell'etica, per quanto giustificata da motivi positivi, non cessa di essere tuttavia profondamente ambigua. Il contesto dentro il quale tale processo si opera è, infatti, caratterizzato dalla presenza della cultura radicale fino agli esiti estremi del nichilismo.

    Alcuni rischi

    Il rischio di fondo è allora quello di un'assolutizzazione del diritto soggettivo con l'alimentazione di tendenze sempre più marcate verso l'individualismo e la privatizzazione della vita e del comportamento umano.
    Tale rischio è accentuato dall'assunzione del criterio del piacere come criterio ultimo di discernimento del bene e del male. Il perseguimento del diritto individuale finisce così per diventare il presupposto unico per la fondazione e la valutazione dell'agire morale in una prospettiva di pura ricerca della soddisfazione dei bisogni. L'impossibilità di distinguere tra bisogni alienanti e bisogni liberanti, o meglio tra bisogni e valori, conduce inesorabilmente alla vanificazione del fatto etico. La morale è, infatti, ridotta a «scienza del costume», a descrizione fenomenologica del comportamento; o viene salvata nel suo carattere normativo, facendo esclusivamente appello a ragioni di convenienza sociale e di opportunità storica.
    La tendenza a negare qualsiasi forma di progettualità e a teorizzare la frammentarietà, come dato costitutivo dell'esperienza umana, è una ulteriore conferma del processo di dissolvimento dell'eticità, in quanto l'esistenza umana viene destituita di ogni possibilità di impegno e di ricerca di senso, di fedeltà e di stabilità. La crisi della dialettica, e perciò delle grandi ideologie che trovavano in essa la loro fondazione, determina una riduzione del tempo al presente con la conseguente negazione del divenire storico, perciò della possibilità di costruire responsabilmente il destino umano.

    La serietà della questione di fondo: felicità e dovere

    Ma, al di là di questi esiti negativi, che devono essere attentamente presi in esame, non si può negare che la questione di fondo sollevata dalle nuove tendenze in atto è una questione reale, e che, in un certo senso, essa colpisce uno dei nodi critici fondamentali della problematica morale. Dietro all'esplosione dei temi del desiderio e del bisogno, in una parola dell'auto- realizzazione soggettiva, è facile scorgere un problema-chiave dell'etica di sempre: quello cioè della felicità.
    Il pensiero occidentale è, infatti, permanentemente oscillato tra le opposte polarità del desiderio e dell'obbligazione, costruendo, di volta in volta, modelli etici segnati dall'una o dall'altra delle due tendenze. Si pensi, per rimanere nell'ambito della riflessione più recente, alla lettura demitizzante del vissuto operata dalle scienze umane (e in particolare dalla psicanalisi) in termini di desiderio o di piacere come reazione al modello kantiano per tanto tempo dominante.
    Ora proprio le più acute analisi fenomenologiche dell'esperienza morale hanno posto l'accento sul fatto che essa è radicalmente connotata dalla tensione tra piacere e dovere, tra ricerca della felicità e sentimento di obbligazione. Il valore morale emerge all'orizzonte della coscienza come realtà insieme immanente e trascendente; come risposta al bisogno umano di auto- realizzazione e, nello stesso tempo, come qualcosa che si impone al soggetto, costringendolo a fare discernimento tra i bisogni e a gerarchizzarli secondo i diversi livelli o le diverse sfere della realtà di cui è costituita la persona.
    La stessa esperienza della libertà porta inscritta questa tensione. La libertà umana è, infatti, libertà da, cioè autodeterminazione soggettiva, e libertà per, cioè progetto che il soggetto deve darsi se vuole costruire l'unità del proprio essere personale; essa è, in definitiva, liberazione, la quale si attua soltanto passando attraverso progressive rotture con le infinite possibilità di scelta, perciò scegliendo concretamente nella direzione della propria vocazione.
    Questo significa che la vita morale ha in sé la necessità della mediazione tra desiderio soggettivo ed obbligazione, che essa deve, in altre parole, coniugare correttamente tra loro tali istanze, in quanto poli irrinunciabili che la costituiscono.

    SOGGETTIVITÀ E OGGETTIVITÀ DEL FATTO ETICO

    Tradotto in termini più precisi, il problema è allora quello del rapporto fra aspetto soggettivo e aspetto oggettivo dell'eticità, tra coscienza e norma morale.
    Le domande che affiorano sono dunque le seguenti: è possibile partire dalla soggettività e dalla coscienza per fondare la necessità della norma? E, se è possibile, come la norma etica deve essere elaborata?

    Il primato della coscienza

    Il fatto etico è sempre stato concepito come luogo di incontro tra soggettività ed oggettività.
    Non si può tuttavia negare che la manualistica tradizionale abbia privilegiato l'elemento oggettivo: quello della norma. La valutazione - positiva o negativa - dell'atto umano veniva data sulla base della conformità o difformità dello stesso rispetto alla legge morale. Le condizioni soggettive, per quando astrattamente affermate, erano scarsamente considerate, anche per la mancanza di strumenti idonei a rilevare il peso dei condizionamenti biopsichici e socio-culturali della persona.

    Il limite dell'approccio oggettivo

    L'accento posto dalla cultura moderna sul primato del soggetto e lo sviluppo delle scienze umane hanno contribuito, in modo determinante, ad evidenziare il limite di tale approccio.
    L'atto umano appare sempre più come espressione del mistero della persona, e l'eticità come il prodotto dell'intenzionalità del soggetto: intenzionalità che viene soltanto parzialmente oggettivata nell'atto. La moralità è, in ultima analisi, la mia moralità, la quale è più o meno bene espressa negli atti da me realizzati. Non è possibile perciò stabilire una perfetta coincidenza tra il significato che l'agire ha per se stesso - confrontato con la norma morale oggettiva - e il significato che ha per me, in rapporto cioè alla mia decisione profonda.
    La riflessione morale contemporanea tende pertanto a far luce, in modo appropriato, sul senso ultimo dell'agire umano. Due sono, infatti, le possibili modalità di accostamento agli atti umani dal punto di vista etico.
    La prima è quella che considera l'atto in se stesso, prescindendo dal soggetto che lo ha emesso e rapportandolo alla norma morale; ne deriva una valutazione oggettivo-materiale. La seconda è, invece, quella che considera l'atto in stretto rapporto con il soggetto, cercando di coglierne l'atteggiamento sotteso, l'intenzionalità e la finalità profonda, ma soprattutto il suo inserimento dentro al progetto globale di autorealizzazione della persona: ciò determina una valutazione di tipo formale-personale.
    Mentre la teologia morale tradizionale era prevalentemente ancorata alla prima modalità, con la conseguenza di una «cosificazione» ed «atomizzazione» dell'agire umano; la morale contemporanea punta sempre più l'obiettivo sulla seconda, sviluppando l'attenzione sullo spessore ultimo dell'agire umano, cioè sul rapporto con le dimensioni profonde della soggettività. Si tratta di un ribaltamento di prospettiva, che non rinnega la dialettica soggettivo-oggettivo, ma restituisce alla soggettività il primato di valore, facendone il criterio decisivo (anche se non esclusivo) di valutazione del comportamento umano.

    La valorizzazione della coscienza

    In questo contesto la coscienza, come voce dell'io profondo, ricupera la sua centralità in quanto luogo determinante della decisione morale. Essa, nella sua complessità, è concretamente il centro unitario della vita e dell'attività personale: quel centro in cui il soggetto si autocomprende e decide di se stesso. In essa si incontrano e si incrociano le diverse componenti della struttura e della storia dell'uomo; essa è il modo proprio della persona di percepire se stessa nei suoi rapporti con gli altri e con il mondo.
    Ora la coscienza umana è coscienza incarnata, segnata dalla presenza determinante della corporeità. L'io profondo dell'uomo è sempre di fatto la risultante di un dato originario e di una serie di stratificazioni legate allo spazio e al tempo, e perciò ai condizionamenti da essi necessariamente indotti. L'agire dell'uomo, in quanto modalità concreta mediante la quale egli tende ad autoprogettarsi e ad autorealizzarsi, è, nello stesso tempo, espressione del centro della persona e dell'interferenza su di esso esercitata dalle stratificazioni periferiche, che finiscono per limitare la stessa autoprogettazione umana.
    E dunque possibile distinguere in esso un'attività centrale, originaria, da un'attività periferica, secondaria; una opzione fondamentale da una serie di scelte particolari e quotidiane.
    Distinguere non è ovviamente sinonimo di separare. La scelta fondamentale si attua sempre al di dentro delle opzioni particolari, pur non essendo del tutto riducibile ad esse. È questo un dato di esperienza comune. Ci sono momenti dell'esistenza in cui l'uomo è chiamato a decidere di tutto se stesso, ad assumersi responsabilità determinanti per il proprio futuro. Le grandi scelte vocazionali - matrimonio o verginità - hanno il carattere della decisione irrevocabile. Ciò non toglie che, in tempi successivi, e grazie all'intervento di fattori non previsti e persino imprevedibili, tali scelte possano essere revocate. La persona umana ha il potere di decidere di tutta se stessa, ma non in maniera totale ed esaustiva. È il limite della condizione umana ad impedirlo, le dimensioni cioè di spazio-temporalità, indotte dalla corporeità, la quale connota radicalmente l'esperienza dell'uomo.
    Tale discorso vale a fortiori per l'opzione tra il bene e il male, dietro la quale si cela, in definitiva, l'opzione per o contro l'Assoluto. La coscienza è il luogo della percezione di questo insanabile conflitto: spetta alla libertà dell'uomo risolverlo, orientandosi nell'una o nell'altra direzione. Da questa decisione dipende, in ultima analisi, la moralità dell'agire umano. La eticità degli atti umani è allora determinata dal rapporto che essi hanno con la scelta fondamentale della persona. In altre parole, è l'intenzionalità del soggetto - quella derivante dal profondo della coscienza - a decidere del significato - positivo o negativo - dei suoi comportamenti.

    La necessità della norma

    Ha ancora importanza, in questo contesto, il riferimento oggettivo alla norma morale?
    Il rischio di una morale che privilegia l'intenzione soggettiva e il progetto globale di vita della persona è quello di condurre ad una totale privatizzazione e spiritualizzazione del comportamento. È facile, infatti, in questa prospettiva, dimenticare lo spessore oggettivo-materiale e la valenza sociale dell'agire umano.

    Il soggetto come «rete di relazioni»

    La risposta deve essere allora ricercata in una corretta concezione del soggetto umano come persona, cioè come essere connotato di corporeità e di spirito e soprattutto come essere relazionale.
    Dietro le etiche della «pura intenzione» si nasconde di fatto un'antropologia spiritualista ed individualista, che non fa spazio ad una corretta concezione della persona umana. L'uomo in quanto persona è strutturalmente inserito, in virtù della corporeità, nel mondo e nella storia; è esserenel-mondo e nella-storia. E, nello stesso tempo, egli vive, non in maniera accidentale e accessoria, ma costitutivamente, il proprio rapporto con gli altri e con Dio, in quanto tale rapporto appartiene alla sua stessa definizione. La persona umana non si autocomprende e non si sviluppa se non all'interno di una complessa rete di relazioni che la costituiscono.
    L'esigenza della norma è la conseguenza di tale relazionalità. Il rapporto tra persone esige la definizione di un quadro di diritti fondamentali, che devono essere mutuamente rispettati e storicamente situati; la norma morale trova dunque il suo fondamento nella necessità di determinare in un contesto concreto il senso delle relazioni.
    L'intersoggettività può essere vissuta soltanto nel segno della giustizia come rispetto del diritto dell'altro (non fare all'altro ciò che non piace sia fatto a te), in quanto ciò coincide di fatto con il rispetto del proprio diritto. Se l'altro appartiene alla definizione stessa del soggetto, allora lo sviluppo del proprio sé è strettamente collegato allo sviluppo del sé dell'altro; la liberazione integrale dell'uomo passa attraverso la liberazione di tutti gli uomini. Nella prospettiva cristiana tutto questo viene espresso attraverso il valore della carità: valore che affonda le sue radici nella giustizia, ma, nello stesso tempo, la trascende, spingendo l'uomo oltre la composizione dei diritti e aprendolo all'orizzonte sconfinato del dono di sé: chi perde la propria vita la troverà. Solo donandosi l'uomo si realizza; solo facendo all'altro quello che desidera per sé il soggetto ricupera la propria identità.

    Coscienza e norma sono «dentro» la persona

    La norma è la traduzione storica in modelli culturali di comportamento di questa fondamentale esigenza. Il variare delle norme, da cultura a cultura e da situazione a situazione, è un dato di fatto inoppugnabile. Ma ad esso si oppone il permanere dell'istanza normativa come modalità essenziale dell'agire umano.
    La necessità della norma etica non nasce perciò a lato della persona, bensì al di dentro di essa. Coscienza e norma non sono due grandezze tra loro indipendenti ed estrinseche. Solo a partire dalla coscienza umana - in quanto realtà non solipsisticamente chiusa nell'orizzonte individuale - è possibile dare fondamento reale all'esigenza della norma come momento in cui si estrinseca e si obiettivizza, rendendolo operabile, il significato dell'intersoggettività umana.
    La moralità è perciò la risultante della mediazione che nell'agire umano si attua tra intenzionalità soggettiva ed efficacia storica della azione. Il mio agire è sempre, in primo luogo, il mio agire - quello che appartiene alla sfera profonda della mia vita interiore - ma esso, nello stesso tempo, ha sempre un riflesso sugli altri e sul mondo. Se è vero che non ne posso mai cogliere tutto lo spessore se non rifacendomi al centro profondo da cui trae origine, e dunque all'intenzionalità che lo connota, non è meno vero che tale intenzionalità è sempre, in qualche modo, carica di un significato interpersonale ineludibile.
    Soggettività ed oggettività, coscienza e norma sono pertanto due momenti irrinunciabili della struttura dell'agire umano e, di conseguenza, due parametri interdipendenti della sua valutazione.
    Il primato della soggettività e della coscienza, che deve essere chiaramente affermato, non esclude, anzi fonda la necessità del dato oggettivo, integrandolo dialetticamente in se stesso e consentendo il superamento di qualsiasi forma di dualismo, il quale conduce inesorabilmente all'individualismo e/o all'obiettivazione. Nella persona umana soggettività ed oggettività sono armonicamente fuse in un'unità dinamica, che va costantemente inverata nell'azione.

    La produzione delle norme

    L'elaborazione delle norme è il frutto di un processo complesso, in cui entrano in gioco molteplici fattori sociali e culturali. Si tratta, infatti, di rendere esistenzialmente vivibile, in un preciso contesto storico, l'intersoggettività, la quale non deve essere soltanto astrattamente proclamata, ma concretamente affermata in modelli di comportamento e stili di esistenza quotidiana.
    L'eticità è costituita da diversi livelli, che sono tra loro interdipendenti. La persona, che è al centro della vita morale, non può non confrontarsi con il mondo dei valori, che definiscono l'ambito concreto della realizzazione umana. Ma i valori devono, a loro volta, tradursi in norme particolari, cioè in comportamenti storicamente situati.
    La domanda etica è sempre domanda rapportata ad una situazione precisa. Essa può venire così formulata: che cosa io devo fare per vivere i valori, qui e ora? Soggetto, valori e situazione costituiscono, dunque, la piattaforma su cui si costruisce la moralità. Il che significa che solo facendo appello a modelli di comportamento chiaramente definiti è possibile dare spessore etico al proprio agire; significa, in altri termini, che il soggetto, il quale rimane ultimamente il punto di riferimento decisivo per la definizione della moralità, deve fare i conti con il mondo dei valori, sforzandosi di vederne la possibile incarnazione nelle situazioni di vita.
    La norma si configura così come il precipitato storico del valore, la sua traduzione operativa in un contesto particolare. Come tale, essa ha, di sua natura, i caratteri della parzialità e della provvisorietà: parzialità, in quanto non esaurisce in se stessa il valore, ma rimanda costantemente ad esso come criterio ultimo di giudizio; provvisorietà o contingenza, in quanto essa è sempre legata ad una precisa situazione storica e deve pertanto modificarsi con il mutare di tale situazione, se intende essere fedele al valore (o ai valori) di cui si fa portatrice.
    È come dire che l'elaborazione della norma comporta attenzione al mondo dei valori e insieme alla situazione storico- culturale da analizzare correttamente con il contributo delle scienze umane e delle stesse ideologie. L'impatto tra valori e situazione non può pertanto essere pensato in termini unidirezionali, ma secondo un modello circolare e creativo. La lettura del vissuto presuppone un approccio articolato e complesso alle dinamiche biopsichiche e socio-culturali che lo connotano, ma esige soprattutto la capacità di cogliere gli orizzonti di senso ad esso sottesi.

    Il livello ultimo della proposta etica: il modello di uomo

    Il confronto tra le diverse ideologie e le diverse culture determina la necessità di andare alla ricerca di istanze meta- ideologiche e transculturali. È questo il livello sul quale si deve collocare la proposta etica come risposta alla esigenza di uno spazio di verifica critica dei processi in atto e come quadro di riferimento ultimo per la costruzione di una convivenza umana armonica. La riflessione è, a questo punto, ricondotta al momento più radicale di fondazione: il ricupero cioè del modello di uomo e di convivenza umana dal quale partire per attivare un processo di sviluppo che faccia spazio alla crescita dell'interpersonalità, definendo, sul piano storico, i contenuti effettivi del comportamento.
    L'istanza normativa si traduce così nella produzione di norme, che forniscono orientamenti precisi all'agire umano. Non diverso è, d'altra parte, il procedimento che ha luogo nella comunità cristiana. Il confronto con la parola di Dio e con l'immagine di uomo ad essa soggiacente, perciò con il quadro di valori che da essa derivano, avviene a partire dai vissuti storici e dalle esperienze reali. La ricerca teologico-morale non prescinde (e non può prescindere) da un'accurata analisi scientifica dei meccanismi, che sono alla base del comportamento. Ma essa tende soprattutto a far luce sugli aspetti positivi e negativi dell'esperienza umana, assumendo come criterio di giudizio la parola di Dio, che esercita un compito permanente di contestazione e di liberazione. La produzione delle norme è, in definitiva, l'esito di una convergenza dialettica tra analisi della situazione e approccio ai valori, che trovano il loro riferimento ultimo in una visione complessiva dell'uomo e dei suoi bisogni o, se ci si muove in un orizzonte di fede, nel quadro della rivelazione e della tradizione ecclesiale.

    CONCLUSIONE

    La proposta, che siamo venuti delineando, consente - ci pare - il superamento del tradizionale dualismo tra soggettività ed oggettività, radicando la vita morale nella persona, che diviene il punto di partenza e di arrivo dell'agire umano, in quanto essa costituisce il substrato ontologico sul quale l'agire si fonda e la finalità ultima da esso perseguita. La soggettività come soggettività personale può in tal modo legittimamente porsi come criterio decisivo per la valutazione etica del comportamento.
    Si deve aggiungere che tale modello fon- dativo costituisce anche il presupposto al quale fare appello per un effettivo superamento della situazione di frammentazione in cui l'agire umano tende oggi a chiudersi. L'ancoramento ad una realtà ontologica, che ha tuttavia in sé potenzialità dinamiche e creative, quale è appunto la realtà della persona, consente alla soggettività di proiettarsi continuamente in avanti alla ricerca di un progetto, che non è mai totalmente dato, ma che va di continuo costruito, mediante la capacità di cogliere il tutto nel frammento, cioè di affermare il senso sotteso ai significati, la trama nascosta che unifica i diversi momenti apparentemente atomizzati in cui il comportamento umano si articola.
    Si fa dunque strada la possibilità di una nuova fondazione del fatto etico: fondazione in virtù della quale il desiderio, lungi dall'essere indebitamente tabuizzato o acriticamente assunto, è invece correttamente elaborato nell'orizzonte di una visione globale del soggetto e della sua piena realizzazione.


    T e r z a
    p a g i n A


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