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    L'educatore, animatore di una esperienza di gruppo-chiesa (1)


     

    PREADOLESCENTI

    Dalmazio Maggi

    (NPG 1981-09-66)

    Nel numero precedente della rivista Dalmazio Maggi aveva detto che fare gruppo e fare Chiesa sono due realtà interdipendenti e quindi nel gruppo-chiesa il ragazzo sviluppa i propri ruoli sia in rapporto agli altri, sia in rapporto alla propria crescita umana e cristiana. Nelle pagine che seguono viene precisato che in questo cammino l'educatore si pone a fianco del ragazzo come animatore e, come tale, deve possedere quei requisiti, deve assumere quegli atteggiamenti, che lo rendono guida e modello. Egli sarà allora l'adulto «simpatico» che ha chiara coscienza del progetto che intende realizzare e una precisa funzione nello sviluppo e nell'orientamento della esperienza di gruppo.
    Perché uno possa dirsi educatore deve possedere tutte queste qualità anche se non necessariamente nella stessa misura. Ciò non è difficile. Per il ragazzo è simpatico non tanto quell'animatore che compie
    grandi gesti e manifestazioni spettacolari, ma chi ha una autentica disponibilità verso tutti, che non fa preferenze né discriminazioni.
    Aver chiara coscienza del progetto educativo che si intende realizzare è cosa spontanea per chi nella vita e nel suo agire si prefigge normalmente dei precisi risultati. Ciò che conterà maggiormente sarà l'aver formulato più o meno esplicitamente una determinata idea di uomo e di cristiano. Lo scultore non realizza un capolavoro se non ha bene in mente la figura che vuole creare.
    Così l'educatore non dovrà farsi una sua idea astratta di uomo ma cercherà di identificarla nel ragazzo concreto e poi di renderla sempre più evidente. Dovrà inoltre avere una sua precisa funzione, poiché egli è portatore e rappresentante di un mondo e di valori in cui egli crede e per i quali egli vive. Dovrà quindi favorire l'assimilazione di questi valori portando il ragazzo alla capacità di libere scelte personali e situandosi di fronte a lui come esempio di vita e di comportamento, evitando nei suoi rapporti con lui sia ogni forma di imposizione autoritaria, paternalista, manipolatrice, sia l'atteggiamento altrettanto ineducativo di rifiuto di intervento nella ricerca demagogica di popolarità, ma educandolo ad una gestione responsabile e democratica della propria maturazione.


    IL PREADOLESCENTE E L'ADULTO «SIMPATICO»

    Nella ricerca sugli adolescenti d'Europa (1) e i modelli di comportamento balza evidente che nel periodo della pubertà - cioè dai 12 ai 15 anni - la percentuale delle scelte dei propri genitori come modelli è in fase discendente, poiché nel tentativo di emanciparsi, i ragazzi vanno cercando di stabilire con i genitori e gli insegnanti un nuovo tipo di rapporto.
    Durante questo periodo altri adulti, che non sono quelli dell'ambiente familiare o strettamente scolastico, assumono importanza per il ragazzo.
    Dagli 11 ai 14 anni si nota un progressivo accentuarsi delle scelte da parte dei ragazzi di un adulto simpatico» come ideale (2).
    E opportuno soffermarci su alcune indicazioni, che emergono oggettivamente dalle risposte degli stessi ragazzi e che saranno la base per un approfondimento in prospettiva educativa.
    Nella scelta dell'adulto come ideale l'aspetto esteriore: forza, statura, bellezza, ecc., soprattutto per i ragazzi, entra con scarso peso (3).
    E il ritratto morale, la personalità della persona prescelta che acquista sempre più rilevanza.
    I ragazzi danno la priorità al senso del dovere-coscienziosità, pur indicando con una percentuale non troppo distante l'aspetto della socievolezza. Seguono poi l'altruismo e la sensibilità.
    Occorre riflettere sulle motivazioni che accompagnano queste caratteristiche e ne sono la base.
    La scelta di un adulto viege caratterizzata da motivazioni che non riguardano tanto gli atteggiamenti che l'adulto assume verso il ragazzo (affetto, comprensione proprie dei familiari e degli insegnanti) quanto piuttosto gli atteggiamenti che l'adulto assume verso gli altri, nelle manifestazioni più semplici o nell'esercizio della propria professione e nel compimento dei propri doveri (4).
    Per individuare le persone «simpatiche» e per esserne attirati i ragazzi non hanno bisogno né di grandi gesti né di manifestazioni spettacolari.
    I ragazzi desiderano un'autentica disponibilità che si rivolga a tutti, che non faccia preferenze né discriminazioni.
    È da rilevare che ciò che colpisce maggiormente il ragazzo non è la professione o il prestigio nel campo professionale.
    «Il riferimento alla professione, nella descrizione dell'adulto " simpatico ", non è mai determinato da una considerazione qualitativa sul tipo di professione o dal successo che può conferire prestigio o vantaggi economici» (5).
    Ciò che si impone è l'insieme della personalità, anche nella sua semplicità.
    È il fascino di una personalità autentica e completa che più che modello di comportamento «ideale» diventa già «esempio di vita» (6).

    L'ANIMATORE E L'IDEA UNIFICANTE DEL SUO SERVIZIO

    In un'epoca in cui «forse ci sono troppo pochi progetti autentici a favore della gioventù, e ci sono troppi progetti velleitari, partigiani, strumentalizzanti, che pretendono servirsi dei giovani anziché servirli» (7) è urgente e indispensabile che ogni educatore, per essere veramente tale, abbia coscienza del progetto che intende realizzare.
    Ogni educatore, poiché vive e opera e nella sua vita vuole raggiungere certi risultati (culturali, sociali, formativi, religiosi...) ha un suo progetto, che determina il suo stile di vita e il metodo di lavoro.
    Alla base di ogni azione educativa c'è sempre una determinata idea di uomo e di cristiano, più o meno esplicitamente formulata.
    È necessario prendere coscienza di questo progetto, che si qualifica per l'idea unificatrice che lo anima e motiva tutte le sue parti.
    A proposito è bene ricordare una testimonianza di uno studioso laico nei riguardi di Don Bosco e della sua idea unificante.
    È la testimonianza di G. Lombardo Radice che il 16 febbraio 1920 scrisse: «Don Bosco. Era un grande... Don Bosco? Il segreto è lì: un'idea! La nostra scuola: molte idee. Molte idee può averle anche un imbecille, prete o non prete, maestro o non maestro.
    Una idea è difficile. Una idea vuol dire un'anima. Una vuola essere!» (8). Non resta che fare un esempio riferendoci a un Progetto Educativo e Pastorale «alla Don Bosco».
    Questo progetto può essere considerato un insieme di pedagogia, pastorale, spiritualità, che associa in un'unica esperienza dinamica l'educatore e i ragazzi, contenuti e metodi, con atteggiamenti e comportamenti nettamente caratterizzati.

    Progetto educativo pastorale salesiano

    Il progetto è l'insieme di alcuni valori
    - sottolineati, proposti e ricercati a preferenza di altri;
    - commisurati a situazioni personali e ambientali;
    - organizzati in modo coerente;
    - nell'adattamento flessibile e creativo che ogni arte presuppone e postula (9). Il progetto si qualifica come educativo perché sceglie l'area della educazione, intesa:
    - come fiducia, basata sulla certezza che in ogni ragazzo c'è «un punto accessibile al bene» (don Bosco) e che in ogni persona è presente e operante «una forza che ha una direzione fondamentale positiva» (Rogers);
    - come impegno che tende a far emergere e maturare tutte le qualità originali di ogni persona;
    - come processo di autorealizzazione della persona che deve rimanere sempre il protagonista della propria crescita;
    - come azione di liberazione da ogni condizionamento di tipo personale e ambientale, che dia fiducia in se stessi e negli altri, con un atteggiamento critico verso se stessi e verso gli altri.
    «L'educazione deve essere liberatrice non soltanto negli obiettivi, ma anche nei metodi, con l'appello continuo alla responsabilità e alla partecipazione personale dell'educando» (10).
    Il progetto si qualifica come pastorale perché:
    - la scelta di fondo dell'opera educativa è la visione cristiana della vita e della società e trova la sua ispirazione e le sue motivazioni nel Vangelo;
    - si esprime esplicitamente in un «positivo orientamento a Cristo»;
    - tende a «far maturare uomini con una personalità integrale, capaci di liberarsi ma anche di essere liberatori dei loro fratelli, uomini capaci di farsi portatori della speranza cristiana anche quando l'orizzonte umano offre pochi motivi di speranza» (11).

    Ragione, religione, amorevolezza

    Il progetto educativo e pastorale si qualifica come «salesiano»,«alla Don Bosco» per due motivi, tra loro complementari.
    Anzitutto perché i due qualificativi «educativo e pastorale» devono essere sempre presenti:
    - perché «in don Bosco e nel suo Sistema Preventivo la salvezza è salvezza di tutto il giovane. È liberazione dal peccato e crescita in Cristo fino alla santità, ma è anche liberazione dalle molteplici condizioni di povertà e di abbandono, dalle servitù sociali e culturali» (12);
    - perché è «un progetto che mira alla totale promozione dell'uomo, allo sviluppo integrale del singolo e dei gruppi» (13);
    - perché «è un servizio totale e creativo, che investe tutte le vere esigenze e reali bisogni del giovane nel suo corpo, nel suo spirito, nel suo cuore» (14). In secondo luogo il progetto si qualifica come salesiano, perché ha come stile quello di Don Bosco, cioè una bontà dialogante fatta di ragione, religione e amorevolezza.
    «Infatti di ragione, religione e amorevolezza vuole essere permeato tutto il ricco patrimonio di valori umani e religiosi che garantiscono il genuino sviluppo umano, religioso e cristiano dei singoli, secondo una vera teologia di incarnazione» (15).

    Ragione
    Il progetto educativo e pastorale salesiano sceglie come primo elemento di stile la «ragione»:
    - perché ha fiducia nelle capacità di ogni persona;
    - perché tende a formare un atteggiamento critico di fronte alle persone, alle situazioni e all'ambiente di vita;
    - perché tende al rinnovamento e alla trasformazione dei singoli, dei gruppi e dell'ambiente.
    È un progetto che vuole essere «fedele all'uomo» per essere «fedele a Dio». In un documento autorevole della Chiesa italiana si afferma che «chiunque voglia fare all'uomo d'oggi un discorso efficace su Dio, deve muovere dai problemi umani e tenerli sempre presenti nell'esporre il messaggio. È questa del resto esigenza intrinseca per ogni discorso cristiano su Dio» (16).

    Religione
    Il progetto si basa sull'altro elemento di stile: la religione:
    - perché crede a Cristo, l'uomo perfetto;
    - perché mira alla progressiva somiglianza con Cristo;
    - perché conduce alla persona di Gesù Cristo, il Signore risorto. È un progetto che vuole essere «fedele a Dio» per essere «fedele all'uomo». Infatti «la Parola di Dio deve apparire ad ognuno come un'apertura ai propri problemi, una risposta alle proprie domande, un allargamento ai propri valori ed insieme una soddisfazione alle proprie aspirazioni» (17).
    Anche Don Bosco-oggi, secondo una vera teologia dell'incarnazione, fa la scelta della continuità tra maturazione umana e maturazione cristiana.
    «In continuità con l'impegno di maturazione e di promozione dei valori specificamente umani si sviluppa nell'azione educativa e pastorale salesiana la direzione propriamente religiosa e cristiana» (18).
    Il binomio «ragione-religione», «fedeltà all'uomo e fedeltà a Dio», «promozione umana ed evangelizzazione» non indica due preoccupazioni diverse, ma è espressione di un unico atteggiamento spirituale di fronte all'uomo e alla storia, nella quale Dio già opera in modo salvifico.
    Questo binomio ha tutte le carte in regola per resistere come fattore di vera educazione perché possiede una sua adeguatezza nei confronti delle varie esperienze culturali, politiche, professionali, familiari, etiche, perché diventa elemento essenziale del processo di liberazione e di promozione della personalità integrale del giovane (19).

    Amorevolezza
    L'amorevolezza, che «rimane l'elemento più caratteristico del sistema educativo di Don Bosco sul piano metodologico» (20), investe gli altri due elementi, rendendoli ancor più «caratteristici» e «originali».
    L'amorevolezza diventa la «modalità donboschiana» di vivere il binomio «ragione-religione», è come il sorriso sul volto di Don Bosco educatore e sacerdote, è la «santità rivestita di simpatia» (don Viganò).
    Con l'amorevolezza anzitutto la ragione non si accontenta di studiare e capire «criticamente» il mondo dei giovani, ma diventa capacità di accoglienza, partecipazione alla loro vita, simpatia per il loro mondo; diventa fiducia nei singoli. E scegliere di saper cogliere ed apprezzare tutti i valori presenti nel mondo e nella storia; scegliere di rifiutarsi di gemere sul proprio tempo.
    scegliere di vivere il rapporto educativo «avvicinandoci noi ai ragazzi e ai giovani, cercando di adattarci noi ai loro gusti, facendoci noi simili a loro» (21). Con l'amorevolezza poi la religione diventa incontro gioioso con il Cristo, «che si fa piccolo con i piccoli e che non spezza la canna incrinata né spegne il lucignolo che fumiga» (22); il Cristo che, risorto, «rivela e promuove il senso nuovo della esistenza e la trasforma, abilitando l'uomo a vivere in maniera divina, cioè a pensare, a volere e ad agire secondo il Vangelo, facendo delle beatitudini la norma della vita» (23).
    L'incontro con Cristo nella celebrazione della Eucaristia e della Riconciliazione diventa risveglio della speranza e si esprime nella gioia e nell'ottimismo. Anche il confronto con la Vergine Maria e i Santi viene sostenuto da un clima di serenità e di fiducia.
    In sintesi questo progetto «si appoggia tutto sopra la ragione, la religione e sopra l'amorevolezza: fa appello cioè non alle costrizioni, ma alle sorgenti vive della ragione, dell'amore, del desiderio di Dio, che ogni uomo porta nel profondo di se stesso» (24).

    L'ANIMATORE E IL GRUPPO

    Il ragazzo ha bisogno di trovare accanto a sé l'adulto «simpatico», il modello che completi e integri la figura del genitore e dell'insegnante.
    Anche il gruppo dei ragazzi deve trovare un «adulto» come animatore, che stimoli le energie che affiorano spontaneamente all'interno del gruppo, che faccia emergere altre forze nascoste e più raramente utilizzate, che assecondi le attività proposte dai ragazzi, che prospetti altri interessi e attività che potenzino la creatività dei ragazzi.
    Si presenta ora il problema: qual è la funzione dell'animatore nella genesi, nello sviluppo e nell'orientamento della esperienza di gruppo? Può comparire qui una delle antinomie tra le più profonde del fenomeno educativo. L'educatore-animatore è portatore e rappresentante di un mondo di valori (socialità, amicizia, comunione, società, chiesa, ecc.) ai quali egli crede e per i quali vive, e perciò sente la responsabilità di guidare le esperienze dei ragazzi in modo che il ragazzo abbia la possibilità reale di assimilarli, vivendoli.
    D'altra parte, però, l'esperienza di gruppo è qualcosa di strettamente personale ed una autentica educazione deve essere educazione alla responsabilità ed alla libertà di scelta.
    È necessario quindi non solo rispettare ma favorire al massimo le scelte personali dei ragazzi e in nessun modo si può puntare sul condizionamento o sul ricatto di nessun genere.
    Nella nascita e nello sviluppo di un gruppo l'animatore può occupare posti differenti. E così egli si situerà eventualmente «al di sopra» del gruppo, «a fianco del gruppo», «nel gruppo» come qualunque altro membro, «nel gruppo», ma con una funzione speciale.
    Quest'ultima situazione si dovrebbe ritrovare nei gruppi di ragazzi, dove l'animatore adempie delle funzioni e ricopre dei ruoli in relazione con il suo «stato» particolare di «adulto» e di «animatore».
    Nell'animatore si ritrovano riunite la persona (carattere, personalità, doti, attitudini, valori, ecc.) e la funzione (animatore di settori particolari: es. sport, cultura, azione sociale; competente in catechesi, dinamica di gruppo, ecc.). Si possono presentare varie situazioni (25).
    - L'animatore è «simpatico» tanto come persona che come funzione: ha carattere accogliente e conosce bene il settore di cui si interessa.
    - L'animatore è «simpatico >> come persona ma non come funzione: si interessa di un settore non bene conosciuto.
    - L'animatore è preparato come funzione ma non è «simpatico» come persona: è un esperto nel settore che dirige ma ha un carattere «impossibile».
    - L'animatore è «antipatico» come persona e come funzione: oltre al carattere difficile non è preparato nel settore di cui si interessa.
    Certo la situazione più efficace è quella in cui alla «simpatia» come persona si aggiunge la preparazione specifica nel settore di cui ci si interessa.
    Ma dato che i ragazzi sono colpiti e attirati dalle qualità della personalità, bisogna domandarsi quando una persona è giudicata «simpatica».
    In genere quando risponde in modo soddisfacente ai bisogni fondamentali: realizzarsi e aprirsi al contatto con gli altri e alle esperienze connesse con tali bisogni. L'animatore di un gruppo di ragazzi sarà «simpatico» se riuscirà a soddisfare i bisogni dei singoli e del gruppo.
    Egli dovrà essere attento ai bisogni individuali come ai bisogni di gruppo. Occorre ricordare qui i vantaggi delle attività individuali e di gruppo, che possono essere visti come esigenze di ciascuno e porsi come mete da raggiungere (cf schema sulle attività di gruppo e individuali).
    Allora è accettato, è «simpatico» e ha una certa influenza.

    TRE TIPI DI RELAZIONE ANIMATORE-RAGAZZO (26)

    I momenti di incontro animatore-ragazzo possono essere innumerevoli e in situazioni varie.
    Le situazioni possono essere condensate in tre tipi:
    - le relazioni «correnti»
    - le relazioni «a livello profondo»
    - le relazioni «nel caso di attività».

    Le relazioni «correnti»

    Sono quelle che avvengono nella vita di tutti i giorni: tempi liberi, ascolto di un disco, ai bordi di un campo sportivo, in una piccola festa.
    In questi momenti l'animatore è un membro del gruppo come gli altri. Ogni animatore deve cercare di essere ammesso nel gruppo anche in questa maniera «usuale», in cui possa essere messo a parte delle mille piccole cose che interessano i ragazzi.
    Altrimenti si può assistere alla reazione molto comune in tanti ambienti educativi: «Attenzione, arriva...» e si cambia argomento.
    In questo tipo di relazione si può essere veramente come i ragazzi?
    È un'illusione pensare di mimetizzarsi e far scomparire «completamente» le differenze di età, cultura, posizione. Quando un animatore è tentato di assumere uno stile democratico «qualunquistico», che potrebbe risultare strumentalizzante più degli altri perché condotto subdolamente, occorre riflettere che sono gli stessi ragazzi che desiderano che l'animatore resti sempre e autenticamente se stesso. In questi momenti occasionali l'animatore continua la sua azione di contatto che richiede:
    - mettersi al livello del ragazzo e comprendere il suo quadro di riferimento;
    - mostrare esplicitamente o implicitamente che comprende o che afferra il mondo che il ragazzo vuole esprimere;
    - impegnarsi nella conversazione per quello che interessa «in quel momento» il ragazzo;
    - tentare di coprire nella conversazione il ruolo che gli domanda implicitamente il ragazzo (compagno di interessi, ascoltatore dei suoi pensieri...);
    - tentare di divenire disponibile e aperto a tutti gli interessi di tutti i ragazzi senza discriminazioni.
    Nel corso di tale relazione occasionale occorre evitare gli atteggiamenti seguenti:
    - orientare la conversazione verso soggetti che servono ai propri interessi;
    - prendere un ruolo troppo attivo nella conversazione o nella situazione (per es. diventare «tifoso più accanito» del ragazzo);
    - valutare e giudicare ciò che dice il ragazzo, salvo che questi lo domandi espressamente;
    - essere coinvolto nel giudizio positivo o negativo nei riguardi di terzi;
    - attirare i ragazzi più simpatici e non curarsi di quelli che lo sono meno.

    Le relazioni «a livello profondo»

    Capita frequentemente che l'animatore sia condotto ad allacciare un contatto più profondo con un ragazzo.
    In questo caso la conversazione si situa a un livello molto importante per il ragazzo.
    Nel corso di tali incontri il ragazzo tratta soggetti intimi, che egli non osa rivelare a nessuno, per timore di constatare che il suo problema è preso alla leggera. Oppure si tratta di una rivelazione in rapporto a un aspetto della sua personalità, che egli rifiuta di ammettere o davanti al quale è stato posto in maniera «brutale».
    Quando un animatore è messo in relazione a un livello profondo da un ragazzo, adotterà un atteggiamento che si può considerare «facilitante» nei riguardi del ragazzo:
    - aiutare il ragazzo a trovare lui stesso una soluzione al problema che esprime e che lo preoccupa. L'animatore potrà eventualmente chiarire, aiutare a scoprire certi aspetti oscuri, mostrare certi limiti o contrasti;
    - raccogliere le confidenze del ragazzo con rispetto, qualunque sia la natura di queste confidenza;
    - approfondire certi elementi del problema in una maniera serena, senza colorazioni negative. Ogni reazione, che avesse per risultato di diminuire il ragazzo davanti ai propri occhi, sembra controindicata e genera una perdita di confidenza;
    - risolvere i problemi, che hanno ripercussione sul gruppo, in collaborazione con il ragazzo.
    Talvolta si trovano delle difficoltà nel corso di questo tipo di relazione profonda:
    - l'animatore sviluppa il suo punto di vista senza entrare per nulla nel punto di vista del ragazzo;
    - l'animatore decide, lui solo, che conviene fare in risposta al problema e detta la soluzione prefabbricata;
    - l'animatore critica il punto di vista del ragazzo, ironizza la sua posizione;
    - l'animatore risponde in maniera traumatizzante, rinfacciando al ragazzo determinati suoi atteggiamenti, umiliandolo per qualche suo comportamento. Occorre riflettere su una situazione che si può verificare nei rapporti a livello profondo.
    L'animatore tratta con il ragazzo di problemi personali che questi non desidera affatto confidare e con domande, più o meno imbarazzanti, tenta di entrare nell'intimo della vita del ragazzo.
    Nessuno si deve credere investito del dovere di snodare e di risolvere tutti i problemi, di forzare e invadere la coscienza degli altri, anche sotto i pretesti in apparenza più giustificati.
    Non si può esigere confidenza né entrare per forza nell'intimità di un altro. Quando si avverte che c'è qualche problema o qualche situazione «difficile», che angustia il ragazzo, conviene raddoppiare l'atteggiamento di ascolto e di disponibilità.

    Le relazioni «nel corso delle attività»

    In questo tipo di relazione l'animatore entra in funzione per il suo ruolo tecnico, portando al gruppo un aiuto «specializzato» in ciò che concerne la realizzazione di determinate attività.
    Occorre tener sempre presente, in ogni attività, che l'interesse primo e fondamentale resta il ragazzo, non la riuscita dell'iniziativa. L'animatore mostra interesse al ragazzo, perché persona degna di considerazione, e non in ragione della sua riuscita nelle attività proposte.
    Ma bisogna essere preoccupati anche dei risultati «tecnici»?
    una scelta da fare continuamente e la relazione tra questi due interessi: il ragazzo e il risultato, che talvolta si presentano antitetici, dovrà essere oggetto di un adattamento continuo, mai di un compromesso.

    TRE STILI DI ANIMAZIONE (27)

    Di fronte al gruppo impegnato in qualche iniziativa, l'animatore adotta uno stile di animazione, che è determinato da molteplici fattori: dalla sua personalità profonda, dalla sua formazione e da certe circostanze, come il tipo di attività, l'età dei ragazzi, il tempo disponibile, il numero dei ragazzi, gli obiettivi da raggiungere, i mezzi a disposizione, lo stato d'animo suo e dei ragazzi...
    È perfettamente comprensibile che la stessa persona prenda stili diversi di animazione in diversi momenti, adattandosi alle circostanze e tenendo presente sempre che si tratta di ragazzi.
    Osservando gli animatori «al lavoro» possiamo trovare più accentuato o meno uno di questi stili, anche se più spesso si alternano l'uno all'altro:
    - stile «autoritario»
    - stile «lasciar-fare»
    - stile «democratico».

    Stile «autoritario»

    Questo stile deriva da un atteggiamento di fondo che consiste nel «voler-portare» il gruppo o l'individuo al proprio punto di vista. L'animatore di questo stile è persuaso di possedere l'unica soluzione buona e crede sinceramente che è bene che i ragazzi si pieghino alle sue decisioni, perché queste costituiscono «sempre» la migliore soluzione. Generalmente è uno stile che si basa sull'esigenza di rendimento, di efficienza.
    Si può presentare in forme diverse.

    1. Forma «autocratica»
    È la forma più accentuata e più marcata di autoritarismo.
    E il gruppo deve assolutamente fare ciò che l'animatore desidera, senza che si presentino alternative possibili, che non siano o la sottomissione o l'esclusione del gruppo.
    La meta è il risultato e soltanto il risultato.
    L'animatore è isolato dai suoi ragazzi, che lo accettano «solamente» per situazioni contingenti, ma non appena è possibile si staccano da lui senza rimpianti.

    2. Forma «paternalista»
    È una forma molto diffusa nei gruppi animati da persone più anziane dei membri. L'animatore «paternalista» riesce a far passare il suo punto di vista facendo in maniera che sia visto come il più logico e il più utile.
    Generalmente si appella alla sua «esperienza» per spiegare e giustificare le proprie indicazioni.
    È l'animatore alla ricerca di gratitudine e riconoscenza per la sua attività «paternamente» messa a servizio dei ragazzi.

    3. Forma «manipolatrice»
    L'animatore pensa che il gruppo o l'individuo non debba essere affrontato direttamente «faccia-a-faccia».
    Preferisce raggiungere lo scopo non direttamente, ma manovrando i singoli il più delle volte, con ricatti di tipo affettivo.

    4. Forma «dispotica»
    appannaggio dell'animatore che concentra tutti i poteri nella sua persona. È l'individuo che tenta di imporre a tutti il suo sistema di valori, la sua maniera di concepire le cose e le persone.
    Egli regna non solamente sui ragazzi per un determinato risultato (stile autocratico), ma anche sulle persone, sui modi di pensare.
    Desidera occuparsi di tutto e si perde nei dettagli a detrimento di quello che costituisce l'essenziale.

    5. Forma da «caporale»
    Si trova nelle istituzioni dal carattere molto disciplinato e che hanno quasi esclusivamente un risultato da raggiungere.
    L'animatore di tale stile giustifica il suo atteggiamento appellandosi ad ordini che vengono dall'alto, nascondendosi frequentemente dietro un regolamento. Egli esige un'obbedienza incondizionata e non permette mai un dialogo chiarificatore, perché non saprebbe in realtà come chiarire ciò che fa o fa fare. Si eseguono gli ordini senza sapere il perché.
    Qualunque forma prende lo stile autoritario il risultato è che l'animatore si sostituisce alla personalità del ragazzo, non lo educa minimamente a una visione chiara e critica di sé, delle proprie capacità e delle proprie responsabilità nei confronti degli altri.

    Stile «lasciar-fare»

    L'atteggiamento fondamentale dell'animatore di tale stile si riduce a lasciare agire il gruppo secondo la fantasia e il capriccio dei ragazzi.
    E uno pseudo-animatore.
    Si trovano tre varianti di questo stile.

    1. Forma «demagogica»
    E caratterizzata da un abbandono dell'autorità ai ragazzi, al gruppo nel tentativo di farsi benvolere.
    E il capo che cerca la popolarità e che è disposto a fare tutte le concessioni per arrivarci.
    L'animatore «demagogico» promette molto, lusinga il gruppo, tenta di ottenere i suoi favori.

    2. Forma «da bonaccione»
    E una forma che si manifesta negli animatori che non hanno personalità né autorità.
    I ragazzi sono in genere molto critici nei confronti dei loro animatori e non tollerano debolezze da parte loro. Poi sono spesso alla ricerca delle «fessure» della personalità dell'animatore allo scopo di fare la prova della propria forza e- indipendenza di fronte all'autorità.
    In questa situazione l'animatore è squalificato, non può dirigere il gruppo, perde il controllo degli avvenimenti ed è l'anarchia completa.

    3. Forma «disarmata»
    Riguarda specialmente quegli educatori che sono stati posti di fronte a situazioni che li superano, sia perché incompetenti dell'attività del gruppo da animare, sia perché il compito è al di sopra delle loro possibilità.
    Si scoraggiano rapidamente perché sentono che non arriveranno mai a raggiungere gli obiettivi che sono stati imposti loro.
    Lo stile «lasciar -fare» lascia il ragazzo al suo capriccio, all'impulso del momento e non lo pone mai di fronte all'esito del proprio modo di comportarsi, di fronte alle proprie responsabilità.
    Il ragazzo non fa l'esperienza dell'incontro con l'altro, che ha le sue esigenze, da tener presenti e rispettare.

    Stile «democratico»

    È lo stile che si basa sull'atteggiamento fondamentale dell'animatore «centrato» sul gruppo e su ciascuno dei membri che lo compongono.
    Anche questo stile, si può vivere con alcune sfumature, che occorre tenere presenI ti, per accentuarle a seconda della situazione in cui si trova.

    1. Forma di «cooperazione»
    È la forma che collega la soluzione del problema o la scelta dei mezzi per raggiungere gli obiettivi a ciò che i membri del gruppo trovano «insieme». Esige un vicendevole e continuo aiuto.
    L'animatore che opera in tale modo «cooperativo» si sente realmente a servizio delle persone dei ragazzi e del gruppo.
    Cerca di scoprire insieme ai ragazzi, i bisogni e le attese del gruppo e dei membri per soddisfarle.
    Questo animatore è convinto che ci sono più idee e «originalità» in più cervelli che in uno solo, e che le decisioni che sono prese dal gruppo sono quelle che probabilmente sono le più convenienti.
    Questo stile sembra convenire particolarmente nei momenti di tipo organizzativo e operativo; affinché ogni ragazzo trovi una sua funzione «personale» nel lavoro di gruppo.

    2. Forma «facilitante» (28)
    Tenendo presente che l'esperienza di gruppo implica cambiamenti continui nel concetto di sé (relatività agli altri, nuovi valori...) e può essere percepita come una minaccia alla propria individualità e personalità (a favore di un certo anonimato e conformismo di gruppo), può provocare delle resistenze.
    La «facilitazione» consisterà nel:
    - creare un clima di accoglienza per ciascun ragazzo indistintamente;
    - ridurre al minimo la minaccia esterna (critica degli altri, valutazione nel contesto del gruppo, ecc.) all'io;
    - aumentare nei ragazzi l'accettazione di se stessi e la fiducia nelle proprie capacità (ogni ragazzo è qualcuno, ha un ruolo da coprire, i suoi interventi apportano un contributo...).
    Ciò avverrà, per i ragazzi soprattutto, attraverso l'esperienza della fiducia da parte dell'animatore, che si manifesterà nello stimolare la ricerca attiva, la spontaneità, la creatività, la responsabilità di ciascun ragazzo.
    Si può riassumere così l'effetto di questa situazione di «facilitazione».
    «Quanto maggiore è il sentimento di accettazione di sé, tanto maggiore è la probabilità che il ragazzo si senta e voglia essere se stesso ed accetti tutta la propria realtà (compresi sentimenti, valori, ecc.) e nello stesso tempo permetta agli altri di agire nello stesso modo.
    Se questo si verifica, aumenta la probabilità che egli sia aperto a prendere in considerazione nuovi valori, nuove idee, nuovi sentimenti, che saranno anche quelli che l'educatore gli propone.
    Ciò lo porterà ad essere capace di prendere iniziative, di accettare il rischio di nuove idee, valori ed esperienze e di ammettere che gli altri agiscano nello stesso modo» (29).
    Questo stile sviluppa in una maniera molto profonda e molto efficace l'attitudine di comprensione da parte dei membri del gruppo, che tentano di mettersi al posto l'uno dell'altro e si abituano a tener conto del punto di vista dei propri compagni.

    GLI ATTEGGIAMENTI PER UN'AZIONE «FACILITANTE»

    In ogni rapporto interpersonale è determinante sempre la personalità dei due soggetti dell'incontro.
    Nel rapporto educativo il ragazzo, il più giovane, è in una situazione di vulnerabilità e di incertezza ed è alla ricerca di elementi per maturare e diventare sicuro e fiducioso in sé e negli altri.
    In questo rapporto quindi è importantissima la personalità dell'educatore-animatore, della quale vogliamo approfondire alcuni elementi fondamentali.

    Autenticità

    É la condizione di fondo per qualsiasi rapporto umano veramente profondo e facilitante.
    L'essere autentico comporta il difficile compito di essere in contatto con l'esperienza che fluisce momento per momento dentro di noi, modificandosi continuamente e in modo assai complesso.
    Si tratta di essere ciò che si è realmente, senza maschere o «facciate».
    Per raggiungere questa autenticità occorre che ci sia concordanza tra i vari livelli in cui si può vivere l'esperienza personale. «É l'armonia e la integrazione tra l'esperienza profonda, la rappresentazione cosciente e l'espressione esterna» (30):
    - l'esperienza profonda: ciò che si sperimenta nella propria intimità: i propri sentimenti profondi, le reazioni che si hanno, i disagi che si provano;
    - la rappresentazione cosciente: ciò che si rende presente alla propria coscienza ed è valutato secondo quadri di riferimento personali e sociali;
    - l'espressione esterna: ciò che si verbalizza o si esprime con gesti e atteggiamenti.
    Quanto più c'è accordo tra i vari livelli tanto più c'è influsso educativo. Occorre tenere presente che la esistenza di questa armonia è intuita dal ragazzo in maniera talvolta sconcertante (31).

    Amore personale

    Parlando di amore personale (32) possiamo rifarci allo schema presentato da Ph. Lersch. L'amore per essere personale, deve raggiungere un pieno e autentico «essere-per-l' altro».
    L'amore personale, visto come un pieno e autentico «essere-per-l'altro» porta a servire nel ragazzo tutte le possibilità di valore, affinché possano realizzarsi. Ricordiamo sempre che il ragazzo è il soggetto dello sviluppo, in quanto persona con un valore assoluto (33).
    Dal punto di vista educativo è indispensabile che questo amore-carità personale sia in qualche modo espresso, non solo a parole; sia manifestato in modo che il ragazzo avverta di essere amato.
    L'insieme delle manifestazioni può essere descritto come «amorevolezza», che si può tradurre in «manifestazione-equilibrata-dell'amore». Amorevolezza vuol dire innanzitutto affetto, cuore, palpito umano, che si esterna in modo percepibile in parole, in atti e nell'espressione degli occhi e del volto.
    «Certamente una delle qualità che rivelano la vera vocazione di educatore è quella prudenza ed equilibrio nell'intuire il «giusto mezzo» e cioè il tipo e il grado di affettuosità che egli deve manifestare all'educando» (34).

    Comprensione empatica

    Il tipo di comprensione che in genere offriamo o riceviamo è una comprensione che valuta dall'esterno. Tendiamo a vedere il mondo del ragazzo soltanto dal nostro punto di vista, non dal suo. Lo analizziamo e lo valutiamo, non lo capiamo. Occorre esprimere una comprensione interiore, «empatica» (35).
    L'elemento caratteristico dell'«empatia» consiste nel «sentire il mondo più intimo dei valori personali del ragazzo come se fosse il proprio, senza mai perdere la qualità del «come se».
    Si cerca di raggiungere il quadro di riferimento interno del ragazzo, contemplando poi i fatti dal suo punto di vista.
    Questa forma di comprensione mette l'animatore in grado di aiutare il ragazzo mediante il contatto affinché nella sua vita ci sia un progressivo chiarimento e una normalizzazione della situazione.
    «È chiaro che la comprensione empatica è quella che è in se stessa educativa in quanto apre al ragazzo la strada verso la fiducia e la libertà esperienziale» (36).

    Accettazione incondizionata

    L'amore personale che si manifesta nella cordialità affettuosa, unita alla comprensione empatica, danno normalmente origine ad un atteggiamento di accettazione.
    In tale atteggiamento l'animatore prende il ragazzo così come è, in tutta la sua realtà «attuale» e «potenziale», e si mette al servizio di tale realtà affinché si sviluppi e si realizzi.
    Il ragazzo ha bisogno di essere accettato in pieno; deve sentire che lo si ama così come è, con i suoi pregi e i suoi limiti, e che l'affetto che gli si porta non è condizionato dal suo comportamento.
    chiaro che accettazione incondizionata non è sinonimo di approvazione, soprattutto quando si tratta di comportamenti soggetti a valutazione morale o che disturbano la vita del gruppo.
    Il ragazzo deve sentire che, anche quando si disapprova il suo modo di giudicare gli altri, il suo modo di agire nei confronti dei compagni, lo si ama, lo si stima e lo si comprende come persona.
    La meta di ogni animatore è portare il ragazzo a una maturazione «sociale» e questa è ottenuta portando il ragazzo ad un atteggiamento di rispetto, di apertura verso gli altri, di accettazione «incondizionata»» dei compagni.


    NOTE

    (1) Aa. Vv., Adolescenti d'Europa, SEI, Torino 1970, p. 38.
    (2) Idem, p. 69.
    (3) Idem, p. 71.
    (4) Idem, p. 71.
    (5) Idem, p. 72.
    (6) G. Lutte, Il fanciullo e l'adulto in Educare, vol. 2, PAS-Verlag, pp. 289-299 e Ideali nell'adolescente in Educare, vol. 2, PAS-Verlag, pp. 339-341.
    (7) Egidio Viganò, in II progetto di Don Bosco oggi in Italia, ed. SDB, Roma 1980, p. 2.
    (8) Citato da Braido in Il sistema educativo di Don Bosco tra pedagogia antica e nuova, LDC, 1974, p. 46.
    (9) Cf A. Martinelli, Le polisportive giovanili salesiane nel progetto educativo salesiano in Juvenilia, n. 3, maggio 1980, p. 6.
    (10) CG21, Capitolo Generale 21 della società salesiana, 1978, n. 61.
    (11) CGS, Capitolo Generale Speciale della Società Salesiana, 1971, n. 61.
    (12) CG21, n. 14.
    (13) CG21, n. 81.
    (14) CG21, n. 87.
    (15) CG21, n. 89.
    (16) Rinnovamento della Catechesi, n. 77.
    (17) Idem, n. 52.
    (18) CG21, n. 91.
    (19) Cf Giancarlo Milanesi, I giovani oggi e possibilità educative nello stile di Don Bosco, in Il Sistema educativo di Don Bosco tra pedagogia antica e nuova, LDC 1974, pp. 163-166.
    (20) P. Braido, Il sistema preventivo di Don Bosco, PAS-Verlag 1964, p. 168.
    (21) Cf Lettera di Don Bosco 10/5/84, in Don Bosco educatore oggi, PAS-Verlag 1963, pp. 96-96.
    (22) Idem, pp. 91 e 92.
    (23) CG21, n. 91.
    (24) Costituzioni della Società Salesiana, n. 25.
    (25) E. Limbos, o.c., pp. 128-130.
    (26) Idem, o.c., pp. 130-143.
    (27) Idem, o.c., pp. 115-128.
    (28) Giovenale Dho, Schemi di lavoro per il corso di metodologia pedagogica, dispense PAS 1970-71, p. 87.
    (29) Idem, o.c., pp. 87-88.
    (30) Idem, o.c., p. 89.
    (31) Per questo concetto di autenticità cf C. Rogers, o.c., pp. 54-55 e pp. 89-92.
    (32) G. Dho, o.c., pp. 96-100.
    (33) Cf la considerazione positiva di C. Rogers, o.c., pp. 94-95.
    (34) G. Dho, o.c., p. 99.
    (35) C. Rogers, o.c., pp. 57-58, pp. 92-94.
    (36) G. Dho, o.c., p. 103.


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