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    L'attuale condizione giovanile come domanda educativa



    Carlo Nanni

    (NPG 1981-5-6)

    UNA LETTURA «TROPPO ADULTISTICA» DELLA CONDIZIONE GIOVANILE

    Volendo si potrebbe essere perfino apocalittici! Certamente c'è più di uno che ha perso l'entusiasmo e l'ottimismo nei confronti dei giovani d'oggi.
    Sarebbe interessante confrontare le analisi e soprattutto le valutazioni della condizione giovanile che venivano fatte dieci anni fa, o giù di lì, e quelle invece che si fanno oggi.
    A me pare che se quelle potevano peccare per eccesso di ottimismo, oltretutto ingenuo (i giovani visti come «luogo» di ogni valore; come punta di diamante delle spinte innovative e di progresso; come nuovi «soggetti storici»; come cartina di tornasole e criterio di giudizio per la verità e per il senso delle asserzioni scientifiche e ideologiche, ecc.), queste di oggi si lasciano andare fin troppo facilmente al pessimismo.
    Se quelle erano viziate dal mito giovanilistico, queste mi paiono succubi e frutto della paura, dell'insicurezza e della crisi, che attraversa, a tutti i livelli di esistenza, la società e gli adulti del nostro tempo.
    Indubbiamente la distanza tra adulti e giovani sembra aumentare progressivamente e divaricarsi sempre più. Ma non si corre il rischio di riversare sui giovani quanto di difficile o di insopportabile pesa sulle nostre spalle? La logica del capro espiatorio è del tutto assente? Certe valutazioni sui giovani d'oggi non sono forse dominate dalla paura di non riuscire a dare un corso positivo alla storia, o magari dalla paura di essere rigettati e incompresi o addirittura sopraffatti dai giovani, considerati come estranei, come protesi verso una storia diversa dalla nostra, con valori, ideali, aspirazioni, modi comportamentali diversi: e quindi in sostanza assimilabili a potenziali nemici in questa difficile lotta per la sopravvivenza che sembra essere «porzione e eredità» del nostro vivere in questo tempo di crisi?

    Ma qual è la realtà?

    Quanto corrispondono a realtà certe affermazioni che facciamo a riguardo dei giovani d'oggi?
    Si è soliti dire che nella stragrande maggioranza dei giovani d'oggi vi è un forte appiattimento della prospettiva sociale, un restringimento di orizzonte per ciò che riguarda il bene comune. Non si vede più molto il senso del sacrificio e dell'impegno per la «cosa» sociale.
    Quel che è più grave è che la stessa esistenza personale sembra come affetta da una sorta di «malattia mortale» che impedisce a molti di elevarsi ai significati profondi della esistenza, di leggere in profondità la propria vita, di vederla protesa nell'attuazione di un progetto di sviluppo e di crescita.
    Il complesso della «vertigine» facile sembra allargarsi a macchia d'olio. Presso i più seri si manifesta sotto forma di preoccupazione--se non di paura--per il proprio futuro. Per molti altri è consistente il meccanismo di difesa della fuga o della ricerca ossessiva e quasi nevrotica di forme di vita securizzanti, private o di gruppo (il posto, il gruppo, la coppia, i movimenti carismatici, misticheggianti, orientalizzanti, ecc.).
    L'esperienza della droga non sembra marciare al di fuori di questo cammino di fuga, di rinuncia o di rifiuto della realtà. Ma migliore non è la «droga» delle sensazioni e delle emozioni, mai del tutto soddisfacenti, di cui la massa dei giovani sembra aver bisogno per provare ancora interesse e piacere.
    Qualcuno ha parlato di logoramento degli apparati di piacere e di dolore: come se i sensi, induriti e incalliti dalle sfrenate e sofisticate possibilità offerte dall'industria del divertimento e del consumo, siano, troppo presto, pervenuti alla triste condizione dell'«impossibilità di essere normali».
    Così mi sembra che vadano spiegati certi fenomeni di aggressività e violenza gratuita.
    Si deve parlare addirittura di una crescente banalizzazione della realtà e di uno scadimento dell'originaria capacità di stupirsi, di meravigliarsi, di gioire, di contemplare a livelli comuni?
    Indubbiamente la condizione giovanile, statisticamente prevalente, sembra essere quella che assume le movenze di una esistenza dominata dalla momentaneità atomizzata, senza quadro e senza progetto. E senza linguaggio. Frammentata e dispersa com'è in mille atti slegati, logorata dalla fame di consumare le cose, gli oggetti, i vestiti, la musica, il ballo, il gioco, lo sport, la festa, il sesso, ecc. O per lo meno incapace di dare significato personale alle molte esperienze che si vivono.

    La condizione giovanile come reazione agli errori degli adulti

    Si deve dire che i giovani sono la vivente immagine di quell'inaridimento generale della vita e di quell'inarrestabile declino verso nuove forme di barbarie, a cui sembra votata l'umanità, a cominciare da essi?
    Ma se si dovesse fare il «capitolo delle colpe», io ho paura che la generazione adulta, sia individualmente sia collettivamente, ne uscirebbe piuttosto malconcia. È ovvio che i giovani d'oggi non sono spuntati su, improvvisamente, come funghi o sono usciti fuori dal guscio come le lumache alla prima pioggia d'estate: molti comportamenti e manifestazioni di massa sono agevolmente interpretabili come fenomeni di reazione, o come insorgenze di fronte a carenze, vuoti, assenze, o come meccanismi di difesa rispetto a guasti subìti o paventati.
    I fenomeni negativi presenti nella realtà giovanile non sono ad esempio del tutto disgiungibili dalla crisi globale della società capitalistica, quale stiamo vivendo in questi anni. Da una parte, accanto a fenomeni di sfacelo e di disgregazione culturale e sociale, si sperimenta quotidianamente la difficoltà di elaborare un progetto globale alternativo. Dall'altra parte, a quelli che potremmo chiamare i livelli della «praticaccia», imperversa la logica selvaggia del profitto privato, a tutti i costi, o la difesa di interessi nettamente corporativistici.
    E inoltre è difficile togliere dalla mente e dal cuore pensieri e aspirazioni di successo, autorealizzazione, perequazione sociale, eguaglianza delle possibilità, capacità di accesso ai beni di consumo e alle possibilità di sviluppo sociale, prima fatti balenare e tuttora conclamati - magari contraddittoriamente - dalle diverse agenzie che influenzano l'opinione pubblica soprattutto giovanile, e poi invece quasi sistematicamente frustrati.

    UNA LETTURA «EDUCATIVA» DELLA CONDIZIONE GIOVANILE

    Di fronte a una simile situazione si dovrà dunque concludere fatalisticamente con l'impossibilità di contrastare questa «tendenza perversa»? Bisognerà rassegnarsi all'inazione o al passivo lasciarsi trascinare dagli eventi?
    O all'opposto ridursi alla «pedagogia del silenzio»?
    E prima ancora: questa situazione è veramente comprensiva della realtà giovanile? Le affermazioni riportate sopra dicono l'ultima e suprema parola a riguardo dei giovani d'oggi?
    Mai come oggi educare è diventata una «questione morale» implicante una presa di posizione personale, un «decidersi per» la scelta di educare: intendendo con educazione quella particolare attività che è volta alla promozione della vita personale e della qualità umana della crescita, individuale e collettiva.

    La lettura «educativa» a fianco di altre letture

    Si tratta di una sorta di «opzione fondamentale», che non può mancare, pena lo scadimento totale della funzione educativa, nonostante i titoli professionali che si possono vantare a riguardo.
    In quanto fatta in nome della vita propria e altrui, ai diversi livelli di socializzazione a cui essa si estende e in cui si esprime, questa decisione avrà bisogno di determinarsi, di confrontarsi, di discutere e di dialogare per evitare di cadere nei guasti del privatistico. Dovrà ricercare la propria fondazione razionale, pur nel pluralismo delle posizioni ideologiche. Ma è pure indubbio che in se stessa ha una propria logica e innanzi tutto uno specifico modo di accostare la realtà.
    Nessuno legge la realtà e i processi storici senza precomprensioni. E per quanto si voglia essere «obiettivi», già la stessa scelta dell'ambito di indagine è fortemente segnata dai valori di fondo, dalle aspettative «deluse», provocate in noi dal corso degli eventi.
    Ma non è pure senza incidenza il punto di vista, o per così dire l'osservatorio «scientifico» con cui è letta o interpretata la realtà: l'occhio del sociologo non è lo stesso dello psicologo e tanto meno - puta caso - del moralista.
    E questo è detto senza togliere niente alla «verità» delle loro osservazioni, ma solo per ricordare le molteplici possibilità di leggere uno stesso fatto o evento o processo storico concreto.
    Per questo J. Habermas e gli autori della Scuola di Francoforte hanno tanto insistito sull'«interesse-guida» della conoscenza.
    Non è difficile dimostrare che la lettura della condizione giovanile sarà diversa se sarà fatta da sociologi di estrazione ideologica o politica di un certo tipo o di un altro. Essa sarà vista da un certo punto di vista come elemento di cambio o di innovazione e da un altro magari come elemento di perturbazione dell'assetto sociale e politico esistente.
    La diversità delle conclusioni non è necessariamente dovuta a malafede o a spirito di parte, ma semplicemente al privilegiamento di aspetti presenti nella realtà giovanile rispetto ad altri, ai quali si conferisce o non si conferisce un certo significato o valore in base ad un certo quadro di valori che fa da sistema di riferimento.

    Lo specifico di una lettura «educativa»

    In questa linea cosa comporta una lettura della condizione giovanile che si possa dire «educativa»?
    A me sembrano almeno i seguenti.
    Primo: la vita è sempre protesa verso il futuro. Ciò è vero per la vita di tutti, ma soprattutto per quella di chi si è appena affacciato alle complesse possibilità di essa.
    Cogliere nel fattuale il possibile, nel presente la prospettiva di futuro e la linea di tendenza sarà certamente una tipica modalità di una lettura educativa di qualsiasi fatto o evento.
    In concreto vorrà dire cogliere ad esempio le novità del momento storico che si sta vivendo; i nuovi problemi; i nuovi impegni; le nuove responsabilità che appellano alla coscienza civile e alla fede del credente.
    Più in particolare vorrà dire cogliere i bisogni storici nuovi, le esigenze, le aspirazioni e le attese deluse, che aprendo una crepa nell'esistente chiedono di venire esaudite e non essere ulteriormente mortificate; sia in generale, sia in particolare presso la condizione giovanile.
    Un secondo aspetto di una lettura educativa discende dal carattere «promozionale» dell'attività educativa. Non è infatti il nuovo o il possibile in sé e per sé che va perseguito, ma solo in quanto è spazio per una realizzazione di valore.
    Gli stessi bisogni, e i movimenti stessi dell'esigenza e del desiderio, sono messi in luce in quanto considerati come indicazioni - per quanto si voglia germinali - di quella positiva azione a vantaggio dell'umanità della persona in sviluppo, che è il termine ultimo e il criterio di giudizio di ogni intervento educativo.
    Una lettura educativa della condizione giovanile ricercherà con cura particolare, tra la molteplicità quasi caotica dei fatti, quelle concrete esperienze o aspetti, che possono essere viste come concrete valorizzazioni storiche, in cui i bisogni o le aspirazioni giovanili si canalizzano, lungo un movimento di personalizzazione e di un «di più» di vita e di qualità umana dell'esistenza.
    Praticamente ciò significherà dare maggior peso al qualitativo che al quantitativo, al frammento di valore sparso e disseminato nell'ambiguo, nell'omogeneizzato o nella pesantezza preponderante del negativo, piuttosto che all'intero, che globalmente sembra avere più voce e forza. Sulla base di questi «punti di attacco», colti come rose tra le spine, sarà da studiare l'intervento educativo vero e proprio.
    È chiaro però che già al livello della «lettura» si rende necessaria una sorta di «ascetica intellettuale», fatta di duttilità e flessibilità nei confronti del realizzato e del posto in atto, come pure un atteggiamento «soffice» nei riguardi della globalità delle cose e degli eventi, in modo da essere capace di muoversi tra le pieghe dell'esistente, cogliere il valore intenzionale presente nel reale, senza lasciarsi abbacinare dalla pesantezza del reale e d'altra parte senza lasciarsi prendere dalla fretta del desiderio.
    Ad un livello più profondo si richiede il coraggio del coinvolgimento, di vivere cioè in mezzo ai giovani, senza servirsi di fragili e false difese dettate dalla paura di perdere la faccia e la dignità; di rinnovare certe tradizioni educative di dialogo e di ascolto delle voci provenienti dal mondo giovanile, così come esso oggi è, in bene o in male, con le sue caratteristiche proprie; di tenersi sulla lunghezza d'onda delle aspirazioni e dei problemi che i giovani d'oggi esprimono e propongono; per studiarli con serietà e passione, e per cercare di tradurli in termini educativi.

    I PROCESSI DI PERSONALIZZAZIONE DELLA CONDIZIONE GIOVANILE

    Sulla base di queste osservazioni, vorrei cercare di elencare i diversi aspetti, che nella condizione giovanile odierna sembrano appellare ad un intervento educativo in vista della loro piena esplicitazione ed attuazione.
    Indubbiamente lo si farà a spese di una certa dose di schematicità e approssimazione. È sempre molto rischioso parlare de «i giovani», senza altre precisazioni di età, sesso, classe sociale di appartenenza, formazione culturale, condizione economica, ubicazione geografica, ecc.

    Una diversa qualità della vita

    I mali del consumismo sembrano dilagare tra i giovani d'oggi, molto più che non tra i giovani, non dico di venti, trenta anni fa (come ci ricordano gli adulti usciti dalla dura esperienza del fascismo e della guerra), ma anche di solo dieci anni fa.
    Eppure, nonostante tutte le deviazioni e i traviamenti, mi pare difficile dire che non vi sia una chiara domanda di una diversa qualità della vita, oltre il semplice miglioramento del tenore di vita dato per scontato. Certo spesso è a livelli di coscienza per così dire aurorali: simile a certi cieli, sul primo mattino, che possono portare di tutto nel corso del giorno. Molto spesso è attraversata dal rischio reale e non solo ipotetico, di scambiare il mezzo con il fine, il quantitativo con il qualitativo, il consumare con l'essere, l'oggetto con la vita.
    Tuttavia sembra indicare presso alcuni un'attenzione nuova al mondo della natura (la campagna, il mare, la montagna, la neve, i fiori, gli animali, ecc.), contro l'ubriacatura tecnocratica, che spesso ha tragicamente invasato il mondo adulto, soprattutto in termini di possesso di oggetti di consumo sempre più sofisticati. E presso molti sembra indicare l'aspirazione profonda - magari proprio attraverso le possibilità nuove date dalla società dei consumi - per nuove forme di rapporti interpersonali e sociali, che non siano dettati dalla logica dell'utilità e del profitto, ma che possano esprimere un immenso desiderio di gratuità e di comunione quasi cosmica.

    Una nuova «cura» del mondo personale e interpersonale

    Di fronte ad una situazione sociale in cui le attese di progresso (promesse dalle ideologie dello sviluppo), e i bisogni di innovazione (proclamati dalle ideologie del cambio strutturale e politico), sono in gran parte andate deluse c'è stato--come si è detto--un arretramento di riflusso dal politico al personale e dal sociale al privato, con il rischio del rigetto di ogni impegno sociopolitico e di una pericolosa privatizzazione dell'esistenza. Ma in questo movimento di arretramento è possibile scorgere - sotto forma di evidenza vissuta e intuita - il rifiuto del carattere totalizzante del politico e del sociale.
    E allo stesso modo si può cogliervi l'esigenza di una diversa cura del mondo personale e interpersonale prepolitico, una rivalorizzazione del senso etico e prima ancora dell'aspetto intimo e autotrascendente della persona e dell'agire umano rispetto al sociale e al culturale.

    Il primato dell'esperienza e del bisogno che pulsa

    Contro le idee cristallizzate e contro la pesantezza di quadri di valori ideologici ed astratti, i giovani sembrano proclamare, con le parole e con i fatti, il primato di ciò che si può costatare, toccare, sperimentare, per valutare la bontà di una idea, di un obiettivo, di una scelta. Magari con una grossa dose di contraddizione, in cui il pragmatismo più terra terra si accoppia a atteggiamenti di razionalismo o idealismo esasperato e del tutto avulso dalla concretezza delle cose. Sembra pure prevalente l'orientamento giovanile volto ad attribuire valore ad oggetti, azioni, esperienze quasi solo in base alla capacità di soddisfazione di un bisogno o di un esaudimento di una richiesta. È grosso il pericolo di perdere il senso della dimensione normativa, sociale e ideale, che funziona da elemento dialettico nell'esperienza giovanile; come pure il pericolo di pesanti cadute nell'individualismo e nel soggettivismo; o di adeguamento istintivo, irrazionale o fatalistico di fronte all'appiattimento e allo scadimento generale dei valori sociali; con il rischio suppletivo di una forte esposizione alle mene di chi, sul mercato dei significati, sa maggiormente manipolare e catturare il consenso per interessi di parte o di consumo.
    Tuttavia non si può negare in simili atteggiamenti un certo senso di realismo e un richiamo ad agire «a misura d'uomo», fuori di ogni assolutezza e «onnipotenza» disumana. Come pure vi si manifesta una più viva attenzione ai bisogni e ai desideri (non solo alle idee e ai valori oggettivi), alla totalità della persona (non solo alla sua razionalità).

    La corporeità e lo stare insieme

    Oltre che all'originario «conoscitivo», criteri della verità e del valore, sembra pure chiaro il sostare dei giovani presso altri due «luoghi» originari dell'esistenza: la corporeità e lo stare insieme.
    La cosa è interpretabile variamente: reazione o conseguenza di una certa mentalità adulta che deprezza questi ambiti dell'esistenza e poi li mercifica o li compravende a basso costo? sviluppo di ideologie, che hanno dato particolare risalto alla comunicazione e al linguaggio? riparo o uscita di sicurezza, dopo la caduta delle prospettive ottimistiche dell'impegno religioso e politico?
    Sembra accertato, nelle difficoltà o nel sospetto per l'associazionismo organizzato o per i gruppi spontanei impegnati, la crescita incontrastata dell'impegno nel gruppo sportivo. E in generale a parità di condizione, sembra accertato che l'impegno associativo è più forte dove esistono situazioni che offrono un certo spazio per l'espressività fisica ed affettiva, possibilmente con il minimo di coinvolgimento di impegno collettivo e dove sia più facile un approccio di tipo individualistico, a tu per tu.
    La musica, il ballo, lo sport, scaricano le tensioni e diventano attività espressive e liberanti.
    Il piccolo gruppo amicale, il ragazzo e la ragazza con cui si sta insieme quotidianamente e si vive la festa, sembrano i luoghi dell'intimità dopo i «giorni della ubriacatura del collettivo». O per lo meno, è presso di essi che è ricercata quella libertà e spontaneità che non si riesce a trovare o non è permessa altrove.
    In ogni caso il problema della solitudine e il bisogno affettivo, così come il bisogno di esprimersi spontaneamente, di comunicare liberamente, di entrare in veraci rapporti interpersonali sembrano essere in cima ai pensieri della gran parte dei giovani.

    Progettualità da vita quotidiana

    Un altro ambito verso cui sembrano anche privilegia il vissuto e l'auscultazione dare le preferenze giovanili è quello del dei desideri e dei bisogni, quali luoghi e quotidiano, inteso come sfera e ambito dell'esistenza in cui è dato loro, o sembra loro possibile, vivere in modo attivo, al presente, quel tempo così difficile da vivere come passato e come futuro.
    Anche qui è abbastanza forte il carattere di reazione alla impossibilità di vivere altrove e altrimenti quel protagonismo con cui spesso si blandiscono i giovani. Non sembra estraneo il senso diffuso di insicurezza e di crisi, se non addirittura di paura, che dagli adulti si riverbera sui giovani per progetti coerenti a lungo termine.
    Ma alla ristrettezza dello spazio e alla decurtazione dell'arco temporale, sembra far da contrappeso l'intensità del vissuto, la qualità umana della significazione e il taglio personale dell'agire.
    Se è vero infatti che la distanza tra attese, bisogni e pratica reale è per molti una spinta verso l'area della rassegnazione, del consumismo alienante e massificante o del qualunquismo politico, è pure vero che per altri sta a ricordare che i reali cambiamenti non sono possibili se non a partire da una nuova modellazione della vita quotidiana, dell'uso del tempo, dei ritmi e della cultura d'ogni giorno.
    In questa linea per alcuni hanno, o riacquistano, senso certi ambiti piuttosto deprezzati o sottovalutati nel recente passato e che ora invece sono visti come i luoghi in cui è possibile dispiegare la propria azione: il quartiere, il paese, i movimenti e persino la parrocchia, la famiglia, o la scuola, quando non appaiono irrimediabilmente viziati dall'autoritarismo o dal burocraticismo.

    La ricerca di identità personale e sociale

    È all'interno di questi spazi quotidiani che alcuni, sempre in maggior numero, ricercano o credono di poter comporre la loro identità personale, culturale e sociale.
    L'immagine di giovani preoccupati e riversati quasi completamente su di sé, poco propensi alla partecipazione e all'impegno socio-politico-religioso, sembra essere abbastanza comune.
    Sono evidenti i rischi. Ma è pure evidente l'esigenza di unitarietà e di senso globale da dare all'esistenza personale minacciata dalla frammentarietà, dalla incertezza di spazi espressivi, dalla contraddittorietà delle stimolazioni ambientali, dalla spinta dell'omologazione massificante; o impaurita dal crollo delle ideologie «forti» e dal pluralismo caotico e d'arrembaggio.

    Essenzialità di giudizio e di vita

    Sul terreno dell'identità personale e sociale mi pare prenda corpo uno stile di giudizio e di vita improntato a severa «essenzialità».
    Essa dà luogo per un verso a atteggiamenti di radicalità e di richiesta di chiarezza di posizioni, non meno forti, anche se diversi, da similari atteggiamenti sessantotteschi.
    Con una forte preferenza più che alle idee e ai messaggi, ai testimoni e ai fatti. Fino a forme di dura intransigenza. Qui forse sta la novità rispetto al passato e rispetto a atteggiamenti, altrimenti comuni all'età giovanile di ogni tempo.
    Anche in questo caso l'incoerenza e l'ambivalenza è tanto più eclatante quanto più è decisa l'affermazione «pura».

    Una nuova domanda religiosa?

    Quanto si è detto finora sembra venirsi a trovare riunito in quella che, in questi ultimi anni, è stata considerata - seppure problematicamente - come «fine di un'eclissi»: la cosiddetta nuova domanda religiosa giovanile.
    Essa infatti, più che rivestire le forme di una esplicita professione di fede o della pratica religiosa, sembra muoversi sulla lunga strada del processo di personalizzazione.
    Alla dimensione religiosa i giovani sembrano richiedere, anche e forse, soprattutto, una risposta alle loro esigenze di socializzazione, di identificazione, di integrazione sociale, di identità personale, di ricerca di senso ultimo: il che non è poco, anche se può essere - forse a torto - tacciato di funzionalizzazione del religioso e della fede.
    Più che ad una religiosità anagrafica, e un'adesione al corpo dogmatico tradizionale, i giovani sembrano dare particolare importanza al diretto e specifico riferimento a Dio, nella sua centralità ed essenzialità, prima o indipendentemente da qualsiasi mediazione ecclesiale.
    E il riferimento alla chiesa, quando c'è, è piuttosto al concreto gruppo religioso-giovanile che alla chiesa in generale.
    Sono chiari i pericoli del soggettivismo e del particolarismo. È pure abbastanza evidente in questo ambito lo scollamento tra riferimento di fede e scelte pratiche di vita, quasi che la ricerca dell'essenzialità religiosa e di fede non riesca a offrire indicazioni significative per scelte etiche soggettive, sia a livello morale sia a livello sociale. Per questo una tale domanda religiosa diffida chiunque dai facili entusiasmi.

    LA TRADUZIONE EDUCATIVA DELLA DOMANDA

    I bisogni dicono qualcosa che manca, totalmente o in parte, e di cui è forte la richiesta di soddisfazione. Così il desiderio: indica piuttosto la meta di aspirazioni verso cui muoversi. Entrambi, bisogni e desideri, si esprimono come impulsi, spesso molto forti ma poco chiari nei loro significati. Appellano ad un movimento, creano una tensione, spingono all'azione. Ma non è sempre chiaro in che direzione! Si è accennato qua e là alle ambiguità e alle difficoltà presenti nelle movenze dei bisogni e dei desideri giovanili. Sarebbe ingenuo e poco serio nasconderselo. Di più: anche quando sono chiari, essi dicono cosa è «da educare», da portare a maturazione, da promuovere nell'orizzonte della crescita personale, ma non dicono di per sé il «cosa fare». Al massimo indicano un itinerario da percorrere, ma non dicono come, con quali mezzi, secondo quali momenti, ecc. E in ogni caso non sostituiscono il cammino concreto da fare e la sua fatica. E per lo più non indicano una richiesta esplicita di intervento educativo. Ma qui c'è da essere chiari. Nessuno vive e cresce fuori del mondo, senza interazioni con il proprio ambiente. La libertà e l'umanità dell'uomo è resa possibile solo grazie - o comunque condizionatamente - agli influssi e all'interazione con la libertà e l'umanità delle altre persone, con il «milieu» naturale e umano, con le strutture e istituzioni sociali. I primi patteggiamenti sono da farsi con il proprio patrimonio biologico individuale e poi via via con la propria formazione, con la propria vicenda personale, con le proprie scelte e con i propri errori commessi, ecc. A quei giovani o a coloro che negano la legittimità dell'intervento educativo, sarebbe da chiedere realisticamente con quale tipo di influenza vogliono scendere a patti: con quelli che in primo luogo e fondamentalmente sono guidati da logiche di potere, di produzione, di consumo, di accaparramento di consenso o con quelli che - almeno nelle intenzioni - sono mossi da una volontà di promozione umana e considerano la loro come una «relazione di aiuto», temporanea, relativa e parziale?

    La dialettica tra «domanda» e «offerta»

    Certo oggi, dopo «i giorni dell'onnipotenza» e dell'autoritarismo sociale ed educativo, ogni educatore è invitato alla sobrietà, soprattutto nei riguardi di chi, come i giovani, è già in grado - per quanto a livelli iniziali - di gestire in prima persona - più che da solo o totalmente in proprio, che è sempre impossibile - la propria crescita e formazione personale ulteriore.
    In ogni caso si è parlato di «domanda» educativa.
    Come dice la parola, presa a prestito dal linguaggio economico - con tutti i limiti di certe trasposizioni da un ambito all'altro dell'esistenza -, essa si pone in dialettica con l'«offerta». Dice una richiesta che dovrà creare e soprattutto commisurare l'«offerta». In concreto vuol dire che se è vero che c'è una novità nella domanda educativa di questi anni, se c'è - come si è cercato di dimostrare - un nuovo modo di porsi dei processi di personalizzazione da parte dei giovani, bisognerà atteggiare in modo corrispondente la risposta educativa. Detto in altri termini: non si può educare come in passato, come se niente fosse successo di nuovo.
    La contestazione giovanile del decennio 1965-1975 portò alle proposte della «descolarizzazione» della società, ai tentativi di sperimentazione innovativa (ricerca, lavoro di gruppo, scuola senza cattedra e senza classi, ecc.), allo sforzo educativo per l'emancipazione psicologica antiautoritaria, per la democratizzazione e per la partecipazione degli alunni nella gestione della scuola, al moltiplicarsi dei gruppi associativi di impegno politico-sociale-religioso.
    Le grandi idee del Rapporto Faure del 1973 (comunità educante, educazione permanente, umanesimo scientifico-tecnologico) furono «tradotte» presso di noi in termini di comunità scolastica, di decreti delegati, di scuola delle 150 ore, della scuola a tempo pieno, di secondaria onnicomprensiva, di inserimento degli handicappati, di interdisciplinarità, di scheda di valutazione, ecc.
    La spinta razionalizzatrice e tecnologica del quinquennio 1975-1980 ha portato alla focalizzazione degli interessi sulla programmazione educativa e didattica, alle discussioni sui curricoli, sulle finalità e sui contenuti educativi e didattici, ecc. Qualcosa di simile bisognerà fare in questo decennio '80 che è iniziato sotto i nostri occhi, pur nella coscienza della difficoltà e dell'inevitabile dislivello e divario tra valore ideale, espresso dalla domanda, e concreta limitatezza della traduzione educativa.

    Alcune ipotesi operative

    Sono interessanti da questo punto di vista alcune proposte riguardanti i processi di apprendimento e l'innovazione scolastica.
    Rispetto all'attivismo e ai metodi informali nell'apprendimento, che sembrano favorire atteggiamenti positivi verso la scuola ma a spese di un aumento dell'ansietà e della stessa creatività, oggi si mette in rilievo l'importanza di un ambiente di sostegno per lo sviluppo di una successiva autodeterminazione. Non si può giungere alla meta immediatamente, soprattutto se si parte senza alcuni equipaggiamenti. L'autodirezione può riuscire dannosa o impossibile, quando non sa dove si va o non si hanno le forze sufficienti.
    D'altra parte, ritornare all'autoritarismo del passato sarebbe cadere in una ottusa coazione a ripetere i guasti e le insufficienze del passato.
    Così il cambiamento educativo, più che dall'alto e per via burocratica o per forza di riforme generali, oggi è individuato nella capacità effettiva delle singole scuole, che prendono coscienza dei problemi reali e riescono ad immaginare e adottare soluzioni calibrate ai bisogni personali e variabili dei propri studenti.
    Cadono le proposte, valide sempre dovunque e per tutti, e acquistano significatività le iniziative in cui «le persone contano qualcosa».
    Senza a sua volta cadere in assolutizzazioni alla rovescia, vale anche in questo il detto: «piccolo è bello»; e si dimostra migliore la ricerca di soluzioni realmente «pluralistiche», «a misura d'uomo» e del suo quotidiano.
    Un lavoro simile sarà da fare a livello di educazione religiosa e di fede, per accordare il riferimento alla fede con la vita e con la cultura dei giovani di oggi, perché non scada nella privatizzazione, nella soggettivizzazione, nel fanatismo, nel settarismo, nel disimpegno pratico, nella schizofrenia del giudizio e dell'azione, ecc.
    Sarà da chiedersi come «ridare» il Vangelo, in risposta alla domanda religiosa molteplice e variabile dei giovani; come collegare Vangelo e tradizione cristiana, Dio, Cristo e Chiesa; quali contenuti e valori proporre prioritariamente; su quali focalizzare l'attenzione senza perdere in completezza e senza «annacquare» o vanificare le difficoltà del messaggio. Più che mai bisognerà ricercare e guadagnare quella rara arte e saggezza che sa «provvedere» e dosare i mezzi con il fine, l'autorevolezza con la sobrietà dell'intervento, in questo difficilissimo e personalissimo ambito dell'esistenza individuale e di gruppo.
    Bisognerà interrogarsi attraverso quali vie la «compagnia della fede» degli adulti dovrà andare incontro, testimoniare e far strada insieme con i giovani e con la loro crescita. Sarà da chiedersi quali comunità in concreto possano dirsi ambienti di sostegno, mediazioni misurate alle possibilità e alle difficoltà dei giovani d'oggi. Si dovranno cercare insieme gli stili di vita e le forme di prassi da scegliere, in cui esprimere, tradurre e dare robustezza all'adesione iniziale di fede.
    In questa, dura ma esaltante opera, vive e cresce «misteriosamente» la speranza dell'educatore e del credente.

    BIBLIOGRAFIA

    Credo utile dare un elenco, senz'altro incompleto, delle inchieste riguardanti la condizione giovanile fatte in Italia in questi ultimi anni. Sono tutte esclusivamente a taglio sociologico.
    1) Inchiesta promossa dal Circolo Resistenza e dal Centro Studi Piero Gobetti di Torino, guidata da L. Ricolfi e L. Sciolla (Università di Torino) su un campione di oltre 1.000 studenti delle scuole medie superiori pubbliche di Torino, condotta nel maggio 1978. Pubblicata in Ricolfi Luca - Loredana Sciolla, Senza padri né maestri. Inchiesta negli orientamenti politici e culturali degli studenti. Presentazione di Guido Quazza, De Donato, Bari 1980.
    2) Inchiesta promossa dal movimento cattolico dei Comitati di Solidarietà Popolare, condotta da un gruppo di giovani sociologi collegati ad A. Ardigò (Università di Bologna) su un campione di 5.000 giovani tra i 14 e i 25 anni (2.000 a Roma; 1.000 a Napoli; 1.000 a Genova; 1.000 in altri centri della provincia italiana). Notizia di Bonini Roberto, Come sono i giovani '80, in «Il Messaggero di S. Antonio», 1980, 1013.
    3) Inchiesta sui comportamenti dei giovani condotta da G. Calvi (formatosi alla Cattolica ma operante all'Università di Firenze), promossa dalla rivista editrice «Vita e Pensiero» con un campione di 1.076 giovani. Pubblicata in: Società italiana e coscienza giovanile verso gli anni ottanta, Atti del Convegno Milano 89 novembre 1980, Vita e Pensiero, Milano 1980.
    4) Inchiesta promossa dalla Gi.O.C., guidata da F. Garelli (Università di Torino) su: giovani, tempo libero e consumi, con 7.800 intervistati (5.600 in Piemonte: Torino prima e seconda cintura, Carmagnola, Fossano, Biella; gli altri a Vicenza, Rimini, Roma, Puglia, Calabria) e con 1.000 a campione scientifico somministrato a Carmagnola, Piossasco e Pancalieri. Di prossima pubblicazione.
    Inchiesta Gi.o.C, I giovani degli anni '80. Atti del convegno nazionale della Gi.O.C. (Torino, 22-23 novembre 1980), Edizioni Cooperativa don Milani, Via Perrone 3, Torino, L. 4.000.
    5) Sondaggio sulla religiosità dei giovani, promosso da Gioventù Aclista, e guidato da R. Mion con l'équipe dell'Università salesiana di Roma attraverso un questionario postale inserito in «Dimensioni Nuove», numero di Dicembre 1978. Sono pervenuti 1.296 questionari compilati.
    Pubblicata in: Mion Renato e Collaboratori, Fine di un'eclissi?, LDC, Torino 1980.
    6) Inchiesta sulla nuova domanda religiosa dei giovani promossa da Gioventù Aclista, dalla Facoltà di Scienze dell'Educazione (FSE) dell'UPS e dall'Editrice LDC, guidata da G. Milanesi con l'équipe dell'Università Salesiana di Roma (UPS), che segue al sondaggio di cui al n. 5, con un questionario somministrato a 4.500 giovani aggregati a qualche gruppo, delle diverse città italiane; con un altro questionario somministrato a 900 giovani non aggregati; e con una intervista libera tipo «storia di vita» richiesta a 50 soggetti. Di prossima pubblicazione.
    Notizia di Milanesi Giancarlo, Materiali per una ricerca sulla religiosità dei giovani, in «Orientamenti Pedagogici», 1980, 4, 643-662.
    7) Sondaggio sugli atteggiamenti e le aspettative dei giovani, promossa dal Comune di Milano, curata dall'Istituto di Ricerche «Directa», con interviste a 1.000 di Milano d'età compresa tra i 14 e i 29 anni.
    Notizia di: Rota Ornella, I giovani di Milano: Viviamo in stato di ansia e incertezza, su «La Stampa» del 1.3.1981, p. 8.
    Do citazione infine di due pubblicazioni ai cui materiali si è fatto riferimento nell'ultima parte della relazione. Di taglio psicopedagogico è la ricerca pubblicata da Bennet N., Stili di insegnamento e progresso scolastico, Armando, Roma 1980.
    Frutto delle ricerche del CERI, l'organismo di ricerca educativa dei 23 paesi dell'OCSE, è la pubblicazione OCSE-CERI, La creatività nella scuola, Marietti, Torino 1980.


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