Attesi dal suo amore
    Proposta pastorale 2024-25 

    MGS 24 triennio

    Materiali di approfondimento


    Letti 
    & apprezzati


    Il numero di NPG
    luglio-agosto 2024
    600 cop 2024 2


    Il numero di NPG
    speciale sussidio 2024
    600 cop 2024 2


    Newsletter
    luglio-agosto 2024
    LUGLIO AGOSTO 2024


    Newsletter
    SPECIALE 2024
    SPECIALE SUSSIDIO 2024


    P. Pino Puglisi
    e NPG
    PPP e NPG


    Pensieri, parole
    ed emozioni


    Post it

    • On line il numero di LUGLIO-AGOSTO di NPG sul tema degli IRC, e quello SPECIALE con gli approfondimenti della proposta pastorale.  E qui le corrispondenti NEWSLETTER: luglio-agostospeciale.
    • Attivate nel sito (colonna di destra "Terza paginA") varie nuove rubriche per il 2024.
    • Linkati tutti i DOSSIER del 2020 col corrispettivo PDF.
    • Messa on line l'ANNATA 2020: 118 articoli usufruibili per la lettura, lo studio, la pratica, la diffusione (citando gentilmente la fonte).
    • Due nuove rubriche on line: RECENSIONI E SEGNALAZIONI. I libri recenti più interessanti e utili per l'operatore pastorale, e PENSIERI, PAROLE

    Le ANNATE di NPG 
    1967-2024 


    I DOSSIER di NPG 
    (dall'ultimo ai primi) 


    Le RUBRICHE NPG 
    (in ordine alfabetico
    e cronologico)
     


    Gli AUTORI di NPG
    ieri e oggi


    Gli EDITORIALI NPG 
    1967-2024 


    VOCI TEMATICHE 
    di NPG
    (in ordine alfabetico) 


    I LIBRI di NPG 
    Giovani e ragazzi,
    educazione, pastorale

     


    I SEMPREVERDI
    I migliori DOSSIER NPG
    fino al 2000 


    Animazione,
    animatori, sussidi


    Un giorno di maggio 
    La canzone del sito
    Margherita Pirri 


    WEB TV


    NPG Facebook

    x 2024 400


    NPG X

    x 2024 400



    Note di pastorale giovanile
    via Giacomo Costamagna 6
    00181 Roma

    Telefono
    06 4940442

    Email



    Gian Paolo Caprettini

    (NPG 1981-10-7)

     

    L'UNITÀ DELLA CULTURA

    Nell'ambito della semiologia la cultura viene considerata da un punto di vista unitario. È chiaro che questa affermazione, che trae spunto dalle ricerche di antropologia, può parere generica o imprecisa.

    Unità e tensioni nella cultura

    Quando si dice che la cultura è unitaria è forse meglio precisare che la cultura funziona sulla base di un meccanismo unitario; il che non significa che essa si presenti priva di tensione, di contrasti, di lotte al suo interno. Se è possibile tracciare questo paragone, come ogni racconto parte da una situazione di conflitto di interessi e il procedere della narrazione consiste nel risolvere o nell'acuire o, semplicemente, nel portare avanti questo contrasto fra le aspirazioni e le necessità dei vari personaggi, così da arrivare alla fine a una soluzione che in qualche modo superi il punto di partenza anche ricongiungendosi ad esso, altrettanto per la cultura l'esistenza di tensioni al suo interno è la garanzia più che inevitabile, necessaria della sua esistenza e del suo funzionamento.
    L'affermazione ha qualcosa a che fare con un principio della cibernetica: all'interno di ogni sistema organizzato, un certo numero di varianti è necessario affinché questo sistema abbia compattezza, organicità e disponibilità operative.
    Ecco quindi che se il punto di partenza è quello di una cultura sottoposta a meccanismi di funzionamento dotati di una certa logica, e quindi il passaggio è attraverso stadi (o stati) che sono anche in contrasto, in contraddizione tra di loro, il punto di arrivo è un limite in cui riconosciamo un'identità alla cultura, cioè la riconosciamo come caratterizzata da fattori che la distinguono da altre culture.

    Ogni cultura si definisce per «negazione»

    Per quello che riguarda i popoli «primitivi», sia per quello che riguarda i popoli delle cosiddette civiltà industriali, sia per quello che riguarda le fasi agrarie della nostra stessa cultura, ogni fase della cultura e ogni cultura nel suo complesso cerca la sua identità in modo «negativo». Cioè cerca la sua identità differenziandosi dalle altre culture vicine, identificandosi come «non-qualcos'altro».
    Esempi al riguardo sono alla portata di tutti nel campo storico. Valga la stessa definizione di «barbaro» come persona che parla una lingua che non si riesce a comprendere e quindi è posta immediatamente su un piano «altro» rispetto a colui che la ascolta; valga la stessa definizione di «cristiano» data dalle testimonianze dei primi martiri per cui cristiano era «colui che si rifiuta di compiere il sacrificio agli dei e all'Imperatore». Lo stesso uso di «idolatria» rende immediatamente percepibile che la definizione di una cultura è caratterizzata da fattori che un'altra (quella che la definisce con quel termine) non possiede. Analogamente potrebbe dirsi per i Cinesi dai quali le popolazioni ai confini dell'impero erano considerate non-umane, nate da accoppiamenti bestiali.
    Nel mondo attuale questa definizione di cultura in modo negativo si può verificare nelle condizioni più diverse di comportamento. Badare che in semiologia si parla di «testo» per indicare qualunque realtà comunicativa organizzata; potrebbe trattarsi quindi anche di un comportamento intersoggettivo, oppure di un romanzo, di una poesia, di un messaggio pubblicitario, anche, ripeto, di una situazione interpersonale, perfino di una interazione intersoggettiva, intendendo la costituzione dell'identità come qualcosa che passa attraverso il dialogo interno, cioè attraverso quello che in una bella pagina di Cassirer viene indicato come il «dialogo di sé a sé».
    Nella cultura contemporanea osserviamo che queste osservazioni valgono per la posizione della persona o del gruppo rispetto agli altri. Pensiamo, per esempio, all'uso del gergo nelle classi d'età giovanili, pensiamo all'uso dell'abbigliamento: sono tutte forme in cui ci si veste o si parla in un certo modo cercando di realizzare questo duplice risultato: identificarsi all'interno di un gruppo, quindi riconoscere la propria appartenenza a un'entità, la propria individualità in una individualità più generale, e nello stesso tempo differenziarsi da chi non si veste come noi, da chi non parla come noi.
    Ora questo avviene non solamente nella condizione giovanile, per cui una particolare allusione, una parola, un comportamento, un abito può essere allusivo di «io mi sento come te» oppure di «io non mi sento come te», ma può essere considerato in svariate forme di comportamento.
    Ci si potrebbe chiedere se quello che caratterizza la condizione giovanile rispetto alle altre forme di comportamento sia l'assenza di quello che si chiama processo di autocoscienza, per cui il fenomeno di identificazione del e nel gruppo non è avvertito da chi lo persegue, e assume così le caratteristiche di un atto involontario, determinando una variabile di rilievo per quel che riguarda l'orientamento semiologico che è propenso a distinguere in qualche modo tra atti comunicativi volontari e involontari. Ciò non intacca affatto la possibilità di comunicare indipendentemente dalla nostra volontà: il nostro stesso abbigliamento inevitabilmente comunica qualche cosa prima che parliamo al nostro interlocutore; il nostro stesso modo di porsi nei suoi confronti costituisce già un atto comunicativo.

    La coppia cultura e comunicazione

    Ora ritorniamo al nostro assunto precedente - la cultura è un meccanismo unitario - e accettiamo di porre in questo quadro la coppia cultura/comunicazione. La cultura è intanto il repertorio, il serbatoio, l'«enciclopedia» in cui è distribuito e repertoriato il nostro sapere, sapere che non è da prendere come conoscenza di cose, ma come insieme di attitudini, di credenze e di pratiche.
    Tale repertorio non è da considerare come un serbatoio in cui disordinatamente sono collocate le conoscenze e i modi di relazionare, ma come una sorta di archivio in cui c'è una forma grammaticale interna, c'è una forma di regolamentazione: ogni cultura ha in sostanza la caratteristica di una lingua, la cui conoscenza grammaticale è attivata in ogni individuo ma di cui non necessariamente c'è consapevolezza. Nonostante non ci sia consapevolezza della grammatica da parte di ciascun suo utente, tuttavia egli ha una sua rappresentazione interna di questa grammatica per cui sa come applicare le frasi nel momento opportuno e sa riconoscere le frasi applicate in modo corretto o meno.
    Tradotto in termini comportamentali o culturali più generali significa che ciascuno ha una competenza tale che gli permette di distinguere atteggiamenti, comportamenti corretti da atteggiamenti, comportamenti, reazioni non corretti.
    Sul problema della correttezza torneremo successivamente quando parleremo del problema della trasformazione: è evidente che ogni cultura, se è sottoposta a una tensione interna, è in continua trasformazione, e quindi il problema della correttezza che si deve riconoscere è sottoposto alla dinamica di quel conflitto necessario di cui si parlava prima.

    Non esiste cultura se non produce comunicazione

    Mi preme adesso tornare alla coppia cultura/comunicazione. Cultura dunque come lingua, come sistema organizzato, dotato di una certa organicità, un meccanismo sinteticamente unitario. Comunicazione, invece, come ogni attività pratica connessa alla conoscenza della cultura.
    Esattamente come per la lingua, non è sufficiente la conoscenza delle regole grammaticali per poter parlare... Uno dei più grandi linguisti di questo secolo, Ferdinand de Saussure, ha introdotto, oltre settant'anni or sono, la coppia oppositiva langue/parole (lingua/parola); per questa polarità funziona un po' come per la coppia cultura/comunicazione. La «lingua» è un sistema astratto di regole in cui sono repertoriati gli elementi invarianti di un sistema; «la parola», invece, è l'attività concreta in cui è applicata continuamente questa conoscenza della lingua. La parola è l'attività concreta e cioè, come diceva Saussure, è «il luogo di manifestazione della lingua versata nella massa sociale». E da questo riversamento dipende l'esistenza della stessa lingua; non è possibile che una lingua esista se non produce e se non è considerata sotto il punto di vista degli atti di parole che essa istituisce.
    Così, non si può pensare che una cultura esista, abbia un'identità e uno spessore storico, se non produce comunicazione.
    È evidente che una cosa è valutare una cultura diversa dalla nostra nel tempo e nello spazio, un'altra è valutare la cultura in cui siamo immersi, che è quella di cui ci stiamo occupando ora, anche se ad essa partecipiamo in misura differenziata a seconda del grado di adesione o di distanza che assumiamo nei suoi confronti. Un necessario discrimine va posto dunque fra l'osservare una cultura nella quale si è coinvolti e l'osservare una cultura dalla quale si è separati vuoi da ragioni storico-temporali, vuoi da ragioni spaziali.
    Una cultura lontana nel tempo e/o nello spazio è analizzabile evidentemente con sistemi diversi, proprio perché, non appartenendo a quella cultura, non si è inclusi negli oggetti osservati. Invece, nella nostra cultura, siamo, che si voglia o no, che ci si voglia più o meno identificare, inclusi negli oggetti che stiamo osservando.
    Il primo aspetto che voglio dunque sottolineare è la complementarietà tra cultura e comunicazione sulla base della complementarietà fra lingua e parole.

    Organicità della cultura

    Il secondo aspetto che va considerato è quello della organicità della cultura, del suo esistere in quanto meccanismo unitario: organicità significa anzitutto coerenza tra le parti, per cui un organismo è un sistema in cui avviene uno scambio di comunicazione controllato da un centro direzionale; ma parliamo di organicità anche perché una cultura conserva la memoria dei suoi stati precedenti.
    Analogamente a quanto accade a un organismo che conserva, in qualche misura, la memoria delle fasi precedenti della propria vita.

    MEMORIA DELLA CULTURA E PROCESSO EDUCATIVO

    La memoria non è necessariamente registrata per iscritto: ci sono, lo sappiamo benissimo, culture che conservano la memoria di sé senza avere mai lasciato scritto qualcosa. Questa memoria degli stati precedenti viene stabilita mediante i meccanismi della ripetizione, cioè attraverso la ripresentificazione che si verifica tutte le volte che una comunità si riconosce collettivamente in una pratica rituale; immediatamente questa pratica costituisce e istituisce la ripetizione, cioè la memoria della cultura, in una ripetizione però, che si presenta sempre come una realtà nuova, valida in quel momento.

    La memoria è una «selezione» tra gli eventi del passato

    La memoria non è un repertorio totalizzante: ciascuno «conserva» il proprio passato in modo assolutamente selettivo. Ci sono fasi della nostra vita che riemergono, altre che sono perfettamente cancellate; ci sono inoltre ricordi del nostro immediato e più lontano passato che assumono la caratteristica della esemplarità. Qualcosa che emerge dalla nostra fanciullezza, da qualche altro tempo addietro, «sta per» tutta la situazione a cui apparteneva, sta per un mio atteggiamento nei confronti della vita, sta per una relazione che ho avuto.
    Quindi c'è questo carattere di «segnità» del ricordo: ricordare significa ripresentarsi non di tutto quanto è accaduto, ma di elementi di pertinenza che ho conservato come tracce e a cui assegno la caratteristica di «segnità», cioè di «stare per» la totalità a cui appartenevano.
    Ricordare significa assegnare valori. Ma ricordare non è un fenomeno che riguarda soltanto il lontano passato; c'è una memoria, come insegna la biologia, lontana e c'è una memoria recente. Quest'ultima riguarda anche gli atti che adesso stiamo compiendo, questa lettura, le azioni che si sono svolte qualche minuto fa e che si imprimono nella nostra mente con questo carattere della segnità, cioè della traccia.

    La cultura è un organismo vivente

    Se è vero che una cultura è comparabile a un organismo così caratterizzato, i valori dell'attualità discendono da una serie di operazioni memoriali che consistono nel rimuovere, nell'allontanare, nel distinguersi da, nella cancellazione di qualche cosa che non si vuole più per il presente. Dalla sua tensione continua, dal suo movimento dipende la permanenza nel tempo della identità della cultura. Noi che siamo nel 1981 ci sentiamo appartenere alla stessa cultura a cui appartenevamo l'anno scorso, ma forse non ci sentiamo più appartenere alla stessa cultura a cui appartenevano i nostri nonni e i nostri padri. Cosa è avvenuto in questo? Inevitabilmente, a parte le trasformazioni storiche oggettive, agisce pur tuttavia un modello per cui dal punto di vista dei valori le fasi temporalmente prossime si sentono più vicine e le fasi lontane nel tempo e nello spazio si sentono più remote.
    Si tratta, quasi, di una deformazione del punto di vista per cui i dati più vicini si presentano in modo più vistoso, mentre quelli più lontani in modo più impercettibile.
    In realtà, esiste una forma di continuità con il passato che non è da considerare come un'adesione alla tradizione in modo meccanico; il passato viene attivato nel presente come qualcosa che può salvare le contraddizioni attuali.
    Si tratta, in altre parole, di riconoscere che un'identità nasce da una somma di posizioni nel tempo e nello spazio e non semplicemente da una simultaneità: che ci siano meccanismi di continuità e di discontinuità, ciò non toglie che la cultura consista in un dispositivo di integrazione dell'individuo all'interno di una massa sociale.

    Processo educativo, crisi dei meccanismi di trasmissione, mutazione dei valori

    Il processo educativo non può esimersi dal far capire questi procedimenti e quindi non può essere né esclusivamente integrativo, come è già stato detto, né può partire dal principio di obliterare il passato.
    Quello che si avverte attualmente in modo abbastanza diffuso sono forme di disgregazione della cultura intesa in modo sistematico, forme che possono discendere da due ordini di fattori ben distinti fra loro. O una crisi dei meccanismi di trasmissione del sapere (cioè una crisi dei meccanismi di informazione all'interno di una cultura), oppure una crisi (in realtà un mutamento) dei «valori». I due punti sono distinti in modo abbastanza chiaro: da un lato sono problemi che riguardano la comunicazione, dall'altro sono problemi che riguardano la cultura (da un lato sono problemi che riguardano la parole, dall'altro sono problemi che riguardano la langue).
    L'analisi della situazione presente dovrà essere condotta tenendo ferma la distinzione tra analisi dei meccanismi di trasmissione dell'informazione e analisi dei meccanismi di strutturazione dei valori all'interno della cultura.

    La comunicazione non è un riversamento di informazione a senso unico

    Partiamo dal principio che la comunicazione non consiste in un riversamento della informazione da un serbatoio a un altro: il modello della comunicazione non è un modello idraulico di «vasi comunicanti»: ogni rapporto pone invece a confronto due sistemi di valori e due sistemi comunicativi.
    Tanto a partire dalla comunicazione che si svolge tra due persone, quanto a partire dalla pseudocomunicazione che si svolge tra la «scatola nera» della televisione e il pubblico che ascolta, il problema è sempre quello: non di riversare l'informazione, ma di creare un'area di intersezione tra mittente e destinatario.
    La scorrettezza, l'inadeguatezza, l'errore sono fattori ineliminabili di ogni meccanismo comunicativo di ogni fatto semiotico e non ci si deve illudere che possano non esistere forme di deviazione; queste infatti sono insite nel meccanismo stesso di trasmissione dell'informazione che ha a che fare per sua natura con fenomeni di traduzione e quindi di imperfetta corrispondenza fra intenzioni e aspettative (rispettivamente, del mittente e del destinatario).
    Potrà quindi avvenire che il mittente si proponga di comunicare qualcosa, ma che il destinatario lo intenda in un modo del tutto diverso rispetto a quello che era nelle intenzioni del mittente; può accadere anche che il destinatario riesca a individuare quello che il mittente voleva dire, pur espresso in modo scorretto e poco preciso. Ci sono delle forme di aggiustamento continuo fra mittente e destinatario; l'operazione del comunicare costituisce un lavoro vero e proprio, una pratica che soggiace alle regole di ogni azione, anche quella di essere esposta al rischio del fallimento.

    L'ARTE DEL DIALOGO E IL SILENZIO Dl BABELE

    Bisogna anche dire che la cultura intesa come sistema possiede al suo interno una varietà di «lingue» e quindi la possibilità di scelta rispetto a diversi modelli di comunicazione; il gesto, l'immagine, la parola - quindi il sistema verbale, iconico, gestuale - possono entrare in interazione. Di fronte alla sensazione di una mancata comprensione si può far fronte utilizzando il sistema gestuale. È il tipico caso riconosciuto all'italiano medio che nelle condizioni di aver a che fare con un interlocutore forestiero sa far fronte alla sua mancata conoscenza della lingua del destinatario cominciando ad agitare le mani e riuscendo tante volte a farsi capire. Quindi la creazione del sistema di intercomprensione entra nel gioco comunicativo; non è qualcosa di predeterminato, può anche dipendere da una sorta di aggiustamento delle componenti dell'atto di comunicazione.
    Ecco quindi che comunicare significa in sostanza essere disposti a comunicare; una cultura si perpetua finché comunica. La cultura non esiste in quanto tale se manca comunicazione.

    Quando si crea incomunicabilità?

    Diventa un problema da valutare con attenzione quello di cui si parlava qualche anno fa, quello della incomunicabilità: è una situazione che si verifica quando sono a confronto valori incompatibili o quando sono a confronto sistemi di trasmissione dell'informazione tra loro non adattati? Certo, quando ogni mutuo sforzo interpretativo viene a mancare, cessa la comunicazione: anche due persone che appartengono alla stessa classe sociale, che hanno avuto la stessa educazione, che hanno avuto esperienze comuni, possono non comunicare, illudendosi di comunicare solamente in quanto c'è stata un'esperienza comune. Essi possono dare per scontato o inutile lo sforzo interpretativo di porsi in linea l'uno con l'altro; manza ad essi quello che - al pari di Lotman - Michail Bachtin aveva indicato circa mezzo secolo fa come «arte del dialogo».

    Il dialogo della cultura al suo interno per definire la sua identità

    C'è un aspetto ancora che vorrei toccare ed è quello di distinguere e di sapere riconoscere all'interno di una cultura i momenti in cui essa descrive se stessa. Ci sono forme comunicative in cui gli attori in gioco non sono dei singoli individui, o parti sociali, o gruppi, ma è la comunità, è la cultura nel suo complesso, è la società che parla a se stessa, che «dialoga» internamente. Queste sono le forme di riflessione di una cultura che «avendo raggiunto una certa maturità strutturale sente la necessità di autodescriversi» (Lotman).
    Ci sono dei momenti, delle fasi dei testi, nella comunicazione di massa soprattutto, in cui possiamo riconoscere che il dialogo tra i personaggi è fittizio: c'è un dialogo tra individui, c'è - non so - una situazione della pubblicità in cui apparentemente un enunciatore parla a un enunciatario - colui al quale si rivolge il suo discorso - ma in realtà chi parla è la cultura, è la società nel suo complesso: ad essa, nel contempo, è indirizzato il discorso. I fenomeni di autodescrizione sono relativi all'identità. La cultura descrive se stessa, ma anche il gruppo descrive se stesso. Ci sono dei momenti in cui, per esempio, il condividere una determinata situazione fa scaturire l'esigenza di descrivere il proprio gruppo, attraverso la descrizione della situazione.
    Parlando, molte volte, si verifica questo fenomeno per cui non si sta parlando di qualche cosa, ma si sta parlando del fatto di «essere insieme a parlare», anche se in realtà l'oggetto del nostro discorso può essere - non so - la partita di calcio, una situazione sentimentale o una difficoltà di lavoro. Sono tutte forme comunicative che partono da un evento apparentemente circoscritto, ma che inevitabilmente portano a una considerazione globale del mondo in cui è attivato quel discorso.

    La memoria modella attivamente i codici linguistici non-univoci

    Ha scritto Lotman che «la memoria non rappresenta una forma di conservazione, quanto piuttosto un meccanismo di modellizzazione attiva e costante, anche se rivolta al passato».
    Questa attività di modellizzazione discende da un gioco di confronto fra i vari mondi individuali. Lo stesso Lotman parla della complessità dei sistemi di comunicazione sociale in un modo che mi sembra assai appropriato rispetto a quello che abbiamo finora trattato: «Se mettiamo uno accanto all'altro, a seconda del loro grado di complessità, i sistemi di comunicazione sociale (dal linguaggio dei cartelli stradali fino alla lingua della poesia), potremo facilmente osservare come l'incremento della non univocità della decodifica non può essere attribuito soltanto a errori tecnici propri di un certo tipo di comunicazione».
    Che cosa significa questo trascolorare e questo accrescimento continuo della non univocità, della polivalenza, della pluralità delle decodifiche? Significa che ci sono due sistemi di comunicazione che sono univoci, come quello dei cartelli stradali che si conoscono o non si conoscono (essi ammettono di essere interpretati in modo ironico; per esempio, il cartello della caduta massi che ci avverte di un probabile evento senza garantirci in alcun modo di poterci sottrarre dalle sue conseguenze; ma questa analisi ironica nasce sempre dalla consapevolezza: non possiamo mai ironizzare su qualcosa che non conosciamo). Si passa da un sistema univoco a sistemi molto complessi, come sono quelli della poesia, che si prestano invece ad essere interpretati in modo diversificato.
    Allora questo accrescimento ermeneutico che danno i codici, a partire dal cartello stradale in cui il livello è zero o molto prossimo allo zero, fino alla poesia o a forme simili di comunicazione, conduce a forme di polifonia.
    La polifonia non è però necessariamente una indeterminatezza, perché c'è un referente concreto che è quella poesia, che è quel testo; ma l'impressione della indeterminatezza nasce proprio da questa polifonia, da questa dialogicità che il testo istituisce nei nostri confronti. Il testo-poesia è strutturalmente disponibile ad istituire questa dialogicità, mentre il testo-cartello stradale non è disponibile, perché il suo sistema è quello di un trasferimento meccanico di informazioni.

    Ogni comportamento nuovo va valutato alla luce di un «progetto» evolutivo

    La lingua storico-naturale muta sotto i nostri occhi senza che noi abbiamo capacità di controllo di questi mutamenti; la lingua muta indipendentemente dalla volontà personale o soggettiva di farla mutare o di non farla mutare.
    Nell'ambito invece di una nuova lingua comportamentale che sta nascendo, non ci si può regolare come di fronte a un uso nuovo della lingua storico-naturale: il comportamento nuovo e diverso può essere valutato nell'ambito della maturazione e del cambiamento del sistema. La «non correttezza» non discende da una applicazione meccanica della regola esistente, ma nasce dal meccanismo di previsione, di progettualità. Quindi non si può valutare la correttezza di un comportamento se manca un progetto o qualunque idea di evoluzione di quello che un comportamento nuovo può provocare. Tutte le volte che si valuta il comportamento giovanile, ciò deve avvenire alla luce di un progetto evolutivo e non solo rispetto a ciò che la cultura ha repertoriato e riconosciuto fino a quel momento.

    Dialogo e monologo della cultura

    Si potrebbe chiudere, almeno questa parte preliminare, sul dialogo e sul monologo. È vero che possiamo distinguere una comunicazione monologica da una comunicazione dialogica; possiamo dire, cioè, che un contesto letterario, una situazione interpersonale di qualunque tipo essa sia, può essere fondato sulla dalogicità o sulla monologicità.
    Dicevo prima delle due persone che credono di parlarsi e che in realtà non si parlano; tante volte si può credere di dialogare, in realtà si è prigionieri di un monologo, cioè all'interno di una monolingua, quella dell'io che parla. Viceversa talvolta si può credere di essere in un pieno monologo, pensate a uno scrittore che prende appunti sulla propria esperienza, pensate alla persona che semplicemente traccia linee sul proprio diario, pensate all'operazione stessa del ricordo e all'operazione della critica di chi si chiede se quello che ha appena fatto è stato corretto o non corretto, adeguato o non adeguato ad un suo progetto. In quel caso siamo di fronte a un dialogo anche se il locutore è uno; siamo di fronte ad un dialogo svolto internamente, per cui il soggetto moltiplica le sue posizioni discorsive.

    Il «dialogo interiore»

    A partire da Platone la ricerca della verità viene fondata sul dialogo. Il filosofo Ernst Cassirer, in una sua comunicazione del 1942 ha confermato nel discorso filosofico una osservazione che si faceva allora in ambito semiologico da parte di Bachtin: quella della cultura che nasce come dialogicità, dell'identità che nasce come dialogo, e che questo dialogo può essere anche un dialogo interiore:
    «Nel parlare e creare forme, i singoli soggetti non solo comunicano ciò che posseggono, ma appunto così ne giungono in possesso.
    In ogni colloquio pieno di vita e di significato questa caratteristica può manifestarsi con chiarezza... "Io" e "tu" si comunicano per domande e risposte, non solo per capirsi l'un l'altro, ma anche ognuno per capire se stesso...
    Il pensiero di un partner trae alimento da quello dell'altro, e in virtù di questa azione reciproca tutti e due si costruiscono... un "mondo comune" di significati... Ogni pensiero deve sostenere la prova del linguaggio... C'è sempre bisogno della duplice via della... scissione e della riunificazione. Questo rapporto "dialettico" può essere colto non solo nel vero e proprio dialogo, ma già nel monologo. Giacché anche il solo pensiero è, come dice Platone, "un dialogo dell'anima con se stessa". Per quanto paradossale possa suonare, si può dire che nel monologo prevalga la funzione della divisione, nel dialogo quella della riunificazione. Il "dialogo dell'anima con se stessa" non è infatti possibile senza che in esso l'anima in qualche modo si divida. Deve assumersi essa il compito di ascoltare, di interrogare, di rispondere... (E, citando Vossler) Il vero portatore e creatore del dialogo è... sempre e soltanto un'unica persona che si distingue in due o più ruoli o sottopersone».

    Il ruolo dei giovani nel sostenere il dialogo dentro la cultura

    Ogni identità riflette su se stessa sotto forma di dialogo e ciò deve valere anche per la cultura considerata come persona. Se non possiamo accettare la conclusione di Cassirer (l'«elemento culturale... consiste nel separare quello che è unito per potere grazie a ciò unire più sicuramente quello che è separato»), perché crediamo che oggi non sia il momento di procedere a sintesi definitive, dobbiamo invece tornare a riflettere sulla necessità della tensione interna ad ogni realtà comunicativa, ad ogni strumento e espressione istituzionale del sapere e dell'educare: i giovani ci parlano di un mondo in cui la sintesi è continuamente rinviata perché il dialogo continui e perché la certezza non sia la misera certezza del monologo, il silenzio di Babele.


    T e r z a
    p a g i n A


    NOVITÀ 2024


    Saper essere
    Competenze trasversali


    L'umano
    nella letteratura


    I sogni dei giovani x
    una Chiesa sinodale


    Strumenti e metodi
    per formare ancora


    Per una
    "buona" politica


    Sport e
    vita cristiana
    rubrica sport


    PROSEGUE DAL 2023


    Assetati d'eterno 
    Nostalgia di Dio e arte


    Abitare la Parola
    Incontrare Gesù


    Dove incontrare
    oggi il Signore


    PG: apprendistato
    alla vita cristiana


    Passeggiate nel
    mondo contemporaneo
     


    NOVITÀ ON LINE


    Di felicità, d'amore,
    di morte e altro
    (Dio compreso)
    Chiara e don Massimo


    Vent'anni di vantaggio
    Universitari in ricerca
    rubrica studio


    Storie di volontari
    A cura del SxS


    Voci dal
    mondo interiore
    A cura dei giovani MGS

    MGS-interiore


    Quello in cui crediamo
    Giovani e ricerca

    Rivista "Testimonianze"


    Universitari in ricerca
    Riflessioni e testimonianze FUCI


    Un "canone" letterario
    per i giovani oggi


    Sguardi in sala
    Tra cinema e teatro

    A cura del CGS


    Recensioni  
    e SEGNALAZIONI

    invetrina2

    Etty Hillesum
    una spiritualità
    per i giovani
     Etty


    Semi e cammini 
    di spiritualità
    Il senso nei frammenti
    spighe


    Ritratti di adolescenti
    A cura del MGS


     

    Main Menu