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    Animazione e realtà sociale ed ecclesiale


     

    (NPG 1981-07-61)


    Introduzione

    Abbiamo collocato la funzione dell'animatore al crocevia di interventi educativi, socializzanti e inculturanti. Essere animatori quindi non significa chiudersi in un gruppo a «guardarsi negli occhi» o fare ricerche di tipo culturale. Fa parte della funzione dell'animatore aprire il gruppo e ogni singola persona alla realtà sociale e ecclesiale. Il controllo dei processi formativi, cui un adolescente è stimolato, non può essere attuato senza una partecipazione alla vita pubblica, senza rompere il dolce accerchiamento degli amici, senza sperimentare con loro di essere significativi e propositivi nella realtà sociale ed ecclesiale.
    Non occorreva alcuni anni fa fare questo discorso: impegnarsi in politica era sbocco naturale di ogni gruppo, la capacità di fare il leader politico era quella più richiesta per l'animatore. Oggi, invece, bisogna educare pressantemente alla vita sociale, con progetti, passi calcolati, tappe collegate. Se non è più spontaneo sentirsi e vivere da cittadini del mondo, deve essere scopo dell'animatore condurre a questa apertura. Nel campo della fede il discorso è altrettanto urgente perché non si dà fede se non in una comunità. Si parte allora da una definizione di politica un po' più vivibile ai nostri giorni, la si collega al desiderio di una nuova qualità della vita. Si giunge così a studiare qualche strategia educativa. Lo stesso discorso va fatto per la comunità ecclesiale. Si educano gli adolescenti a una seria appartenenza alla chiesa se si imposta un modo ecclesiale di vivere in gruppo. Del resto l'animatore stesso deve sentirsi in una società e in una chiesa, altrimenti non si può esprimere da vero animatore.


    Animazione e realtà sociali

    Bastano alcune testimonianze per registrare disaffezione al politico.

    Non mitizziamo il '68

    Per quel che ne so la percentuale dei giovani realmente impegnata nel '68 fu molto bassa. Per molti fu un fuoco di paglia, per molti fu semplicemente un momento di approfondimento dei rapporti di amicizia. Non c'è dubbio comunque che molti giovani sono apatici e fanno scelte conformiste o anticonformiste, in ogni caso di evasione dal politico. Di gente che vuol cambiare tuttavia ce n'è ancora, anche se si dà da fare forse troppo a livello teorico. (Chiara Novak, Palazzolo-BS).

    Si vive in modo pericolosamente irrazionale e nichilista

    Effettivamente si registra, soprattutto nei giovani, una preoccupante disaffezione verso il politico ed i partiti. L'utopia è caduta, così come sono caduti tutti i miti su cui si reggeva: rivoluzione proletaria, maoismo, castrismo, lotta di classe o di liberazione, marxismo, leninismo, ecc. Ci si rifugia nel privato inteso spesso in senso individualistico ed egoistico. Ritorna di moda il mondo dell'occulto, dei maghi, degli stregoni, dei medium, del diavolo. Proliferano le sette religiose. L'uomo si sente instabile, insicuro, indifeso; nessuno! Vive alla giornata senza mete né idee; in modo pericolosamente irrazionale, capace persino di accettare acriticamente l'idea di un genocidio di massa, cioè di un nichilismo come pratica di vita.
    A questo punto rivolgo io una domanda: che cosa dovrebbe fare la chiesa per questa difficile situazione di smarrimento? (Fernando Perrone, Bologna).

    Prevale la microrealizzazione e la piccola iniziativa

    Secondo me siamo in un momento di riflusso verso il privato e di ricerca dell'interiorità; esiste certamente una buona percentuale di giovani che con la caduta della utopia ha trovato rifugio nel piccolo cabotaggio quotidiano senza meta; ma è anche vero che un numero notevole di giovani si è stufata di scendere in piazza a gridare i propri diritti e le proprie rivendicazioni senza che queste vengano minimamente prese in considerazione. Si ricerca allora il piccolo impegno quotidiano nella società, la microrealizzazione, la piccola iniziativa, indubbiamente più fruttuosa delle adunate di massa per rivendicazioni fin troppo ardite per i tempi. (Francesco Nesci, Vibo Marina-CZ).

    La politica: l'insieme delle scelte della vita quotidiana

    Riguardo a questo problema gli adolescenti non stanno né peggio né meglio, hanno un altro modo di confrontarsi.
    Il mondo dei partiti e dei movimenti è stato una forte centrale educativa della prima parte degli anni '70. Assemblee, dibattiti, fede e impegno politico, allargamento della propria visione del mondo, messianismo ideologico erano i connotati di un comune modo di pensare. Oggi non si tratta di riflusso ma di dare lo stesso valore anche alla dimensione umana. Si scopre che un atto di amore ha lo stesso valore rivoluzionario di una scesa in piazza. Tutto questo forse è l'eredità dell'esperienza che molti hanno fatto di una politica e di una ideologia che non pagano. È politico il personale, e c'è un modo di affrontare i propri problemi personali che è politico. I fatti privati vanno affrontati in pubblico. La nuova domanda che emerge è domanda di comunicazione. È più aggregante l'essere insieme per darsi la mano che per ascoltare un leader. A questo riguardo non serve più l'appello all'impegno. E messa in discussione la stessa categoria dell'impegno. Richiamarsi ad essa accelera il processo di fuga.
    Nello stesso tempo è cambiata anche la politica. Il linguaggio è cultura e se non è qualificato disgrega. Gli adolescenti di oggi credono solo in quello che toccano, perché quello che gli altri credevano senza toccare è caduto come ramo secco. La speranza è stata illusione. Da qui un ritorno alla politica corporativa, fissata sul campo visivo dei propri interessi immediati.
    La loro politica non è più partito e sindacato, sciopero e corteo, ma l'insieme delle scelte della vita quotidiana.


    Verso una definizione nuova e praticabile di politica

    Per ricostruire un'attenzione proviamo a ridefinire politica e a ricercare modi praticabili di viverla: ne deriverà anche un imperativo tipico della fede.

    La parola «politica» è tra i termini più equivoci per la grossa evoluzione che ha subito in questi anni. Per fondare un impegno politico dobbiamo chiarire i termini e i contenuti.

    Posizione tradizionale

    La posizione culturale più diffusa è quella che divide tra socialità e politica e quindi tra impegno sociale e politico:
    - impegno sociale è l'intervento nei vari settori della vita o delle condizioni sociali, per contribuire a superare le situazioni sbagliate di ingiustizia e di oppressione a livello dei bisogni elementari (vitto, alloggio, salute...), sul piano dell'educazione e formazione tecnico-professionale, a livello promozionale (recupero degli handicappati e emarginati...);
    - la politica è l'azione umana consapevole e organizzata per la cura degli interessi collettivi della società, la creazione di organi necessari allo scopo, per fare leggi adeguate.
    Dimensione caratterizzante è l'«esercizio del potere». La politica si fa gestendo il potere, elaborando strategie per raggiungerlo, facendo pressione su chi detiene questo potere. È il campo specifico dei movimenti e dei partiti: in questa visione politica-militanza nei partiti. In una simile concezione l'attività educativa di una associazione o istituzione ecclesiale punta soprattutto all'impegno sociale, per l'impegno politico è bene evitare coinvolgimenti diretti. Se si tratta di giovani ancor di più per la loro immaturità culturale e operativa. In campo pastorale la distinzione è importante. La fede cristiana ha una risonanza sociale, evita invece ogni coinvolgimento direttamente politico-partitico.

    Posizione nuova

    Nelle esperienze di impegno nel campo sociale e politico fatte in diverse forme in questi anni ci si è accorti molto bene che ogni azione per la promozione della giustizia, ogni intervento di tipo sociale, la creazione di nuove condizioni di vita, devono fare i conti necessariamente con il potere.
    Tu puoi fare tutte le iniziative umanitarie e sociali, ma se non arrivi a toccare il potere...
    Ora il potere è appannaggio delle istitutzioni ufficiali, dei partiti. Di fronte a questi come comunità cristiana ci si ritira, l'unico intervento è l'esercizio della delega, del voto, che poi viene usato in quel modo che tutti conosciamo.
    Anche da queste percezioni ed esperienze nasce il nuovo concetto di politica e quindi di impegno politico.
    1. Fare politica significa partecipare direttamente al potere a livello di società prima ancora che di stato.
    L'impegno politico è finalizzato al bene comune (GS 74), a creare condizioni oggettive per l'autorealizzazione di ogni uomo. Quindi è necessario partecipare. Senza partecipazione non si può raggiungere un reale ed oggettivo «bene comune». Si fanno solo gli interessi di parte. Alla radice di questa concezione c'e un'immagine di uomo che contesta la distinzione in categorie e classi, che vede come ingiuste le divisioni e le stratificazioni.
    Tutti devono avere uguali diritti e doveri. Per potere, qui si intende non solo quello cosiddetto politico in senso proprio, conquistato, distribuito, promosso ed esercitato dalle istituzioni ufficiali, ma tante altre forme: potere economico - potere dei produttori - consumatori - potere degli operai - potere culturale e dei mass-media - potere dei gruppi di pressione, delle istituzioni professionali, culturali, sociali, religiose.
    Queste forme hanno un peso politico notevole, anche se non appartengono strettamente alle strutture politiche. L'ambito di azione di queste è la comunità umana. In questo senso l'aspetto politico-partitico è un'espressione (non l'unica, né la più piena) della gestione-partecipazione al potere sociale. In questa definizione di politica l'elemento qualificante non è più la conquista e l'esercizio del potere politico (che compete ai partiti per delega), ma il diritto-dovere di tutti alla partecipazione, come gestione in prima persona del livello di potere che compete a ciascuno. Oggi noi dobbiamo fare i conti ancora con i partiti anche per questo, perché monopolizzano tutto. Bisogna allora inventare e procurarsi nuovi spazi partecipativi, nuovi spazi di protagonismo.
    2. Fare politica significa esercitare il diritto-dovere di controllo degli apparati organizzativi dello stato. Questa è una conseguenza. Se l'organizzazione dello stato compete ai cittadini, ma vi deve essere una delega ai partiti perché non si può sempre agire in prima persona, resta però il diritto e dovere di controllo. Essere consapevoli di questo è molto importante soprattutto a livello educativo.
    3. Fare politica significa creare un consenso comune per operare scelte politiche. Occorre allora mettere in atto gli strumenti per creare il consenso non nella retorica o nella mistificazione, ma nel confronto e nell'informazione. Per controllare e creare un consenso non mistificato occorre una larga partecipazione alle informazioni. Il rapporto tra potere e informazione è molto stretto.
    Le informazioni determinano il potere quando sono concentrate in un gruppo ristretto, quando a qualche gruppo compete la possibilità di manipolarle. È condizione fondamentale al consenso la condivisione in uguale misura della informazioni relative a ciò su cui si intende consentire.
    4. Fare politica significa conoscere correttamente la situazione in termini concreti, utilizzando chiavi di lettura capaci di mettere in chiaro i diversi meccanismi di oppressione e le interdipendenze tra i fatti.
    5. Fare politica significa richiamare un quadro di valori su cui si orienta una mobilitazione generale. Il quadro di valori è questo: creare condizioni che rendano possibile a tutti l'autorealizzazione del proprio destino, in una prospettiva di bene comune. Su questo si è tutti d'accordo ma la concretizzazione dipende dalla concezione di uomo e di società.
    Le due posizioni, nuova e tradizionale, si possono mettere a confronto, hanno molte cose in comune, ma molte sono diverse. Per impegno politico noi intendiamo riferirci alla posizione nuova. Attività politica significa questo complesso di prassi.


    Nuova qualità della vita

    A questa concezione più ampia della politica si è arrivati anche spinti da richieste diverse, da trasformazioni profonde nel modo di pensare la propria esistenza (GS 73), dalla stessa crisi del mondo produttivo.

    Punti qualificanti

    Punti qualificanti di questa nuova qualità della vita sono:
    - Esigenza di accedere a un diverso significato della vita. Le ideologie presenti sul mercato non appagano.
    - Riscoperta della dimensione del «personale» inteso come valore capace, da una parte di superare le contraddizioni di un «privato» vissuto come esperienza strettamente individualizzata, e dall'altra di evitare la dispersione di un «pubblico» identificato in maniera riduttiva con una militanza politica ideologizzata.
    - Ricerca di nuovi valori con la caratteristica della gratuità, della spontaneità, del gioco, dell'irrazionale contro la mercificazione di tutti i rapporti personali.
    - Educazione nuova che punta sui valori, li traduce in fini e per questi si trasforma in strategia.
    - Superamento di una concezione capitalista o socialista così come la si è esperimentata oggi: crollo del mito americano e della sinistra come ultima spiaggia di un profetismo politico.
    - Costruzione e approfondimento dei valori o nuovi o tipici di una cultura.
    - Nuovo modello di sviluppo economico.
    È difficile chiarire bene qual è questa nuova qualità della vita che potrebbe diventare un altro paradiso sia perché è uno slogan spesso detto e non motivato, sia perché soprattutto è frutto di una ricerca costante che sbocca in un progetto.

    Il ruolo creativo della fede

    La cosa più importante è che questo progetto non è ben definito e quindi la sua attuazione non è questione solo di tempo. Il progetto di nuova qualità della vita è invece incompiuto e il tempo di attuazione è aperto.
    È aperto a contenuti nuovi e a strumenti nuovi.
    Lo spazio è drammaticamente libero. Allora una fede vissuta come riscoperta di Cristo e dell'uomo può, in quanto tale, per la tensione creatrice (e non solo moralizzatrice) che introduce, contribuire a colmare gli spazi aperti, a spostare di continuo i confini del progetto stesso, i confini dell'uomo in questo progetto, rimettendone in questione continuamente le versioni riduttive e totalizzanti.
    In questo modo quella della fede non è una presenza facilmente strumentalizzabile o comoda per chicchessia (GS 41). È la natura stessa del progetto politico che esige oggi la presenza della fede, non come spazio da rivendicare, ma come servizio da dare (GS 85).
    Se questo è il nuovo concetto di politica, esistono parecchie possibilità di intervento da parte di un giovane o di un animatore che vive intensamente la sua fede.

    Educare è fare politica

    Intanto essere educatori è impegno politico.
    Il servizio educativo è un servizio alla comunità cristiana e alla comunità civile. Questo va ritenuto a scanso di sentimenti di colpa o di sensazioni di inutilità o crollo di ideali. Forse bisognerà tener presente meglio il quadro in cui è inserito questo lavoro, il futuro delle persone cui si fa il servizio educativo.
    È questione di atteggiamento diverso nel vivere questa vocazione più che di altre cose da fare. Esiste infatti sempre il grosso problema del tempo. Per fortuna gli atteggiamenti e le prospettive di un intervento educativo non si calcolano a ore. È utile che l'educatore si domandi spesso: per quale mondo sto lavorando? che tipo di uomo aiuto a crescere?
    Bisogna ritrovare perciò il politico e il riferimento ai partiti dall'interno di quello che si vive.
    - Oggi esiste una discreta attenzione verso il culturale (feste, cineforum, teatro, aggregazioni...).
    Coltivare il culturale è importante per la politica di cui si diceva.
    - Bisogna trovarsi spazi dove costruirsi opinioni concrete, conoscenze precise perché la partecipazione oggi esige un'alta specializzazione.
    - Occorre uscire dalla marginalità giovanile cercando collegamenti nella stessa azione educativa con tutta la comunità sia cristiana che civile.


    Le prospettive educative

    Dalla definizione si passa all'azione.
    Se è diverso il modo di fare politica devono essere adatte anche le prospettive educative, diversi gli approcci, le analisi, più ampio il campo che una volta si chiamava prepolitico.

    Il «rivendicativo» come approccio alla politica e ai partiti

    La maturazione politica dei giovani del '68 aveva seguito un tracciato che dal generale andava al particolare: il concreto politico era sempre espressione di una grossa elaborazione teorica e ogni gesto veniva collocato in un quadro collettivo e di movimento. L'attenzione al politico faceva passare in secondo piano altri problemi, come quelli individuali o di piccolo gruppo, i quali venivano in qualche modo sacrificati al «pubblico».
    Oggi l'interesse per il generale sul piano teorico e su quello operativo è molto minore. Diventa difficile mobilitare per delle battaglie di principio o per dei grossi obiettivi. Prevale invece un atteggiamento rivendicativo, quasi corporativo, e di utilitarismo spicciolo.
    Con questi giovani ci sembra ipotizzabile una maturazione politica diversa da quella dei giovani del '68. Il punto di partenza più convincente ci sembra non più la teoria politica o la «teoria dell'impegno», ma i bisogni dei giovani presi allo stato grezzo: i problemi della scuola dove troppe cose non funzionano, i problemi degli spazi di aggregazione, il problema di una presenza riconosciuta del gruppo giovanile nella istituzione ecclesiale... Occorre aiutarli a prendere coscienza di ciò che li riguarda immediatamente, di prima persona e a far risuonare la consapevolezza personale in modo che diventi collettiva. A partire da questo è possibile individuare con loro dei piccoli obiettivi, il cui raggiungimento rinforza il collettivo e la coscienza di poter «realizzare». Toccherà alla riflessione su queste iniziative far in seguito maturare un senso politico sempre più esplicito e condiviso.

    Favorire aggregazioni di tipo culturale

    Tra le cause dello strapotere dei partiti va ricordato ancora una volta il fatto che essi agiscono in un deserto, in una società disorganizzata dove mancano, ai vari livelli, aggregazioni in cui si faccia cultura, si elaborino delle controproposte politiche e si verifichi continuamente l'operato della classe politica.
    Urge sempre più una riflessione che nasca dalle esperienze di base e dallo sforzo di teorizzare e utilizzare i suoi insegnamenti, per superare l'attuale incertezza e ridare alla società una carica di fiducia ed una nuova spinta utopica.
    L'urgenza di queste aggregazioni è oggi accentuata dalla crescente crisi di legittimazione, che non investe più la società per qualche sua carenza, ma per il modello di sviluppo che per anni ne ha guidato la crescita.
    Le comunità ecclesiali, in quanto aggregazioni sul territorio, non possono sottrarsi a questa esigenza di crescita civile e culturale. Non tutti i segnali che giungono sono a riguardo confortanti, come già si sottolineava parlando della tendenza in atto da più parti a chiudersi nel formalmente religioso e a limitarsi ad una vita ecclesiale che rassicuri soltanto.
    Perché i gruppi giovanili si aprano a queste tematiche, non basta evidentemente fare una «teoria della cultura», così come non bastava fare una teoria dell'impegno. La nuova cultura, per quel che riguarda i giovani, nasce dalla esperienza di ricerca faticosa di spazi di aggregazione, nella elaborazione di una strategia per la soluzione dei problemi immediati in cui si dibattono e di quelli a respiro sempre più grande nella scuola e nel quartiere, nel trovare delle risposte soddisfacenti al bisogno di festa e di spettacolo (dal cineforum al teatro e alla musica).
    Se il gruppo farà cultura in questa direzione, farà anche una reale esperienza politica, perché dovrà in qualche modo entrare in contatto con le forze presenti nella zona in cui il gruppo vive. Si creeranno dei canali di comunicazione e degli spazi di verifica non solo sull'immediato ma anche sulle impostazioni di fondo. Emergerà, ad esempio, la complessità del politico che richiede informazione, competenza, passione, pratica vissuta di prima persona. Il gruppo giovanile può allora assolvere il suo compito di educazione politica se diventa momento di informazione e di sensibilizzazione, se nella zona in cui vive «fa opinione», prende posizione sui problemi, crea spazi e tempi in cui riflettere sulla sua esperienza di base per evidenziare il contenuto politico e in cui studiare e qualificarsi per dialogare con i partiti e le altre forze con un minimo di competenza.

    Educare all'analisi, alla decisione, al controllo, alla gestione del cambio

    Uno dei limiti della educazione politica in ambito cattolico è che si procede, quando si fa riferimento alla realtà, con schemi e categorie di volta in volta moralistiche, utopiste, generiche, ridotte ad una lettura «religiosa».
    L'abitudine a questo tipo di analisi compromette la possibilità di apertura al politico e di fatto inibisce l'inserimento dei giovani dei gruppi ecclesiali nel vivo dei discorsi appena si esce dalle teorie politiche. C'è dunque un grosso cammino da percorrere verso analisi accettabili sul piano culturale e politico. Lo stesso si deve dire della educazione alla decisione. Certi gruppi funzionano perché, pur senza delega ufficiale, tutto vien deciso e organizzato da una minoranza, quando non da un solo animatore.

    Educazione alla decisione
    I giovani vengono così abituati a consumare passivamente dei servizi, senza di fatto decidere se consumarli e senza interrogarsi se non sarebbe preferibile chiederne degli altri. Non occorre ricordare che l'educazione alla decisione e alla responsabilità non può essere calcolata sulla quantità di servizi che un centro eroga per i
    giovani. Occorre del resto tener conto del fatto che gli adolescenti sono pronti a sacrificare, entro certi limiti si intende, il loro rifiuto della «delega», pur di avere a disposizione un ambiente in cui ritrovarsi, stare insieme e superare quel senso di incertezza e di solitudine che avvince molti di loro.

    Educazione al controllo
    Alla educazione alla decisione viene ad aggiungersi l'educazione al controllo, che sta oggi diventando una delle forme più significative di partecipazione.
    Non basta analizzare, decidere e programmare; occorre verificare i risultati sia delle iniziative promosse dal gruppo che di quelle ecclesiali e sociali in cui il gruppo è direttamente coinvolto.
    L'abitudine al controllo non è facile per i giovani; man mano che il tempo procede l'interesse per la verifica diminuisce e si spegne. Esercitare il controllo richiede infatti assunzione di sempre nuove informazioni, resistenza alla usura dell'interesse emotivo per i problemi, contatto con esperti, progressiva qualificazione personale e di gruppo nel campo (sanitario, assistenziale, ecologico) che si è scelto come spazio di iniziativa politica.

    Educazione alla «gestione del cambio»
    Infine l'educazione a ciò che si potrebbe chiamare l'educazione alla «gestione del cambio». Spieghiamo. Essere politicamente «capace» vuol dire essere lucido nel comprendere e controllare, dal proprio punto di vista, il cammino che porta alle decisioni politiche e alla realizzazione delle decisioni approvate. Le scelte politiche, sia a livello di orientamenti di fondo che nella loro traduzione in iniziative concrete, sono sempre un «compromesso» tra forze nell'ambito del pluralismo culturale e politico.
    Compromesso, in questo senso, è il lungo cammino che porta queste forze che partono da punti di vista diversi, a trovare, con tenacia, una posizione nuova, accettabile da tutte o quasi le parti.
    L'arte di comporre le forze non sembra molto accentuata, nonostante il proclamato dialogo, in campo ecclesiale. Forse perché si è troppo abituati a fare discorsi sui principi, il dialogo concreto è tutt'altro che facile. Prevale, da una parte e dall'altra (basta pensare a certe battaglie tra giovani e istituzioni ecclesiali), una rigida fedeltà ai principi e valori astratti. Ed è sui principi che spesso si finisce per rimanere bloccati. Le decisioni concrete sono invece poco negoziate, troppo poco sofferte. Prevalgono maggioranze o minoranze che non si lasciano interrogare dalle proposte della controparte. Viceversa gli esclusi, specie se giovani, preferiscono i gesti di rottura, invece che impegnarsi con intelligenza e pazienza per far accettare il loro contributo alle decisioni e alle iniziative.
    La mancanza di una dialettica e di una «pratica politica» all'interno dei gruppi e comunità ecclesiali rende particolarmente fragili i giovani dei gruppi cattolici che intendono muoversi nel territorio ed entrare in contatto con le varie organizzazioni politiche. Manca loro elasticità, senso dell'adattamento, realismo, ma anche fantasia e costanza nel perseguire gli obiettivi. Il principio del «tutto o niente» rende spesso sterile il loro impegno ed emargina le loro proposte.

    Educare al politico attraverso il «prepolitico»

    La dilatazione in atto nella politica ed il moltiplicarsi di iniziative nel campo più strettamente civile permette oggi di fare spazio, per una crescita politica dei giovani, ad esigenze e attività che in questi anni erano state svalutate dalla identificazione troppo stretta tra fare politica e militanza attiva. La trasformazione sociale, obiettivo della «politica», appare sempre più come frutto della trasformazione delle diverse aree e momenti della vita umana. Sempre più si è consapevoli del ruolo politico che vengono ad avere, oltre al cambio delle strutture economico-sociali, il consolidamento di valori personali autentici, sia come coppia che come gruppo, e la creazione di spazi in cui si fa della cultura e si tentano nuove esperienze che rimettano in discussione gli schemi attuali delle strutture sociali.
    In questa prospettiva sono da rivalutare le proposte tese a favorire una aggregazione giovanile in cui sia possibile «stare insieme», avere rapporti personali accettabili, fare festa, confrontarsi, progettare attività di minima, e così via. E sono da rivalutare le iniziative tese a «fare cultura», come potrebbero essere il cineforum, il teatro, lo spettacolo musicale, le tavole rotonde e i dibattiti su temi di interesse giovanile. Sempre in questa direzione vanno anche recuperati e valorizzati alcuni spazi di intervento che la mentalità del '68 aveva spesso svalutato, nell'ambito del sociale e del civile.

    Il volontariato
    Ricordiamo, ad esempio, il servizio di volontariato agli emarginati e agli anziani, la solidarietà con i poveri, le iniziative per il terzo mondo, l'impegno dentro le istituzioni ecclesiali nell'educazione dei ragazzi e nell'animazione dei giovani.
    Nel «prepolitico» si gioca anche l'educazione al superamento dell'idealismo e dell'utopismo adolescenziale che tendono a ridurre la politica a «portare avanti il discorso», inibendo di fatto il circuito tra riflessione e azione, tra politico e personale (in cui spesso non si esce dagli schemi del consumismo), tra la proclamata necessità di cambi e la riottosità a darsi da fare «dentro» le istituzioni.
    Il gruppo pone le basi per una adeguata crescita nel politico se tutta la sua vita è organizzata in modo che la spinta alla crescita non nasca dalle parole (senza svalutare tuttavia la funzione della trasmissione di contenuti validi), ma dalle cose che si vivono giorno per giorno. Così, ad esempio, il valore positivo e il limite della istituzione viene appreso vivendoci dentro in modo critico, senza tirarsi indietro e prendendo successivamente contatto in prima persona sia con il fatto che essa favorisce l'organizzazione e la utilizzazione delle enrgie dei singoli e dei gruppi sostenendoli fra l'altro, nei momenti di stanchezza e confusione, sia con il fatto che essa tende a stabilizzarsi e a resistere progressivamente ad ogni appello al cambio.

    La partecipazione al centro giovanile
    Allo stesso modo la conduzione partecipata del centro giovanile, in cui cioè le decisioni vengono prese insieme e le attività svolte dando ad ognuno delle responsabilità concrete in cui giocare la sua coerenza e sviluppare le sue capacità, permetterà ai giovani di fare una prima esperienza politica, dovendo gestire non delle attività fittizie ed inutili ma delle iniziative rilevanti come la programmazione di un centro giovanile, la gestione di una serie di cineforum, l'organizzazione di attività sportive e ricreative, il confronto con le forze politiche nella zona e nella città per chiedere permessi, spazi di incontro, momenti di confronto, e così via. Un serio tirocinio in questi campi finirà per abilitare i giovani al senso delle istituzioni, ad agire come «collettivo», ad acquisire una mentalità politica costruita su una effettiva pratica politica.

    Rispettare i tempi e i ritmi giovanili

    Le annotazioni sviluppate fino a questo punto, non hanno voluto essere né eccessivamente pessimiste né ingenuamente ottimiste sul conto dei giovani e della loro disponibilità alla politica. Abbiamo parlato di crisi di partecipazione e del rischio di sfaldamento della stessa identità giovanile. Ma ci siamo anche sforzati di intravedere ciò che di «nuovo» emerge nel mondo giovanile, come la ricerca di un modo alternativo di entrare in contatto con la realtà sociale e la apertura a valutare in termini politici la vita nella sua quotidianità. Nulla più che dei germi, facilmente soffocabili e spesso soffocati. Come educatori crediamo nel «nuovo» giovanile, i ma soprattutto nel dovere di assumere questo nuovo e lavorare per consolidarlo, alimentando in essi non solo una sensibilità politica e un bisogno di «fare», ma anche e soprattutto un bisogno di identità, la voglia di darsi un volto e di costruirsi un progetto di vita in cui anche il fare politica ed il militare in un partito possano avere senso.
    L'attenzione non potrà volgersi allora allo sviluppo unilaterale dell'impegno politico, ma alla crescita globale della persona. La maturazione politica è tale quando non è frutto di una polarizzazione, ma dimensione di tutta la crescita.
    Un'ultima osservazione, quasi una conclusione, a favore del rispetto positivo della progressività e della gradualità delle tappe di crescita politica e della pluralità dei modi con cui fare politica nel quartiere, nei partiti, nei sindacati, nelle varie organizzazioni sociali. In questi anni non sono pochi i giovani che si sono bruciati sulla intuizione che il politico è la dimensione portante dell'esistere. Per molti l'esperienza si è risolta nella crisi della fede. Per altri nella nausea e nella fuga da tutto ciò che sapeva di politico. È proprio questa fuga a cui si è assistito in questi ultimi tempi a riproporre in termini nuovi il bisogno di dosare con accortezza ricerca di identità e iniziativa concreta, attività nel sociale e nel prepolitico e primi passi nel politico in senso più ristretto, educazione a fare politica e inserimento nei partiti, presenza nei partiti e consolidamento del riferimento ecclesiale.

    Animazione e realtà ecclesiale

    Un animatore che lavora in un gruppo inserito in una istituzione ecclesiale non può non sentirsi in maniera viva e concreta dentro la Chiesa e non può non aprire il gruppo all'esperienza di Chiesa.
    Questo non significa solo e soprattutto fare qualcosa all'esterno, ma vivere in un certo modo l'esperienza di gruppo.
    Ne possiamo vedere alcuni criteri che si traducono in tappe educative.

    Socializzazione e amicizia

    È avere con tutti rapporti di amicizia fraterna. Questo avviene se si educa ad accettare un modo di pensare e di fare diverso dal proprio, se ci si rende disponibili a mettere in discussione le proprie idee personali, se ci si apre ad accogliere le varie esperienze, se si rompe l'isolamento consolatorio in cui l'adolescente spesso si pone. Avere amici ed essere amici è una delle prime esigenze dell'adolescente e deve essere la prima preoccupazione di un animatore di gruppo.
    Se un gruppo è animato dall'amicizia, negli appartenenti si sviluppano progressivamente esperienze che sono tipiche di una comunità di salvezza: la solidarietà dei destini, l'unità nei valori comuni, il raccogliersi attorno a una guida, l'avere la stessa storia, con stesse gioie e dolori, il camminare insieme verso una meta, il fare insieme dei gesti significativi. Chi esperi-menta che cosa vuol dire far parte di un gruppo di amici, capisce che cosa è essere parte del Popolo di Dio.

    A ciò servono le revisioni delle attività, i lavori in comune, gli spazi di discussione e di confronto, non solo con chi appartiene al gruppo, ma con chiunque, con altri gruppi, con tutte le componenti del proprio ambiente sociale.
    La socializzazione interna non si fa senza una socializzazione esterna. Importante allora abituare i gruppi a una esperienza interparrocchiale, con incontri con coetanei di altri paesi. L'esperienza di Chiesa passa nella fraternità del gruppo, ma anche nel sentirsi parte di una più vasta comunità di credenti.
    Qualche incontro di questo genere, come punto di arrivo di un cammino aiuta a cogliere la dimensione pubblica della propria fede, importante per cogliersi come Popolo di Dio.

    Purtroppo il gruppo, se spesso riesce a vincere l'isolamento di una persona, molte volte allarga solo i confini di questo isolamento. Una socializzazione di tipo intimista non costruisce la Chiesa, ma un club.

    Personalizzazione

    L'adolescente per divenire capace di evangelizzazione richiede di essere il soggetto della propria crescita. 16 allergico ad ogni pressione autoritaria o manipolazione, tanto che spesso ricerca con passione anche istintiva e mal orientata la propria autenticità di uomo e di donna. Il gruppo per lui è proprio l'alternativa alla massificazione, all'educazione autoritaria, un mezzo di confronto e sicurezza, un luogo di scelta dei valori e dei comportamenti sociali che corrispondono al suo divenire personale.
    Nella Chiesa si fa esperienza di essere popolo solo se si fa un cammino di crescita personale, se si mette alla portata del soggetto una esperienza dove una persona possa toccare con mano il segno comunitario del Popolo di Dio, se la fede entra in dialogo con la struttura umana della personalità.
    Il gruppo non è l'edizione riveduta e peggiorata delle vecchie adunanze o il luogo in cui al massimo dopo una relazione si possono fare alcune domande di chiarimento. Si deve partire sempre dalla vita delle persone, rispettare il cammino di crescita di ciascuno, tenere il passo delle loro esigenze. L'efficienza e la produttività del gruppo è di gran lunga secondaria ed è sempre subordinata alla maturazione delle persone; non si può fare ad ogni costo usando le persone come oggetti.

    Sono da valorizzare quindi tutti quegli strumenti, quelle tecniche e quelle esperienze che danno spazio alla persona:
    - tecniche di ogni tipo per dialogare e liberarsi: dalla discussione al disegno, al fotolinguaggio, alla drammatizzazione,
    - spazi abbondanti per il dialogo tra le persone,
    - assunzione di responsabilità precise in attività pratiche,
    - momenti di revisione,
    - ricerca del proprio ruolo e della propria vocazione.

    Questo permette di esperimentare la scelta che Cristo fa personalmente di ciascuno, aiuta a superare la mancanza di responsabilità nella Chiesa, che è vista come la barca di tutti, ma di nessuno in particolare. Permette di acquisire e inventare il proprio ruolo e maturare una scelta cosciente.
    I gruppi adolescenti di stampo educativo hanno sempre premesso il personale al politico, solo che non siamo stati capaci di tradurlo in termini culturali e quindi propositivi all'interno delle realtà sociali.

    Interiorizzazione

    Il gruppo aiuta a porre domande di senso che vanno calate su tutti i fatti della vita. Dà spazio a tutti i perché, per unificare nell'intimo del proprio io le varie esigenze e aspirazioni, le esperienze e l'incontro con lo Spirito. Dopo alcune attività nasce il problema: tutto questo perché? Questa domanda qualcuno se la pone, perché il gruppo prima o poi si dà un volto pubblico, tale volto implica convinzione da parte di chi vi è dentro e la convinzione a questa età esige radici profonde.
    un momento delicato perché qui si giocano le motivazioni religiose, qui si arriva a puntare su Cristo, ad attribuire significato ai valori che formano il tessuto dell'esperienza umana dei giovani.

    A questo servono:
    - momenti forti di esperienza di fede: giornate, ritiri, incontri con modelli significativi, celebrazioni liturgiche,
    - dialoghi a tu per tu con l'animatore o il prete,
    - confronto tra i vari modelli di vita.

    Ascolto

    Stare con gli altri è allenarsi a recepire. La parola o la comunicazione è uno degli strumenti e contenuti più importanti della vita di gruppo. La comunicazione rende tristi o felici. Ognuno diventa una parola per l'altro. Qualcuno non sente una parola da nessuno. Spesso anche nel gruppo c'è inquinamento di parole, si è in tanti e ci si sente immersi in un fragoroso silenzio.
    Non si fa Chiesa senza ascolto: ascolto del mondo, della vita, delle esigenze altrui, di Cristo, della sua parola.
    Questo ascolto è sperimentare che tutto non comincia con me, ma che ci sentiamo donati, è trasferire al di fuori di noi la consistenza di una proposta che ci salva, quindi di quella autorità di Cristo e della Chiesa che è servizio di salvezza.
    Il «chi sono io per te», così importante per la ricerca della propria identità, trova risposta nell'ascolto. Il primo punto di riferimento, la prima autorità nella Chiesa non è il parroco o il prete, ma Cristo. A queste condizioni si può cogliere come significativo il ruolo del vescovo, del prete e in genere dell'autorità della Chiesa. Disponibilità ad ascoltare è già riconoscere un riferimento e una possibile modifica dei miei atteggiamenti.

    Esperienze utili:
    - ascolto della natura, del proprio corpo, dei rumori, del silenzio,
    - momenti di deserto,
    - ascolto della parola di Dio,
    - partecipazione di tutto il gruppo al consiglio pastorale,
    - rapporto diretto con responsabili della Chiesa.

    Celebrazione

    È l'esperienza di gruppo che avvicina di più all'idea comune che ci si fa della Chiesa. Per molti parlare di Chiesa significa pensare al culto, a delle funzioni liturgiche.
    Oggi i gruppi si sono appropriati del concetto di celebrazione. Non è più un rito magico, una azione lontana, ma il punto di arrivo di una esperienza gioiosa o dolorosa, la partenza per una ripresa, la riconferma di una decisione.
    Il concetto di festa e non di divertimento è facilmente compreso e vissuto.
    Nel celebrare ed esprimere la gioia è sufficientemente vicino alla vita il passaggio a Qualcuno da ringraziare, nel constatare fallimenti, in una seria revisione dei rapporti di gruppo è naturale chiedersi perdono e scorgere Qualcuno cui chiederlo. Sono già in germe e, quel che più conta a questa età, significativi i gesti sacramentali, al punto tale che spesso vengono falsati se non entrano a far parte di una proposta educativa.
    Questo significa che l'Eucaristia non è un happening, ma un corpo donato e spezzato; un fatto della Chiesa, una comunione con tutti, più vasta di quella del gruppo; che gradatamente bisogna aiutare a vivere l'Eucaristia nella comunità più vasta, la riconciliazione nel peccato del mondo, la preghiera in un radunarsi non di anonimi battezzati, ma di un popolo coscientemente unito in una omogeneità di intenti, di destini, come fratelli di una stessa famiglia.

    Iniziative pratiche:
    - celebrazioni nel gruppo con i genitori,
    - preparazione all'Eucaristia per la Comunità,
    - celebrazione gioiosa di ogni evento della vita con l'aiuto di simboli,
    - momenti di meditazione, di preghiera personale,
    - l'eventualità di celebrare il matrimonio di qualche animatore come un cammino di tutto il gruppo e proposta alla comunità,
    - drammatizzazione di alcuni brani della parola di Dio o di alcuni fatti della vita durante la celebrazione,
    - far portare alla Messa tutti i lavori di una festa celebrata assieme.

    Testimonianza e servizio

    Se un gruppo anche di adolescenti non si butta fuori e non «conta» per gli amici o la gente del paese, se non si accorge delle richieste che gli vengono dalla realtà, è ritenuto un «catechismo», un «ti istruisco il pupo e te lo tengo buono», una assenza di protagonismo, una mancanza di stima da parte degli altri, che non permette identificazione attiva sia al gruppo che alla Chiesa.
    A questo si aggiunga la grossa esigenza di fare che prevale sulla voglia di discutere. Bisogna liberare tutta la nostra creatività e la loro per aiutarli a fare ragionando. Quali gli strumenti?

    Ricerche, interviste, sensibilizzazioni, volantinaggio, recital, attenzione agli handicappati, servizio continuato agli anziani, giornalino, aiuto al terzo mondo, preparazione di mostre su vari temi, la stessa lotteria o pesca se entra a far parte come tappa di un cammino, una serie di incontri con i propri coetanei fuori dalla cerchia.

    Bisogna saper equilibrare bene l'impegno personale e quello di gruppo. E indispensabile un approccio alla vita politica sotto il segno della partecipazione.
    Occupare tutti gli spazi di partecipazione consentiti a questa età: scuola, fabbrica, quartiere, comune, parrocchia, come un diritto-dovere e un rendere ragione della speranza.


    Al di là del gruppo una associazione

    Spesso un gruppo si chiude in sé perché non si sa collegare.
    Nasce con una esperienza forte, vive di entusiasmo, poi improvvisamente qualcosa non funziona più; ci si chiude in se stessi, si esaltano piccole incomprensioni, si perde lo slancio.
    Spesso manca un progetto organico che oggi perseguono questi, domani quelli, che va avanti perché è fatto proprio del susseguirsi delle persone.
    Spesso muore perché manca storia e spessore di riflessione alle spalle.
    Esiste uno «strumento» che aiuta ad aprirsi, a diventare storia: l'associazione.

    Significato di una associazione dal punto di vista sociologico

    La vita degli uomini si snoda, da che mondo è mondo, sempre su un binario: l'individuo e la società, il pubblico e il privato, la vita e la storia. Dove: individuo, privato, vita, sono termini che centrano sulla persona; società, pubblico, storia si condensano al di fuori ora irraggiungibili, ora banali, ora inutili, ora vitali, nello stato e, per la nostra cultura, nei partiti.
    Esistono storicamente accentuazioni o nell'uno o nell'altro senso, esistono personalmente delle scelte nell'una o nell'altra direzione.
    Il '68 era nel pubblico, il '77 nel privato. La gente metropolitana è società, la gente di paese è spesso individui.
    C'è un'età della rivoluzione o della società e un'altra età del riflusso e della calma. Stai sulle barricate qualche anno, poi ti metti le pantofole davanti alla TV. Dal punto di vista logico, razionale si potrebbero ipotizzare una serie di attenzioni, attività, legislazioni che mettano d'accordo queste due realtà. La vita sarà più serena se ci sarà equilibrio tra pubblico e privato, tra bene comune e bene mio, tra la società e la persona. Da qui le discussioni teoriche e pratiche sul pluralismo della scuola o pluralismo nella scuola, su stato e persona, diritti sociali e diritti dell'uomo.
    Esistono però delle realtà che non sai dove collocare in questo binario: la famiglia, una comunità cristiana, le associazioni. Associazioni quindi sono elementi che si collocano tra individuo e società, tra pubblico e privato, tra vita e storia.
    Sono mediazioni nel senso che favoriscono il rapporto, sono luoghi di confronto con un taglio personale e un respiro comunitario.
    Sono esperienze di approfondimento e di apertura.

    I vantaggi di una associazione

    Una associazione permette di:
    - mettere in comune l'esperienza della propria esistenza nel senso di darle un nome e non solo percepirla come una serie di pulsazioni non ben umanizzate, accettarla in sé e negli altri diversa dalla mia, darle dignità anche se è soltanto mia, proprio perché è mia.
    Crea un nesso tra la crescita personale e l'agire.
    - Ha il valore della disciplina di un confronto comunitario. Oggi ognuno è un mondo a sé con i suoi valori, i suoi problemi, la sua bontà e malvagità. Dall'individuo non si passa alla società senza un confronto tra le persone, senza uscire dal privatismo gretto nel quale ci si consola, che diventa legge e modello per tutti, che fa nascere e vivere i nostri ideali con noi stessi.
    - Aiuta a percepire la realtà dall'angolatura di ideali ispiratori. Infatti l'associazione ha un suo taglio, un metodo di lettura della realtà, una chiave interpretativa di quel che succede.
    Non mi butto nella realtà in balìa delle sensazioni e emozioni, dei condizionamenti dei mass-media che sovrastano sugli individui ma che diventano anche influenti sulla collettività.
    Avere degli ideali a cui ispirarsi non è cosa da poco, soprattutto se questi ideali sorgono dal confronto, da una tradizione viva, dal lavoro e dall'esperienza di esperti e comunità.
    - È una esperienza continuativa di riflessione e di partecipazione.
    Oggi è facile meravigliarsi, stupirsi, adattarsi, reagire nei tempi brevi: è tipico dell'uomo del calcolatore che alla velocità quasi della luce fa corrispondere allo stimolo la risposta; non è invece facile riflettere in più momenti, decantare le impressioni e le valutazioni, costruire assieme dei giudizi.
    Così è anche della partecipazione che da «esagerazioni» (tutto è partecipazione) oggi si riduce allo spazio e alla traccia che lascia una telefonata alla radio, una protesta indignata, o qualche «furore popolare». Partecipare è un'arte oltre che un diritto e un dovere, e non si acquista se non con una applicazione continuata e paziente. La vera partecipazione è sostenuta, approfondita, rivendicata dall'associarsi che potenzia le intuizioni individuali, aiuta la dialettica, stabilisce una sicurezza di collaborazione critica e creativa.
    - Permette il confronto esistenziale diretto del piccolo gruppo di base, con un confronto più ampio di situazioni ambientali e sociali; una associazione collega sempre al di fuori del tuo ambiente.
    - In un mondo di senza identità, dove spesso l'essere persona è frantumato da messaggi contraddittori, una associazione ti dà un senso di appartenenza: perché ci colloca anche in una storia, dà alla nostra vita quotidiana la possibilità di svilupparsi in un progetto, per il quale diventa spazio educativo.
    Toglie cioè da una sorta di sonnambulismo per cui gli uomini vivono in un torpore facilmente manovrabile da chi ama il consenso manipolato più che la libertà.
    - Anche perché aiuta ad avere una esatta percezione dei bisogni e delle istanze che veramente assillano la convivenza umana, crea l'attitudine a una lucida considerazione del significato dei gesti che compiamo.
    La storia passa da qui: non basta un festival o una scampagnata a risolvere i problemi del mondo.
    Certo l'associazione deve essere fatta da un reticolato di gruppi umani che si mettono al lavoro, deve darsi un itinerario educativo, che è fatica umana quotidiana di maturazione, di assiduità, conquista progressiva di coscienza e di maturità.

    Significato di un'associazione dal punto di vista religioso-ecclesiale

    Gli stessi discorsi si possono fare a maggior ragione per quanto riguarda una associazione ecclesiale, religiosa; dove l'altra parte del binario non è una società o uno stato, ma una comunità che serve la comunione tra Dio e gli uomini.
    Si possono ripetere le stesse cose dette prima riferite all'esperienza di fede, alla visione di fede, alla realizzazione di una porzione di Chiesa. Stare assieme, confrontarsi, partecipare non è solo strumento per vivere la vita della Chiesa, ma la stessa vita della Chiesa, per certi versi.
    Un'associazione ecclesiale ha un suo buon fondamento teologico.
    E sbagliato pensare che il popolo di Dio sia una massa» amorfa che prende forma soltanto per l'intervento della struttura gerarchica, come se tutto quello che nel popolo di Dio prende aspetto organico derivasse esclusivamente dai vescovi come successori degli apostoli, o dal papa o dalla presidenza pastorale delegata dai preti. L'operatore dello Spirito non è unicamente quello che si esplica nel carisma istituzionale e che crea l'unità ecclesiale; è anche quello che passa attraverso i singoli cristiani e la loro iniziativa di collegarsi, di unirsi, di stabilire vincoli particolari, genuinamente ecclesiali, anche se non hanno la misura della Chiesa universale.
    Esistono pure fattori naturali come affinità di provenienza, di età, di cultura, di formazione, di professione che si pongono alla base di un impulso spontaneo ad associarsi per un potenziamento reciproco, per una crescita unitaria che si integra in vista di fini comuni da raggiungere. Questi elementi naturali possono concorrere a
    suscitare una solidarietà di tipo e di finalità ecclesiali. Con questo:
    - si favorisce la crescita della soggettività cristiana (che non significa soggettivismo), come consapevolezza di non essere soltanto recettività e passività, ma attività e produttività (sempre sotto l'influsso creativo dello Spirito)
    - da questo deriva anche una espansione del personale che storicizza maggiormente la fisionomia della Chiesa, le fa assumere un volto e una storia concreta. Si creano pure sfasature e contrasti che possono risultare scomodi, ma si innestano anche dinamismi di superamento che fanno una Chiesa sempre viva.
    Una associazione di laici permette a visioni astratte di cristiano di contemperarsi a contatto con la concretezza di un senso di terrestrità effettiva.
    Attraverso la coniugalità, la famiglia, la professione, l'attività politica, gli interessi si arriva alla vera incarnazione che non deve essere sempre filtrata clericalmente. La famosa cultura evangelicamente ispirata passa da qui:
    - Rende più positivi gli interventi della gerarchia e del clero che (giustamente preoccupata del depositum fidei, dei mezzi di grazia sacramentali) è tentata di arroccarsi nella difesa, di esortare a una traduzione generica dei principi morali, o di esprimere interventi negativi. Mentre invece se c'è un laicato che stimola a un avanzamento preciso, presenta un contesto ben circoscritto e storicamente situato e l'inevitabilità di prendere posizione.
    - Progredisce anche la pastorale, quando i laici associandosi, cioè sottraendosi alla dispersione, fanno valere con il clero e di fronte al clero, la propria coscientizzazione, intensificata dai rapporti associativi, sui compiti che loro spettano in quanto soggetti ecclesiali.
    Non è questione di avere un clero progressista o tradizionalista, ma di calibrare gli interventi e i piani pastorali sulle persone concrete.

    Indicazioni per l'uso del capitolo

    1. Per aiutare a ridefinire la politica

    Utilizzare qualcuno degli strumenti indicati nell'ultimo capitolo a pag. 83 ss.: Per approfondire dei contenuti.

    2. Per approfondire le prospettive educative

    Ciascuno pensa al suo gruppo, o ai giovani cui fa da animatore e esprime tutte le loro attività che hanno risonanza pubblica. Da qui cercare quali stimoli sono necessari e ipotizzare un cammino così diviso: obiettivo, tappe, strumenti. Dove:
    - obiettivo è l'attività politica sopra descritta;
    - tappe sono momenti o punti di arrivo concatenati che permettono di costruire l'obiettivo;
    - strumenti sono le attività concrete personali o di gruppo.
    Alla fine confrontarsi con le prospettive educative di pag. 67.

    3. Per riflettere sul rapporto gruppo-Chiesa

    Si legge o si fa una relazione su «Animazione e realtà ecclesiale» (pag. 71); quindi si collegano tutte le iniziative pratiche in essa descritte, se ne valuta la praticabilità nel proprio ambiente e si aggiungono quelle che ciascuno ha esperimentato.

    4. Per riconquistare l'importanza della esperienza associativa

    Associazioni libere (cfr pag. 80) su «Associazione», quindi tentativo di definizione e alla fine relazione sul tema.

    5. Per riflettere sull'importanza del rapporto animatore-comunità

    Racconto delle esperienze personali su questa scaletta:
    - chi mi ha invitato a far l'animatore?
    - che cosa mi ha chiesto?
    - quando mi consulta e mi chiede conto del lavoro fatto?
    - chi interferisce nel mio lavoro?
    - quando devo decidere attività e programmi sono solo?
    - si interessano i genitori o in genere il mondo adulto?


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