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    Una parrocchia che serve il territorio


     

    Giovani e parrocchia al Sacro Cuore - Foggia

    (1980-04-32)


    Rita, una ragazza di ventiquattro anni, da tre impegnata attivamente nella comunità parrocchiale del Sacro Cuore di Foggia.
    Fa parte del «gruppo di coordinamento»; una struttura di servizio, voluta dalla comunità, i cui membri, scelti per elezione diretta, hanno con i sacerdoti il compito e la funzione di organizzare l'intera vita della comunità parrocchiale, dal reperimento, l'amministrazione e la redistribuzione dei fondi alla impostazione e realizzazione della vita pastorale.
    Impegno gravido di responsabilità in una parrocchia di diecimila abitanti, la maggioranza dei quali lavorano come manovali nell'edilizia e nei campi e vivono in una città dalle abitazioni superaffollate, in cui delinquenza minorile, manifestazioni di violenza, incidenti sul lavoro, l'evasione dalla scuola dell'obbligo (le statistiche parlano del 30%) sono purtroppo fatti di evidenza quotidiana.
    Rita ci ha concesso l'intervista che presentiamo.

    La prima domanda è personale e mi pare scontata.
    Come mai hai deciso di metterti a lavorare in parrocchia?

    Prima ero una dei tanti che sprecano il proprio tempo a fare su e giù il corso principale della città, avendo come obiettivi essenziali quello di sfoggiare abiti, farsi notare, parlare con gli altri senza comunicare. Deridevo quelli che frequentavano le varie parrocchie, perché li consideravo ipocriti, chiusi nei loro gruppi e insensibili ai problemi reali della gente. Ma ad un certo punto avvertii che nella parrocchia del mio quartiere stavano accadendo fatti «strani»: i sacerdoti non si prendevano soldi per i sacramenti, avevano lasciato la casa canonica a disposizione della comunità parrocchiale ed erano andati ad abitare in una «casetta».
    Facevano scuola popolare agli operai, disoccupati, casalinghe, contadini, giovani apprendisti, con l'aiuto di alcuni laici, tutti giovani, e, cosa più inaudita, furono solidali con gli operai in sciopero di una fabbrica della città che minacciava la chiusura e diedero ospitalità nella parrocchia a famiglie senza tetto.
    Mi chiesi: «Perché lo fanno?».
    Intuii allora che per me c'era la possibilità di un modo diverso di usare il mio tempo e decisi di avvicinarmi a loro.

    Davanti a questi «fatti strani» di cui tu parli, quale è stata la reazione di chi in quel periodo svolgeva attività in parrocchia?

    Ma..., mentre per me si è trattato di una scelta che direi «facile», per tanti altri giovani e ragazzi che si trovavano nell'oratorio e nelle varie associazioni e che erano già abituati ad un certo andamento, l'arrivo di questi preti salesiani (settembre 1973) creò serie difficoltà.
    Così anche per gli adulti che frequentavano la parrocchia.
    La maggior parte di essi andò via; era un discorso troppo nuovo e radicale per poter essere compreso in pochi mesi.
    Quelli che restarono lavorarono sodo con i sacerdoti per mettere su e portare avanti la scuola popolare per lavoratori. Quando erano ancora sentiti gli ideali e le tensioni del '68 fu facile avere una certa risonanza cittadina, per cui, tanti altri giovani, che non si sarebbero mai avvicinati ad una parrocchia, si avvicinarono e si impegnarono moltissimo.

    Credo sia interessante sapere qualche cosa di più sul modo con cui avete sviluppato il vostro impegno.
    Potresti dire qualche cosa sulle attività intraprese?

    La scuola popolare divenne presto il centro dell'attività della comunità occupando quasi tutto: preti, giovani, locali a disposizione.
    Dopo che si vinse la lotta per le 150 ore fatta nel quartiere, poterono svilupparsi altre iniziative.
    Si scelsero i corsi sperimentali per lavoratori detti delle «150 ore», perché preferiamo il pubblico al privato, pensiamo che la chiesa non debba avere settori propri di intervento, ma ogni cristiano insieme a tutti gli altri uomini, deve cercare di realizzare il progetto di Dio che è per tutti.
    Pensiamo che la comunità debba essere sensibile a ciò che la circonda, e stimolare con le sue iniziative l'intervento pubblico.
    Contemporaneamente ci fu anche una svolta nella catechesi parrocchiale. Coloro che si misero a disposizione per questo servizio, innanzitutto fecero gruppo e si diedero un progetto catechistico con delle linee generali di orientamento, un metodo e dei sussidi (anche per i ragazzi guide e schede, diapositive...) e avevano ben chiaro che la cosa più importante era imparare a vivere e far vivere l'amicizia con Cristo come amicizia tra di noi nel coinvolgimento delle famiglie.
    Dopo il periodo della scuola popolare ebbe più spazio la catechesi preparatoria a tutti i sacramenti. Mentre prima i laici (per la maggior parte giovani) si occupavano quasi esclusivamente della catechesi di preparazione della prima comunione, ora ci sono anche gruppi di preparazione alla Cresima.
    E chi si prepara alla Cresima vive per un anno un impegno comunitario in un gruppo di servizio.
    Non si riesce ancora ad avere dei laici adulti disponibili a preparare le coppie al matrimonio o i genitori al battesimo dei figli.

    Avete molte e articolate attività. Certamente esse sono parte del vostro impegno formativo. I momenti specificatamente formativi sono importanti e necessari per la vita di una comunità. Come di fatto vi muovete?

    Lungo il cammino ci si è resi conto sempre di più che non è possibile darsi anima e corpo per il «servizio», senza curare un'adeguata e crescente formazione. C'è stato un momento di forte riflessione sulla identità comunitaria e si sono valutate tante cose che prima erano solo abbozzate o messe da parte. Si è definito meglio il
    progetto di comunità cristiana come comunità di ascolto della Parola di Dio, di preghiera personale e comunitaria, di condivisione fraterna di quello che siamo e di ciò che abbiamo, di accoglienza cordiale di ogni persona senza discriminazioni e senza intolleranze, di servizio agli ultimi e agli emarginati svolgendo secondo le proprie capacità il ruolo che noi e la comunità ci riconosciamo, di partecipazione alle pacifiche lotte che i poveri conducono per la liberazione.
    In un primo momento ci si diede il sabato sera come spazio di riflessione sulla Parola di Dio e tutta la comunità si ritrovava in questo momento forte di crescita. Poi da oltre un anno a questa parte sta prendendo forma un altro progetto: quello delle piccole comunità ecclesiali di base. Ci siamo resi conto, partendo dalla nostra esperienza e dal Concilio, che la Chiesa non può essere se stessa, e cioè Sacramento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutti gli uomini, se continua a vivere nell'anonimato, con l'immagine più di stazione di servizio religioso che di animatrice della vita del popolo.

    Ogni comunità parrocchiale è chiamata a chiarire le proprie linee di azione, attraverso un progetto pastorale.
    In città la vostra esperienza è motivo di confronto, di dibattito, segno che a monte delle molte attività è stata operata una scelta precisa. Quale?

    Una particolarità dell'azione della mia parrocchia è l'idea di fare una «pastorale di insieme» e non a settori o compartimenti-stagno. Una pastorale che provochi e crei comunità.
    Tutto il popolo battezzato deve avere la possibilità concreta di essere convocato in comunità dalle dimensioni umane che favoriscano la vera partecipazione e corresponsabilità. Per questo la nostra parrocchia vuole trasformarsi in comunione di piccole comunità.
    La piccola comunità è un gruppo di famiglie (per scalinata o caseggiato o amicizia...) in dimensioni tali da permettere un rapporto personale. La nostra comunità ecclesiale di base è comunità di fede e di ascolto, comunità liturgica e di preghiera, comunità di servizio.
    L'insieme organico e dinamico delle piccole comunità, coordinate al centro dai propri animatori, costituisce la nuova parrocchia verso cui intendiamo camminare. Ma la sua attuazione è a lungo termine. Per ora intendiamo costituire tanti gruppi di Vangelo che poi si evolveranno gradualmente in vere piccole comunità ecclesiali e poi una comunità in senso stretto che realizzi con il massimo numero di persone possibili e senza discriminazioni quel clima di fraternità, di responsabilità e di partecipazione che non è possibile per tutti i diecimila parrocchiani, attorno alla Parola di Dio, ascoltata, celebrata e vissuta.
    Si è dato anche molto spazio alla liturgia, fatta in modo semplice e cercando di coin volgere il più possibile l'assemblea domenicale in modo che alcuni tra i partecipanti si riuniscano per prepararla nei canti, nell'omelia, nelle preghiere.
    Si sono ripresi certi momenti particolari come le novene e i tridui, anche questi preparati in modo tale che chi viene sia coinvolto. In questo lavoro come in tutti gli altri si cerca di assumere quelli che sono i valori tipici della gente semplice, della loro vita quotidiana e della loro religiosità.
    Una ulteriore prova è la piccola comunità Emmaus, sorta alla fine del '77: è una cooperativa agricola e zootecnica fondata da alcuni giovani della comunità insieme ad uno dei salesiani. Ha vari obiettivi: avere un lavoro che non sia alienante ma che dia spazio alla creatività dei singoli, recuperare alcuni lavori manuali e artigianali (contadino, lavoro del legno...), fare vita comunitaria fino in fondo secondo il Vangelo condividendo ogni cosa, diventare luogo di accoglienza per giovani in difficoltà (sbandati, emarginati, dimessi dalle carceri o dal manicomio...).
    Si basa su una vita semplice cercando di capire quali sono i bisogni necessari e quelli indotti dal consumismo. Vivono insieme anche alcuni non credenti. Non vuole essere o diventare un istituto o un collegio, ma una grande famiglia, povera, che fa sentire di casa chi è nel bisogno, condividendo nella gioia quel poco che possiede.
    Ci sono in mente anche altri progetti, come quello di alcune giovani coppie della comunità che pensano ad una cooperativa edilizia particolare, con dei luoghi comuni, per inventare un modo nuovo di vivere in città dove i problemi e gli interessi non sono vissuti individualisticamente, ma comunitariamente, salvaguardando sempre la creatività dei singoli.

    I giovani, che posto hanno in questa «pastorale di insieme»?

    Mi pare si possa giustamente dire che i giovani sono coloro che hanno dato vita, assieme a pochissimi adulti, a questa «pastorale di insieme». Sono quelli che risultano maggiormente coinvolti in questo impegno che nasce dalla fede e cerca di stimolare la creatività, responsabilità e gratuità.
    Molti fra gli adulti che operano oggi all'interno della comunità arrivano dalle loro famiglie e sono il frutto di una intensa opera di convinzione.

    La vostra presenza all'interno dei problemi del territorio e del quartiere risulta massiccia e determinante.
    Vuoi dire qualche cosa al riguardo?

    Un operaio che frequentò la scuola popolare oggi è presidente del comitato di quartiere, affiancato alla nostra comunità. Il comitato attuale è formato da una cinquantina di persone e non ha avuto una facile gestazione. Sorsero vari comitati a seconda dell'esigenza del momento storico. Ora, da oltre un anno, esiste questo comitato unitario che sembra abbastanza stabile e che conduce la sua lotta non violenta per i problemi riguardanti la casa, la scuola e la salute. Non c'è l'ottica del partito, ma di una politica fatta da tutti, rifiutando ogni tipo di integrismo. Una iniziativa del comitato di quartiere è il centro medico che ha la sede sempre nei locali della parrocchia. C'è l'ambulatorio, il controllo del bambino sano, sta nascendo un ambulatorio per la donna e il controllo delle donne incinte.
    Una delle caratteristiche di questo impegno è la socializzazione e la prevenzione della malattia cercando di demitizzare la figura del medico e di superare il ruolo del paziente.
    Si cerca di rivalutare cure popolari che si tramandano da tanti anni dando un fondamento scientifico con delle ricerche a quello che si pratica e che un po' si va perdendo.
    Si sta avviando anche un discorso di medicina scolastica nelle scuole del quartiere; sempre a cura del comitato di quartiere, si sta avviando un servizio di pratica sportiva popolare.
    Alcuni membri della comunità lavorano in strutture culturali e politiche a livello cittadino, altri hanno dato vita ad una scuola di musica con sede nella scuola media del quartiere. Una cosa importante che stava per sfuggirmi è che la nostra parrocchia è ente riconosciuto per il servizio civile degli obiettori di coscienza. Quelli che vengono a fare il servizio civile si inseriscono nelle varie attività e noi cerchiamo di farli sentire dei nostri. Grazie ad essi si è formato un gruppo che cerca di sensibilizzare tutta la città sui gravi problemi del militarismo e del nucleare, proponendo una scelta di società non violenta che metta sempre al primo posto l'uomo, una scelta che rifiuta quel «progresso» che mette in pericolo la vita umana e la natura.

    Nel portare avanti la vostra scelta immagino che non sempre tutto vada liscio. Potresti mettere in rilievo qualche difficoltà incontrata?

    Innanzi tutto, la nostra esperienza, ci può portare ad isolarci un po' dalla Chiesa locale.
    Anche se nei primi anni ci sono stati fraintendimenti ed equivoci ed il collegamento è risultato difficile, ora i rapporti mi paiono buoni.
    Partecipiamo agli incontri a livello diocesano con delle proposte molto concrete (l'estate scorsa abbiamo fatto dei campi di lavoro ai quali hanno partecipato anche giovani di altre parrocchie e di altri ambienti salesiani) e siamo anche presenti nei momenti di animazione, di organizzazione e di confronto che l'Ispettoria salesiana si dà. Incontriamo inoltre difficoltà nel formare i gruppi del Vangelo interfamiliari: l'animatore corre il rischio di fare qualche «lezione», anziché far fruttare la possibilità e l'originalità dei singoli.
    Per quanto riguarda gli adulti, sconcertati all'inizio da alcune scelte, è difficile sperare con loro il passaggio della mentalità di parrocchia, comunione di comunità. Ora, si stanno avvicinando un po' a noi, anche per merito di alcune coppie giovani che si sono sposate in parrocchia e non si sono chiuse nel guscio della loro casa, ma lavorano per gli altri.

    Per concludere: qual è il tuo giudizio sulla esperienza che state realizzando?

    Mah... è difficile fare una valutazione.
    Ci sono alcune cose che ci sfuggono, forse perché ricadiamo spesso, a mio parere nell'errore di far partire gli altri dal nostro punto di arrivo, anziché rispettare i tempi di maturazione di ciascuno.
    È proprio per questo che l'inserimento dei «nuovi» è reso difficile.
    Certo per la comunità parrocchiale è una esperienza nuova, c'è più consenso adesso! Fra tutti, a beneficiarne maggiormente, sono i giovani, i quali trovano in una azione pastorale di questo tipo una esperienza di valori quali la fraternità, il servizio, la tensione alla liberazione concreta, da sempre desiderata e voluta.
    Non a caso, di fatto, lo ripeto, essi ne sono i protagonisti.


    T e r z a
    p a g i n A


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