Domenico Sigalini
(NPG 1980-06-50)
Uno dei problemi più seri che si presentano per la pastorale sia essa giovanile o dei ragazzi, del cosiddetto mondo del lavoro o della terza età, degli ambienti (Scuole e Università) o delle categorie di persone, è oggi quello del coordinamento, della collaborazione, del far qualcosa assieme, non solo del non far entrare in collisione prospettive diverse, ma dell'esprimere unità, comunione effettiva, azione di Chiesa.
I bei tempi... in cui tutto era più facile
Se ci riportassimo agli anni '50-'60, in tempo di monolitismo associativo e di scarso pluralismo per così dire «ideologico» all'interno della Chiesa, il problema non si poneva o era di facile soluzione. Facile non significa che non esigesse persone equilibrate e disposte a lavorare sodo, impostazioni precise per fare in modo che anche nell'attività pastorale si potesse esperimentare quella comunione che unisce i cristiani a livello di fede, ma significa che la configurazione ecclesiale di quel tempo, la mentalità, la centralizzazione, l'omogeneità delle varie forze che agivano in campo, postulavano tale azione e la rendevano possibile facilitandola.
Non era difficile, per esempio, che l'Azione Cattolica con tutta la popolazione che vi aderiva, con la diffusione capillare e popolare, con l'organizzazione precisa che aveva potesse fare da coordinatrice a tutte le iniziative sia in campo giovanile che generalmente laicale.
L'assistente generale era il delegato per l'apostolato dei laici, un coordinatore di attività. Aiutato dai laici con i quali viveva e organizzava la vita associativa, era garanzia per il Vescovo di collegamento di tutte le attività in campo laicale e non si sentiva burocrate perché il coordinamento partiva da un gruppo vivo di persone che esperimentavano ciò che proponevano.
La gerarchia faceva un pronunciamento pastorale, l'organizzazione pastorale trovava subito una unità di persone e di iniziative attorno a queste.
I problemi che ci sono oggi
Oggi non è più così. Grazie a Dio, dice qualcuno. Meno monolitismo, ma più creatività, più docilità ai «carismi», ai doni dello Spirito.
Esiste in teoria e in pratica un pluralismo associativo e quindi diverse linee ispiratrici. C'è stato in verità, soprattutto nella pastorale giovanile, un periodo in cui dal monolitismo si è passati allo spontaneismo puro, al tentativo più o meno creativo (talvolta era questione solo di umori pastorali). Oggi,esistono già più delineati alcuni interventi che si rifanno in maniera seria ad alcune metodologie e ispirazioni ben riconoscibili.
Prendiamo come esempio la pastorale degli adolescenti.
In questo campo lavorano l'AGESCI, l'Azione Cattolica, Comunione e Liberazione soprattutto per gli studenti, i Focolarini, esistono Scuole di vita familiare ed altri organismi di livello diocesano (vd. Casa Serena, per un certo verso), e inoltre ogni parrocchia ha il suo metodo e la sua ispirazione. Tutti con un piano ben delineato, con degli obiettivi, con una «teologia», se così si può dire, alle spalle.
Ciascuno si crea i suoi animatori, ciascuno si fa le sue analisi e le letture di queste analisi, ciascuno fa i suoi programmi e le sue proposte, manda i suoi ciclostilati e sussidi, organizza i suoi incontri, risponde a modo suo, o non risponde ai piani pastorali della Chiesa locale.
Si ha l'impressione, talvolta, che si ricrei anche nella pastorale giovanile il frazionamento delle congregazioni religiose. Solo che oggi queste lo hanno in parte superato in Federazioni vivaci e intelligenti, e i movimenti giovanili invece lo stanno approfondendo.
Inoltre, affidare la pastorale giovanile allo spontaneismo, legarla alla vivacità di un gruppo, di una situazione o di un prete, non è garanzia di continuità. Spesso quando il prete cambia, o cala la tensione del gruppo, o muta la situazione esterna, saltano le linee educative, che erano costate anni di ricerca, saltano i programmi, ma soprattutto non matura una esperienza di Chiesa.
Il grazie a Dio di prima allora si attenua. È necessario parlare di coordinamento, di ritrovata unità pur nella diversità anche perché la realtà giovanile pure pluralista quando si pone un interrogativo serio di fede, non è disposta ad accettare ghettizzazioni se non momentanee e securizzanti e non può essere sganciata dal cammino autentico della Chiesa locale.
Quale coordinamento
Il coordinamento non è un fatto burocratico, ma assume il carattere di comunione, di continuità, di educazione della comunità ad assumere i suoi impegni di evangelizzazione, di stimolo e di riconoscimento dei doni che Dio diffonde nella Chiesa, di esperienza ecclesiale. Può diventare anche un fatto «culturale» nel senso che la Chiesa locale concretamente traduce nella realtà globale dei giovani la sua ispirazione evangelica, dà il suo contributo alla questione giovanile. Esistono però vari modi di far coordinamento.
C'è quello di istituire un ufficio curiale di pastorale giovanile, con un prete che a tavolino convoca una consulta di interessati al problema studiando politicamente a chi estendere l'invito, e cerca faticosamente un'intesa. Il coordinamento si stempera in tediose e lunghissime riunioni in cui bisogna fare la mediazione della mediazione, bisogna limare ogni frase e magari sospendere l'adesione per consultare i grandi capi.
Per rendere spedito tale coordinamento si tentano vie di potere. L'Ufficio della pastorale giovanile un po' alla volta è costretto a decidere, ad emanare ordini, a stabilire canoni di comportamento e di riconoscimento. Non si parla di escludere nessuno ma di autoesclusione. È stata interessante a questo riguardo l'esperienza delle consulte di pastorale scolastica sorte per coordinare l'evangelizzazione nell'ambiente scolastico. Si è partiti dal coordinamento e si è arrivati a imporre le liste da votare per i distretti.
Un altro modello è dato dalla raccolta di adesioni da stampare su manifesti e locandine per appoggiare una iniziativa o una manifestazione di massa. Nel migliore dei casi un gruppo o una associazione prepara e decide tutto quanto c'è da fare e chiede agli altri soltanto la firma.
A questi coordinamenti manca soprattutto l'anima, manca un movimento, manca il contatto serio con i problemi e le persone, vive sulla passione coordinatrice e non su quella evangelizzatrice (anche se non si possono infantilmente separare).
Il tentativo di Casa Serena sembra aver dato una risposta positiva a questo grosso problema pastorale.
È un movimento a contatto diretto con la realtà degli adolescenti: li conosce, li incontra, si lascia trasformare, li studia, li stimola e ne ascolta le risposte...
È collegato con le varie associazioni che vi si riconoscono pur con alcune difficoltà di specificità e di programmazione delle proprie attività. È un gruppo autoritativo, nel senso che ha la forza di parlare e di presentarsi come diocesano, collegato strettamente col Vescovo, quindi «normativo» per una pastorale che voglia essere ecclesiale.
Casa Serena è da anni «un ambiente di vita» a disposizione degli adolescenti per esperienze di preghiera e convivenze; un ambiente in cui l'attenzione è rivolta soprattutto alle persone per favorire confronti ed esperienze e proporre una pastorale unitaria a livello diocesano, vicariale, parrocchiale e ambientale. È un gruppo di lavoro composto da preti, suore, giovani che collaborano da vicino con le istituzioni diocesane e parrocchiali.
Avrà risolto tutti i problemi? Probabilmente alcuni ne sono rimasti.
Il documento analizzato in queste pagine è prova di un lavoro serio. Il coinvolgimento della quasi totalità delle parrocchie o dei gruppi non è un fungo esploso a caso, ma il risultato di una impostazione seria del coordinamento pastorale.
Questa esperienza allora potrebbe essere una soluzione: una istituzione (la Diocesi, la Chiesa diocesana) che si organizza sulla base di un movimento.