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    L'obiettivo: entrare nella logica della preghiera disinteressata



    Carlo Carozzo

    (NPG 1980-03-46)


    Ho cercato di leggere con attenzione e di penetrare il meglio possibile queste testimonianze sulla preghiera di sorelle e fratelli tanto più giovani di me. Vorrei ora formulare «le impressioni » che ne ho tratto, e stendere qualche annotazione. Lo faccio con un senso di apprensione, ed anche di timore. Quando si tratta di cristiani in preghiera so bene di trovarmi davanti al mistero della relazione più personale della figlia e del figlio con il Padre. Il rispetto non è mai troppo.

    Le «impressioni»

    Le riassumerei così:
    - un senso di gioia davanti a questi giovani animatori perché mostrano di voler pregare in modo nuovo, con una sacrosanta repulsione per le formule esangui; perché cercano una preghiera legata alla vita ed all'impegno nel mondo; perché sono «critici» e «lucidi»: conoscono bene i rischi e le ambiguità in cui è immersa, oggi, la riscoperta della preghiera;
    - un senso di simpatia per quei ragazzi dell'inchiesta che dicono chiaramente di non aver « bisogno di pregare», che è «il lavoro e non la contemplazione a cambiare il mondo ». Reagiscono, mi sembra chiaro, ad una preghiera alienante e ad un «Dio' tappabuchi». È una reazione «sana». E quando la ragione appare « abbastanza » sana è un buon segno. Non vedo cosa Dio possa cavarci da una patologia della ragione;
    - un senso di sconcertamento di fronte alla immagine del Dio Persona che emerge qua e là: un Dio visto come «un amico, un aiuto » (Piero B.); un Dio in cui «cerco anzitutto me stesso» (Giorgio), un Dio « che risponde alle mie domande e a sua volta me ne faccia » (Donatella) per effettuare una « seria revisione della mia vita » (idem). È un linguaggio, e so bene che spesso non è, soprattutto in questo ambito, l'espressione più chiara della tua ricerca. Da ciò il mio timore... Rimango tuttavia sconcertato perché questo Dio mi sembra intriso di molto psicologismo, cade in pezzi sotto il bisturi dell'analisi freudiana. Altro è il Dio cristiano, certo amico, intimo a me stesso, ma congiuntamente Trascendenza dell'Amore, Sorgente radicale, Trinità.

    Nessuna schizzinosità sul punto di partenza

    Questo sconcertamento, e più in generale le perplessità che sorgono in me di fronte alla attuale riemergenza della preghiera, non mi scandalizzano affatto. Non vorrei essere frainteso su questo punto. Anzi, in realtà, mi meraviglia alquanto la condanna che taluni amici fanno cadere su questa esperienza. Dico questo perché la nostra preghiera comincia sempre, credo, in un terreno più o meno pagano; è una preghiera, inizialmente, per gran parte, utilitaristica, consolatoria. È normale. In caso contrario non ci sarebbe bisogno del Vangelo.
    Non credo che Dio sia schizzinoso, e - si fa per dire! - scuota la testa come a dire: Eh no, caro mio! tu preghi in modo sbagliato, ti rivolgi ad Uno che non sono io ed allora non ti degno neanche di un attimo di attenzione. Cresci e poi ne riparleremo! Mi sbaglierò. Ma non dimentico che Dio ha avuto il realismo di prendere Abramo dai culti lunari della Caldea e di condurlo, pazientemente, fin dove sappiamo. Ecco il punto: si parte da dove si può, da dove si è, come si è; da tutta l'ambiguità del bisogno di pregare. L'essenziale è non fermarsi qua, ma evangelizzare la preghiera. Per questo rimango piuttosto scandalizzato di fronte ad altri amici che si esaltano di fronte al ritorno dei giovani sotto l'ombra del campanile, e parlano, in tutta tranquillità, di nuova pentecoste. Che sia un inizio è probabile. Ma una certa cautela non sarebbe fuori luogo. Pregare, d'accordo. Ma preghiamo Chi?

    Essenziale l'ascolto della Parola, che rivela Dio

    È forse questa la ragione per cui sono rimasto stupito che solo un paio degli intervenuti colleghino strettamente fede e preghiera, e uniscano la crisi della preghiera a quella più vasta della fede. Scrive Eugenio: «Penso che pregare sia difficile perché è difficile voler bene, avere la pazienza, la costanza, il coraggio e la gioia di chi ama... per pregare "vero" è necessaria la fede, perché è affidarsi completamente allo Spirito... ».
    È un'osservazione capitale perché «affidarsi» davvero allo Spirito implica una «conoscenza», sia pure germinale, del Dio particolare di Gesù, una «conoscenza» che lo Spirito del Signore desta, genera anzi, in noi, in una lenta, lunga, ostinata familiarità con la Parola. Non importa da dove parto: se dalla gioia di vivere o « dalla sofferenza e dalla lotta» come dice Giorgio Ferroni; se dall'« Amore per il prossimo» o dalla nausea per questa società. Il punto cruciale è il vaglio della Parola, è «l'ascolta Israele» dei nostri Padri. Me lo consentono tanti catechisti di cui ammiro la dedizione e la fatica. Qua, come altrove, siamo ancora troppo razionalisti. Pretendiamo di spiegare chi sia Dio. Ma no, fratelli! Possiamo dare delle informazioni teologiche corrette su Dio. Ma è solo lo Spirito del Signore a rivelarci chi sia Cristo, che ci condurrà, Lui e non noi, al Padre.
    Compito nostro è aiutare perché l'incontro avvenga, e sarà personalissimo, irripetibile. L'essenziale è anche qua non tanto, credo, insegnare a pregare, quanto essere donne, uomini di preghiera che pregano con gli altri, che trasmettono, come possono, la loro esperienza evangelica. Il Vangelo, mi diceva un vecchio amico, «si trasmette da solo. A condizione che noi lo si viva!».
    L'azione, la vita quotidiana in tutti i suoi aspetti, l'amicizia, la lotta, la gioia, la preghiera sono occasioni per incontrare il Signore. Ma l'iniziativa e lo sviluppo dell'incontro dipendono da Lui. L'essenziale lo farà Egli stesso perché soltanto Dio è in grado di comunicarsi ai suoi figli.

    Forse si «arriva» alla contemplazione nel quotidiano

    Credo che questa contemplazione ci sia richiesta e sia possibile. Mi domando tuttavia se essa non sia, fondamentalmente, un punto di arrivo, un «vertice», a cui si giunge chissà quando e come. Il mio timore è che quando tutto è preghiera si rischi davvero che essa poi non ci sia realmente da nessuna parte anche come posizione di fondo. Ha delle buone ragioni quel ragazzo dell'inchiesta che scrive: «Non vedo proprio come posso fare di ogni atto una preghiera. Per me un atto di amicizia verso un amico è un atto di amicizia, non di preghiera... ».
    Mi pare difficile partire dalla contemplazione nel quotidiano. Un giorno forse, dopo ore ed ore di preghiera esplicita e di assimilazione della Parola, un giorno forse, e sia lode a Dio!, tutto per noi sarà segno di Lui, vivremo ogni gesto in uno spirito di preghiera, cioè alla Presenza del Padre in una esistenza filiale a Lui offerta totalmente, senza condizioni, né reticenze.

    Quello che conta è vivere «l'eccomi»

    La preghiera è un cammino, si intreccia e fa tutt'uno con il maturare della fede, di una esistenza evangelica. Se la assimilazione vitale della Parola anima il tua essere una trasformazione interverrà. Non occupartene troppo. Lascia libero Dio di operare da Padre creatore in te e con te. Non dubitarne: conosce il suo mestiere!
    Ed un giorno arriverai a capire che «la preghiera è silenzio e amore. Ed allora ho continuato a restare lì in silenzio senza dire nulla, convinta che ascoltare è amore (...), Prima cercavo Dio, poi ho capito che più che dire "dove sei" dovevo dire "eccomi" (...)».
    È una testimonianza assai significativa questa di Maria Luisa, certo un cammino tra i tanti. Mette l'accento però su un fatto determinante: la strada della preghiera ha delle svolte, ed una di esse, quella decisiva è entrare nella logica della preghiera disinteressata.
    Pregare allora diventa, tende a diventare, un invocare Dio o un tacere davanti a Dio soltanto perché è Dio, e nulla più; un rendere lode a Dio perché è Dio, e nulla più; un dire grazie a Dio perché è Dio, e nulla più; un protestare davanti a Dio con tutti gli uomini perché è Dio e nulla più...
    Su questa strada la preghiera diventa sempre meno funzionale a qualcosa: neppure all'azione, neppure alla tua crescita, neppure alla evangelizzazione. Sono attimi, ore, di un'apertura totale al Padre nella donazione senza contropartite. Bandendo ogni secondo fine. Anche superiore. Sono attimi, momenti, poi dell'altro prenderà ancora il sopravvento perché la vita non è lineare. Ma quando la grazia di tuo Padre ti conduce fin qua, sta in pace, uomo efficiente, concreto, di oggi. La fecondità sarà traboccante, a misura della generosità di Dio. E tutto si semplificherà. Nulla ti impegna di più della esperienza, per quanto germinale, limitata, della gratuità di Dio. Perché Lui è l'Impegnato per e dall'eternità.

    Ad unificare è la vita mistica

    Sono persuaso che la coppia preghiera-azione, vita quotidiana- preghiera rischino ancora il dualismo. Facendo pensare come a un'alternanza, soprattutto ad una misura ben calcolata di tempi. Un ritmo ci vuole, ma perché sia vitale, e non semplice alternanza, occorre un Fondamento che unifichi la tua vita. E questo non può essere che una esistenza mistica, grossa parola che vuol dire semplicemente cominciare a vivere nella comunione con il Signore.
    Ed allora sia che mangiate, sia che beviate, sia che amiate, sia che lavoriate... (S. Paolo) tutto avviene con una certa libertà nella accoglienza dello Spirito di Dio. È Lui a dare unità a quello che è diviso in noi. Dimora in Dio, nell'amore. per dirla con Giovanni, qualunque cosa tu faccia: la contemplazione nel quotidiano, appunto, la preghiera continua. Ed ogni tanto, magari nel bel mezzo delle tue azioni, in una pausa improvvisa, avrai come uno squarcio sulla presenza... Forse. Ma se hai esperienza di tuo Padre sai che è con te. E cammini. Sopportando anche la notte. E cogliendo la vita che viene da Lui come dono. Anche quando non ne ha l'apparenza. E chissà, nella tua prassi, meglio, nella tua vita, trasparirà la Limpidezza della Fonte.


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